202205.27
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Riforma della giustizia tributaria: i laureati in economia non potranno diventare magistrati

Requisito di ammissione al concorso per magistrato tributario è soltanto la laurea in giurisprudenza: così il disegno di legge di riforma della giustizia tributaria esclude dalla platea dei candidati i laureati in economia. Peraltro, la decisione delle controversie tributarie richiede conoscenze che non si esauriscono né nella cultura giuridica di base generalista maturata con la laurea in giurisprudenza, né nella padronanza delle discipline aziendalistiche ed economiche derivanti dalla laurea in economia. Una “exit strategy” potrebbe trovarsi in un più ampio utilizzo della consulenza tecnica: questo strumento processuale non solo consente di superare le ineludibili carenze conoscitive che caratterizzano ogni organo giurisdizionale, incluso quello impegnato alla risoluzione delle controversie fiscali, ma è tanto flessibile da adattarsi alle specifiche caratteristiche del caso.

Il nuovo art. 4-bis , D.Lgs. n. 545/1992, come modificato dal disegno di legge di riforma della giustizia tributaria approvato dal Consiglio dei Ministri del 17 maggio 2022, stabilisce che siano ammessi al concorso annuale per la nomina a magistrato tributario esclusivamente i laureati in giurisprudenza.

Il requisito alternativo della laurea in economia è previsto soltanto per i primi due bandi di concorso e limitatamente ai fini dell’accesso alla riserva di posti nella misura del 15% a favore dei giudici diversi dai giudici ordinari, amministrativi, contabili o militari, che siano presenti alla data del 1° gennaio 2022 nel ruolo unico da almeno 6 anni e non siano titolari di trattamento pensionistico.

È stata così accolta la proposta di matrice professionale-accademica, formulata dalla Commissione Della Cananea, secondo cui l’accesso alla funzione giurisdizionale deve essere fondato su un pubblico concorso riservato ai laureati in giurisprudenza e – entro certi limiti quantitativi e a determinate condizioni – ai giudici tributari in servizio.

Viceversa, la proposta scartata prevedeva che il mantenimento della configurazione della magistratura tributaria come onoraria fosse in parte bilanciato dall’introduzione del requisito della laurea magistrale in giurisprudenza o in economia o al titolo di dottore di ricerca in materie giuridico-aziendali per i non appartenenti alla magistratura ordinaria, amministrativa o contabile.

Critiche all’esclusione dei laureati in economia

Alcune associazioni di categoria hanno criticato la mancata previsione della laurea in economia tra i requisiti di ammissione al concorso pubblico per la selezione dei nuovi magistrati tributari: la principale obiezione che viene mossa è fondata sul rilievo che l’organo giurisdizionale così formato non garantirebbe quelle specifiche conoscenze in ambito economico, contabile e aziendale che sono ritenute necessarie per la gestione della materia fiscale.

L’Associazione Magistrati Tributari ha indetto uno stato di agitazione, rilevando, in particolare, “l’importanza della presenza della componente proveniente dal mondo delle professioni, in considerazione sia della natura tecnica e interdisciplinare della materia tributaria, che in assenza di un codice delle leggi tributarie”, e osservando che “la pluralità delle esperienze ha garantito un elevato grado di competenza e tecnicismo, indispensabile per l’instabilità delle norme tributarie”.

A sua volta l’Associazione Nazionale Commercialisti ha denunciato “un’evidente discriminazione nei confronti di un’ampia platea di professionisti” e “una palese contraddizione con quello che dovrebbe essere un principio cardine della riforma, ovvero l’elevata professionalità e specializzazione in materia tributaria da parte dei giudici tributari”, senza contare che le stesse prove concorsuali presuppongono competenze proprie della categoria dei commercialisti: secondo tale impostazione, la magistratura tributaria, distinguendosi dalle altre magistrature, “deve avere una particolare competenza delle materie trattate, stante il forte impatto sul tessuto economico nazionale”.

L’organo giudicante può avvalersi di consulenti tecnici

Si è detto e ripetuto che la decisione delle controversie tributarie richiede conoscenze che non si esauriscono nella cultura giuridica di base generalista maturata con la laurea in giurisprudenza, né nella padronanza delle discipline aziendalistiche ed economiche derivanti dalla laurea in economia.

È altrettanto pacifico che i nuovi magistrati tributari dovranno maturare una cultura specialistica attraverso un percorso comune che il disegno di legge avvia con una selezione mediante concorso pubblico per titoli ed esami e che auspicabilmente dovrebbe proseguire con un periodo di tirocinio di formazione specialistica iniziale e con un continuo aggiornamento durante l’intera carriera.

La specializzazione che questo percorso dovrebbe garantire ai nuovi magistrati tributari potrebbe tuttavia non essere sufficiente ad assicurare la piena padronanza delle caleidoscopiche sfaccettature delle controversie tributarie, specie qualora il concreto esercizio dell’attività giurisdizionale richieda particolari cognizioni tecniche.

In ipotesi di tal fatta, nel processo civile interviene la figura del consulente tecnico, vale a dire l’ausiliario del quale il giudice si serve quando la sua attività si svolge in un campo nel quale si richiedono specifiche competenze estranee alla sfera giuridica: infatti, in base all’art. 61 c.p.c., “quando è necessario” il giudice può farsi assistere da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica.

Allo stesso modo, nel processo tributario l’art. 7, comma 2, D. Lgs. n. 546/1992 annovera tra i poteri delle Commissioni Tributarie quello di disporre d’ufficio la consulenza tecnica “quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità”: tale attività dovrà quindi avere ad oggetto elementi che esulano dalla sfera di normale conoscenza o conoscibilità del giudice, tenuto conto della sua specifica competenza.

A parere di chi scrive, un più ampio utilizzo della consulenza tecnica potrebbe rappresentare una “exit strategy” rispetto alle critiche oggi mosse al disegno di legge governativo: infatti tale strumento processuale non soltanto consente di superare le ineludibili carenze conoscitive che caratterizzano ogni organo giurisdizionale, incluso quello impegnato alla risoluzione delle controversie fiscali, ma è tanto flessibile da adattarsi nell’an e nel quomodo alle specifiche caratteristiche del caso sub iudice . Al contrario, la partecipazione di laureati in economia come componenti delle Commissioni Tributarie non è idonea di per sé sola a garantire l’apporto conoscitivo che alcune controversie tributarie possono richiedere (ad esempio quando sia necessario analizzare questioni in materia di prezzi di trasferimento infragruppo).

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