201409.16
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Elusione tributaria: è solo questione di sostanza?

L’elusione fiscale è un fenomeno di natura sostanziale o procedimentale? Il quesito, che ricorre frequentemente nei dibattiti sulle strategie di contrasto all’elusione, può dar adito ad un equivoco perché non puntualmente formulato.

Un quesito da mettere a fuoco

Chiedersi se un certo fenomeno ha natura sostanziale o procedimentale significa collocarlo in una griglia temporale. Ogni condotta del contribuente assume rilevanza a fini tributari in tre momenti:

  • il primo coincide con la realizzazione della fattispecie impositiva,
  • il secondo si collega all’autoliquidazione del tributo dovuto,
  • il terzo (eventuale) concerne l’attività di controllo e rettifica ad opera dell’Amministrazione finanziaria.

L’elusione ha carattere sostanziale, attenendo alle fasi in cui il contribuente pone in essere la condotta rilevante a fini impositivi e provvede al calcolo dell’importo dovuto all’Erario. Di ciò è ben consapevole anche la giurisprudenza di legittimità, come dimostra il (preoccupato) riferimento all’art. 23 Cost. ricorrente nelle pronunce in cui è stata elaborata la clausola antielusiva generale (cfr. Cass., SS.UU., 23 dicembre 2008, n. 30055, n. 30056 e n. 30057, ove le Sezioni Unite della Corte di Cassazione escludono expressis verbis che tale strumento possa “in alcun modo” vulnerare l’art. 23 Cost., “in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso del diritto nell’ordinamento tributario non si traduce nella imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali”).

La nozione di elusione

Nel caso di condotta elusiva, la fattispecie concreta è rappresentata in maniera conforme alla condotta posta in essere dal contribuente e nel rispetto formale della disciplina impositiva. Gli artifici giuridici sono effettuati “alla luce del sole” e senza alcuna falsità materiale o ideologica, ma producono effetti contrastanti con i principi del sistema. Ciò che caratterizza l’elusione è la forzatura dell’inquadramento giuridico dell’operazione: il vantaggio tributario è indebito perché conseguito in contrasto con lo spirito del sistema (Cass., SS.UU., nn. 30055, 30056 e 30057 del 2008, ove si esclude che il contribuente possa “trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici”). Il contribuente aggira la fattispecie legale come in un dribbling, allo scopo di ridurre o eliminare l’onere fiscale tipicamente riconducibile all’operazione economica attuata, senza tuttavia realizzare una palese violazione di legge. Risiede in questo passaggio la differenza tra elusione e lecito risparmio di imposta: soltanto nel secondo caso, il contribuente evita un trattamento tributario più oneroso avvalendosi di una soluzione giuridica fiscalmente più favorevole considerata dall’ordinamento strutturalmente di pari dignità. Il Legislatore disciplina – o implicitamente autorizza – una pluralità di comportamenti economico-sostanziali tra loro fungibili, permettendo al contribuente, che voglia porre in essere una certa attività, di scegliere lo strumento giuridico che meglio soddisfa le proprie esigenze contrattuali ed operative. Qualora l’obiettivo economico perseguito possa essere raggiunto mediante una molteplicità di regimi giuridici, la scelta viene operata anche in funzione del trattamento tributario previsto per ciascuno di essi: in linea di principio è quindi legittimo realizzare la fattispecie che garantisca il minor onere tributario. Quando il risparmio è conseguito utilizzando regimi strutturali, cioè consapevolmente voluti e previsti dal Legislatore, l’ordinamento tributario non predispone alcuno strumento che consenta all’Amministrazione finanziaria di esigere l’imposta dovuta secondo la disciplina meno vantaggiosa.

Le condotte elusive rilevanti

Il quesito posto all’inizio di questo intervento ricorre nel dibattito relativo alla sanzionabilità delle condotte elusive. In un ordinamento tributario fondato sul principio di legalità per quanto attiene sia l’imposizione (art. 23 Cost.) sia l’illecito e le sanzioni (art. 25, comma 2, Cost.), ci si chiede se esista una espressa previsione legislativa che permetta di qualificare l’elusione come atto illecito consistente nella violazione di un dovere di spontaneo assolvimento del tributo sulla base della norma elusa. Per affrontare la questione nel rispetto dei principi generale, in via preliminare è quindi necessario individuare gli strumenti di contrasto alle condotte elusive espressamente previsti dall’ordinamento vigente. Per quanto concerne le cosiddette “norme impositive con ratio antielusiva”, sussiste la violazione diretta di una specifica norma impositiva – e quindi evasione – con soggezione alle corrispondenti sanzioni. La soluzione è invece più articolata per le clausole antielusive, le quali non intervengono al livello dell’individuazione del presupposto impositivo, ma attribuiscono all’Amministrazione finanziaria il potere di qualificare come elusiva una determinata operazione e di imporre il pagamento del tributo eluso. Se può dirsi ormai pacifico che le sanzioni non possono essere inflitte qualora sia utilizzata la clausola antielusiva generale di elaborazione pretoria (cfr. Cass., sez. trib., n. 12042/2009 e Cass., sez. II pen., n. 7739/2012; solo apparentemente di segno contrario è Cass., sez. VI, ordinanza n. 2234/2013, ove l’affermazione della sanzionabilità dell’abuso del diritto nasce soltanto da una lettura quantomeno affrettata della massima ufficiale relativa alla sentenza Cass., sez. trib., n. 25537/2011), maggiori incertezze tuttora sussistono circa la rilevanza delle condotte contrastate dalla clausola antielusiva speciale cristallizzata nell’art. 37 bis, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600.

Il quesito non riguarda l’elusione ma uno degli strumenti che la contrastano

In questo contesto, dottrina e giurisprudenza si interrogano circa la natura sostanziale o procedimentale – non dell’elusione ma – dell’art. 37-bis, D.P.R. n. 600/1973, domandandosi se la disciplina richiamata, rendendo la normativa impositiva elusa applicabile a fattispecie formalmente non riconducibili al suo ambito operativo, ponga o meno in capo al contribuente un obbligo di contribuzione ex articoli 2 e 53 Cost., imponendogli di tener conto, sin dal momento della redazione della dichiarazione, del quadro giuridico complessivo – incluso il precetto da essa indicato – e vincolandolo alla sua osservanza. In buona sostanza, attribuire all’art. 37-bis, D.P.R. n. 600/1973 un carattere sostanziale significa riconoscere che esso configura, a carico del contribuente, il dovere di versare il tributo corrispondente alla fattispecie elusa, mentre equivale a negare questo dovere ascriverlo tra le disposizioni di tipo procedimentale, vale a dire capaci solo di porre poteri in capo all’Amministrazione finanziaria. A mio sommesso avviso, la disciplina de qua ha valenza meramente procedimentale, configurando soltanto poteri esercitabili ex post dall’Amministrazione finanziaria e non ponendo ex ante a carico del contribuente il dovere di corrispondere il tributo eluso. In ossequio alla riserva di legge imposta dall’art. 97 Cost. anche per il procedimento amministrativo, il potere di controllo e rettifica dell’Amministrazione finanziaria risiede ed è compiutamente enunciato nell’art. 37, commi 1 e 2, D.P.R. n. 600/1973. Le specificazioni contenute in altre disposizioni del decreto sull’accertamento lo rafforzano quando l’ufficio procedente si trova in una situazione grave asimmetria informativa (come accade in caso di accertamento d’ufficio ex art. 41, comma 2, d.p.r. n. 600 del 1973) oppure qualora si muova in zone dai confini incerti (come nel contrasto ai fenomeni elusivi).