202104.15
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Cass., sez. unite civ., 15 aprile 2021, n. 10012 (testo)

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 23 febbraio – 15 aprile 2021, n. 10012
Presidente Di Iasi – Relatore Manzon

Fatto e diritto

  1. F.A. , destinataria della notifica di una cartella di pagamento per IRPEF 2006-2007, derivante da avvisi di accertamento, avversava l’atto esattivo con ricorso alla Commissione tributaria provinciale di (…), lamentando la mancata rituale notifica di detti atti impositivi prodromici e quindi l’inesistenza del titolo esecutivo (iscrizione a ruolo) legittimante la minacciata esecuzione esattoriale.
  2. L’Agenzia delle entrate, ufficio locale, costituendosi eccepiva che la procedura notificatoria di detti avvisi di accertamento, in precaria assenza della contribuente dal proprio domicilio, doveva di contro considerarsi ritualmente perfezionata secondo le previsioni di legge. Si costituiva altresì l’agente della riscossione eccependo la propria carenza di legittimazione passiva.
  3. La CTP rigettava il ricorso, rilevando che la F. non aveva assolto all’onere di impugnare anche nel merito gli avvisi di accertamento prodromici alla cartella esattoriale impugnata.
  4. Il gravame interposto dalla contribuente veniva rigettato dalla Commissione tributaria regionale della Campania. Il giudice tributario di appello fondava la propria decisione sia sull’affermazione della ritualità della procedura notificatoria degli avvisi di accertamento sia, come il primo giudice, sull’affermazione dell’onere di impugnazione degli stessi anche nei profili di merito.
  5. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la F. deducendo tre motivi.
  6. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
  7. La Quinta Sezione civile di questa Corte, con ordinanza n. 21714 dell’8 ottobre 2020, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite al fine di risolvere il contrasto sulla questione, posta con il secondo motivo, di quale sia il modo per assolvere l’onere di provare il perfezionamento di una procedura notificatoria di un atto impositivo mediante l’impiego diretto del servizio postale nel caso della temporanea assenza del notificatario (c.d. “irreperibilità relativa”) ed in particolare se possa considerarsi sufficiente la prova della spedizione della raccomandata informativa (CAD) ovvero se sia invece necessario il deposito dell’avviso di ricevimento di tale raccomandata.
    Il Primo Presidente ha quindi disposto l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
    RAGIONI DELLA DECISIONE
  8. Il terzo motivo del ricorso va esaminato in via pregiudiziale.
    Come del resto puntualmente rilevato nell’ordinanza interlocutoria, la sentenza impugnata esprime infatti due distinte ed autonome rationes decidendi, l’una, censurata per differenti profili con il primo ed il secondo motivo di ricorso, relativa alla ritualità della procedura notificatoria degli avvisi di accertamento prodromici alla cartella esattoriale impugnata; l’altra, appunto censurata con il terzo motivo del ricorso, relativa all’onere di impugnare, contestualmente all’atto esattivo, tali atti impositivi –necessariamente – anche per ragioni attinenti il merito delle pretese creditorie fiscali in essi contenute.
    Orbene, l’eventuale rigetto di quest’ultima censura implicherebbe l’inammissibilità delle prime due, secondo il consolidato principio di diritto che “Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa” (Cass., n. 2108 del 14/02/2012, Rv. 621882 – 01; conforme, da ultimo, Cass., n. 11493 del 11/05/2018, Rv. 648023 – 01).
    Appare quindi evidente la necessità di trattazione pregiudiziale del terzo motivo del ricorso.
    Ciò posto, tale censura è fondata.
    Va infatti ribadito che “In materia di riscossione delle imposte, atteso che la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza procedimentale di determinati atti, con le relative notificazioni, allo scopo di rendere possibile un efficace esercizio del diritto di difesa del destinatario, l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato. Poiché tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta, consentita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli (avviso di mora, cartella di pagamento, avviso di liquidazione), facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nell’ordine, cartella di pagamento, avviso di accertamento o avviso di liquidazione) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria spetterà al giudice di merito, interpretando la domanda, verificare la scelta compiuta dal contribuente, con la conseguenza che, nel primo caso, dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica al fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale (con eventuale estinzione della pretesa tributaria a seconda se i termini di decadenza siano o meno decorsi), nel secondo la pronuncia dovrà riguardare l’esistenza, o no, di tale pretesa” (v. ex pluribus, da ultimo, Cass., 1144/2018, in consolidamento di Cass., Sez U., 5791/2008).
    Secondo la giurisprudenza di questa Corte è dunque senz’altro consentito al contribuente impugnare una cartella esattoriale al fine esclusivo di far valere la mancata/irrituale notificazione dell’atto impositivo prodromico alla medesima, senza contestualmente aggredire l’atto stesso sotto altri profili di invalidità formale ovvero per la sua infondatezza nel merito, non sussistendo dunque alcun onere processuale della parte ricorrente al riguardo.
    Su tale punto decisionale, avendo affermato il contrario, la sentenza della CTR campana è da ritenersi pertanto illegittima e meritevole di cassazione.
    Ne consegue che possono quindi essere affrontati i primi due motivi del ricorso che, come detto, riguardano le modalità di notificazione degli avvisi di accertamento costituenti il presupposto della cartella di pagamento impugnata.
  9. Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente si duole della violazione degli artt. 99, 112, c.p.c., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, nonché della violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, poiché la CTR ha ritenuto la legittimità della notifica a mezzo posta degli avvisi di accertamento in questione effettuata direttamente da parte dell’Agenzia delle entrate e quindi senza l’intervento dell’ufficiale giudiziario ovvero del messo speciale notificatore.
    La censura è manifestamente infondata.
    Sul punto de quo infatti la sentenza impugnata – pronunciandosi espressamente nei limiti dell’oggetto processuale delimitato dalle parti, con conseguente evidente inconsistenza dei dedotti profili processuali del mezzo – risulta aver fatto piana applicazione del chiaro ed inequivoco testo del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, il quale appunto prevede che “La notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente deve avvenire con l’impiego di plico sigillato e può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari, nonché, ove ciò risulti impossibile, a cura degli ufficiali giudiziari, dei messi comunali ovvero dei messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria, secondo le modalità previste dalla presente legge. Sono fatti salvi i disposti di cui del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 26, 45 e segg. e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, nonché le altre modalità di notifica previste dalle norme relative alle singole leggi di imposta. Qualora i messi comunali e i messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria si avvalgano del sistema di notifica a mezzo posta, il compenso loro spettante ai sensi della L. 10 maggio 1976, n. 249, art. 4, comma 1, è ridotto della metà”.
    Dunque la “notifica diretta” a mezzo posta da parte delle agenzie fiscali è, univocamente ed espressamente, consentita dalla legge, il che del resto è riscontrato dalla costante giurisprudenza di questa Corte (ex pluribus, Cass., 34007/2019, 1207/2014, 15284/2008), essendo peraltro evidente che trattasi di una disposizione legislativa speciale rispetto a quella del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e del c.p.c. da esso richiamate, sicché prevale su quest’ultime in base al canone interpretativo lex specialis derogat generali.
  10. Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 99, 112, c.p.c., nonché la violazione della L. n. 890 del 1982, art. 8 e la violazione/falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., poiché la CTR ha sancito la ritualità della notifica degli atti impositivi prodromici alla cartella di pagamento impugnata.
    In particolare, per un verso, si duole dell’omessa pronuncia sulla sua eccezione di invalidità della procedura notificatoria di detti atti fondata sulla mancata prova della spedizione della “raccomandata informativa” di avvenuto deposito degli atti notificandi (CAD) -la ricezione dei quali ab origine nega e che ha posto quale, esclusivo, motivo di impugnazione della cartella esattoriale- non avendo l’agenzia fiscale prodotto in giudizio l’avviso di ricevimento prescritto, quale forma necessaria della raccomandata stessa, dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, che quindi, per altro verso, assume violato, unitamente al principio generale codicistico sull’attribuzione processuale dell’onere probatorio.
    Il profilo processuale della censura deve ritenersi infondato, posto che, pur vero che la CTR campana non si è espressamente pronunciata sull’eccezione, devoluta in appello, in oggetto, risulta tuttavia chiaro che di un rigetto implicito si tratti.
    Può pertanto al riguardo limitarsi a dare seguito al principio di diritto che “Non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo” (v. in tal senso, tra le molte, Cass. n. 29191 del 06/12/2017, Rv. 646290 01).
    La censura tuttavia può comunque essere esaminata sotto il dedotto profilo di violazione/falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 8, art. 2697 c.c., secondo il consolidato principio di diritto che “Non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione” (cfr. Cass., 24953/2020, 14486/2004).
    Ciò posto, come detto, la ricorrente afferma di non avere mai ricevuto la notifica degli atti impositivi prodromici alla cartella esattoriale impugnata ed in particolare, trattandosi pacificamente di notifica “postale diretta” non perfezionatasi con la consegna del plico raccomandato a causa della sua temporanea assenza, di non aver mai ricevuto la “raccomandata informativa” dell’avvenuto deposito degli atti notificandi presso l’ufficio postale (CAD) così come prescritto dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 2, seconda parte; afferma altresì che era onere processuale dell’agenzia fiscale provare il contrario (solo) mediante la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della (seconda) raccomandata contenente detto avviso, non essendo, pacificamente, ciò avvenuto, poiché l’Ente impositore si è limitato a produrre giudizialmente soltanto l’avviso di ricevimento della “prima raccomandata” (quella contenente l’avviso di accertamento notificando), con l’attestazione dell’agente postale della temporanea assenza della destinataria e dell’avvenuta spedizione della “seconda raccomandata” prescritta dalla specifica disposizione legislativa appena citata.
  11. La Sezione Quinta civile con la citata ordinanza interlocutoria sottopone dunque alla valutazione delle Sezioni Unite la questione che afferma oggetto di contrasto giurisprudenziale interno alla giurisprudenza di legittimità – se sia sufficiente per il giudizio di rituale perfezionamento della procedura notificatoria in esame la prova offerta dall’Agenzia delle entrate (primo avviso di ricevimento con dette attestazioni) oppure necessario, anche ed essenzialmente, che il notificante depositi l’avviso di ricevimento della “raccomandata informativa” (CAD).
    In effetti, come puntualmente evidenziato dalla Sezione rimettente, si registra un’ evoluzione, piuttosto evidente, della giurisprudenza di questa Corte in ordine a tale questione giuridica.
  12. Con un primo orientamento, più risalentemente consolidato, si è infatti costantemente affermato che, al fine della prova del perfezionamento della notifica postale “diretta” in caso di assenza temporanea del destinatario, è sufficiente che l’Ente impositore notificante produca in giudizio l’avviso di ricevimento della raccomandata contenente l’atto notificando con l’attestazione di spedizione della CAD (in questo senso, Cass., 2638/2019, 13833/2018, 26945-6242-4043/2017).
    Tale orientamento – essenzialmente – si fonda sul dato letterale della L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4 (nella versione applicabile ratione temporis ossia dopo la modifica operata dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, ma prima delle modificazioni successivamente operate con la L. n. 205 del 2017, art. 1 e con la L. n. 145 del 2018, art. 1), secondo il quale “La notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al comma 2 ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore”, peraltro strettamente collegata/coordinata con la previsione di cui al comma 2, u.p., della disposizione legislativa stessa, secondo il quale, tra i contenuti dell’avviso di ricevimento della CAD, deve esserci obbligatoriamente “l’avvertimento che la notificazione si ha comunque per eseguita trascorsi dieci giorni dalla data del deposito (dell’atto noticando presso l’ufficio postale, n.d.r).
    In altri termini dalla (doppia) previsione in ordine all’”effetto perfezionativo” della procedura notificatoria de qua, tale giurisprudenza ha tratto il convincimento che a provarne il presupposto fattuale sia appunto sufficiente la, puntuale e specifica, attestazione di spedizione della CAD contenuta nel “primo” avviso di ricevimento riguardante non la CAD stessa, bensì l’atto notificando.
    Così si è ritrovato il punto di equilibrio nel bilanciamento degli interessi del notificante e del notificatario, dunque, in ultima analisi, tra “conoscenza legale” (conoscibilità) e “conoscenza effettiva” dell’atto notificando.
  13. Tuttavia, a partire dalla ordinanza della medesima Sezione. Quinta civile n. 5077 del 21 febbraio 2019, secondo un diverso orientamento, al verificarsi della fattispecie concreta in esame (notifica a mezzo posta/assenza temporanea del destinatario ovvero di persone idonee alla ricezione dell’atto notificando), per considerare perfezionata la procedura notificatoria è invece necessario verificare in concreto l’avvenuta ricezione della CAD ed a tal fine il notificante è processualmente onerato della produzione del relativo avviso di ricevimento (nello stesso senso, cfr. Cass., 16601/2019, 6363-21714-23921-25140-26078/2020; successive difformi, Cass., 3307033257/2019, che si richiamano all’altro indirizzo ermeneutico).
    Tale divergente indirizzo, diffusamente argomentato nella citata pronuncia della Sezione tributaria che lo ha avviato, si confronta con la letteralità della disposizione legislativa applicabile, in particolare con la “previsione di effetto” di cui al comma 4, ma ne dà una diversa connotazione giuridica, qualificando tale effetto normativo come “provvisorio” e sospensivamente condizionato a detta verifica, da effettuare giudizialmente, sull’avviso di ricevimento della “seconda raccomandata”.
    La necessarietà di tale verifica e dell’onere probatorio correlativo viene fondata sull’interpretazione costituzionalmente orientata e sistematica del dato normativo stesso, a sostegno della quale pone le pronuncie della Corte costituzionale n. 346 del 1998, proprio sulla L. n. 890 del 1982, art. 8 e L. n. 10 del 2010, sulla notificazione ex art. 140 c.p.c..
  14. Ritiene il Collegio che debba darsi seguito a questo secondo – più recentemente consolidatosi – orientamento giurisprudenziale.
    Non è infatti dubbio che nel sistema della notificazione postale, in caso di mancata consegna del plico contenente l’atto notificando, la comunicazione di avvenuto deposito abbia un ruolo essenziale al fine di garantire la conoscibilità, intesa come possibilità di conoscenza effettiva, dell’atto notificando stesso.
    La mera prova della spedizione di tale comunicazione non può dunque considerarsi quale fattispecie giuridica conformativa del fondamento profondo del dictum imperativo del giudice delle leggi (la citata C. Cost. 346/1998), con il quale si è dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’originaria formulazione della L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, nella parte in cui non prevedeva che, nella fattispecie concreta in esame ed in quelle assimilabili (rifiuto di ricezione di firma del registro di consegna; assenza di persone idonee al ritiro) non venisse appunto data la comunicazione stessa e che lo fosse con una “raccomandata con avviso di ricevimento”.
    In particolare alla previsione di questa, particolare e rafforzata, forma di “postalizzazione” della notifica non può assegnarsi un significato pleonasticamente ridondante, ma piuttosto una pregnante direttiva anche ermeneutica – della Corte costituzionale, peraltro, pur a rilevante distanza di tempo, positivamente normativizzata con il D.L. n. 35 del 2005, citato art. 2.
    D’altro canto, come giustamente sottolineato nella pronuncia “capofila” del nuovo indirizzo interpretativo, tale disciplina adeguatrice – su questo specifico segmento della procedura notificatoria – si differenzia nettamente da quella dell’art. 139 c.p.c., comma 4, ovvero della L. n. 890 del 1982, art. 7, u.c., disciplinanti i casi di consegna dell’atto notificando a persona diversa dal destinatario e che in tal caso prevedono che venga spedita a quest’ultimo una raccomandata “semplice” che gli dia notizia dell’avvenuta notificazione dell’atto medesimo.
    Tale, significativa, differenziazione normativa ha un senso evidente, posto che nei casi di consegna a “persona diversa” vi può essere una ragionevole aspettativa che l’atto notificato venga effettivamente conosciuto dal destinatario, trattandosi di persone (famigliari, addetti alla casa, personale di servizio, portiere, dipendente, addetto alla ricezione) che hanno con lo stesso un rapporto che il legislatore riconosce come astrattamente idoneo a questo fine ed è per questo che ha prescelto una forma di comunicazione dell’avvenuta consegna garantita, ma semplificata.
    Diversamente nel caso della L. n. 890 del 1982, art. 8 (e dell’art. 140 c.p.c.), non si realizza alcuna consegna, ma solo il deposito dell’atto notificando presso l’ufficio postale (ovvero nella notifica codicistica presso la Casa comunale).
    Ed è per tale, essenziale ragione, che la legge, con maggiore rigore, prevede che di tale adempimento venga data comunicazione dall’agente notificatore al destinatario, del tutto ignaro della notifica, secondo due distinte e concorrenti modalità: l’affissione dell’avviso di deposito nel luogo della notifica (immissione in cassetta postale) ed appunto la spedizione di lettera raccomandata con avviso di ricevimento.
    Peraltro, riprendendo il filo dell’interpretazione costituzionalmente orientata che si va illustrando, in detta sentenza della Corte costituzionale vi è tuttavia in nuce un ulteriore argomento che va valorizzato, consistente nella comparazione della procedura notificatoria in questione con quella, pur sempre basata sull’identico presupposto fattuale della c.d. “irreperibilità relativa” del destinatario (e fattispecie assimilate), disciplinata all’art. 140 c.p.c., tra le modalità delle notifiche curate direttamente dall’ufficiale giudiziario. Ed in effetti il pendant logico-giuridico tra le due procedure notificatorie, a causa della loro evidente analogia, risulta piuttosto chiaro e porta senz’altro ad utilizzare la seconda (art. 140 c.p.c.) quale tertium comparationis, secondo una consolidata tecnica di valutazione delle questioni di costituzionalità, sotto il profilo della ragionevolezza.
    Di conseguenza viene inevitabilmente in considerazione un’ altra successiva pronuncia di illegittimità costituzionale (C. Cost., sent. n. 3/2010) appunto dell’art. 140 c.p.c., nella parte in cui prevede(va) il perfezionamento della notifica non effettuata a causa di “irreperibilità o rifiuto di ricevere” del destinatario (e delle persone addette alla casa) sul presupposto della sola spedizione della “raccomandata informativa” dell’avvenuto deposito dell’atto notificando (presso la Casa comunale), invece che con il ricevimento della stessa ovvero con il decorso di 10 giorni dalla sua spedizione.
    Orbene, risulta consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, nel caso di notifica, anche di atti impositivi tributari, da parte dell’ufficiale giudiziario ai sensi di detta disposizione del codice di rito, che la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio deve essere data, appunto, mediante la produzione giudiziale dell’avviso di ricevimento della “raccomandata informativa” (cfr. Cass., n. 25985 del 10/12/2014, Rv. 633554 – 01; n. 21132 del 02/10/2009, Rv. 609852 – 01; per la cartella di pagamento, anche a seguito di C. Cost. 258/2012, cfr. altresì Cass., n. 9782/2018; v. per argomenti nello stesso senso Cass., Sez. U., 627/2008).
    Pur nella diversità delle due modalità notificatorie in parte qua ossia in relazione alla spedizione della CAD – quella codicistica attuata dall’ufficiale giudiziario con il concorso dell’agente postale, quella postale attuata esclusivamente da quest’ultimo – non può che ravvisarsi un’unica ratio legis che è quella – profondamente fondata sui principi costituzionali di azione e difesa (art. 24, Cost.) e di parità delle parti del processo (art. 111 Cost., comma 2) – di dare al notificatario una ragionevole possibilità di conoscenza della pendenza della notifica di un atto impositivo o comunque di quelli previsti dalla L. n. 890 del 1982, art. 1 (atti giudiziari civili, amministrativi e penali).
    Solo in questi termini può dunque trovarsi quel punto di equilibrio tra le esigenze del notificante e quelle del notificatario, peraltro trattandosi di un onere probatorio processuale tutt’affatto vessatorio e problematico, consistendo nel deposito di un atto facilmente acquisibile da parte del soggetto attivo del sub-procedimento.
    Va quindi affermato che solo dall’esame concreto di tale atto il giudice del merito e, qualora si tratti di atto processuale, (se del caso) anche il giudice di legittimità, può desumere la “sorte” della spedizione della “raccomandata informativa”, quindi, in ultima analisi, esprimere un ragionevole e fondato – giudizio sulla sua ricezione, effettiva o almeno “legale” (intesa come facoltà di conoscere l’avviso spedito e quindi tramite lo stesso l’atto non potuto notificare), della raccomandata medesima da parte del destinatario.
    In termini generali bisogna dunque ritenere che la produzione dell’avviso di ricevimento della CAD costituisce l’indefettibile prova di un presupposto implicito dell’effetto di perfezionamento della procedura notificatoria secondo le citate previsioni della L. n. 890 del 1982, art. 8, commi 4 e 2, che, qualora ritenuta giudizialmente raggiunta, trasforma tale effetto da “provvisorio” a “definitivo”.
    Il che corrisponde alla configurazione strutturale, perfettamente aderente al dettato normativo de quo, di una fattispecie sub-procedimentale a formazione progressiva, secondo un’interpretazione conforme a Costituzione nei richiamati principi.
  15. In conclusione sul punto, va formulato il seguente principio di diritto:
    “In tema di notifica di un atto impositivo ovvero processuale tramite il servizio postale secondo le previsioni della L. n. 890 del 1982, qualora l’atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per temporanea assenza del destinatario stesso ovvero per assenza/inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento della procedura notificatoria può essere data dal notificante esclusivamente mediante la produzione giudiziale dell’avviso di ricevimento della raccomandata che comunica l’avvenuto deposito dell’atto notificando presso l’ufficio postale (c.d. CAD), non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della raccomandata medesima”.
    Essendo del tutto pacifico che nel caso in esame la notificante Agenzia delle entrate non ha assolto all’onere probatorio in questione in tali termini configurato, devono pertanto affermarsi fondate sia l’eccezione di invalidità della notificazione degli avvisi di accertamento prodromici alla cartella esattoriale impugnata sia la correlata eccezione di invalidità consequenziale di tale atto della riscossione; quindi in ultima analisi deve sancirsi la fondatezza del profilo della censura in oggetto che le ripropone in forma di critica alla difforme pronuncia, ancorché implicita, del giudice tributario di appello.
  16. In conclusione, vanno accolti il secondo ed il terzo motivo del ricorso, va rigettato il primo, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendo nel merito deve essere accolto il ricorso introduttivo della lite.
    Tenuto conto della complessità delle questioni trattate in particolare in relazione al secondo motivo, le spese del processo possono essere compensate.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso, rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della lite; compensa integralmente le spese tra le parti.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo Presidente per impedimento dell’estensore per le disposizioni restrittive della circolazione nel territorio nazionale per l’emergenza epidemiologica Covid-19.