202207.14
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Cass., sez. unite civ., 14 luglio 2022, n. 22281 (testo)

Presidente Di Iasi – Relatore Conti

Fatti di causa

C.A., M. e M. impugnavano innanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Roma la cartella di pagamento n. (omissis), emessa per il pagamento di Euro 55.343,22 relativa ad Euro 17.258,29 a titolo di imposta di registro e di imposte ipocatastali non pagate, oltre interessi sulle somme accertate, quantificati dall’Amministrazione in Euro 35.168,21.

Tale carico fiscale era stato iscritto a ruolo sulla base di un precedente avviso di liquidazione mediante il quale l’Ufficio del Registro di Tivoli aveva revocato le agevolazioni fiscali per la piccola proprietà contadina delle quali i contribuenti avevano usufruito, ai sensi della L. 6 agosto 1954, n. 604, in relazione ad un atto di compravendita immobiliare rogato dal notaio Ca. in data 11 novembre 1980 e registrato all’Ufficio di Tivoli. Il prodromico provvedimento impositivo era stato impugnato dai contribuenti con esito favorevole innanzi alle commissioni provinciali di primo e di secondo grado. Successivamente, la Commissione Tributaria Centrale, con decisione n. 5034/2009, aveva accolto il gravame dell’Ufficio e rigettato il ricorso dei contribuenti.

Questi ultimi, nell’impugnare la cartella di pagamento assumevano, per quel che qui rileva, l’incertezza assoluta circa il credito fatto valere dall’Amministrazione finanziaria in ragione del suo contenuto motivazionale carente con particolare riferimento alle modalità di calcolo degli interessi applicati dall’Agente della riscossione, nonché ai relativi tassi operati in un arco temporale di oltre trent’anni.

La C.T.P. di Roma respingeva il ricorso con sentenza impugnata innanzi alla CTR del Lazio che, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava la pronunzia impugnata. Secondo il giudice di appello le somme indicate in cartella corrispondevano a quelle riportate nell’originario avviso di liquidazione, convertite in Euro e maggiorate degli interessi dovuti per legge, calcolati al tasso legale, nemmeno risultando che l’Ufficio avesse applicato un tasso superiore a quello di legge né che la cartella fosse viziata da anatocismo.

C.A., S., M.C., R. e M. hanno proposto ricorso per Cassazione avverso la predetta sentenza della CTR, affidato a quattro motivi.

Equitalia Sud s.p.a. non ha svolto attività difensiva. L’Agenzia delle entrate non si è costituita con controricorso.

Con ordinanza interlocutoria depositata il 5 novembre 2021 n. 31960/2021 la quinta sezione civile di questa Corte ha rimesso gli atti al Primo Presidente della Corte per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni unite.

La pubblica udienza del 7 marzo 2022 è stata tenuta in camera di consiglio ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, conv. con modif. dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, nonché del D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7, conv. con modif. dalla L. 16 settembre 2021, n. 126.

Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

L’Agenzia delle entrate ha depositato memoria sulla base di quanto previsto dal Protocollo d’intesa del 15.12.2016 tra la Corte di Cassazione, il CNF e l’Avvocatura generale dello stato.

La causa è stata posta in discussione alla pubblica udienza dell’8 marzo 2022.

Ragioni della decisione

  1. Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità della memoria depositata dall’Avvocatura dello Stato nell’interesse dell’Agenzia delle entrate, non costituita nel giudizio, alla stregua di quanto già affermato di recente da queste Sezioni Unite, allorché si è ritenuto che in tema di udienza disciplinata dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis,, conv., con modif., dalla L. n. 176 del 2020, la parte intimata e non costituita, che non si sia avvalsa della facoltà di proporre istanza di discussione orale, non può depositare memoria ex art. 378 c.p.c. – cfr. Cass., S.U., 31 dicembre 2021 n. 42090 -.

1.1 I ricorrenti, con il primo motivo di ricorso prospettano -in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 – l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata, stante il carattere assiomatico delle conclusioni raggiunte dalla CTR con riferimento all’invocato difetto di motivazione della cartella di pagamento circa le modalità di calcolo degli interessi, il tasso effettivo applicato e l’assenza di anatocismo, auspicando, pertanto, un nuovo esame nel merito.

1.2 Con il secondo motivo di ricorso i contribuenti deducono – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 – la nullità della cartella di pagamento in ragione dell’omessa motivazione sulle basi di calcolo degli interessi legali e delle singole aliquote applicate per le varie annualità, nonché del metodo seguito nella determinazione delle somme richieste e del periodo di riferimento, in violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, e della L. n. 212 del 2000, art. 7. Contrariamente a quanto sostenuto dalla CTR, dalla lettura della cartella -contenente unicamente la cifra globale degli interessi richiesti-, non sarebbe possibile comprendere le modalità seguite nella quantificazione degli interessi applicati all’imposta dovuta, degli interessi di mora e delle somme aggiuntive, per omessa indicazione delle relative basi di calcolo e delle percentuali applicate per ogni annualità.

1.3 Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano -in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 – la violazione dell’art. 2697 c.c., in quanto la CTR avrebbe omesso di considerare la posizione di attore dell’Amministrazione finanziaria ed il conseguente onere, sulla stessa incombente, di dimostrare l’esistenza dei fatti costituitivi del credito vantato.

1.4 Con il quarto motivo, viene denunciata, infine, la violazione del diritto di difesa del contribuente (art. 24 Cost.). Nella cartella impugnata mancherebbe un prospetto analitico – anche sintetico – idoneo a rendere palesi e quindi contestabili i medesimi elementi afferenti alle modalità, ai tassi e ai criteri seguiti dall’Ufficio nella determinazione degli interessi.

  1. Con l’ordinanza interlocutoria n. 31960/21 la quinta sezione, esaminando congiuntamente, per quel che qui rileva, il secondo ed il quarto motivo, ha considerato che gli stessi pongono “…sia pure sotto prospettive differenti, la questione dell’obbligo di motivazione della cartella di pagamento relativamente a interessi richiesti per ritardato pagamento dei tributi”. E per tali ragioni ha ritenuto “sussistenti le condizioni per la rimessione della causa al Primo Presidente di questa Corte, affinché valutasse l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, stante l’esigenza di rendere effettiva ed incisiva la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, attraverso l’enunciazione di un principio di diritto nell’interesse della legge, rispetto a questione variamente risolta dalla Sezione, questione che è destinata a riproporsi in numerose controversie”.

2.1 La sezione remittente è partita dalla premessa che “la materia del contendere investe unicamente gli interessi applicati nella misura di Euro 35.168,21 sui tributi dovuti (imposta di registro e imposte ipocatastali), stante l’incontestabilità del relativo accertamento per effetto del giudicato tributario sul prodromico avviso di liquidazione, che ha revocato i benefici della piccola proprietà contadina, in relazione all’atto di compravendita” e rileva che la decisione impugnata aveva ritenuto la legittimità della cartella di pagamento in quanto il metodo seguito dall’Amministrazione finanziaria per la liquidazione degli interessi risultava agevolmente controllabile dal contribuente, essendo la misura degli interessi applicati predeterminata dalla legge, risolvendosi la liquidazione stessa in una operazione matematica, di natura tipicamente riscossiva.

2.2 Peraltro, ricorda l’ordinanza interlocutoria, la impugnata sentenza della CTR aveva rilevato che la cartella di pagamento richiamava l’avviso di liquidazione prodromico, esplicitava le ragioni della debenza dei tributi ed indicava l’atto notarile registrato, rendendo conoscibili i presupposti di fatto e di diritto delle imposte dovute e dei relativi interessi reclamati, ponendosi in linea con quanto già espresso da questa Corte – Cass., 27 marzo 2019, n. 8508; Cass., 8 marzo 2019, n. 6812; Cass., 7 giugno 2017, n. 14236 -; Cass., 15 aprile 2011, n. 8613; Cass., 18 dicembre 2009, n. 26671 – anche a proposito del valore attribuito al D.M. determinativo degli interessi di mora ancorché scaduto e non sostituito dal successivo -Cass., 14 aprile 2021, n. 9764; Cass., 6 agosto 2020, n. 16778; Cass., 18 dicembre 2009, n. 26671 -.

  1. A questo punto l’ordinanza interlocutoria ha dato conto di alcune pronunzie che hanno riconosciuto l’esistenza di un obbligo di motivazione sugli interessi rispetto ad ipotesi di cartella successiva a pregresso giudicato formatosi esclusivamente sul debito fiscale, ma non sugli interessi dovuti dal contribuente per il ritardato pagamento – Cass., 7 settembre 2018, n. 21851; Cass., 6 luglio 2018, n. 17767; Cass., 18 dicembre 2013, n. 28276- richiamando ulteriori precedenti che avevano valutato come carente la motivazione di una cartella in cui erano stati reclamati interessi indicati in cifra globale, senza individuazione del criterio di calcolo e senza specificazione delle singole aliquote prese a base delle varie annualità – Cass., 22 giugno 2017, n. 15554, Cass. 21 marzo 2012, n. 4516, Cass. 9 aprile 2009, n. 8651 -.

3.1 Indirizzi che secondo il collegio remittente richiederebbero, pur nella diversità delle fattispecie esaminate, una riconsiderazione complessiva del tema da parte di queste Sezioni Unite.

Il quadro normativo di riferimento.

  1. Per una più chiara comprensione della questione rimessa a queste Sezioni Unite è necessario premettere un sintetico quadro relativo alle disposizioni di legge rilevanti rispetto alla questione dell’obbligo di motivazione degli atti tributari e del relativo contenuto in relazione all’obbligazione degli interessi dovuti dal debitore fiscale.

4.1 Rilevano anzitutto, con specifico riferimento alla materia tributaria, non soltanto il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 2 e 3, e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, – applicabili all’avviso di accertamento -, ma soprattutto, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, applicabile alla cartella di pagamento in forza della L. n. 212 del 2000, art. 17, anche nei confronti dei soggetti che rivestono la qualifica di concessionari e di organi indiretti dell’amministrazione finanziaria secondo il quale “Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”. Il medesimo art. 7, comma 3, prevede poi che “Sul titolo esecutivo va riportato il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria”.

4.2 Con specifico riferimento ai requisiti contenutistici della cartella esattoriale occorre poi tenere in considerazione tanto il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 2, quanto la disciplina in tema di ruolo – stesso D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 3 – come modificato (successivamente all’entrata in vigore della I.n. 212/2000) dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, art. 8, comma 1, lett. a) – ove si precisa che “Nel ruolo devono essere indicati (…) il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione anche sintetica della pretesa; in difetto di tali indicazioni non può farsi luogo all’iscrizione”.

4.3 Per quel che invece concerne il calcolo degli interessi nella procedura di riscossione coattiva dei tributi assumono rilievo il D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 20 e 30, per le imposte dirette, e per quel che riguarda l’imposta di registro, il D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 54 e 55.

4.3.1 In particolare, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 20, comma 1, nella versione in atto vigente, rubricato “Interessi per ritardata iscrizione a ruolo”, prevede che “Sulle imposte o sulle maggiori imposte dovute in base alla liquidazione ed al controllo formale della dichiarazione od all’accertamento d’ufficio si applicano, a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e fino alla data di consegna al concessionario dei ruoli nei quali tali imposte sono iscritte, gli interessi al tasso del 4% annuo” come determinato dal D.M. Finanze 21 maggio 2009, art. 2, in G.U. n. 136 del 15 giugno 2009. Tale determinazione del tasso d’interesse è stata oggetto di periodiche modifiche adottate con provvedimenti normativi che hanno quantificato diversamente gli interessi dovuti -cfr. D.L. 6 luglio 1974, n. 260, art. 8 comma 1 conv. con modif. dalla L. 14 agosto 1974, n. 354; D.L. 4 marzo 1976, n. 30, art. 2, comma 1, conv. con modif. dalla L. 2 maggio 1976, n. 160; L. 11 marzo 1988, n. 67, art. 7, comma 3; D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 13, comma 1, conv. con modif. dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133; L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 141; D.M. Finanze 27 giugno 2003, art. 3, comma 1 in G.U. n. 149 del 30 giugno 2003, n. 149 -.

4.3.2 Per altro verso, non è inutile ricordare il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 30, – pur se relativo agli interessi moratori decorrenti dalla notifica della cartella – con una modalità non dissimile da quella prevista dal ricordato art. 20, prevede che “Decorso inutilmente il termine previsto dall’art. 25, comma 2, sulle somme iscritte a ruolo, esclusi le sanzioni pecuniarie tributarie e gli interessi, si applicano, a partire dalla data della notifica della cartella e fino alla data del pagamento, gli interessi di mora al tasso determinato annualmente con decreto del Ministero delle finanze con riguardo alla media dei tassi bancari attivi”. Sicché anche per tali interessi si sono susseguiti numerosi provvedimenti dell’Agenzia delle entrate che hanno modificato il saggio degli interessi, in atto al 2.68% semestrale.

4.4 Quanto invece alla misura degli interessi sulle somme accertate dovuti a causa di ritardo nel versamento, scaturente da liquidazione automatica e controllo formale, trovano applicazione le disposizioni del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2, e art. 3, comma 1, per cui gli interessi sono dovuti fino all’ultimo giorno del mese antecedente a quello dell’elaborazione della comunicazione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, nella misura del 3,5% annuo.

4.5 Giova richiamare, per quel che assume rilievo rispetto alla controversia, quanto alle imposte di registro, ipotecaria e catastale, l’art. 54 TUR (D.P.R. n. 131 del 1986), comma 4, ove si prevede che “In mancanza del pagamento o del deposito l’ufficio procede, a norma dell’art. 15, lett. a) e b), alla registrazione d’ufficio”. Al comma 5, la medesima norma dispone che “Quando la registrazione deve essere eseguita d’ufficio a norma dell’art. 15, l’ufficio del registro notifica apposito avviso di liquidazione al soggetto o ad uno dei soggetti obbligati al pagamento dell’imposta, con invito ad effettuare entro il termine di sessanta giorni il pagamento dell’imposta e, se dallo stesso dovuta, della pena pecuniaria irrogata per omessa richiesta di registrazione (…)”. Il successivo art. 55, al comma 4, dispone che, quanto alla determinazione degli interessi di mora, si applicano le disposizioni di cui alla L. 26 gennaio 1961, n. 29, L. 28 marzo 1962, n. 147 e L. 18 aprile 1978, n. 130. La L. 26 gennaio 1961, n. 29, recante “Norme per la disciplina della riscossione dei carichi in materia di tasse e di imposte indirette sugli affari”, prevede poi all’arti che “Sulle somme dovute all’Erario per tasse e imposte indirette sugli affari si applicano gli interessi moratori nella misura semestrale del tre per cento da computarsi per ogni semestre compiuto”. Importo rideterminato in forza del D.M. 21 maggio 2009, art. 2, nella misura del 4%. Infine, l’art. 2 D.M. cit. aggiunge che “Gli interessi si computano a decorrere dal giorno in cui il tributo è divenuto esigibile ai sensi delle vigenti disposizioni”. In forza dell’art. 3 D.M. cit. “In caso di omissione di formalità o di omessa autotassazione, o di insufficiente o mancata denuncia, gli interessi si computano dal giorno in cui la tassa o l’imposta sarebbe stata dovuta se la formalità fosse stata eseguita o l’autotassazione effettuata o la denuncia presentata in forma completa e fedele”.

4.5.1 Da ultimo, vale segnalare, ai fini di una completa ricostruzione delle basi di calcolo degli interessi relativi alle imposte di registro, ipotecaria e catastale, oggetto delle doglianze dei ricorrenti, la disciplina dettata dell’art. 1 della “Tariffa” – Parte Prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, nel testo così come modificato dal D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 10 dal D.L. 12 settembre 2013, n. 104, art. 26, e successivamente dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, con l’art. 1, comma 905, recante l’aliquota applicabile, per quel che rileva nel caso di specie, ai trasferimenti di terreni agricoli, attualmente determinata per l’imposta di registro – in misura pari al 15% del prezzo dichiarato del terreno agricolo (con un minimo di 1.000,00 Euro) e – per le imposte ipotecaria e catastale – nella misura fissa di Euro 50 ciascuna.

L’obbligo di motivazione degli atti tributari che reclamano il pagamento di interessi sul debito fiscale.

  1. Queste Sezioni Unite sono dunque chiamate a verificare quale debba essere il contenuto motivazionale della cartella di pagamento che intima al contribuente il versamento di interessi sul debito fiscale accertato e, in particolare, se vi rientri anche l’indicazione dei criteri di calcolo e delle percentuali applicate per ogni annualità in base ai tassi via via modificati.
  2. Si tratta di individuare, sulla base della cornice normativa di riferimento, un quadro di principi idoneo a risolvere il dubbio posto dall’ordinanza interlocutoria, sostanzialmente correlato alla necessità di determinare in termini chiari, l’an ed il quomodo dell’obbligo motivazionale che l’emittente la cartella deve rispettare onde evitare che la cartella stessa possa essere inficiata da illegittimità per vizio di motivazione.
  3. Per fare ciò è necessario compiere una sintetica ricognizione del diritto vivente espresso – prevalentemente – dalla sezione tributaria della Corte in materia.

7.1 In un primo ambito si colloca l’indirizzo giurisprudenziale che prende le mosse dai principi espressi con riguardo agli interessi reclamati con la cartella emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 36 bis, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, sulla base di dati ed informazioni esposti nella dichiarazione redatta dal contribuente.

7.1.1 In tali ipotesi, si è osservato, l’obbligo di motivazione si atteggia diversamente rispetto ai casi di rettifica dei risultati della dichiarazione, di guisa che il contribuente si trova nella condizione ottimale per poter agevolmente individuare i tassi d’interesse previsti dalla legge per il debito fiscale nascente dalla dichiarazione, senza necessità di ulteriori specifiche indicazioni (cfr. Cass., 11 ottobre 2017, n. 23796) essendo il criterio di liquidazione degli stessi predeterminato ex lege e risolvendosi, pertanto, la relativa applicazione in un’operazione matematica (cfr. Cass., 5 luglio 2021, n. 18893; Cass., 25 settembre 2020, n. 20310; Cass., 27 marzo 2019, n. 8508; Cass., 8 marzo 2019, n. 6812; Cass., 7 giugno 2017, n. 14236 -richiamate nell’ordinanza interlocutoria- nonché Cass. 28 novembre 2014, n. 25329; Cass. 23 maggio 2012, n. 8137; Cass. 18 dicembre 2009, n. 26671).

7.1.2 L’elemento che questa Corte ha ritenuto decisivo per accedere a tale ricostruzione ermeneutica è rappresentato dalla predeterminazione legislativa delle modalità di calcolo degli interessi, come enucleata dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 20, per le imposte dirette, con riguardo agli interessi sulle somme accertate, tale da escludere, alla radice, ogni forma di valutazione discrezionale da parte dell’Amministrazione finanziaria – cfr. Cass., 15 aprile 2011, n. 8613, pure richiamata dall’ordinanza interlocutoria, Cass., 8 marzo 2019, n. 6812, Cass., 27 marzo 2019, n. 8508; Cass., 25 settembre 2020, n. 20310; Cass., 24 dicembre 2020, n. 29504-.

7.1.3 Analoghi principi risultano espressi con riferimento agli interessi di mora di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 30 – cfr. Cass., 6 agosto 2020, n. 16778 -.

7.1.4 La giurisprudenza della sezione tributaria ha poi esteso i principi ora esposti alle ipotesi in cui la cartella richiami un atto impositivo divenuto definitivo in forza di sentenza passata in giudicato, svolgendo per il contribuente tale accertamento giudiziale la stessa funzione della dichiarazione redatta dal contribuente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, quanto alla possibilità di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, anche ai fini del controllo meramente aritmetico circa l’esattezza delle somme richieste per interessi da ritardato pagamento sulle imposte indicate in detto atto impositivo – cfr. Cass., 15 aprile 2011, n. 8613; più di recente, Cass., 23 ottobre 2020, n. 23254; v. pure Cass., 31 marzo 2017, n. 8537, a proposito della motivazione di un atto di intimazione -.

7.1.5 Gli stessi principi sono stati altresì applicati alle ipotesi di cartella di pagamento relativa ad interessi emessa a seguito di revoca della sospensione di una precedente cartella -cfr. Cass., 14 aprile 2021, n. 9764 -.

7.1.6 Nemmeno si è ritenuto necessario un particolare obbligo motivazionale per le cartelle precedute da atti prodromici contenenti l’importo degli interessi e divenuti definitivi perché non impugnati dal contribuente nei termini di legge, non essendo più contestabili, né nell’an né nel quantum, stante la stabilizzazione del rapporto con il fisco. Da qui la ritenuta sufficienza del riferimento contenuto in cartella all’atto impositivo presupposto in cui è stato accertato il credito anche in relazione al periodo di mora, non essendovi una pronuncia che abbia rivisitato il debito erariale – cfr. Cass., 11 maggio 2018, n. 11480, con riferimento ad avviso di rettifica e liquidazione del maggior valore accertato, divenuto definitivo per mancata impugnazione in appello – e, trattandosi di interessi già previsti nell’originario avviso divenuto definitivo, determinabili in forza di una mera operazione matematica -cfr. Cass., 2 novembre 2021, n. 31000, con riferimento a interessi direttamente derivanti dall’avviso di accertamento cristallizzatosi per effetto dell’estinzione del giudizio-. Ne consegue, secondo questa prospettiva, che ogni eccezione relativa a tali atti prodromici rimane preclusa, in relazione alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, (cfr. Cass., 6 agosto 2019, n. 20941, Cass., 21 ottobre 2017, n. 25995; Cass., 19 aprile 2017, n. 9799; Cass., 17 maggio 2017, n. 12244; Cass., 10 febbraio 2017, n. 3594; Cass., 10 aprile 2013, n. 8704).

7.2 Secondo altro indirizzo giurisprudenziale, improntato ad un maggiore favor verso il contribuente ed attento al rispetto del suo diritto alla difesa, la cartella di pagamento deve recare una motivazione specifica in relazione agli interessi, ove gli stessi siano stati per la prima volta con la stessa reclamati, dovendosi garantire al contribuente una conoscenza reale ed analitica di ogni pretesa fatta valere nei suoi confronti, ai fini di un effettivo esercizio del diritto di difesa da parte dello stesso -cfr. Cass., 21 ottobre 2020, n. 22900; Cass., 8 novembre 2021, n. 32488-. Esigenza che viene tuttavia considerata per le sole ipotesi in cui non vi sia un atto che abbia in precedenza richiesto nei confronti del contribuente l’adempimento dell’obbligazione concernente gli interessi sul debito d’imposta.

7.2.1 In tali casi, si sostiene, la cartella deve essere motivata “in modo congruo, sufficiente ed intellegibile, alla stregua di un atto propriamente impositivo e contenere, quindi, gli elementi indispensabili per consentire al contribuente di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione relativa ad interessi, tale obbligo derivando dai principi di carattere generale indicati, per ogni provvedimento amministrativo, dalla L. n. 241 del 1990, art. 3, e recepiti, per la materia tributaria, dalla L. n. 212 del 2000, art. 7” (cfr. Cass., 3 maggio 2018, n. 10481, Cass., 19 aprile 2017, n. 9799; Cass., 6 dicembre 2016, n. 24933, Cass., 16 dicembre 2009, n. 26330; Cass., 21 aprile 2011, n. 9153; Cass. 12 agosto 2004, n. 15638).

7.2.2 Con specifico riferimento alla cartella di pagamento emessa in forza di un debito fiscale riconosciuto in una sentenza passata in giudicato si è altresì sostenuto che il richiamo alla pronuncia giudiziale e all’atto impositivo su cui la stessa è intervenuta risulta idoneo ad assolvere l’onere motivazionale solo limitatamente alla parte del credito erariale fatto valere ed interessato dall’accertamento divenuto definitivo compiuto dal giudice, ma non anche relativamente alle ulteriori voci di credito non precedentemente richieste (cfr. Cass., 15 maggio 2019, n. 12904; Cass., 18 dicembre 2013, n. 28276). Infatti, si è detto, relativamente agli interessi medio tempore maturati, è con la cartella di pagamento che, per la prima volta, viene esercitata la pretesa impositiva, con la conseguenza che “il criterio utilizzato per la loro individuazione e quantificazione deve essere ivi esplicitato e posto a conoscenza del contribuente, il quale dev’essere messo in condizione di verificare la correttezza del calcolo degli interessi medesimi, tanto più che alle cartelle di pagamento notificate dopo l’entrata in vigore della L. n. 212 del 2002 deve allegarsi la sentenza” (cfr. Cass., 13 agosto 2020, n. 17047; Cass., 7 settembre 2018, n. 21851; Cass., 6 luglio 2018, n. 17765 e n. 17767; Cass., 22 giugno 2017, n. 15554; Cass., 21 marzo 2012, n. 4516; Cass. 9 aprile 2009, n. 8651).

7.2.3 Il contribuente, si è ancora sostenuto, non può essere obbligato ad attingere aliunde le nozioni giuridiche necessarie per ricostruire il metodo di calcolo seguito dall’Ufficio nei diversi periodi d’imposta considerati, attraverso difficili indagini, specie laddove il debito fiscale da cui gli interessi traggono origine afferisca ad un periodo d’imposta risalente nel tempo -cfr. Cass., 7 settembre 2018, n. 21851 cit.; Cass., 6 luglio 2018, n. 17767 già cit., con riferimento ad ipotesi di interessi reclamati con la cartella sulla base di sentenza definitiva relativa al debito fiscale nella quale erano chiesti interessi per ventotto anni-. In questa medesima prospettiva, Cass., 22 giugno 2017, n. 15554 cit., con riguardo ad avviso di accertamento relativo ad un debito maturato nell’anno 1976, notificato nell’anno 1982, annullato con sentenza divenuta definitiva nell’anno 2009 dalla Commissione Tributaria Centrale al quale era seguita la richiesta di interessi con cartella che aveva richiamato la previsione normativa (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 20), ha escluso la legittimità della motivazione evidenziando che “nella cartella viene riportata solo la cifra globale degli interessi dovuti, senza essere indicato come si è arrivati a tale calcolo, non specificando le singole aliquote prese a base delle varie annualità, essendo l’accertamento riferito all’anno d’imposta 1976, concernendo dunque un periodo di 35 anni”, poi ulteriormente aggiungendo che “tale ratio decidendi, secondo cui il computo degli interessi è criptico e non comprensibile anche in ragione del lungo periodo considerato, non è incisa dal mero richiamo al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 20, venendo in rilievo non la spettanza degli interessi, ma, proprio, il modo con cui è stato calcolato il totale riportato nella cartella”.

7.2.4 Seguendo questa prospettiva ermeneutica, Cass., 4 dicembre 2018, n. 31270, con riferimento ad una cartella recante la sola indicazione degli estremi di provvedimenti di sospensione adottati nonché dell’ammontare degli interessi applicati, senza specificazione del tasso applicato e delle somme sulla cui base essi erano stati calcolati, suddivise tra imposte dirette, imposte indirette, addizionali regionali ed Irap, ha ritenuto corretta l’affermazione del giudice a quo secondo cui “la genericità di tali indicazioni non consente alla ricorrente di verificare la fondatezza, sia nell’an che nel quantum, della pretesa impositiva dedotta nella cartella e dunque di esercitare pienamente, rispetto ad essa, il proprio diritto di difesa”.

Considerazioni sistematiche sull’obbligo di motivazione in punto di interessi negli atti tributari

  1. Ciò posto, il tema involge una riflessione di ordine generale sulla portata dell’obbligo della motivazione dell’atto impositivo rispetto agli interessi, solo in apparenza estranea al tema devoluto dall’ordinanza interlocutoria ma, come si è visto, a pieno titolo rilevante allorché l’atto esattivo -privo di base della pretesa fiscale in forza di un atto prodromico- diventi e si consideri sostanzialmente impositivo quanto alla richiesta di interessi non reclamati in precedenza.
  2. Ora, se si muove dal quadro normativo di riferimento già richiamato – L. n. 212 del 2000, art. 7,L. n. 241 del 1990, art. 3, D.P.R. 600/1073, art. 12, comma 3 – è logico pervenire ad una prima conclusione, secondo cui è configurabile in capo all’Amministrazione finanziaria un preciso obbligo di motivazione dell’atto rivolto alla richiesta di pagamento di interessi sul debito fiscale.

9.1 Ed invero, quello dell’obbligo di motivazione degli atti tributari e, più in generale, degli atti amministrativi costituisce un principio cardine dell’ordinamento, espressione di molteplici valori ancorati alla Carta costituzionale (artt. 3,24,97,111 e 113 Cost.), completando altresì -insieme al diritto all’informazione e alla partecipazione al procedimento amministrativo- il coacervo di garanzie che si impongono all’interno del principio del c.d. giusto procedimento.

9.2 Si tratta di un canone che, quindi, non può non riguardare anche la motivazione della cartella di pagamento, come confermato da Corte Cost., 21 aprile 2000, n. 117.

9.2.1 Con la pronunzia appena ricordata la Corte ha ritenuto la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, rispetto ad un asserito difetto di previsione legislativa dell’obbligo di motivazione della cartella di pagamento, evidenziando che l’obbligo di motivazione trova un generale referente normativo nella L. n. 241 del 1990, art. 3, ponendosi una diversa interpretazione in insanabile contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost..

9.2.2 Conclusione, quest’ultima, alla quale queste Sezioni Unite non possono che aderire convintamente, considerando non solo l’art. 7 – come richiamato dalla L. n. 212 del 2000, art. 17, ma anche la ricordata disposizione in tema di motivazione del ruolo sulla quale si tornerà nel prosieguo – stesso D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 3, – oltreché la natura stessa della cartella quale atto prodromico all’esecuzione coattiva tributaria.

9.3 E’ infatti per il tramite della cartella che il contribuente deve essere in grado di apprezzare il contenuto della richiesta avanzata dall’agente della riscossione in modo da evitare, in caso di sua illegittimità, la successiva procedura esecutiva.

9.4 Tale obbligo deve pertanto riguardare anche l’obbligazione relativa agli interessi del debito fiscale, non potendosi certo desumere dalla natura accessoria della prima rispetto all’obbligazione tributaria principale, accertata dal fisco, l’assenza di un obbligo dell’agente di individuare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste a base della richiesta di interessi.

9.4.1 Ed infatti, la naturale accessorietà dell’obbligazione degli interessi rispetto all’obbligazione fiscale si apprezza nel momento genetico – posto che il venir meno dell’obbligazione principale travolge automaticamente quella accessoria – ma non elide certo l’autonomia dell’obbligazione degli interessi tanto in punto di individuazione della base giuridica di riferimento e del contenuto, quanto in ragione della possibilità che il debito di interessi sia suscettibile di autonome vicende rispetto all’obbligazione tributaria configurata a carico del contribuente -v., Cass., 18 marzo 2022, n. 8892; Cass., 1 ottobre 2020, n. 20955; Cass., 26 giugno 2020, n. 12740; Cass., 27 novembre 2019, n. 30901; Cass., 16 giugno 2006, n. 14049; già, Cass. 2 ottobre 1975, n. 3110-.

9.5 Orbene, occorrerà preliminarmente stabilire, muovendo dal significato da attribuire ai parametri normativi di riferimento ed alle nozioni di “presupposti di fatto” e “ragioni giuridiche” contenute nella L. n. 212 del 2000, art. 7, cit., cosa concretamente l’amministrazione sia tenuta ad indicare nella cartella di pagamento per poter ritenere assolto l’obbligo motivazionale in punto di interessi e, per l’effetto, domandarsi se l’esternazione, al momento dell’emanazione della cartella, delle ragioni che stanno alla base della obbligazione relativa agli interessi – con riferimento alla data di decorrenza, al parametro normativo generale sulla cui base gli interessi sono stati richiesti, ai tassi via via applicabili e ai criteri di calcolo degli stessi- risulti, con riferimento a tutti o solamente a taluni di essi, funzionale a porre il contribuente in condizione di verificarne la correttezza, onde eventualmente dedurre elementi contrari, impeditivi, modificativi od estintivi della pretesa creditoria, principale e “accessoria”.

La soluzione al quesito proposto dalla Sezione quinta

  1. Ad orientare l’indagine sull’interpretazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, deve essere, dunque, la ricerca di un equo bilanciamento e contemperamento delle esigenze sottese al contrasto all’evasione con quelle di garanzia del diritto di difesa, che assuma i tratti dell’adeguatezza, della proporzionalità e della ragionevolezza rispetto agli interessi in gioco, avuto riguardo ai rispettivi oneri configurabili in capo alle due parti del rapporto tributario.

10.1 Non può invero tralasciarsi, in questa indagine, il fatto che la norma di riferimento che viene in prioritario rilievo (appunto, la L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, cit.), inserita in un atto legislativo che ha dato attuazione ai canoni costituzionali in materia tributaria, riguardi una di quelle disposizioni -appunto dedicata alla motivazione dell’atto ed a ciò che integra un suo imprescindibile requisito di legittimità- che è “espressione di principi immanenti nell’ordinamento tributario, già prima dell’entrata in vigore dello Statuto, e quindi di criteri guida per orientare l’interprete nell’esegesi delle norme, anche anteriormente vigenti” -Cass., S.U., 2 febbraio 2022, n. 3182-.

10.2 Ad orientare in questa direzione è non solo la centralità del ruolo della motivazione nell’atto tributario, ma anche il rinvio che l’art. 7, comma 1, L. cit., fa a quanto prescritto in punto di obbligo motivazionale da altra disposizione parimenti fondamentale per il diritto amministrativo – L. n. 241 del 1990, art. 3, – concernente la motivazione dei provvedimenti, riproducendone quasi pedissequamente il tessuto letterale.

10.3 Ora, al fondo della necessità che nell’atto tributario vi sia l’indicazione dei “presupposti di fatto” e delle “ragioni giuridiche” che lo giustificano, vi è l’esigenza di porre il contribuente in condizione di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale e, in caso positivo, di contestare efficacemente l'”an” ed il “quantum” debeatur. Ne consegue che tali elementi conoscitivi devono essere forniti con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta all’interessato un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa.

10.4 Il principale nodo da sciogliere è quello di verificare l’ubi consistam del contenuto motivatorio della cartella relativa agli interessi sul debito fiscale e se in esso rientri o meno l’indicazione dei tassi – come si è visto ai punti 4.3 ss. – variabili in relazione al contenuto del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 20 e 30.

10.5 Ora, i diversi orientamenti sottesi alle pronunzie delle quali si è qui dato conto sono stati il frutto di operazioni di bilanciamento fra diversi valori fondamentali.

10.5.1 Da un lato è stato considerato prevalente l’interesse del contribuente – artt. 23,24,97,111 e 113 Cost., ma anche art. 41 della Carta Europea dei diritti fondamentali, che alimenta i primi secondo un criterio di mutua circolazione (v. Corte Cost. 30 aprile 2021, n. 84)- a una cognizione reale e non meramente formale degli obblighi nascenti dall’atto fiscale, e per questo favorevole all’idea di riversare sul fisco le conseguenze della mancata specificazione di elementi che potrebbero rendere più difficoltosa la difesa del contribuente in ragione della non completa conoscenza delle ragioni poste a base della ripresa in punto di interessi, fra i quali rientrerebbe anche l’esplicitazione del criterio di calcolo e dei saggi d’interesse volta a volta considerati nel computo degli interessi.

10.5.2 Per altro verso, ad orientare verso soluzioni meno protettive per il contribuente è stata la salvaguardia degli interessi, anch’essi di rango costituzionale – artt. 2,3,53 e 97 Cost. – correlati al recupero delle entrate volontariamente non versate dal contribuente e da questi dovute, per effetto dell’accertato inadempimento contestato al contribuente evasore, in virtù dei doveri inderogabili di solidarietà, fra cui quello di concorrere alle spese pubbliche secondo il principio di capacità contributiva, nonché del principio di buon andamento dell’amministrazione con i suoi corollari di economicità, efficienza ed efficacia dell’azione dei pubblici uffici. Ciò che ha indotto parte della giurisprudenza a giustificare soluzioni più favorevoli al fisco, ritenendo sufficiente ai fini motivazionali il richiamo del paradigma normativo di riferimento in tema di interessi, ritenuto ex se idoneo ad offrire al contribuente, già inadempiente rispetto al debito d’imposta, un bagaglio di conoscenze capace di consentirgli la piena cognizione delle ragioni poste a base della domanda di interessi e, conseguentemente, la sua piena giustiziabilità, prescindendo dalla indicazione dei tassi di interesse e delle modalità di calcolo

10.6 Queste Sezioni Unite ritengono che il corretto bilanciamento fra i diversi interessi coinvolti non possa che muovere dai dati normativi di riferimento richiamati al punto 4, ai quali spetta di attuare, in via prioritaria, i valori democratici.

10.7 Ciò al fine di “evitare che la piena tutela di un interesse finisca per tradursi in una limitazione di quello contrapposto, capace di vanificarne o ridurne il valore contenutistico” (cfr. ex multis, Cass., S.U., 9 settembre 2021, n. 24414; Cass., S.U., 12 giugno 2019, n. 15750; Cass., S.U., 21 dicembre 2018, n. 33208; con specifico riguardo al bilanciamento tra i diritti costituzionalmente garantiti del contribuente e l’utilizzo da parte dell’amministrazione finanziaria di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale, v. Cass., 5 dicembre 2019, n. 31779 e Cass. 28 aprile 2015 n. 8605), onde garantire una “tutela sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro” secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale (cfr. Corte Cost., sentenze 28 novembre 2012, n. 264; 9 maggio 2013, n. 85; 11 febbraio 2015, n. 10; 24 marzo 2016, n. 63; 24 gennaio 2017, n. 20; 23 marzo 2018, n. 58).

  1. Orbene, con riferimento specifico alla questione oggetto di rimessione a queste Sezioni Unite, il punto di bilanciamento va individuato attraverso l’interpretazione sistematica del quadro normativo vigente, in modo da graduare lo standard motivazionale relativo all’obbligazione di interessi reclamati con la cartella di pagamento, in relazione tanto alle modalità operative prescelte dall’ente che agisce per ottenere il pagamento degli interessi, quanto all’eventuale richiamo che la cartella abbia fatto ad elementi normativi e fattuali precedentemente portati a conoscenza del contribuente.
  2. Questa premessa di ordine generale suggerisce un esame composito delle vicende che riguardano la pretesa di interessi sul debito d’imposta, spettando a queste Sezioni Unite il compito di individuare il contenuto minimo della motivazione richiesta al fisco al fine di ritenere adempiuto l’obbligo motivazionale di cui si è detto in relazione alle principali ipotesi in cui l’agente della riscossione possa trovarsi ad esercitare la ripresa a titolo di interessi.
  3. Seguendo questo ordine di idee, è necessario considerare, anzitutto, l’ipotesi in cui la cartella richieda al contribuente interessi mai prima determinati e pretesi dall’ente accertatore.

13.1 La cartella ha in tali casi natura di atto impositivo in senso sostanziale e richiede, quanto all’individuazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche su cui si fonda la ripresa, una motivazione completa, dovendo l’agente esternare gli elementi essenziali della pretesa che consentano al contribuente di verificarne la legittimità e di impugnarla, anche per contestare il merito della stessa -cfr. Cass., 24 ottobre 2019, n. 27271-.

13.1.1 Tale motivazione deve dunque assumere i caratteri della congruità, sufficienza ed intelligibilità (Cass., 3 maggio 2018, n. 10481; Cass., 19 aprile 2017, n. 9799). Ciò impone di considerare, all’interno delle espressioni “presupposti di fatto” e “ragioni giuridiche” che hanno determinato la ripresa, sia la tipologia di interessi applicati attraverso l’indicazione della norma tributaria di riferimento o comunque del criterio normativo idoneo a giustificarli (Cass., 24 luglio 2014, n. 16863), che l’imposta con riferimento alla quale sono stati calcolati in percentuale gli interessi, nonché la data di decorrenza degli stessi, ma non anche l’indicazione dei saggi d’interesse volta per volta modificati in ragione del lasso di tempo preso in considerazione ai fini della quantificazione degli interessi.

13.1.2 In questa direzione orienta la stessa doverosa indicazione della base giuridica sulla quale viene giustificata l’obbligazione di interessi (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 20) e che, se puntualmente esternata nella cartella, già li compendia, consentendo la determinazione di quegli stessi saggi applicabili secondo le variazioni via via applicabili nel tempo, nonché il computo che è la legge stessa a determinare.

13.1.3 La specificazione dei tassi non può pertanto ritenersi contemplata all’interno del sintagma ragioni giuridiche giustificative della ripresa a titolo di interessi, né può a tanto condurre il canone esegetico dell’interpretazione letterale (art. 12 preleggi).

13.1.4 Operazioni interpretative di segno contrario non sono, invero, giustificabili, non potendosi certo ritenere che il testo normativo rilevante risulti oscuro con riferimento al linguaggio legislativo utilizzato ovvero abbisogni di una rilettura onde evitarne un significato anacronistico, all’evidenza dovendosi escludere tale ultima circostanza in relazione alla già ricordata genesi dell’art. 7 del c.d. Statuto dei diritti del contribuente.

13.1.5 Del resto, nemmeno un approccio interpretativo di sistema che guarda, dunque, valorizzandolo, al testo del canone normativo ma anche al c.d. co-testo, consente di giungere a risultati ermeneutici di segno contrario.

13.1.6 Ed infatti, l’approdo al quale queste Sezioni Unite sono pervenute trova la sua naturale proiezione nel contenuto motivazionale della sentenza resa dal giudice ordinario, alla stregua delle disposizioni del codice di rito, avuto riguardo al contenuto testuale dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, laddove si utilizzano formulazioni letterali in buona parte sovrapponibili a quelle espresse nella L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, – ragioni di fatto e di diritto della decisione; esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione-, le quali non risultano essere state mai interpretate nel senso di richiedere, ai fini della validità della motivazione della sentenza stessa, in ossequio ai requisiti del c.d. “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte – cfr. Cass., S.U., nn. 8053 e 8054 del 7 aprile 2014-, l’individuazione del saggio di interesse legale modificato negli anni dal legislatore e applicato in via giudiziale al debito principale.

13.1.7 Del resto, la circostanza che i saggi d’interesse (come previsti dal D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 20 e 30) siano modificati periodicamente con provvedimenti adottati in ambito ministeriale – D.M. 21 maggio 2009 cit.- o dell’Agenzia delle entrate, ma pur sempre soggetti ad obbligo di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ovvero con forme equipollenti, quali la pubblicazione sul sito internet dell’Agenzia delle entrate – cfr. L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 361, per gli atti dell’Agenzia delle entrate determinativi degli interessi di mora ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 30 -, non richiede che gli stessi debbano essere esplicitati nell’atto fiscale, trattandosi di atti soggetti a forme di pubblicità legale e dunque comunque agevolmente conoscibili dall’interessato – cfr. Cass., 19 dicembre 2014, n. 27055; più di recente, v. Cass., 15 gennaio 2021, n. 593 e Cass., 1 febbraio 2022, n. 3009-ed individuabili in relazione al richiamo agli stessi operato dalla base normativa di riferimento in tema di interessi che la cartella deve necessariamente contenere.

13.1.8 Il richiamo alla disposizione che regola il “tipo” di interesse richiesto e le norme che presiedono alla sua quantificazione, ivi predeterminate, consentono dunque al contribuente di individuare gli elementi essenziali dell’obbligazione complessivamente pretesa (cfr., in generale, Cass., 7 marzo 2022, n. 7278) ed il perimetro entro il quale l’amministrazione si è mossa per quantificare specificamente l’obbligazione degli interessi, onde eventualmente contestarla.

13.2 Analogamente, deve escludersi che la cartella debba esplicitare le modalità di calcolo che hanno condotto alla quantificazione del debito da interessi del contribuente, ove queste siano ancora una volta determinabili sulla base di mere operazioni matematiche, in base a quanto previsto normativamente -si pensi alla disciplina in tema di imposta di registro per gli interessi da ritardato pagamento, già ricordati in precedenza al punto 4.5-.

13.2.1 Resta semmai da osservare che la diversità di prospettiva, peraltro raramente emersa nella giurisprudenza di legittimità, in ordine alla mancata individuazione delle modalità di calcolo dei tassi via via normativamente succedutisi è stata talvolta condizionata più dalla specificità e singolarità delle vicende esaminate che da una reale esigenza di porre in via stabile a carico all’amministrazione un onere di esternazione dei tassi applicati e delle modalità di calcolo.

13.2.2 Le considerazioni appena esposte non intendono, ovviamente, incidere sulla prassi che l’amministrazione abbia eventualmente intrapreso, nell’ottica di una migliore collaborazione con il contribuente -anche alla luce dell’art. 10 del c.d. Statuto dei diritti del contribuente- volta ad esplicitare nelle cartelle anche i tassi via via applicabili per la quantificazione degli interessi richiesti.

13.2.3 Prassi virtuosa che, tuttavia, non è in grado di modificare il contenuto precettivo delle disposizioni normative richiamate né, dunque, il contenuto dell’obbligo motivazionale dalle stesse risultante. Obbligo che, come si è già detto, non priva in alcun modo di effettività la tutela apprestata al contribuente, anzi garantendola in modo pieno ed adeguato rispetto alle diverse fattispecie sopra ricordate.

13.3 Va infine chiarito che l’individuazione degli elementi suindicati come necessari per ritenere valida la richiesta di interessi contenuta nella cartella di pagamento potrà inferirsi dalla cartella medesima laddove essa faccia riferimento, direttamente ovvero rinviando ad uno specifico atto già comunicato al contribuente, al debito di imposta ed alla base normativa dalla quale desumere il calcolo degli interessi.

13.3.1 In conclusione, con riferimento alle ipotesi nelle quali l’atto prodromico determinativo del debito fiscale non abbia reclamato gli interessi e sia l’emittente la cartella ad intimare per la prima volta il pagamento dell’obbligazione di interessi, occorre senz’altro che la pretesa per interessi sia giustificata attraverso l’individuazione dei “presupposti di fatto” e delle “ragioni giuridiche” poste a base della stessa.

13.3.2 In questo caso sarà dunque necessario (e sufficiente) che la cartella rechi, anche per relationem, l’indicazione del debito d’imposta e del quantum di interessi richiesto, nonché della decorrenza degli stessi e della base normativa che consenta al contribuente di individuare la natura degli interessi reclamati, la quale può variare non soltanto in funzione della tipologia dell’imposta, ma anche delle modalità prescelte dall’Ufficio per azionare la pretesa fiscale e del momento al quale si riferisce la ripresa.

13.4 Passando ora ad esaminare la diversa ipotesi nella quale la cartella segua un atto prodromico nel quale sono già stati computati gli interessi per il ritardato pagamento, giova sottolineare che in tale evenienza la cartella di pagamento svolge la funzione di avviare la fase di riscossione coattiva dei tributi e, laddove la stessa faccia riferimento ad un atto che abbia già determinato, in base alla normativa di riferimento, il quantum reclamato a titolo di interessi – atto divenuto definitivo vuoi perché non impugnato, vuoi perché definitivamente confermato quanto alla sua legittimità in sede giudiziale o comunque ivi rideterminato in maniera in tutto o in parte difforme rispetto all’originaria richiesta di interessi formulata dall’Ufficio-, l’accertamento formatosi con riguardo all’obbligazione relativa agli interessi dovuti dal contribuente troverà corrispondenza nel ruolo che la cartella ordinariamente riprodurrà. Per tali ragioni la motivazione in simili evenienze – alla stregua di quanto previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 3 – non imporrà alcun onere aggiuntivo al soggetto emittente la cartella, se non il riferimento – diretto e specifico -, all’atto fiscale e/o alla sentenza che lo ha reso definitivo, trovando la quantificazione degli interessi, quanto a decorrenza e modalità di calcolo, la sua fonte nell’atto prodromico. Siffatto obbligo motivazionale risulterà, pertanto, circoscritto all’esposizione del ruolo, del titolo costitutivo della pretesa e dell’entità del debito fiscale di interessi.

13.4.1 Ne consegue che, in assenza di una ulteriore specificazione di una diversa tipologia di interessi richiesti rispetto a quanto già indicato a titolo di interessi nell’atto prodromico, la cartella di pagamento non dovrà che limitarsi ad attualizzare il debito di interessi già individuato in modo dettagliato e completo nell’atto genetico. Sarà semmai onere del contribuente contestare la quantificazione degli interessi operata in cartella ove risulti incoerente rispetto all’originaria pretesa per interessi, evidenziandone in tutto o in parte la non conformità rispetto al contenuto dell’obbligazione degli interessi determinata nell’atto genetico e sarà, per l’effetto, compito del giudice tributario acclarare il reale contenuto dell’obbligazione azionata con la cartella.

13.4.2 Questione che, dunque, non attiene alla legittimità della motivazione, ma piuttosto al merito della domanda di interessi, sulla quale il giudice dotato di competenza giurisdizionale ha il compito di intervenire, nel contraddittorio delle parti, in quanto giudice del rapporto tributario.

13.5 Quanto alle ipotesi di controllo automatizzato – D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36 bis, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis – è sufficiente evidenziare che il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’Ufficio mediante il mero richiamo alla dichiarazione medesima, proprio con riferimento al debito per tributi vari ed interessi.

13.5.1 Tuttavia, il riferimento agli elementi della dichiarazione quadro, modulo, rigo, periodo di riferimento, data degli eventuali versamenti tardivi – esonera l’amministrazione dall’onere motivazionale in ordine all’obbligazione relativa agli interessi (Cass., 8 marzo 2019, n. 6812, più volte cit.), limitatamente alla decorrenza dell’obbligazione che il contribuente può agevolmente individuare, mentre lascia inalterata la necessità che l’emittente la cartella fornisca l’indicazione del parametro normativo in base al quale l’amministrazione ha proceduto al computo degli interessi indicati in cartella.

13.5.2 Ove invece la cartella di pagamento costituisca l’atto con cui sono stati rettificati i risultati della dichiarazione con le forme del controllo automatizzato e l’emittente abbia esercitato una vera e propria potestà impositiva, essa deve essere debitamente motivata, dovendosi rendere edotto il contribuente dei fatti su cui si fonda la pretesa, anche con riferimento agli interessi, essendosi in presenza di una vera e propria rettifica recante l’estrinsecazione di una pretesa ulteriore – Cass., 21 maggio 2014, n. 11176; Cass., 30 dicembre 2009, n. 28056; Cass., 16 dicembre 2009, n. 26330 -.

13.5.3 Motivazione che dovrà anche in questo caso ineludibilmente individuare, come già specificato a proposito della cartella che non segue a un atto prodromico relativo ad interessi, la decorrenza degli interessi, la disciplina positiva che ne regola il quantum, ma non anche i tassi di interesse via via determinati normativamente né le modalità di calcolo.

13.6 Resta solo da aggiungere che l’eventuale richiesta di interessi in via contestuale rispetto al debito d’imposta determinerà, in caso di riscontrato deficit motivazionale in punto di interessi, l’invalidità parziale dell’atto impositivo con riferimento alla parte relativa ai soli interessi, in applicazione del generale principio di conservazione dell’atto, nella parte, autonoma, non inficiata dal difetto di motivazione – ex multis, cfr., Cass., 15 maggio 2019, n. 12904 -.

  1. Alla luce delle considerazioni suesposte e in ossequio all’intervento nomofilattico richiesto con ordinanza interlocutoria in riferimento al secondo e al quarto motivo di ricorso, queste Sezioni Unite enunciano, pertanto, il seguente principio di diritto:

Allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il quantum del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, la cartella che intimi al contribuente il pagamento degli ulteriori interessi nel frattempo maturati soddisfa l’obbligo di motivazione, prescritto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, e dalla L. n. 241 del 1990, art. 3, attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’ulteriore importo per gli accessori. Nel caso in cui, invece, la cartella costituisca il primo atto con cui si reclama per la prima volta il pagamento degli interessi, la stessa, al fine di soddisfare l’obbligo di motivazione deve indicare, oltre all’importo monetario richiesto a tale titolo, la base normativa relativa agli interessi reclamati che può anche essere desunta per implicito dall’individuazione specifica della tipologia e della natura degli interessi richiesti ovvero del tipo di tributo cui accedono, dovendo altresì segnalare la decorrenza dalla quale gli interessi sono dovuti e senza che in ogni caso sia necessaria la specificazione dei singoli saggi periodicamente applicati né delle modalità di calcolo.

  1. Occorre a questo punto esaminare il fondamento dei motivi di ricorso proposti dai ricorrenti.

15.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile, deducendo i ricorrenti il vizio di insufficiente motivazione della sentenza, ormai espunto dal sistema per effetto della riforma del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, nemmeno risultando prospettato il vizio di motivazione apparente della sentenza impugnata (Cass., S.U., 7 aprile 2014 n. 8053).

15.2 Passando all’esame congiunto del secondo e del quarto motivo, gli stessi sono infondati.

15.2.1 Ed invero, v’e’ da dire che nel caso di specie la cartella impugnata dai ricorrenti ha preso le mosse da un avviso di liquidazione notificato il 16 maggio 1985, con il quale l’Ufficio aveva revocato i benefici fiscali per la piccola proprietà contadina, in relazione ad un atto di compravendita stipulato l’11 novembre 1980. Da tale data risultava la quantificazione delle imposte ordinarie dovute -secondo un prospetto analitico indicante le relative voci e percentuali applicate, tenuto conto anche delle agevolazioni fiscali spettanti-, e dei rispettivi interessi che l’avviso aveva liquidato alla data dell’11.11.1984, nonché la debenza degli ulteriori interessi maturandi all’11.11.1984.

15.2.2 In definitiva, l’avviso di liquidazione propedeutico aveva già determinato l’importo e la tipologia degli interessi nonché la relativa decorrenza, sui quali si è formato il giudicato, sicché la cartella emessa successivamente ed oggetto del presente giudizio, nell’indicare in Euro 35.168,21 l’importo degli interessi, come affermato dalla CTR nella sentenza impugnata, si è limitata a convertire in Euro gli importi già indicati in lire a titolo di interessi, computando gli interessi al tasso legale. Ne’ in alcun modo i ricorrenti hanno contestato il contenuto dispositivo dell’avviso di liquidazione concernente gli interessi e/o lo scostamento del conteggio rispetto ai criteri fissati nell’avviso stesso e successivamente confluiti nella cartella di pagamento.

15.2.3 In effetti, le censure proposte dai ricorrenti si appuntano sull’assenza di un criterio di calcolo degli interessi ma, come si è visto, tale censura deve ritenersi infondata proprio alla luce delle argomentazioni sopra esposte al punto 13.4, alla stregua delle quali deve escludersi che, in sede di emissione di una cartella successiva ad un atto prodromico, divenuto definitivo per effetto del giudicato, che ha provveduto a determinare gli interessi dovuti, la base normativa ed il computo complessivo, sia necessario che la cartella rechi altresì l’indicazione specifica delle modalità di calcolo degli interessi e dei saggi di interesse applicati.

15.3 Il terzo motivo e’, infine, inammissibile.

15.3.1 I ricorrenti hanno infatti prospettato la violazione del disposto di cui all’art. 2697 c.c., ancorché il giudice di appello non abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie, invece ritenendo assolto l’obbligo motivazionale da parte dell’agente della riscossione.

  1. Sulla base di tali considerazioni il ricorso va rigettato. Nulla sulle spese.
  2. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile la memoria depositata dall’Agenzia delle entrate e rigetta il ricorso. Nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.