202007.09
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Cass., sez. trib., 9 luglio 2020 (ord.), n. 14572 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

ricorso 10389-2213 proposto da:

B.R., amente domiciliato in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 2/E, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PICONE, ci rappresenta e difende;

  • ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI OZIERI;

  • intimati –

Nonchè da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVV3CATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rapprese difende;

  • controricorrente incidentale –

contro

B.R., AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI OZIERI;

  • intimati –

avverso la sentenza n. 22/2012 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di SASSARI, depositata il 13/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2020 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO.

Svolgimento del processo

che:

B.R., quale titolare della farmacia “Pastorino di B.R.”, ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 22/08/2012, depositata dalla Commissione tributaria regionale della Sardegna, sez. staccata di Sassari, il 13.03.2012, che, in riforma della decisione di primo grado, aveva accolto solo un motivo del ricorso introduttivo del contribuente, confermando per il resto l’avviso di accertamento notificatogli dall’Agenzia delle entrate, con cui era rideterminato il reddito dell’impresa per l’anno d’imposta 1999.

Ha riferito che l’atto impositivo scaturiva da una verifica fiscale eseguita a carico della farmacia, recuperando ad imponibile voci di costi che l’Ufficio riteneva indebitamente dedotti.

Avendo contestato gli esiti dell’accertamento, il B. aveva adito la Commissione tributaria provinciale di Sassari, che con sentenza n. 58/01/2006 aveva accolto parzialmente le sue ragioni.

La pronuncia era stata appellata dall’Agenzia delle entrate dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Sardegna, che con la pronuncia ora al vaglio della Corte aveva accolto gran parte dei motivi d’appello, confermando pertanto quasi tutto l’impianto accertativo dell’atto impositivo.

In particolare il giudice regionale ha riconosciuto la fondatezza del recupero a tassazione dei costi sostenuti per carburante e spese di manutenzione dell’autovettura, dei costi sopportati per l’acquisto di un telefonino, nonchè degli importi corrisposti dal Boglioli alla propria madre a titolo di rendita vitalizia, costituita quale corrispettivo per la cessione della farmacia, accogliendo le ragioni del contribuente solo per i costi sostenuti per l’assistenza del software aziendale.

Avverso la sentenza il contribuente ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi di censura:

con il primo per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 (ora art. 109) e art. 67, comma 10, in merito ai costi sostenuti per il carburante e la manutenzione dell’autovettura;

con il secondo per violazione e falsa applicazione dell’art. 2426 c.c., n. 6, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 43, del D.P.R. 22 dicembre 1973, n. 917, art. 75 e art. 50, comma 1, lett. h, degli artt. 3 e 53 Cost., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere erroneamente affermato che l’indeducibilità della rendita vitalizia corrisposta alla genitrice avrebbe richiesto l’iscrizione a bilancio del valore di avviamento dell’impresa, ciò che non era accaduto;

con il terzo per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonchè per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, commi 1 e 2, e dell’art. 1872 c.c., sempre in riferimento al recupero ad imponibile del costo sostenuto per la corresponsione della rendita vitalizia alla genitrice cessionaria della farmacia;

con il quarto per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per aver erroneamente sostenuto che nell’operazione di cessione della farmacia il ricorrente non avrebbe pagato l’avviamento, nè i beni aziendali, volendosi inoltre sottrarre al versamento della rendita vitalizia mediante la sua deducibilità dal reddito dell’impresa.

Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza, con decisione nel merito o con rinvio.

Si è costituita l’Agenzia delle entrate, che ha contestato gli avversi motivi di ricorso, di cui ha chiesto il rigetto.

Con ricorso incidentale ha a sua volta impugnato la sentenza, dolendosi della violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67, per aver erroneamente riconosciuto la deducibilità delle spese di manutenzione e riparazione del software, in misura superiore a quanto consentito dal comma 7 della norma (ora art. 102, comma 6).

Ha pertanto chiesto la cassazione della decisione per quanto in essa soccombente.

Motivi della decisione

che:

la prima censura, che sotto il profilo dell’error iuris in iudicando e del vizio motivazionale denuncia la sentenza in merito al mancato riconoscimento della deducibilità delle spese di carburante e manutenzione dell’autovettura, destinata all’uso promiscuo, personale e aziendale, è infondata.

Il contribuente, a fronte delle ragioni della decisione, secondo cui la proprietà dell’autovettura in capo al Boglioli, sin da epoca antecedente all’acquisto della farmacia, ne esclude l’inclusione tra i beni aziendali per costituire un bene personale del ricorrente, le cui spese non sono pertanto deducibili, afferma che alcuna norma impone che sia richiesto l’acquisto del bene strumentale dopo l’acquisto dell’azienda.

Di contro il contribuente sostiene che ai fini della deduzione dei costi sia necessaria l’inerenza del bene all’attività, come prescritto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 (all’epoca art. 75).

Per l’indispensabile rapporto di inerenza dei costi con lo svolgimento dell’attività economica, questa Corte ha ribadito che “l’inerenza all’impresa dei costi per le autovetture va valutata in concreto, con riferimento alla natura ed all’uso dei mezzi nell’ambito dell’impresa stessa…” (cfr, Cass. sent. n. 14775/2000; 27095/2006). Ebbene, anche in considerazione dell’acquisto ben anteriore dell’autovettura rispetto all’acquisto della farmacia, era onere del contribuente, che inequivocamente ha dichiarato l’uso promiscuo del mezzo, dimostrare in cosa si concretizzasse la funzione strumentale dell’autovettura rispetto all’esercizio dell’attività economica esercitata. Invece il Boglioli non ha addotto alcun elemento a conforto della propria pretesa, sicchè manca ogni riferimento, anche solo presuntivo, a dimostrazione dell’inerenza del bene all’attività dell’impresa.

Il motivo va dunque rigettato.

Esaminando i motivi secondo, terzo e quarto, che possono essere trattati congiuntamente perchè tra loro connessi, dolendosi il contribuente, sotto vari profili, dell’errore di diritto in cui sarebbe incorso il giudice d’appello, e del vizio motivazionale, in merito alla esclusione dalle spese deducibili della rendita vitalizia corrisposta alla genitrice, cessionaria della farmacia, essi sono tutti infondati, sebbene la motivazione vada integrata.

Il ricorrente critica la decisione che ha ritenuto indeducibile dall’imponibile dell’impresa la rendita vitalizia. Sostiene che la motivazione adottata dal giudice d’appello, secondo cui la mancata iscrizione dell’avviamento nell’attivo di bilancio impedisce il suo ammortamento e che comunque non poteva essere iscritto in bilancio non costituendo un costo attribuibile all’azienda ma esclusivamente all’acquirente, manifesta una pluralità di errori di diritto nello sviluppo argomentativo della decisione. Sintetizzando le ragioni sviluppate, il contribuente sostiene che all’epoca della cessione della farmacia era possibile dichiarare l’avviamento ai soli fini dell’imposta di registro, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 art. 43; che nel caso di specie fu dichiarato, del prezzo complessivo concordato, che il valore dell’avviamento fosse corrispondente a L. 950.000.000; che secondo l’art. 2426 c.c., n. 6, l’avviamento può essere iscritto in bilancio e ammortizzato nel tempo di cinque anni (nella formulazione all’epoca vigente); che esso non poteva tuttavia essere iscritto in bilancio non essendovi stato un costo effettivamente ed immediatamente sostenuto, in ragione della costituzione di una rendita vitalizia; che ciò determinava tuttavia una disparità di trattamento rispetto all’ipotesi di immediato pagamento del corrispettivo; che il costo sostenuto per il pagamento della rendita era comunque un costo inerente, sostenuto per l’acquisto dell’azienda; che la costituzione della rendita era d’altronde assimilabile ai fini fiscali al reddito del lavoratore dipendente, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 50, comma, 1, lett. h; che come tale era legittima la deduzione del costo sostenuto per il pagamento della rendita medesima.

A fronte del preteso diritto alla deduzione della rendita corrisposta, il ricorrente ha ritenuto che la motivazione della sentenza abbia violato una pluralità di norme, relative all’ammortamento della rendita vitalizia, all’inerenza, ai criteri di valutazione del conto economico, ai principi costituzionali di uguaglianza e capacità contributiva, nonchè sia affetta da vizi di motivazione.

La questione che si pone è se il corrispettivo della cessione di una farmacia, concordato costituendo a favore del cedente una rendita vitalizia, costituisca un costo deducibile dai ricavi dell’azienda, concorrendo alla formazione dell’imponibile, come pretende il contribuente, oppure no, come assume l’Agenzia, posizione quest’ultima condivisa dalla Commissione tributaria regionale sarda.

Questa Corte, in relazione al regime fiscale a carico del cedente, ha evidenziato che ai sensi dell’art. 1872 c.c. può essere costituita una rendita vitalizia a titolo oneroso mediante alienazione di un bene, assumendo essa dunque la funzione di corrispettivo di un’alienazione patrimoniale. In tale fattispecie vanno comprese anche le ipotesi di cessione di azienda.

In capo al cedente può dunque configurarsi una plusvalenza tassabile che, pur con elementi di aleatorietà, presenta purtuttavia un valore economico accertabile in base a calcoli attuariali riconosciuti anche in ambito fiscale.

In tale alveo si è ritenuto peraltro superabile l’eventualità di rischio di doppia imposizione, sulla plusvalenza e sulla rendita percepita annualmente, assimilata al reddito da lavoro dipendente, in quanto il divieto di doppia imposizione scatta solo nel momento della concreta liquidazione della seconda imposta e solo nel caso in cui l’Amministrazione ritenga di avere diritto a ricevere il doppio pagamento. La questione preoccupa poi ancor meno quando si consideri la disciplina applicabile sino al 31 dicembre 2000, atteso che all’epoca le rendite erano tassate nella misura del 60%.

A tal fine infatti si è sostenuto, con orientamento ormai consolidato, che in tema di imposta sui redditi è configurabile una plusvalenza tassabile anche nel caso di cessione a titolo oneroso di azienda (nella specie, una farmacia) a fronte della costituzione di una rendita vitalizia. Nè, in senso contrario, può essere addotto il rischio di una doppia imposizione, poichè la rendita vitalizia è assimilabile, ai fini fiscali, al reddito da lavoro dipendente e la L. 27 luglio 1967, n. 685, art. 48 bis, lett. c) vigente ratione temporis, nel sottoporre a tassazione la quota di rendita individua forfettariamente nel 60 percento la componente reddituale della stessa, sicchè il capitale tassato al momento del trasferimento è escluso dall’imposta (Cass., 27179/2014; cfr. poi 10801/2007; 11229/2011; 5886/2013; 11434/2018; 20746/2019)..

Ciò chiarito, verificando invece l’operazione dalla parte del cessionario, che nel caso di specie va individuato nell’odierno ricorrente, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “per quanto concerne il regime fiscale posto a carico del cessionario, l’ammontare della rendita vitalizia assunto a corrispettivo (ancorchè dilazionato) della cessione stessa, non costituisce, ex art. 109 TUIR, costo di gestione deducibile; trovando esaustiva rilevanza fiscale quale onere non già di esercizio, bensì di acquisizione dell’azienda. Così da rilevare esclusivamente secondo il regime proprio del valore di avviamento (previa sua iscrizione all’attivo di bilancio nei limiti del costo di acquisizione ex art. 2426 c.c., n. 6)), e del suo ammortamento (art. 103 T.U.I.R.).” (Cass., 17181/2018).

Nel caso di specie è incontestato che l’avviamento non sia stato iscritto a bilancio; che inoltre la rendita vitalizia non è stata costituita tenendo conto del valore del solo avviamento (determinato ai fini dell’imposta di registro), ma anche delle merci di magazzino e comunque degli altri beni relativi all’azienda ceduta; che non è stato eseguito alcun calcolo attuariale per comprendere il valore complessivo dell’operazione ai fini dell’ammortamento; che la pretesa di ricondurre la fattispecie nell’alveo dei costi sostenuti per il pagamento del reddito di lavoro dipendente non ha alcuna attinenza ai fini degli obblighi fiscali del cessionario, assimilandosi quel reddito – ex art. 50 TUIR, comma 1 lett. h) – al lavoro dipendente solo ai fini impositivi gravanti sul percettore della rendita, e dunque del cedente l’azienda, senza riflettersi sulla posizione del cessionario.

In conclusione tutti i motivi sono infondati e il ricorso principale va rigettato.

Non trova accoglimento neppure il ricorso incidentale, con cui l’Ufficio si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 67 TUIR, per aver erroneamente riconosciuto la deducibilità delle spese di manutenzione e riparazione del software, in misura superiore a quanto consentito dal comma 7 della norma (ora art. 102, comma 6). Secondo la prospettazione dell’Ufficio al caso di specie deve trovare applicazione la disciplina ordinaria di ammortamento dei beni materiali, previsto dall’art. 102, comma 1, n. 6 un ammortamento del costo entro il 5% del valore di tutti i beni materiali ammortizzabili, con conseguente ripresa a tassazione del costo controverso nella misura eccedente tale limite.

La decisone del giudice regionale, condividendo la prospettazione del contribuente, ha ritenuto invece applicabile l’ultimo periodo del n. 6, secondo il quale il costo è integralmente ammortizzabile quando afferisce “ai compensi periodici dovuti contrattualmente a terzi per la manutenzione di determinati beni”. E nel caso si trattava della manutenzione del software che si assume utilizzato nella farmacia per l’accesso ai programmi a servizio dell’azienda.

L’Amministrazione assume che per ricondurre quella manutenzione ai costi dell’azienda occorreva una prova specifica, cioè un contratto scritto, considerazione superata dalla sentenza che ha ritenuto sufficiente la intestazione della fattura alla farmacia.

Questi i fatti, a parte la contraddittorietà del ragionamento dell’Agenzia delle entrate, che se dubitava della relazione tra costo e manutenzione di un bene dell’azienda avrebbe dovuto disconoscere integralmente la deduzione e non per l’eccedenza del 5%, la norma non impone alcun limite alla prova del rapporto negoziale di manutenzione dei beni, sicchè correttamente, secondo la disponibilità del materiale probatorio allegato al giudizio, ha ritenuto integrata la dimostrazione che quella spesa afferisse ad una fattispecie collocabile nell’ultimo periodo della norma. In conclusione anche il ricorso, incidentale va rigettato.

Alla reciproca soccombenza segue la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale. Rigetta quello incidentale. Compensa le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020