202007.04
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Cass., sez. trib., 21 luglio 2020 (ord.), n. 15544 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

CIRCOLO RICREATIVO E SPORTIVO TROPICALIA – Associazione Sportiva dilettanti, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio del Dott. P.A. e rappresentata e difesa dall’Avv. Paola Perrone, per procura a margine del ricorso.

  • ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore generale pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12 presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende.

  • controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 89/23/13 della Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce, depositata il 15 marzo 2013;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28 febbraio 2020 dal relatore Cons. Crucitti Roberta.

Svolgimento del processo

che:

il Circolo Ricreativo e Sportivo Tropicalia, Associazione sportiva dilettanti, propose, in persona del legale rappresentante pro tempore, distinti ricorsi avverso gli avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio di Lecce, recuperò a tassazione i ricavi, ai fini dell’IRPEG, dell’IVA e dell’IRAP degli anni 1998 e 1999, dell’attività commerciale, di fatto, svolta dalla predetta associazione, in totale evasione di imposta;

la Commissione tributaria di prima istanza, accolse i ricorsi ma le decisioni, appellate dall’Agenzia delle entrate, vennero, previa riunione delle impugnazioni, riformate dalla Commissione tributaria regionale della Puglia-sezione distaccata di Lecce (d’ora in poi C.T.R.), la quale, con la sentenza indicata in epigrafe, confermò integralmente gli atti impositivi;

in particolare, il Giudice di appello, richiamato il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, accertò, anche sulla base di documentazione dalla quale emergevano rilevanti acquisti di generi alimentari, bevande alcoliche e spumanti, che l’Associazione aveva svolto attività commerciale;

avverso la sentenza il Circolo ricreativo e sportivo “Tropicalia” propone ricorso, affidato a due motivi;

l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Motivi della decisione

che:

1 con il primo motivo la ricorrente deduce la “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per error in procedendo in violazione dell’art. 112 c.p.c. per omesso esame e pronuncia di una domanda proposta”;

in particolare, secondo la prospettazione difensiva, la C.T.R. aveva omesso di pronunciare sulla specifica eccezione, sollevata dall’Associazione, di inammissibilità, per genericità, dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate;

1.1 la censura è infondata alla luce del pacifico e consolidato orientamento di questa Corte (v., tra le altre di recente, ordinanza n. 15255 del 04/06/2019) per il quale non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto. (in precedenza, in senso conforme, Cass. n.ri 20718/2018; 17956/2015; 13425/2016);

1.2. nel caso in esame, la Commissione tributaria regionale, decidendo la controversia nel merito della pretesa tributaria, ha, implicitamente, rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dalla contribuente;

2 con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 108 e 111, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4 e, in relazione allo stesso art. 360, comma 1, n. 5, l’insufficiente analisi dei fatti e delle circostanze decisivi ai fini della risoluzione della controversia;

secondo l’assunto difensivo la C.T.R. aveva errato, in diritto, a riconoscere la sussistenza di un’attività commerciale, sottoposta a imposizione, in quanto secondo la normativa di riferimento, come interpretata dalla giurisprudenza, l’attività non poteva ritenersi commerciale, quando svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali dell’associazione, e in fatto, laddove la C.T.R. non aveva esaminato lo statuto, mentre il semplice acquisto di spumanti e liquori non costituiva indice della somministrazione di bevande e alimenti all’interno dei locali dietro pagamento di corrispettivi;

2.1 la censura è, in parte, inammissibile e, in parte, infondata. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr.Cass. n. 32119 del 12/12/2018; id n. 23167 del 2017) “le agevolazioni tributarie previste in favore degli enti di tipo associativo non commerciale, come le associazioni sportive dilettantistiche senza scopo di lucro, dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 111 (ora art. 148) si applicano solo a condizione che le associazioni interessate si conformino alle clausole riguardanti la vita associativa, da inserire nell’atto costitutivo o nello statuto. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha annullato la decisione impugnata; che, senza motivare circa l’assenza di attività assembleare ed in particolare in ordine alla mancata convocazione e partecipazione degli associati all’assemblea, aveva riconosciuto detta esenzione ad una associazione sportiva dilettantistica individuando i fruitori delle relative attrezzature come soci e non come clienti)”;

si è, altresì, condivisibilmente, statuito (Cass. n. 22939 del 26/09/2018) che “in tema di IRES, ai fini della qualifica di ente non commerciale rileva l’esercizio, in via prevalente, di attività rese in conformità ai fini statutari non rientranti nelle fattispecie di cui all’art. 2195 c.c., svolte in mancanza di specifica organizzazione e verso il pagamento di corrispettivi non eccdenti i costi di diretta imputazione, con la conseguenza che va disconosciuto il regime di favore previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 143 (già art. 108) per carenza di detti requisiti di “decommercializzazione”, in caso di distribuzione degli utili, omessa compilazione del libro dei soci e mancata partecipazione degli associati alla vita dell’ente.”;

e, ancora (v. Cass. n. 23167 del 04/10/2017) che “in tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG), gli enti di tipo associativo non godono di una generale esenzione da ogni prelievo fiscale, potendo anche le associazioni senza fini di lucro – come si evince dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 111, comma 2, (nel testo applicabile “ratione temporis”)- svolgere attività a carattere commerciale;:il citato art. 111, comma 1 – in forza del quale le attività a favore degli associati non sono considerate commerciali e le quote associative non concorrono a formare il reddito complessivo – costituisce, d’altro canto, deroga alla disciplina generale, fissata dal medesimo D.P.R.,artt. 86 e 87, secondo cui l’IRPEG si applica a tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche, con la conseguenza che l’onere di provare i presupposti di fatto che giustificano l’esenzione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’art. 2697 c.c.” (conformi Cass. n. 3360 del 2013; id n. 15474 del 2018);

2.2 nel caso in esame, con il ricorso non viene attinta, attesa la genericità del mezzo di impugnazione, la specifica ratio decidendi sulla quale si fonda la sentenza impugnata ovverossia la presenza di soli due soci e l’assenza nei verbali assembleari della partecipazioni di altri associati, nè l’ulteriore passo motivazionale con il quale la C.T.R. ha dato atto della carenza di una chiara e coerente rendicontazione delle entrate e delle uscite e della commistione di flussi finanziari dell’associazione e dei gestori con i versamenti dei corrispettivi nei conti personali;

2.3 la sentenza impugnata rimane, in ogni caso, esente da censure giacchè, per i principi sopra enunciati, è onere dell’Associazione provare la sussistenza dei presupposti cli-fatto che giustificano le agevolazioni sia ai fini dell’IVA che ai fini dell’IRPEG e non il contrario, come dedotto, invece, dedotto in ricorso;

  1. conclusivamente, alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso va rigettato e la ricorrente, soccoml2ente, condannata al pagamento delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle entrate, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese che liquida in complessivi Euro 4.100,00 ltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2020