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Cass., sez. III civ., 26 novembre 2019 (ord.), n. 30737 (testo)

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 3 ottobre – 26 novembre 2019, n. 30737
Presidente Travaglino – Relatore Gorgoni

Fatti di causa

T.P. ricorre, avvalendosi di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 11831/2017 della Corte d’Appello de L’Aquila, pubblicata il 10 ottobre 2017.
Propone ricorso incidentale T.F. .
Ader – Agenzia delle entrate – Riscossione si costituisce al fine di partecipare all’udienza di discussione di cui all’art. 370 c.p.c., comma 1.
Il ricorrente espone in fatto di essere stato convenuto in giudizio, insieme con il padre, nel luglio 2014 da Equitalia Centro S.p.a., ora Agenzia delle entrate – Riscossione, che, affermandosi creditrice della somma di Euro 3.334.208,24 per debiti erariali maturati negli anni 2007-2008, ma accertati nel 2012, intendeva ottenere la declaratoria di inefficacia ex art. 2901 c.c. dell’atto con cui, nel 2009, aveva acquistato dal padre F. alcune unità immobiliari facenti parte del Condominio (omissis) .
Il Tribunale di Pescara, con sentenza n. 1414/2016, accoglieva la domanda attorea e condannava i convenuti al pagamento delle spese processuali.
La sentenza veniva impugnata autonomamente da P. e T.F. , innanzi alla Corte d’Appello di Pescara, la quale, riuniti i due procedimenti, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, respingeva il gravame e condannava gli appellanti in solido al pagamento delle spese di giudizio.
In particolare, il giudice adito riconosceva la legittimazione attiva dell’ADER, benché fosse ente abilitato alla riscossione e non anche all’imposizione, ai sensi della L. n. 311 del 2004, che aveva abilitato il concessionario della riscossione tributaria a promuovere con ogni azione la tutela del credito.
Riteneva irrilevante che l’accertamento del credito fiscale fosse stato induttivo, perché ai fini dell’art. 2901 c.c. rileva una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa di credito oltre che del credito litigioso; negava rilevanza, ai fini dell’anteriorità dell’atto dispositivo rispetto alla nascita del credito, al momento dell’accertamento dell’illecito fiscale tributario, prestando rilievo al momento in cui si erano realizzati i presupposti per il sorgere del credito, cioè il momento consumativo del fatto di evasione dell’imposta; reputava che, essendo stati posti in essere gli atti che avevano portato all’evasione fiscale negli anni 2007 e 2008 e considerando che il pagamento delle imposte avviene a conclusione dell’anno solare, l’avere proprio nel 2009 trasferito tutti i suoi beni e proprio al figlio, unitamente al fatto che il figlio si trovasse in una condizione di soggetto consapevole della idoneità lesiva dell’atto di alienazione, fossero idonei ad integrare gli elementi oggettivi e soggettivi richiesti per la revocatoria della compravendita.

Ragioni della decisione

Ricorso principale di T.P. .
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e l’illegittimità costituzionale della L. n. 311 del 2004, art. 10 bis in relazione all’Art. 3 Cost., sulla scorta del quale la Corte territoriale aveva ritenuto legittimata all’esercizio dell’azione revocatoria l’ADER.
Il giudice a quo, infatti, aveva fatto leva sulla ratio della L. n. 311 del 2014, volta a superare il principio della netta separazione tra titolarità del credito e titolarità dell’azione esecutiva, vigente nell’ordinamento tributario, mediante l’attribuzione di specifici poteri all’ente incaricato della riscossione, senza i quali solo il creditore effettivo, cioè l’ente pubblico che aveva provveduto alla formazione del ruolo, avrebbe potuto esercitare le azioni cautelari e conservative del credito.
Questa Corte ritiene che l’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dal ricorrente debba essere disattesa, per le seguenti ragioni:
– in primo luogo perché genericamente dedotta: il ricorrente si limita a dedurre un astratto allentamento delle tutele costituzionali, ma la sospettata violazione dei parametri costituzionali viene ad essere fondata sul mero presupposto di fatto costituito dalla deroga al diritto comune, in assenza di alcuno sforzo argomentativo volto a negare la giustificatezza di una differenziazione normativa, atteso che il principio di eguaglianza non vieta in assoluto trattamenti differenziati, ma solo quelli che risultino irragionevoli ed inadeguati rispetto al fine perseguito; nè diversa considerazione merita l’assunta incompatibilità della L. n. 311 del 2005, art. 10 bis con i principi della legittimazione processuale, anche questa genericamente formulata, vieppiù considerando che relativamente alla conformazione degli istituti processuali il legislatore fruisce di ampia discrezionalità (Cass.18/04/2019, n. 97); per finire nessun riferimento è rivolto all’eventuale inadeguatezza della tutela garantita dall’art. 17 dello statuto del contribuente che estende l’applicabilità delle norme contenute nelle precedenti disposizioni anche all’operato dei “soggetti che rivestono la qualifica di concessionari e di organi indiretti dell’amministrazione finanziaria, ivi compresi i soggetti che esercitano l’attività di accertamento, liquidazione e riscossione di tributi di qualunque natura”.
– in secondo luogo, perché non tiene conto che i connotati di specialità dell’assetto normativo del sistema esecutivo a tutela delle entrate tributarie è passato indenne attraverso varie censure di incostituzionalità, sull’assunto che tale specialità sia funzionale all’esigenza di pronta e sicura realizzazione del credito fiscale, non derivando da ciò la violazione del diritto di difesa del contribuente (cfr. ad es. Corte Cost. 20/11/2000, n. 455).
Va osservato, in particolare, che il dovere di concorrere al sostentamento della spesa pubblica trova proprio nel momento della riscossione la vera e propria realizzazione, che rende effettivo quell’obbligo di concorso. Se ne trae la convinzione che la riscossione del tributo è momento essenziale della vicenda/prelievo, poiché solo con la riscossione la spesa pubblica è concretamente finanziata e trova le risorse necessarie.
Non è un caso che il carattere di specialità si sia rafforzato con la pubblicizzazione dell’azione di recupero della c.d. “evasione da riscossione”. La rinnovata attenzione per la fase della riscossione coattiva cui è eventualmente funzionale l’utile esercizio dell’azione revocatoria è andata di pari passo con il progressivo allentamento dell’obbligo del c.d. “non riscosso come riscosso”, che aveva prodotto un sostanziale disinteresse dei concessionari per la realizzazione forzosa del credito tributario, alimentando la tendenza a sfuggire volontariamente all’adempimento dell’obbligo fiscale: tendenza che si concretizzava nella fase della riscossione e si manifestava tramite la sottrazione di beni all’esecuzione coattiva, mercè atti dismissivi più o meno simulati, o nella sistematica insolvenza del debitore iscritto a ruolo.
È proprio in questa chiave che sono stati adottati numerosi interventi aventi lo scopo di accentuare la natura pubblicistica del sistema di riscossione e l’incremento del tasso di efficacia dell’azione riscossiva.
Ai fini che qui interessano, peraltro, giova ricordare che questa Corte regolatrice, a Sezioni Unite, con la del 25/07/2007, n. 16412, ha chiarito che il contribuente interessato ad impugnare un atto della riscossione può esercitare l’azione “(…) indifferentemente nei confronti dell’ente creditore o del concessionario e senza che tra costoro si realizzi una ipotesi di litisconsorzio necessario(…)”. La sentenza è stata accolta con particolare favore dalla dottrina che ha valutato positivamente l’affermazione nei fatti di una sorta di legittimazione passiva alternativa. In particolare, l’ente creditore, quale titolare del diritto di credito oggetto di contestazione, è legittimato passivo per vizi imputabili tanto alla propria attività quanto all’attività dell’agente della riscossione.
L’insegnamento che se n’è tratto muove in direzione del rafforzamento e del riconoscimento del profilo unitario dell’amministrazione finanziaria che, nella gestione del rapporto tributario, si propone come interlocutore unico del contribuente, la giustificazione dei quali, secondo autorevole dottrina, risiede nel fatto che “non può esservi soluzione di continuità nella gestione dell’unitario procedimento volto alla realizzazione della pretesa tributaria che, avviato dall’ente impositore, si completa con la fase terminale della riscossione”.
Ciò spiega perché la letteratura specialistica guardi con sospetto ai tentativi di reintrodurre forme di scomposizione del collegamento tra l’agente della riscossione e gli enti creditori, secondo una visione evidentemente anacronistica dei ruoli e delle competenze, ove si consideri soprattutto che la separazione tra la titolarità del credito, attribuita al soggetto attivo del tributo, e la titolarità dell’azione esecutiva, riconosciuta all’ente incaricato della riscossione, aveva dimostrato tutti i suoi limiti, dando luogo ad un possibile giudizio diretto ad accertare il rispetto della normativa sul recupero del tributo iscritto a ruolo, in aggiunta ad un eventuale giudizio risarcitorio diretto ad accertare la legittimità delle misure esecutive adottate.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per mancata applicazione dell’art. 2901 c.c., comma 1, n. 2.
La tesi è che la Corte d’Appello abbia erroneamente individuato il momento della insorgenza del credito fiscale, il quale era diventato certo, liquido ed esigibile, solo con l’avviso di accertamento del 2012, e, di conseguenza, non si sia pronunciata in merito alla partecipatio fraudis, necessaria, ai sensi dell’art. 2901 c.c., essendo l’atto dispositivo anteriore rispetto al sorgere del credito.
Il motivo è inammissibile.
Costituisce ius receptum che il credito tributario si determini con riferimento agli anni di imposta e non con riferimento al momento del successivo accertamento.
Al verificarsi dei presupposti il contribuente è tenuto a liquidare l’imposta dovuta, a corrisponderla all’amministrazione finanziaria ed a comunicare l’avvenuta corresponsione; l’attività dell’amministrazione è diretta al controllo della dichiarazione, ma l’obbligazione tributaria nasce con il verificarsi dei relativi presupposti, sicché l’attività dell’amministrazione è da ritenersi strumentale rispetto all’accertamento di un credito già sorto e non può essere considerata sotto il profilo genetico dell’obbligazione.
Pertanto, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dell’orientamento di questa Corte, anche di recente ribadito da Cass. 09/04/2019, n. 9798.
Non vi sono nelle prospettazioni del ricorrente argomenti atti a mettere in discussione tale, peraltro, corretto assunto, essendosi T.P. limitato ad affermare assertivamente che, essendo stato l’avviso di accertamento notificato soltanto nel 2012, il quel momento il credito era diventato certo, liquido ed esigibile.
Tale ultima affermazione è introdotta senza alcuno sforzo di confutazione degli gli argomenti spesi dalla sentenza impugnata per richiamare la giurisprudenza di legittimità, secondo cui oggetto di revocatoria può essere anche un’aspettativa di credito e/o un credito litigioso, quindi un credito difettante dei caratteri della certezza, della liquidità e della esigibilità.
Ricorso incidentale di T.F. .
3. Il ricorso riproduce gli stessi motivi del ricorso principale e si basa sulle medesime argomentazioni.
4. In definitiva, entrambi i ricorsi devono essere rigettati.
5. Le spese tra il ricorrente principale e quello incidentale sono compensate.
5. Si dà atto che ricorrono i presupposti processuali per porre a carico di entrambi i ricorrenti l’obbligo del pagamento del doppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale.
Compensa le spese tra i due ricorrenti.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.