201410.08
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Tribunale di Cuneo, 17 gennaio 2014 (ord.), GUP Boetti (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il TRIBUNALE DI CUNEO

In persona del Giudice dell’udienza preliminare

Dott. Alberto BOETTI

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

DI RIMESSIONE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA

Nel procedimento penale contro

Seguono nomi di imputati

IMPUTATI

A) del reato di cui all’art. 416 comma 1 c.p., perché … costituiscono ed organizzano un’associazione allo scopo di commettere più delitti di cui agli artt. 2 e 8 D.Lgs. n. 74 del 2000, utilizzando il seguente procedimento:

– In base a precisi accordi vendite nazionali di Champagne vengono fatte apparire transazioni comunitarie ove figurano varie società interposte, operanti quali “cartiere” per abbattere il prezzo imponibile della merce. Tale operatività permette di disporre di prodotto ad un prezzo di gran lunga inferiore a quello di mercato che, inquinando il mercato stesso, può rivendere al proprio cliente di riferimento.

– la ditta P S.r.l., avendone piena consapevolezza, riceve fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse dalle cartiere;

– le “cartiere”, in quanto risultando importatrici di merce da fornitori esteri titolati ad effettuare la cessione e cedenti delle stesse alla P S.r.l., hanno omesso di presentare la relativa dichiarazione annuale dell’IVA o, avendola presentata, hanno, comunque, omesso di effettuare i relativi versamenti di imposta;

– la ditta P s.r.l. provvede ad annotare le fatture emesse dalle ditte sopra indicate nella propria contabilità, detraendo indebitamente l’IVA in esse riportata e, conseguentemente, presentando fraudolenta dichiarazione annuale relativa all’IVA

dal 2005 al 2008.

B) del reato di cui agli artt. 81 cpv., 110 c.p. e 8 D.Lgs. n. 74 del 2000

Imponibile Euro 1.425.491,34 + IVA 285.098,27 = Totale Euro 1.710.589,61

Vimodrone (MI), nelle date indicate in fattura.

C) del reato di cui agli artt. 81 cpv., 110 c.p. e 8 D.Lgs. n. 74 del 2000,

Imponibile Euro 1.079.800,63 + IVA 215.960,13 = Totale Euro 1.295.760,76

in Milano, nelle date indicate in fattura;

D) del reato di cui agli artt. 81 cpv., 110 c.p. e 8 D.Lgs. n. 74 del 2000,

ANNO 2005

Imponibile Euro 5.276.414,40 + IVA (20%) 1.055.282,88 = Totale Euro 6.331.697,28

E) del reato di cui all’art. 416 comma 1 c.p., perché, nelle loro rispettive qualità di…. hanno costituito ed organizzato un’associazione allo scopo di commettere più delitti di cui agli artt. 2 e 8 D.Lgs. n. 74 del 2000, utilizzando il seguente procedimento:

– la ditta P S.r.l., avendone piena consapevolezza, riceve fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse dalla ditta D;

– la ditta D risulta essere una “cartiera”, in quanto, avendo effettuato importazioni di merce da fornitori esteri titolati ad effettuare la cessione e cedendo le stesse alla P S.r.l., ha omesso di presentare la relativa dichiarazione annuale dell’IVA o, avendola presentata, ha, comunque, omesso di effettuare i relativi versamenti di imposta;

– la ditta P S.r.l. provvede ad annotare le fatture emesse dalle aziende sopra indicate nella propria contabilità, detraendo indebitamente l’IVA in esse riportata e, conseguentemente, presentando fraudolenta dichiarazione annuale relativa all’IVA;

– la P S.r.l., destinataria nazionale dei beni, provvede ad anticipare alla “cartiera” la quantità di denaro necessario per effettuare il pagamento al fornitore estero;

nel 2006;

F) artt. 81 cpv., 110 c.p. e 8 D.Lgs. n. 74 del 2000,

Imponibile Euro 698.196,00 + IVA (20%) 139.639,20 = Totale Euro 837.835,20

G) artt. 81 cpv., 110 c.p. e 2 D.Lgs. n. 74 del 2000,

27 ottobre 2006 (data della presentazione telematica della dichiarazione);

H) artt. 81 cpv., 110 c.p. e 2 D.Lgs. n. 74 del 2000,

27 settembre 2007 (data della presentazione telematica della dichiarazione);

I) artt. 81 cpv., 110 c.p. e 2 D.Lgs. n. 74 del 2000,

26 settembre 2008 (data della presentazione telematica della dichiarazione);

J) artt. 81 cpv., 110 c.p. e 2 D.Lgs. n. 74 del 2000, 16 settembre 2009 (data della presentazione telematica della dichiarazione);

K) art. 416 comma 1 c.p., perché, costituiscono ed organizzano un’associazione allo scopo di commettere più delitti di cui agli artt. 2 e 8 D.Lgs. n. 74 del 2000, utilizzando il seguente procedimento:

– le ditte X, Y, Z emettono dichiarazioni di intento false aventi ad oggetto l’acquisto o l’importazione di beni senza l’applicazione dell’IVA;

– la ditta P s.r.l., sulla base della ricezione delle suddette dichiarazioni di intento di cui conosce la falsità, emette fatture per operazioni soggettivamente inesistenti in regime di non imponibilità IVA ai sensi dell’art. 8 D.P.R. n. 633 del 1972 nei confronti delle ditte dianzi specificate, aventi ad oggetto vendita di bevande di vario genere;

– le ditte in questione, a loro volta, senza avere la materiale disponibilità della merce, emettono fatture per operazioni soggettivamente inesistenti nei confronti delle ditte A, B, C

– le sopraccitate ditte provvedono ad annotare le fatture di cui al punto precedente nella propria contabilità, detraendo indebitamente l’IVA in esse indicata e, conseguentemente, presentando fraudolenta dichiarazione annuale relativa all’IVA, e ad immettere le bevande sul mercato ad un prezzo inferiore a quello che potrebbe essere concretamente praticato in regime di regolare assolvimento degli obblighi fiscali.

nel periodo dal 2006 al 2008;

L) artt. 81 cpv., 110 c.p. e 8 D.Lgs. n. 74 del 2000,

ANNO 2005

Imponibile ex art. 8 D.P.R. n. 633 del 1972 Euro 1.030.028,21 + IVA (20%) 206.005,64 = Totale Euro 1.236.033,85

ANNO 2006

Imponibile ex art. 8 D.P.R. n. 633 del 1972 Euro 467.497,30 + IVA (20%) 93.499,46 = Totale Euro 560.996,76

ANNO 2007

Imponibile ex art. 8 D.P.R. n. 633 del 1972 Euro 686.288,63 + IVA (20%) 137.257,73 = Totale Euro 823.546,36

ANNO 2008

Imponibile ex art. 8 D.P.R. n. 633 del 1972 Euro 1.219.557,52 + IVA (20%) 243.911,50 = Totale Euro 1.463.469,02

Fatture emesse dalla P Srl nei confronti della L.B.S. TRADING S.r.l.:

ANNO 2009

Numero 79 del 20/01/2009

Imponibile ex art. 8 D.P.R. n. 633 del 1972 Euro 60.517,76 + IVA (20%) 60.517,76 = Totale Euro 72.621,31

Numero 219 del 17/02/2009

Imponibile ex art. 8 D.P.R. n. 633 del 1972 Euro 62.211,90 + IVA (20%) 12.442,38 = Totale Euro 74.654,28

Numero 315 del 06/03/2009

Imponibile ex art. 8 D.P.R. n. 633 del 1972 Euro 52.195,26 + IVA (20%) 10.439,05 = Totale Euro 62.634,31

Numero 525 del 08/04/2009

Imponibile ex art. 8 D.P.R. n. 633 del 1972 Euro 47.686,20 + IVA (20%) 9.537,24 = Totale Euro 57.223,44

Numero 686 del 29/04/2009

Imponibile ex art. 8 D.P.R. n. 633 del 1972 Euro 85.106,00 + IVA (20%) 17.021,20 = Totale Euro 102.127,20

Numero 772 del 08/05/2009

Imponibile ex art. 8 D.P.R. n. 633 del 1972 Euro 54.510,68 + IVA (20%) 72.445,56 = Totale Euro 65.412,82

Per un TOTALE di Euro 362.227,80 + IVA (20%) 72.445,56 = 434.673,36

nelle date indicate in fattura.

Identificata la persona offesa in: Agenzia delle Entrate (Ministero dell’Economia e delle Finanze)

Letta la richiesta di rinvio a giudizio da parte del P.M. dott. Massimiliano BOLLA,

visti tutti gli atti del procedimento;

sentite le parti all’udienza del 17.1.14,


Svolgimento del processo – Motivi della decisione


1. I risultati delle indagini che hanno portato al presente procedimento

1.1. Il presente procedimento trae origine da complesse indagini svolte dal Nucleo di Polizia Tributaria di Cuneo, del cui esito occorre qui dare atto perché emerga la gravità delle condotte oggetto del presente procedimento.

In data 1 ottobre 2008 detto Nucleo ha dato inizio ad una verifica fiscale nei confronti della P S.r.l.

OMISSIS

2. L’attuale fase processuale

A seguito di richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dei sopra citati imputati, il Tribunale di Mondovì fissava l’udienza preliminare.

All’udienza fissata, le difese sollevavano eccezioni procedurali che facevano regredire il procedimento alla fase delle indagini preliminari.

Conclusi gli adempimenti relativi alle indagini preliminari, il pubblico ministero presentava nuovamente richiesta di rinvio a giudizio.

Nel frattempo il Tribunale di Mondovì veniva accorpato al Tribunale di Cuneo (in attuazione della riforma delle circoscrizioni giudiziarie) ed il sottoscritto veniva designato quale giudice dell’udienza preliminare.

Alla prima udienza avanti al sottoscritto, il difensore di S lamentava l’irregolarità della notifica dell’avviso dell’udienza al proprio assistito.

Il sottoscritto disponeva, pertanto, il rinnovo della notifica dell’avviso, rinviando il processo alla presente udienza.

Al fine di ottenere nuovamente una regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari (nella evidente aspettativa di giungere alla prescrizione prima di una condanna), i difensori sollevavano una lunga serie di eccezioni, ritenute dal sottoscritto destituite di fondamento.

Sgomberato il campo dalle numerose eccezioni sollevate, il sottoscritto si trova a dover emanare due tipi di decisione.

Da un lato, nei confronti dell’imputato A G, il sottoscritto dovrebbe emanare una sentenza di non luogo a procedere per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione.

Dall’altro, dovrebbe emanare decreto di rinvio a giudizio nei confronti dei restanti imputati fissando udienza avanti al giudice del dibattimento (terza fase del procedimento penale italiano in primo grado).

3. La normativa sostanziale applicabile

Il Giudice dovrebbe applicare nel caso di specie le norme del codice penale italiano che si riportano qui di seguito per esteso:

Art. 157.

Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere.

La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria.

Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell’aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante. Non si applicano le disposizioni dell’articolo 69 e il tempo necessario a prescrivere è determinato a norma del secondo comma. Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva. Quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applica il termine di tre anni. La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall’imputato. La prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena dell’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti.

Art. 158.

Decorrenza del termine della prescrizione

Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole; per il reato permanente, dal giorno in cui è cessata la permanenza. Quando la legge fa dipendere la punibilità del reato dal verificarsi di una condizione, il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui la condizione si è verificata. Nondimeno nei reati punibili a querela, istanza o richiesta, il termine della prescrizione decorre dal giorno del commesso reato.

Art. 159.

Sospensione del corso della prescrizione.

Il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge, oltre che nei casi di: 1) autorizzazione a procedere; 2) deferimento della questione ad altro giudizio; 3) sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore. In caso di sospensione del processo per impedimento delle parti o dei difensori, l’udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell’impedimento, dovendosi avere riguardo in caso contrario al tempo dell’impedimento aumentato di sessanta giorni. Sono fatte salve le facoltà previste dall’articolo 71, commi 1 e 5, del codice di procedura penale. Nel caso di autorizzazione a procedere, la sospensione del corso della prescrizione si verifica dal momento in cui il pubblico ministero presenta la richiesta e il corso della prescrizione riprende dal giorno in cui l’autorità competente accoglie la richiesta. La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione.

Art. 160.

Interruzione del corso della prescrizione.

Il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna o dal decreto di condanna. Interrompono pure la prescrizione l’ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell’arresto, l’interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o al giudice, l’invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l’interrogatorio, il provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione, la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di fissazione della udienza preliminare, l’ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, il decreto di fissazione della udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena, la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo, il decreto che dispone il giudizio immediato, il decreto che dispone il giudizio e il decreto di citazione a giudizio. La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall’ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell’articolo 157 possono essere prolungati oltre i termini di cui all’articolo 161, secondo comma, fatta eccezione per i reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale.

Art. 161.

Effetti della sospensione e della interruzione.

La sospensione e l’interruzione della prescrizione hanno effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato.

Salvo che si proceda per i reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, della metà nei casi di cui all’articolo 99, secondo comma, di due terzi nel caso di cui all’articolo 99, quarto comma, e del doppio nei casi di cui agli articoli 102, 103 e 105.

4. Le conseguenze dell’applicazione delle norme nel caso di specie

I reati fiscali attribuiti agli imputati sono puniti, dal D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000, con la reclusione fino a 6 anni di reclusione.

Il delitto di associazione per delinquere, del quale sono altresì ritenuti responsabili, è, invece, punito dall’art. 416 del codice penale con la reclusione fino a 7 anni per gli organizzatori dell’associazione e fino a 5 anni per il mero partecipe.

I reati loro attribuiti non rientrano fra quelli elencati nei commi 3 bis e quater dell’art. 51 del codice di procedura penale

Né gli imputati hanno riportato precedenti condanne tali da rientrare nella previsione degli artt. 99, 102, 103 e 105 del codice penale riguardanti rispettivamente i casi più gravi di recidiva, delinquenza abituale e professionale.

Ne deriva che per gli organizzatori dell’associazione per delinquere il termine di prescrizione è di 7 anni mentre per tutti gli altri è di 6 anni.

L’ultimo atto interruttivo è il decreto di fissazione della udienza preliminare.

Nonostante tale interruzione, il termine non può essere prorogato oltre i 7 anni e 6 mesi dal fatto o (per l’organizzazione dell’associazione per delinquere) gli 8 anni e 9 mesi.

Sulla base delle date di consumazione dei reati contestati, si può facilmente prevedere, fin da ora con assoluta certezza, che tutti i reati si prescriveranno, al più tardi, in data 8.2.2018, vale a dire fra appena 4 anni.

Invece, i delitti commessi da A G sono già prescritti fin dal giorno 11.5.13 (prima ancora che il sottoscritto fosse designato quale Giudice dell’udienza preliminare), avendo consumato l’ultimo reato in data 11/11/2005, come si ricava dalla stessa formulazione del capo d’imputazione D.

Infatti, per il suo ruolo di mero prestanome, non può ritenersi più di un partecipe (a dispetto di quanto contestatogli nel capo d’imputazione A) sicché la pena massima applicabile è pari a 6 anni, con termine di prescrizione (prorogato a seguito d’interruzione) pari a 7 anni e mezzo.

In altre parole, soggetti che hanno commesso reati per evadere l’IVA per milioni di Euro, sfruttando norme emanate in attuazione di direttive comunitarie, godono e godranno presto di una completa impunità garantita da una norma interna.

5. Gli effetti oggettivi della normativa italiana

Si potrebbe pensare che questo esito scandaloso sia dovuto a qualche peculiarità del presente procedimento.

In realtà, trattasi di un esito prevedibile fin dal principio, a causa del tenore dell’ultimo comma dell’art. 160 codice penale che non arresta il decorso della prescrizione durante il procedimento consentendo (per la stragrande maggioranza degli imputati) solo un prolungamento del termine di appena un quarto.

Ora, i reati fiscali commessi dagli imputati, così come gli altri reati economici, comportano normalmente indagini molto complesse.

E’ evidente che per accertare uno spaccio di stupefacenti può bastare una perquisizione, mentre per accertare un reato fiscale sono spesso necessarie lunghe e complesse indagini che comportano la disamina di migliaia di documenti (da acquisire presso uffici diversi non sempre collaborativi) e l’espletamento di valutazioni delicate, implicanti conoscenze specialistiche.

La conseguenza è che il procedimento dura già molto nella fase delle indagini preliminari, proprio come avvenuto nel caso di specie, in cui, comunque, nessuno può mettere in dubbio l’accuratezza e tempestività delle stesse.

A questa fase segue l’udienza preliminare (quella che in cui si trova il presente procedimento) in cui il Giudice deve valutare se gli atti d’indagine consentano di prevedere la futura condanna dell’imputato.

Una volta disposto il rinvio a giudizio, inizia la fase dibattimentale in cui tutti i testimoni, pur essendo già stati interrogati dal pubblico ministero, debbono essere interrogati nuovamente nel contraddittorio delle parti davanti al giudice.

L’istruttoria dibattimentale si conclude con la discussione e la pronuncia del dispositivo della sentenza.

Un rigoroso obbligo di motivazione impone al giudice di dare dettagliatamente atto di tutte le ragioni che sostengono la decisione.

Tale onere è così stringente che nei casi come quello di specie ben difficilmente potrà essere assolto in meno dei 90 giorni consentiti dall’art. 544 comma 3 del codice di procedura penale.

La sentenza di primo grado è, nella stragrande maggioranza delle ipotesi, appellata.

Terminato il giudizio di appello, viene proposto ricorso per cassazione alla Suprema Corte.

La durata del procedimento rende quindi l’impunità in Italia non un caso raro ma la norma.

Trattasi di un obiettivo facilmente raggiungibile per il quale i difensori degli imputati prodigano grande impegno, cosa avvenuta puntualmente anche nel presente procedimento.

La drammaticità della situazione è ben rappresentata nell’ultima relazione del Procuratore generale presso la Suprema Corte di Cassazione, il quale, per il proprio ruolo istituzionale, si trova nella posizione migliore per descriverla accuratamente

A pagina 55 della predetta relazione, il Procuratore affronta specificamente il problema della prescrizione, rilevando che: “La giustizia penale è oggi assediata dai numeri: annualmente affluiscono negli uffici di procura oltre 3.500.000 notizie di reato. Quello del servizio giustizia è un prodotto la cui qualità è messa in dubbio dalla difficoltà di gestire una quantità che tracima ben oltre le risorse umane ed organizzative disponibili.

Una giustizia penale assediata dai numeri non rischia solo di risultare inefficiente nell’alto “servizio” sociale cui adempie, ma corre il pericolo di intaccare o depotenziare le garanzie individuali degli imputati, di ciascun imputato.

La comune vulgata secondo cui una giustizia asfittica ed inefficiente ridonda a favore del reo è, appunto, null’altro che un luogo comune: in realtà, le garanzie funzionano al massimo grado solo se beneficiano delle complessive economie di scala dell’intero sistema e sono davvero assicurate solo nelle condizioni ottimali di esercizio della giurisdizione.

La necessità di dichiarare la “complessità del dibattimento” per evitare la scadenza dei termini massimi di custodia cautelare o la ricerca di tesi interpretative ardue per evitare una declaratoria di prescrizione del reato sono solo alcuni dei molti possibili esempi di come l’elefantiasi del sistema penale scolorisca le garanzie individuali.

Non senza considerare che una giustizia penale inefficiente è – secondo precisi indicatori sociali – una delle principali cause di sfiducia istituzionale dei cittadini; e ben si conoscono i successivi esiti “a cascata” che un tale avvilimento collettivo è idoneo a generare: dall’allentamento della coesione sociale alla minor propensione all’investimento economico. Una catena negativa praticamente infinita ed i cui ultimi anelli neppure è possibile intravedere.

D’altra parte, sono sempre i numeri ad evidenziare che la situazione italiana, anche per ciò che attiene alla fase delle indagini preliminari, rischia di divenire davvero un unicum nell’intero panorama europeo.

Gli oltre 1,6 milioni di notizie di reato sopravvenienti a carico di soggetti noti (con iscrizione, dunque, della notizia di reato nel c.d. modello 21) trattate dalle nostre procure (dato riferito al 2010) pongono il nostro paese, come rilevato dalla CEPEJ, ai primissimi posti della classifica redatta dal medesimo organismo, che vede l’Italia seconda solo alla Turchia con 1,8 milioni di procedimenti. Probabilmente, in assoluto, l’Italia occupa il terzo posto tra i 47 paesi del Consiglio d’Europa (in quanto la Russia, pur non avendo comunicato questo dato, avrà verosimilmente un ammontare superiore in valore assoluto quanto alle notizie di reato a carico di persone note). Se poi si guarda al dato assoluto dei procedimenti che per la CEPEJ sono considerati gravi (quindi, nel sistema italiano, con l’esclusione di quelli di competenza del giudice di pace), essi sono pari a 1.359.884 (sempre in riferimento all’anno 2010).

Rispetto a tale dato, l’Italia è prima in Europa (compresa la Federazione Russa, che ne dichiara poco più di un milione).

L’indicatore italiano di 2.243 severe criminal cases (appunto, crimini gravi) per 100.000 abitanti è il più alto in Europa (dopo San Marino, con 2.310; ma i piccoli Stati sono, com’è noto, poco rappresentativi negli indicatori pro capite).

Si tratta dei punti nevralgici della giurisdizione penale: oltre tre milioni e mezzo di nuove notizie di reato ogni anno (ancorché in esse comprese tutte le nuove iscrizioni, di qualunque genere, nei registri degli uffici di procura) costituiscono una mole di affari penali che pochi sistemi, efficienti e di avanzata tecnologia, sarebbero in grado di gestire. D’altra parte, 128.000 prescrizioni dichiarate in un anno (2010; fonte: Ministero della giustizia) rappresentano una percentuale di impunità sostanziale intollerabile per la credibilità del sistema.

Approcci altrettanto radicali devono essere pensati per il tema della prescrizione.

Attraverso questo istituto di diritto sostanziale è oggi messo in crisi lo strumento processuale: il processo diviene, con i suoi tempi dilatati ed i suoi gradi, il mezzo attraverso cui inseguire – proprio da parte dei soggetti che mai potrebbero sperare in una pronuncia assolutoria – una declaratoria di estinzione del reato.

La soluzione non può che essere quella di una sostanziale sterilizzazione del decorso della prescrizione dopo la sentenza di condanna di primo grado: se la prescrizione è la “sanzione” per uno Stato che manifesta indifferenza rispetto alla pretesa punitiva, proprio tale ratio esclude che in presenza di un accertamento di condanna, ancorché non definitivo,

possa profilarsi una perenzione del reato.

È ovvio come una soluzione di tal genere esiga poi una “alternativa acceleratoria”: qualcosa, cioè, che svolga quella funzione di “pungolo” nella fissazione e definizione dei processi oggi svolta dalla prescrizione soprattutto nella fase dell’appello.

Le soluzioni tecniche non mancano, ancorché troppo complesse per essere anche solo accennate in questa sede: può soltanto evidenziarsi che il sistema italiano attuale, con l’implacabilità di un decorso prescrittivo che giunge fino al grado di legittimità e persino dopo una “doppia conforme” di condanna, costituisce davvero un unicum nel panorama degli ordinamenti occidentali. Come lo sono, d’altra parte, gli oltre 50.000 ricorsi che, ogni anno, sopravvengono in Cassazione”.

Le parole del Procuratore generale sono molto importanti perché rivelano che la decorrenza della prescrizione durante il processo costituisce un problema oggettivo che non dipende da fattori accidentali o transitori.

Sicuramente non potrà mai addossarsene la colpa alla magistratura visto che, per la capacità di definizione annua di procedimenti penali, i giudici italiani risultano al 1 posto in Europa, con un indice di definizione pari a 1.168.044, a fronte di 864.231 della Germania, 655.737 della Francia, 437.000 della Russia e 388.317 della Spagna

6. I precedenti normativi

Nessuno potrà difendere l’attuale formulazione della norma sull’interruzione della prescrizione appellandosi nostalgicamente alla tradizione italiana.

Infatti, il celebre codice penale Zanardelli (approvato con R.D. del 30 giugno 1889, n. 6133) al penultimo comma dell’art. 93 stabiliva semplicemente che “la prescrizione interrotta comincia a decorrere dal giorno dell’interruzione” e, in tal modo, frustrava in radice manovre finalizzate a sfruttare i tempi del processo per far prosciogliere i rei.

Ora va rimarcato che il codice Zanardelli rappresenta una tappa gloriosa della scienza giuridica italiana ed abbraccia il periodo liberale ed autenticamente laico della storia nazionale.

Al contrario, la prima volta che lo Stato italiano ha previsto che la prescrizione decorresse anche durante il procedimento penale è stato in epoca fascista tramite il c.d. Codice Rocco attualmente ancora in vigore (approvato con R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398).

All’epoca però l’art. 160 ultimo comma prevedeva che i termini di prescrizione non potessero essere prolungati oltre la metà ed i termini di prescrizione erano comunque più lunghi.

L’attuale formulazione dell’art. 160 c.p. risale alla L. n. 251 del 5 dicembre 2005, conosciuta in Italia con il brutto nome di “ex Cirielli” perché inizialmente proposta (e poi sconfessata) dal deputato Edmondo Cirielli

Sui reali motivi che spinsero all’approvazione della legge si stende un velo pietoso, essendo gli stessi noti anche all’estero

7. Comparazione con gli altri ordinamenti europei

Ben diversa è la situazione degli altri paesi facenti parte dell’Unione Europea.

Il sottoscritto ha cercato di estendere la comparazione a tutti i Paesi membri.

Non comprendendo correttamente il greco, tuttavia, non gli è stato possibile verificare le norme del Codice penale rispettivamente di Grecia e Cipro che non risultano accessibili on line.

La mancanza di riferimenti agli ordinamenti di Grecia e Cipro dipende quindi esclusivamente da ignoranza del sottoscritto.

In materia di interruzione della prescrizione, gli ordinamenti giuridici degli Stati membri possono raggrupparsi per comodità nei seguenti gruppi:

1) ordinamenti che non contemplano la prescrizione in materia penale;

2) ordinamenti che prevedono l’interruzione della prescrizione senza stabilire termini massimi;

3) ordinamenti che non fanno decorrere la prescrizione durante il procedimento penale;

4) ordinamenti che prevedono dopo l’interruzione un notevole prolungamento del termine iniziale;

5) ordinamenti con termini di prescrizione così lunghi da non necessitare di norme sull’interruzione durante il procedimento penale.

8. Ordinamenti che non contemplano la prescrizione in materia penale

La prescrizione non decorre durante il procedimento penale:

-nel Regno Unito, come si desume dall’art. 127 del Magistrates Court Act 1980,

– in Eire, come si ricava dall’art. 7 del Criminal Justice Act 1951.

9. Ordinamenti che prevedono l’interruzione della prescrizione senza stabilire termini massimi.

In base al comma 2 dell’art. 7 ed ai successivi articoli 8 e 9 del codice di procedura penale francese, la prescrizione si realizza solo trascorso nuovamente tutto il termine di prescrizione dall’ultimo atto istruttorio o processuale.

Nel Code d’instruction criminelle del Belgio, l’art. 22 comma 1 stabilisce che qualsiasi atto d’istruzione interrompe il termine di prescrizione. Il comma 2 chiarisce che il termine ricomincia interamente a decorrere dall’avvenuta interruzione.

In Spagna, ai sensi dei commi 2 e ss. dell’art. 132 del Codice penale, l’interruzione della prescrizione toglie qualsiasi efficacia al tempo trascorso. Essa dipende da qualsiasi provvedimento giudiziale motivato in cui si attribuisca ad un soggetto (sufficientemente identificato) la partecipazione ad un delitto o una contravvenzione (falta).

Per la sezione 3 del capitolo 8 del Codice penale finlandese, la prescrizione è interrotta dalla notifica all’imputato di un ordine di comparizione o da una richiesta di condanna fatta in sua presenza all’udienza.

Ai sensi della sezione 4, il termine può essere prorogato di un anno durante le indagini (vale a dire prima dell’atto interruttivo) in casi particolari.

Va, inoltre, tenuto conto che il termine di prescrizione minimo è di 10 anni per i reati puniti con la reclusione fino a 2 anni o la multa.

Ai sensi dell’art. 693 del Codice penale maltese, qualsiasi atto del procedimento provoca l’interruzione della prescrizione, facendo decorrere nuovamente il termine dal giorno dell’interruzione.

In base al comma 3 dell’art. 67 del Codice penale ceco approvato nel 2009 (trestní zákoník), la prescrizione è interrotta da qualsiasi atto del procedimento compiuto da un organo di polizia o giudiziario. Il comma 4 del medesimo articolo ricollega all’interruzione la decorrenza di un nuovo termine di prescrizione.

In base ai commi 3 e 4 della sezione 87 del Codice penale slovacco, il termine di prescrizione è interrotto, ricominciando a decorrere da capo, dalla presentazione della richiesta di rinvio a giudizio e da ogni atto successivo del procedimento.

Inoltre, la presentazione di una denuncia o di una querela sospende la prescrizione per 6 mesi (se si tratta di delitto) o 2 mesi (se si tratta di contravvenzione).

La sezione 35 comma 1 del codice penale ungherese stabilisce che l’interruzione della prescrizione (dovuta al compimento di un atto del procedimento penale) fa nuovamente decorrere il termine di prescrizione dal giorno in cui si verifica.

10. Ordinamenti che non fanno decorrere la prescrizione durante il procedimento penale.

In Austria, ai sensi del paragrafo 58 (3) del Codice penale, nel termine di prescrizione non si calcola il tempo che trascorre dal primo atto d’indagine alla conclusione del processo.

Ai sensi del comma 3 del paragrafo 58 del Codice penale del Liechtenstein, nel periodo di prescrizione non si calcola il tempo necessario ad iniziare l’azione penale ed il tempo del processo.

Per il comma 5 del 94 del Codice penale danese (Straffeloven), la prescrizione è interrotta allorché l’imputato viene a conoscenza delle accuse e non decorre durante il processo a meno che questo rimanga sospeso indefinitamente.

Analogamente, ai sensi dell’art. 82 del Codice penale islandese, il termine di prescrizione è interrotto dall’inizio delle indagini a meno che queste rimangono in sospeso indefinitamente.

Per l’art. 56 comma 2 del Codice penale della Lettonia, la prescrizione decorre solo fino a che non venga formulata l’imputazione o venga richiesta l’estradizione o emanato un mandato di cattura.

Ai sensi del comma 7 del paragrafo 81 del Codice penale dell’Estonia, la prescrizione è interrotta per tutto il tempo di durata del procedimento penale.

L’art. 140 del Codice penale della Romania stabilisce che il termine di prescrizione è interrotto da qualsiasi atto del procedimento notificato all’indagato o imputato. Dopo ogni interruzione decorre un nuovo termine.

Sebbene l’ultimo comma prevede che il termine di prescrizione non può essere allungato per più della metà, si eccettua il caso che il processo penale sia pendente.

Sotto tale profilo, che appare prevalente, si è quindi ritenuto di includere l’ordinamento romeno nel gruppo 3.

11. Ordinamenti che prevedono dopo l’interruzione un notevole prolungamento del termine iniziale.

In base al paragrafo 78 C (3) del Codice penale tedesco, l’interruzione della prescrizione comporta il raddoppio dei termini di prescrizione, peraltro in un contesto di ammirevole efficienza del sistema giudiziario (il secondo nel mondo dopo la Norvegia).

Ai sensi dell’art. 72 del Codice penale neerlandese, ogni atto di esercizio dell’azione penale (daad van vervolging) interrompe la prescrizione, facendo decorrere un nuovo termine. A seguito di interruzione, il termine di prescrizione (verjaringstermijn) non può superare il doppio (twee maal) del termine previsto dalla legge.

Per l’art. 20 del Codice penale croato, ogni atto del procedimento provoca l’interruzione della prescrizione, facendo decorrere nuovamente il termine. Viene in ogni caso posto un tetto massimo pari al doppio del termine di prescrizione.

A norma dell’art. 95 del Codice penale lituano, l’arresto, la confessione del reo o la notifica della sentenza interrompono la prescrizione.

Peraltro, ai sensi del comma 3, nessuno può essere condannato decorsi 15 anni dal fatto o, se si tratta di omicidio premeditato, 20 anni, fatta salva la commissione di un nuovo reato (evento che comporta l’interruzione della prescrizione anche per il reato precedente)

Per l’art. 637 del Code d’instruction criminelle del Lussemburgo, l’azione penale per un “crime” si prescrive in 10 anni dall’ultimo atto interruttivo (atto d’indagine o processuale), in 5 se si tratta di un “délit correctionnel” ed in un anno se si tratta di una “contravention de police”.

Ai sensi dell’art. 102 del Codice penale polacco, l’inizio dell’azione penale provoca l’allungamento dei termini di prescrizione (assai più lunghi di quelli italiani) di 5 anni.

In base all’articolo 121 comma 1 del codice penale portoghese, la prescrizione s’interrompe allorché un soggetto è iscritto nell’elenco dei sospettati (constituição de arguido), con la notifica dell’accusa o di qualche decisione istruttoria o la notifica della richiesta di irrogazione della pena nel c.d. processo “sumaríssimo”, la dichiarazione di contumácia, o con la notificazione del decreto di fissazione dell’udienza.

Il comma 2 chiarisce che dopo ogni interruzione ricomincia a decorrere il termine di prescrizione.

Ai sensi del comma 3 la prescrizione del procedimento penale si verifica quando, tolto il tempo di sospensione, è decorso il termine normale di prescrizione aumentato della metà. Peraltro, allorché il termine di prescrizione è inferiore a due anni, il termine di prescrizione è raddoppiato.

In base all’articolo 81 del codice penale bulgaro (in vigore dall’1.5.1968), qualsiasi atto del procedimento interrompe la prescrizione.

In ogni caso il procedimento penale sarà estinto decorso il termine massimo di prescrizione aumentato della metà.

12. Ordinamenti con termini di prescrizione così lunghi da non necessitare di norme sull’interruzione durante il procedimento penale.

La Svezia, nella sezione 6 del capitolo 35 del suo codice penale, contempla giustamente termini di prescrizione molto lunghi (15 anni per reati puniti fino a 2 anni di reclusione, per quelli puniti con pene più alte il termine è pari a 30 anni).

Orbene, in un contesto di altissima efficienza del suo sistema giudiziario ed ammirevole livello di onestà dei cittadini, la Svezia non ha neppure bisogno di una norma sull’interruzione della prescrizione durante il processo.

Anche l’articolo 90 del codice penale sloveno prevede termini di prescrizione così alti da non correre i rischi dell’ordinamento italiano.

Basti considerare che per reati puniti con la reclusione fino ad un anno il termine di prescrizione è di 6 anni, per quelli fino a 5 anni è di 10 anni, per quelli fino a 10 anni (come quasi tutti i reati economici italiani) è di 20 anni, e così via fino ad un massimo di 50 anni.

13. Le ripercussioni per gli altri Stati membri

Potrebbe ritenersi che, se lo Stato italiano trascura i propri interessi (come quello al corretto adempimento degli oneri tributari) ed i diritti dei propri cittadini (anche di rango costituzionale) al punto da introdurre una norma che vanifica l’esercizio dell’azione penale, trattasi di un affare interno che non interessa l’Unione europea.

Con la presente ordinanza, si vuole però dimostrare che, data la stretta rete di rapporti che ormai legano l’Italia agli altri Paesi dell’Unione europea, i pregiudizi che la norma interna comporta per gli altri Stati pone la stessa in contrasto con diverse norme comunitarie, facendo assurgere alla questione qui sollevata rilievo comunitario.

Le norme comunitarie che si ritengono violate verranno richiamate brevemente nel prosieguo al fine di sollecitare la loro interpretazione da parte della Corte Europea.

Ciò che si chiede è se tali norme consentano (ed in quali limiti) oppure n. ad uno Stato di mantenere una norma che consenta di prosciogliere dei rei nonostante l’azione penale sia stata tempestivamente esercitata.

14. La normativa sulla concorrenza

L’articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (ex articolo 81 del TCE) dichiara espressamente incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno.

Orbene, finendo per garantire l’impunità alle imprese che violano le norme penali, l’art. 160 c.p. autorizza, seppure indirettamente, la concorrenza sleale da parte di operatori economici senza scrupoli con sede in Italia nei confronti di imprese estere.

Queste ultime si trovano, indubbiamente, svantaggiate perché si ritrovano vincolate da normative alle quali non possono sfuggire facilmente come avviene in Italia.

Rappresenta, infatti, un’osservazione evidente che il rispetto della normativa rappresenta sempre un costo per ogni impresa, sebbene comporti in ultima analisi grandi benefici per la collettività in cui l’impresa stessa è inserita.

E’ notorio che, per rendere sicuri i luoghi di lavoro occorre fare degli investimenti talvolta molto onerosi.

Ora, in Italia le violazioni delle norme antinfortunistiche costituiscono contravvenzioni che si prescrivono, nonostante le indagini ed il successivo procedimento penale, in un termine massimo di 5 anni (4+1 come s’è visto sopra) dal fatto (v. art. 157 e ss. D.Lgs. n. 181 del 2008).

Un’altra pesante voce di bilancio è costituita dai costi per rispettare la normativa sull’inquinamento.

Orbene, tranne il caso di attività organizzate per il traffico di rifiuti ad alta radioattività (condotta punita con pena massima di 8 anni, che si prescrive quindi dopo 8 anni prorogabili a 10 se vi è interruzione), i reati in materia ambientale sono tutti contravvenzioni che si prescrivono in un termine massimo di 5 anni dal fatto (v. artt. 255 e ss. del D.Lgs. n. 152 del 2006).

Lo stesso termine riguarda i reati societari (artt. 2621 e ss. codice civile) grazie ai quali un’impresa può drenare i risparmi degli investitori con false comunicazioni al pubblico (tipicamente bilanci falsi).

Inoltre, se un imprenditore ottiene dei vantaggi corrompendo un incaricato d’un pubblico servizio (art. 320 c.p.) o istiga alla corruzione un pubblico funzionario (art. 322 comma 2 c.p.), commette un delitto che si prescrive in 7 anni e mezzo dal fatto, a dispetto della difficoltà di accertare condotte clandestine vantaggiose per tutti i soggetti coinvolti.

Se l’imprenditore italiano decide di risparmiare sui contributi previdenziali che deve versare per i suoi dipendenti, commette un reato (art. 2 comma 1 bis L. n. 638 del 1983) che si prescrive sempre in 7 anni e mezzo dal fatto.

Lo stesso avviene se:

-con la truffa si procura forniture che poi non paga (art. 640 c.p. punito con pena fino ad anni di reclusione);

-con la truffa riesce a piazzare prodotti che i clienti non avrebbero mai acquistato (art. 640 c.p.);

-assume obbligazioni che non intende onorare, dissimulando il proprio stato d’insolvenza (art. 641 c.p.);

-si appropria del denaro o di altri beni che gli sono stati affidati da terzi in buona fede (art. 646 c.p.);

-sottrae beni sottoposti a sequestro penale o amministrativo (art. 334 c.p.);

-impedisce ai suoi creditori di procedere all’esecuzione delle sentenze o dei decreti ottenuti contro di lui, magari dopo anni di processi civili, facendo sparire i beni da pignorare o con altri stratagemmi (art. 388 c.p.);

-evade la normativa fiscale (come nel caso di specie).

La presenza negli altri ordinamenti penali e processuali di norme ben diverse da quella italiana fa sì che le imprese sottoposte agli stessi non possano presentarsi sul mercato con proposte convenienti come quelle di chi sa che non subirà le conseguenze dei suoi atti illeciti.

15. Aiuti di stato

L’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (ex articolo 87 del TCE) dichiara incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.

La normativa italiana qui esaminata integra una delle possibili forme in cui lo Stato può favorire talune imprese falsando la concorrenza.

Infatti, permettendo che le indagini ed i successivi procedimenti penali non pervengano al risultato per cui esistono (punire i colpevoli), viene offerto un aiuto di Stato ad una classe di imprenditori: quelli senza scrupoli morali, in altre parole i peggiori, quelli che ogni Stato dovrebbe addirittura escludere dal mondo economico. Trattasi di soggetti, per definizione, molto pericolosi per i concorrenti.

A questo proposito, forse la Corte di Giustizia dispone di maggiori strumenti per accertare gli effetti negativi che le condotte degli attuali imputati hanno avuto sul commercio dello Champagne in Europa.

16. Norme su IVA

La direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, si propone (considerando 27) anche di contrastare l’elusione o l’evasione fiscale.

Le esenzioni all’applicazione della normativa sono disciplinate nel TITOLO IX.

All’articolo 158, paragrafo 1, vengono indicate alle lettere da a) a c) diverse facoltà di esenzione.

In base al paragrafo 2, se gli Stati membri si avvalgono delle facoltà di esenzione di cui al paragrafo 1, lettera a), devono adottare le misure necessarie per assicurare l’applicazione corretta e semplice di detta esenzione e per prevenire qualsiasi evasione, elusione e abuso.

Orbene, con la norma che consente la decorrenza della prescrizione durante il procedimento penale con conseguente garantita impunità per gli evasori dell’IVA, lo Stato italiano ha creato un’ipotesi aggiuntiva di esenzione non prevista dalla direttiva.

Inoltre, ha violato l’obbligo di prevenire qualsiasi evasione, elusione e abuso.

17. Principio di finanze sane

Ai sensi dell’articolo 119 (ex articolo 4 del TCE) del TFUE, ogni Stato membro deve attenersi al principio di finanze pubbliche sane.

Ora, è chiaro che uno Stato che consenta l’impunità all’evasore fiscale addirittura quando l’evasione è ingente, come nel caso di specie, sta violando tale principio.

Infatti, rinuncia ad una parte consistente del gettito fiscale non in cambio di qualche entrata diversa ma a fronte di comportamenti che, rimanendo impuniti, fungono addirittura da stimolo per ulteriori illeciti con aggravamento della situazione di bilancio.

18. La disciplina comunitaria sul rinvio pregiudiziale

Dispone l’art. 267 TFUE (ex articolo 234 del TCE): “La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale:

a) sull’interpretazione dei trattati;

b) sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione.

Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri, tale organo giurisdizionale può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione.

Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte.

Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale e riguardante una persona in stato di detenzione, la Corte statuisce il più rapidamente possibile”.

Le questioni pregiudiziali sollevate dal sottoscritto, sono, secondo i parametri indicati dalla Corte di Giustizia CE nella nota 2011/C 160/01 in G.U.C.E. 28 maggio 2011:

– questioni di interpretazione del diritto comunitario;

– questioni rilevanti al fine della decisione del giudizio;

– questioni non perfettamente identiche ad altre già decise dalla Corte di giustizia CE;

– questioni sulle quali la corretta applicazione del diritto comunitario non si impone con tale evidenza da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alle questioni sollevate.

Alla luce di tali parametri, ritiene, pertanto, il sottoscritto di procedere al rinvio pregiudiziale di cui all’art. 267, par. 3, TFUE.

In conclusione, si rimettono alla Corte di Giustizia dell’Unione europea le seguenti questioni pregiudiziali di interpretazione degli artt. 101, 107 e 119 del TFUE nonché dell’art. 158 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006:

a) se, modificando con L. n. 251 del 2005 l’art. 160 ultimo comma del codice penale italiano -nella parte in cui contempla un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto a seguito di interruzione, e quindi, consentendo la prescrizione dei reati nonostante il tempestivo esercizio dell’azione penale, con conseguente impunità – sia stata infranta la norma a tutela della concorrenza contenuta nell’art. 101 del TFUE;

b) se, modificando con L. n. 251 del 2005 l’art. 160 ultimo comma del codice penale italiano -nella parte in cui contempla un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto a seguito di interruzione, e quindi, privando di conseguenze penali i reati commessi da operatori economici senza scrupoli – lo Stato italiano abbia introdotto una forma di aiuto vietata dall’art. 107 del TFUE;

c) se, modificando con L. n. 251 del 2005 l’art. 160 ultimo comma del codice penale italiano -nella parte in cui contempla un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto a seguito di interruzione, e quindi, creando un’ipotesi di impunità per coloro che strumentalizzano la direttiva comunitaria- lo Stato italiano abbia indebitamente aggiunto un’esenzione ulteriore rispetto a quelle tassativamente contemplate dall’art. 158 delladirettiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006;

d) se, modificando con L. n. 251 del 2005 l’art. 160 ultimo comma del codice penale italiano -nella parte in cui contempla un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto a seguito di interruzione, e quindi, rinunciando a punire condotte che privano lo Stato delle risorse necessarie anche a far fronte agli obblighi verso l’Unione europea, sia stato violato il principio di finanze sane fissato dall’art. 119 del TFUE.

19. Possibili esiti della decisione della Corte di Giustizia

Al sottoscritto pare che la norma italiana, nel punto in cui consente il decorso della prescrizione durante il processo, dovrebbe essere disapplicata per contrasto col diritto comunitario.

Qualcuno potrebbe sostenere che la ratio della norma costituisce per l’ordinamento italiano un principio irrinunciabile di garanzia dell’imputato.

Non va però dimenticato che le garanzie dell’imputato si basano sulla presunzione d’innocenza ed hanno lo scopo d’impedire che il cittadino sia vessato al di là dei limiti di quanto necessario per l’accertamento dei reati.

Nel caso di specie, in un contesto in cui alla giustizia ordinaria vengono assegnate pochissime risorse umane e materiali, con una procedura inutilmente complicata (è stata giustamente paragonata ad una corsa ad ostacoli), la decorrenza della prescrizione durante il procedimento penale diventa soltanto un mezzo di garanzia dell’impunità.

Al di là della retorica che potrà essere spesa per difendere una norma iniqua, vi è soltanto l’obiettivo di consentire ai colpevoli di sottrarsi alle conseguenze della propria condotta.

Il risultato è di estrema gravità perché ne consegue un allarmante vuoto di tutela, in violazione del diritto comunitario.

In sostanza, lo Stato italiano fa prevalere l’interesse all’impunità dei colpevoli rispetto alla piena attuazione della normativa sovranazionale.

Non ha alcun senso che la normativa europea tuteli certi diritti se poi in uno Stato dell’Unione è possibile violarli senza alcuna conseguenza.

Si potrebbe obiettare che comunque la pena è solo una delle modalità di tutela dei diritti da parte di uno Stato.

In realtà, si tratta dalla più efficace delle forme di tutela e, molto spesso, l’unica che rimane.

Infatti, è consueto che il reo (tramite intestazioni fittizie o altre modalità fraudolente) si spogli di tutto il suo patrimonio, privando la parte offesa di qualsiasi possibilità di ottenere anche solo in parte il risarcimento dei danni patiti.

Non parliamo poi dell’impossibilità dell’amministrazione finanziaria italiana di recuperare le imposte evase.

Disapplicando la norma qui impugnata si potrà garantire anche in Italia l’effettiva applicazione del diritto comunitario.

Cesserà automaticamente la mitraglia delle eccezioni meramente dilatorie a cui i magistrati italiani sono ormai tristemente rassegnati.

Tali astute manovre, infatti, non impediranno più di accertare le responsabilità degli imputati ed infliggere la meritata pena ai rei.

La Corte di Giustizia gode di una grandissima opportunità: quella di attuare una svolta epocale in vista di un’applicazione sempre più efficace del diritto dell’Unione.

D’altro canto, trascurare gli effetti di quel breve comma del codice penale equivarrebbe a trascurare la famigerata piccola crepa che fece crollare la diga gigantesca.

20. Atti da trasmettere alla Corte di giustizia CE

In conformità alla “nota informativa riguardante la proposizione di domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali” 2011/C 160/01 in G.U.C.E. 28 maggio 2011, si ordina la trasmissione alla cancelleria della Corte, mediante plico raccomandato, dei seguenti atti:

-copia della richiesta di rinvio a giudizio del 26.6.13;

-copia dei verbali dell’udienza preliminare;

-annotazioni del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Cuneo:

– Annotazione p.g. n. 3 in data 10.02.2009;

– Annotazione di p.g. n. 4 – in data 05.03.2009;

– Annotazione di p.g. n. 6 – in data 10.04.2009;

– Annotazione di p.g. n. 7 – in data 20.04.2009;

– Annotazione di p.g. n. 8 – in data 08.09.2009;

– Annotazione di p.g. n. 11 – in data 21.01.2010.

-presente ordinanza.


P.Q.M.


Il Giudice dell’udienza preliminare dispone:

1) a cura della Cancelleria, la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Greffe de la Cour de Justice de l’Union européenne, Rue du Fort Niedergrünewald L-2925 Luxembourg; ECJ-Registry@curia.europa.eu) ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nei sensi e con le modalità di cui in motivazione, e con copia degli atti ivi indicati;

2) la sospensione del presente giudizio anche ai fini della prescrizione ai sensi dell’art. 159 comma 1 n. 2 c.p..

Manifesta sin d’ora la più completa disponibilità ad integrare la documentazione mancante, facendo presente che trattasi di 15 scatoloni colmi di documentazione fiscale e bancaria e a fornire chiarimenti per la traduzione nelle altre lingue della presente ordinanza.

Così deciso in Cuneo, il 17 gennaio 2014.

Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2014.