202104.21
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Nel processo tributario si può usareWhatsApp come prova?

I testi di messaggistica istantanea (come ad esempio WhatsApp) possono essere utilizzati come prova nel processo tributario? In caso di loro utilizzabilità, con quali modalità devono essere prodotti in giudizio? Quale peso deve essere riconosciuto a tali risultanze probatorie nella formazione del convincimento del giudice? Fanno piena prova del fatto storico rappresentato oppure assumono un valore probatorio soggetto alla libera valutazione del giudice in concorso con ulteriori elementi? Questi sono i principali interrogativi che (entrambe) le parti del processo tributario si pongono tutte le volte in cui si trovano a dover fruire delle conversazioni in forma digitale a fini difensivi: talvolta esse sono utilizzate dall’Amministrazione finanziaria come elemento probatorio posto a fondamento dell’atto impositivo (ad esempio mediante loro trascrizione da parte dei verificatori nel processo verbale di constatazione), talaltra vengono inserite nelle difese del contribuente con attestazione di conformità notarile del contenuto estratto dal consulente tecnico.

Le chat sono utilizzabili solo se acquisite con modalità che ne garantiscano provenienza e integrità.

Di particolare interesse operativo è la sentenza n. 105 depositata il 14 aprile 2021 dalla Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia.

Nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria contesta nei confronti di una società successivamente dichiarata fallita la detraibilità dell’IVA per operazioni oggettivamente inesistenti. L’avviso di accertamento viene notificato anche a una persona fisica sull’assunto che rivesta il ruolo di amministratore di fatto ed effettivo dominus della società contribuente, come confermato da alcuni testi di messaggistica istantanea scambiati con gli uffici amministrativi della società e con i suoi clienti per definire modalità di consegna e di pagamento di alcune forniture. In sede giurisdizionale, il ricorrente contesta l’utilizzabilità dei testi di messaggistica istantanea riportati in un processo verbale di constatazione perché privi di attestazione di conformità di notaio o altro pubblico ufficiale rispetto agli originali presenti sul dispositivo telefonico di provenienza.

Nella sentenza n. 105 del 2021 la Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia ha annullato l’atto impugnato, ritenendo fondata l’eccezione di inutilizzabilità dei testi di messaggistica istantanea: secondo il Collegio, tali elementi non possono essere fonte di prova in sede contenziosa perché non ne può essere vantata la genuinità senza un’estrazione controllata e certificata dal supporto informatico.

Per argomentare tale soluzione del caso concreto il Giudice di prime cure richiama due arresti della Corte di Cassazione rese l’uno in ambito penale, l’altro in ambito fiscale.

In Cass., sez. V pen., 25 ottobre 2017, n. 49016, in CED Cass., Rv. 271856, il Giudice di legittimità afferma la legittimità del provvedimento di rigetto dell’istanza di acquisizione della trascrizione di conversazioni, effettuate via Whatsapp e registrate da uno degli interlocutori, in quanto, pur concretandosi essa nella memorizzazione di un fatto storico, costituente prova documentale ex art. 234 c.p.p., la sua utilizzabilità è, tuttavia, condizionata all’acquisizione del supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione, al fine di verificare l’affidabilità, la provenienza e l’attendibilità del contenuto di dette conversazioni.

Il secondo precedente viene richiamato dal Collegio per escludere la rilevanza dell’art. 2700 c.c. con riferimento a quanto affermato dai verificatori nel processo verbale di constatazione. In Cass., sez. VI civ. – T, 12 ottobre 2020, n. 21994, in CED Cass., Rv. 659356, la Suprema Corte ribadisce infatti che le attestazioni del curatore fallimentare, in quanto provenienti da un pubblico ufficiale, hanno valore di prova privilegiata ex art. 2700 c.c. quando abbiano per oggetto fatti da lui compiuti o che egli attesta essere avvenuti in sua presenza, ma non quando riguardino circostanze conosciute attraverso l’esame della documentazione dell’imprenditore dichiarato fallito (per il processo verbale di constatazione cfr. Cass., sez. trib., 24 novembre 2017, n. 28060, in CED Cass., Rv. 646225; Cass., sez. trib., 5 ottobre 2018 (ord.), n. 24461, ibidem, Rv. 651211), con la conseguenza che, ove l’Amministrazione finanziaria emetta un avviso di accertamento a seguito del disconoscimento di una nota di variazione intestata alla società fallita per fatture non pagate, anch’esse intestate alla società, le dichiarazioni del curatore fondate sull’esame di tali documenti non fanno piena prova del mancato pagamento.

Le chat possono costituire una prova digitale.

Il file contenente un testo di messaggistica istantanea può costituire una prova digitale, al pari di file contenenti una immagine, un video o un audio o il testo scambiato mediante posta elettronica. I dati possono essere elaborati attraverso supporti diversi (come uno smartphone o un computer) e conservati in uno spazio che non è sotto il controllo diretto della parte (ad esempio nel caso delle pagine dei social network). Ad essi si accompagnano i cosiddetti “metadati”, vale a dire informazioni aggiuntive rispetto al contenuto in senso stretto del file (come autore del file, data e ora di invio del file ecc.).

Tali elementi non soltanto caratterizzano la prova digitale, ma condizionano le modalità attraverso le quali ne sono garantite autenticità, integrità e sicurezza e la forza probatoria che le può essere riconosciuta.

Essenziali a tale fine sono la disciplina europea (cfr., in particolare, il c.d. “Regolamento electronic IDentification Authentication and Signature – eIDAS) e la disciplina nazionale contenuta nel d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, il c.d. “Codice dell’Amministrazione Digitale – CAD”: mentre il Regomaneto eIDAS definisce il “documento informatico” come “qualsiasi contenuto conservato in forma elettronica, in particolare testo o registrazione sonora, visiva o audiovisiva”, il CAD lo identifica quale “documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”. In particolare l’art. 46 del Regolamento eIDAS stabilisce che “a un documento elettronico non sono negati gli effetti giuridici e l’ammissibilità come prova in procedimenti giudiziali per il solo motivo della sua forma elettronica”, mentre l’art. 20, comma 1 bis, CAD statuisce che, nel caso in cui non sia apposta una firma digitale, “l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità”.

Quale valore probatorio hanno le chat?

L’art. 2712 c.c. (rubricato “Riproduzioni meccaniche), nel testo modificato dal CAD, dispone che le riproduzioni informatiche e, in generale, ogni “rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”; inoltre l’art. 2719 c.c. dispone che le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta.

La Corte di Cassazione si è più volte espressa in tema di efficacia probatoria dei documenti informatici.

Ad esempio in Cass., sez. VI civ. – II, 14 maggio 2018 (ord.), n. 11606, in CED Cass., Rv. 648375, si afferma che il messaggio di posta elettronica (la c.d. “e-mail”) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime. In Cass., sez. lav., 8 marzo 2018, n. 5523, in CED Cass., Rv. 647611, si statuisce che l’e-mail priva di firma elettronica non ha l’efficacia della scrittura privata prevista dall’art. 2702 c.c. quanto alla riferibilità al suo autore apparente, attribuita dall’art. 21 CAD solo al documento informatico sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, sicché esso è liberamente valutabile dal giudice, ai sensi dell’art. 20 del medesimo decreto, in ordine all’idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità.

In Cass., sez. II, 21 febbraio 2019, n. 5141, in CED Cass. Rv., 653024 si statuisce che lo “short message service” (“SMS“) contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti ed è riconducibile nell’ambito dell’art. 2712 c.c., con la conseguenza che forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime; tuttavia, l’eventuale disconoscimento di tale conformità non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata previsto dall’art. 215, comma 2, c.p.c. poiché, mentre, nel secondo caso, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, nel primo non può escludersi che il giudice possa accertare la rispondenza all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni.

Secondo Cass., sez. III civ., 26 agosto 2020, n. 17810, in CED Cass., Rv. 658689, la conformità della riproduzione cartacea delle risultanze di un sito internet può essere oggetto di contestazione ai sensi dell’art. 2712 c.c. e delle norme del CAD, ma al giudice è sempre consentito – anche d’ufficio ai sensi dell’art. 447 bis, comma 3, c.p.c., se applicabile – l’accertamento della contestata conformità con qualunque mezzo di prova, inclusa la richiesta di informazioni al gestore del servizio ai sensi dell’art. 213 c.p.c. ovvero mediante verifica diretta del sito.

Come produrre in giudizio le chat?

Il contenuto della messaggistica istantanea può essere introdotto nel giudizio mediante deposito di trascrizioni delle conversazioni elettroniche elaborate da un consulente tecnico e accompagnate da una attestazione di conformità all’originale rilasciata da notaio o altro pubblico ufficiale (cfr. art. 73 L.N., secondo cui “il notaio può attestare la conformità all’originale di copie, eseguite su supporto informatico o cartaceo, di documenti formati su qualsiasi supporto ed a lui esibiti in originale o copia conforme”).

Secondo parte della giurisprudenza di legittimità, nel procedimento penale la utilizzabilità della prova documentale così formata è condizionata all’acquisizione del supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione, al fine di verificare l’affidabilità, la provenienza e l’attendibilità del contenuto di dette conversazioni (Cass., sez. V pen., 19 giugno 2017, n. 49016, in CED Cass., Rv. 271856).

In base a un indirizzo meno rigorista, il documento legittimamente acquisito in copia è soggetto alla libera valutazione da parte del giudice, assumendo valore probatorio – in concorso con altri elementi – anche se privo di certificazione ufficiale di conformità e pur se l’imputato ne abbia disconosciuto il contenuto (Cass., sez. V pen, 16 gennaio 2018, n. 8736, in CED Cass., Rv. 272417, secondo cui “i dati di carattere informatico contenuti nel computer, in quanto rappresentativi di cose, rientrano tra le prove documentali […] e l’estrazione dei dati è una operazione meramente meccanica, sicché non deve essere assistita da particolari garanzie. […] La possibilità di acquisire un documento e di porlo a fondamento della decisione prescinde dal fatto che provenga da un pubblico ufficiale o sia stato autenticato […]”).

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