202103.03
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Giustizia tributaria: la trattazione scritta “coatta” viola la Costituzione

La scelta di rendere ineludibile la trattazione scritta desta forti perplessità, laddove non sia frutto delle strategie delle parti, ma conseguenza della penuria di risorse tecniche e finanziarie a disposizione delle Commissioni Tributarie per consentire l’udienza a distanza. Un’interpretazione sistematicamente coerente e costituzionalmente conforme dell’art. 27 del decreto Ristori potrebbe però evitare l’esplosione del contenzioso tributario, autorizzando lo svolgimento delle udienze pubbliche di discussione e delle udienze camerali partecipate con collegamento da remoto su mera istanza di parte e senza limitazione alcuna e prevedendo, nell’ipotesi in cui l’udienza a distanza non sia attuabile, il rinvio a nuovo ruolo ovvero a una data successiva alla cessazione dello stato di emergenza sanitaria al fine di consentire la discussione in presenza.

La disciplina del c.d. “Decreto Ristori” conferma l’udienza a distanza e introduce la trattazione scritta.

Al fine di tutelare la salute pubblica fino alla cessazione dello stato di emergenza nazionale da COVID-19, l’art. 27, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni nella l. 18 dicembre 20202, n. 176, dispone che le controversie fissate per la trattazione in pubblica udienza siano decise sulla base degli atti, salvo che almeno una delle parti non insista per la discussione, con apposita istanza da notificare alle altre parti costituite e da depositare almeno due giorni liberi prima della data fissata per la trattazione. In tal caso, le udienze pubbliche e camerali partecipate potranno svolgersi con collegamento da remoto, previa autorizzazione del Presidente della Commissione Tributaria (Provinciale o Regionale, secondo la rispettiva competenza) mediante decreto motivato da comunicarsi almeno cinque giorni prima della data fissata per un’udienza pubblica o una camera di consiglio. Nel caso in cui non sia possibile utilizzare le modalità telematiche, si procede mediante trattazione scritta, vale a dire con fissazione di un termine non inferiore a dieci giorni prima dell’udienza per deposito di memorie conclusionali e di cinque giorni prima dell’udienza per memorie di replica. Se tali termini non possono essere rispettati, la controversia è rinviata a nuovo ruolo con possibilità di prevedere la trattazione scritta.

L’udienza a distanza è applicata “a macchia di leopardo”.

Con la delibera n. 1230/2020 il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria ha approvato all’unanimità specifiche linee guida al fine di uniformare sul territorio nazionale l’attuazione della descritta disciplina adottando specifiche linee guida (cfr. L. R. Corrado, Liti fiscali: arrivano le linee guida per lo svolgimento delle udienze in fase emergenziale, retro, edizione del 12 novembre 2020).

Ciononostante i difensori tributari devono quotidianamente fare i conti con le diverse modalità di svolgimento delle udienze autorizzate dalle varie Commissioni Tributarie nei decreti presidenziali, il cui testo è consultabile nelle pagine dedicate a ciascuna di esse sul portale della Giustizia Tributaria.

In alcuni casi si prevede obbligatoriamente la trattazione scritta per tutte le controversie, in altri casi limitatamente alle liti il cui valore ex art. 12, comma 2, secondo periodo, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 non superi un certo ammontare (come, ad esempio, quello di € 20.000,00 previsto dall’art. 70, comma 10 bis, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 in relazione alla composizione del collegio cui sia demandato il giudizio di ottemperanza).

Gli automatismi devono essere evitati.

Pur essendo astrattamente condivisibile il rilievo secondo cui il valore della lite possa costituire un utile parametro di riferimento nella individuazione di controversie di maggior importanza, non si può non osservare che né l’art. 27 del c.d. “Decreto Ristori” né la delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria n. 1230/2020 prevedono criteri quantitativi di tal specie per limitare il novero dei procedimenti in relazione ai quali le udienze pubbliche di discussione e le udienze camerali partecipate possano svolgersi con collegamento da remoto. Se, inoltre, è vero che la delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria n. 1230/2020 menziona il valore della lite tra i criteri di valutazione alla base della scelta che ci occupa, è altrettanto vero che tale criterio costituisce solo uno dei plurimi parametri proposti (insieme a rilevanza, novità, complessità della questione, numero di documenti e “quant’altro ritenuto utile”) ai fini della diversa problematica relativa alla valutazione delle istanze di discussione orale.

Corre, inoltre, l’obbligo di rilevare che le indicazioni del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, pur costituendo un atto di indirizzo utile al fine di rendere quanto più possibile uniforme a livello nazionale la concreta operatività delle Commissioni Tributarie, da un lato non hanno alcuna efficacia cogente e possono, pertanto, essere legittimamente disattese ove non condivise nel merito, dall’altro non sono suscettibili di applicazione massiva, ma necessitano di essere adattate alle specificità del singolo procedimento attraverso l’attento esame del fascicolo istruttorio da parte del Collegio giudicante.

Per l’udienza a distanza basta la mera istanza di parte.

A ciò si aggiunga che l’art. 16, comma 4, d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2018, n. 136, prevede che per la concreta attuazione delle udienze mediante collegamento da remoto sia necessaria e sufficiente la mera istanza di parte, senza demandare alcuna ulteriore valutazione al Collegio giudicante. È di tutta evidenza che adottare una diversa soluzione – anche per i soli procedimenti trattati nel corso dell’emergenza sanitaria da COVID-19 – determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento rispetto a tale tertium comparationis.

Tali rilievi trovano conferma a livello sistematico anche nell’art. 33, comma 1, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ove si prevede che la discussione in pubblica udienza sia determinata dalla mera istanza di “almeno una delle parti”, senza che le altre parti possano proporre opposizione e senza che il collegio giudicante o il presidente siano chiamati a esprimere una valutazione discrezionale.

Sono violati diritti di rango costituzionale.

Diversamente opinando si determinerebbe una ulteriore limitazione della residuale oralità di un processo già strutturalmente documentale tale da determinare un vulnus di diritti di rango costituzionale – come, ad esempio, il diritto di difesa ex art. 24 Cost., i principi di solidarietà e di capacità contributiva ex artt. 2 e 53 Cost. e il principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione ex art. 97 Cost. – la cui tutela potrebbe tradursi nell’adozione di plurime iniziative giudiziarie con inevitabile aggravio per il funzionamento del sistema della Giustizia Tributaria nel suo complesso, la compressione dei diritti costituzionali supra menzionati non potendo essere giustificata da problematiche derivanti da insufficienti risorse tecniche e finanziarie messe a disposizione delle Commissioni Tributarie da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Al fine di interpretare l’art. 27 del c.d. “Decreto Ristori” in senso sistematicamente coerente e costituzionalmente conforme, sarebbe auspicabile che fosse autorizzato lo svolgimento delle udienze pubbliche di discussione e delle udienze camerali partecipate con collegamento da remoto su mera istanza di parte e senza limitazione alcuna, e che fosse altresì previsto, nell’ipotesi in cui l’udienza a distanza non fosse attuabile, che fosse disposto, sempre su istanza di parte, il rinvio a nuovo ruolo ovvero a una data successiva alla cessazione dello stato di emergenza sanitaria al fine di consentire la discussione in presenza.

Il dialogo tra le parti e il collegio giudicante attuato attraverso la discussione orale – vuoi in presenza, vuoi mediante collegamento da remoto – è essenziale nel giudizio tributario perché consente di far emergere eventuali fraintendimenti e dipanare dubbi in punto di diritto e – soprattutto – di fatto (ad esempio mediante richieste di chiarimenti rivolte dal relatore ai difensori).

L’imposizione della trattazione scritta può pregiudicare la strategia difensiva delle parti, come ha plasticamente statuito il Consiglio di Stato nell’ordinanza del 21 aprile 2020, n. 2539, accogliendo un’istanza di rinvio della trattazione della camera di consiglio cautelare per consentire la discussione orale: secondo i Giudici di Palazzo Spada, “il contraddittorio cartolare «coatto» ‒ cioè non frutto di una libera opzione difensiva, bensì imposto anche contro la volontà delle parti che invece preferiscano differire la causa a data successiva al termine della fase emergenziale, pur di potersi confrontare direttamente con il proprio giudice ‒ non appare una soluzione ermeneutica compatibile con i canoni della interpretazione conforme a Costituzione, che il giudice comune ha sempre l’onere di esperire con riguardo alla disposizione di cui deve fare applicazione. […] Il contraddittorio cartolare «coatto» costituirebbe una deviazione irragionevole rispetto allo “statuto” di rango costituzionale che si esprime nei principi del «giusto processo»”, giacché:

– “il comma 2 dell’art. 111 della Costituzione, nello stabilire che il «giusto processo» ‒ qualsiasi processo ‒ debba svolgersi «nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità», impone, non solo un procedimento nel quale tutti i soggetti potenzialmente incisi dalla funzione giurisdizionale devono esserne necessariamente “parti”, ma anche che queste ultime abbiamo la possibilità concreta di esporre puntualmente (e, ove lo ritengano, anche oralmente) le loro ragioni, rispondendo e contestando le quelle degli altri”;

– “lo stesso art. 24 della Costituzione ‒ comprendendo, oltre al diritto di accesso al giudizio, anche il diritto di ottenere dal giudice una tutela adeguata ed effettiva della situazione sostanziale azionata ‒ non può che contenere anche la garanzia procedurale dell’interlocuzione diretta con il giudice”;

– quanto all’art. 6, § 1, Cedu (parametro interposto nel giudizio di costituzionalità ex art. 117, comma 1, Cost. secondo le sentenze della Consulta nn. 348 e 349 del 2007), “il divieto assoluto di contraddittorio orale potrebbe rilevarsi un ostacolo significativo per il ricorrente che voglia provocare la revisione in qualsiasi punto, in fatto come in diritto, della decisione resa dall’autorità amministrativa”, mentre, “sotto altro profilo, sarebbe evidente il contrasto con il principio della pubblicità dell’udienza” – con particolare riguardo al contenzioso “altamente tecnico” – perché “l’imposizione dell’assenza forzata, non solo del pubblico, ma anche dei difensori, finirebbe per connotare il rito emergenziale in termini di giustizia “segreta”, refrattaria ad ogni forma di controllo pubblico”.

L’udienza cartolare coatta potrebbe essere censurata dalla Consulta.

I rilievi supra formulati trova conferma anche nelle argomentazioni poste a sostegno della ordinanza del 7 gennaio 2021, n. 11 con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Catania ha sollevato la questione di incostituzionalità dell’art. 33, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 nella parte in cui prevede che il contraddittorio si svolga attraverso lo scambio di memorie ogniqualvolta nessuna delle parti chieda la pubblica udienza, per violazione degli artt. 101, 111 e 136 Cost..

Quanto alla lamentata violazione dei principi del giusto processo ex art. 111 Cost., il Giudice remittente ritiene che la parte portatrice dell’interesse pubblico non possa rinunciare alla pubblica udienza sia perché solo questo strumento garantisce la più ampia tutela giurisdizionale attraverso il contraddittorio processuale, sia perché l’indisponibilità dell’interesse pubblico escluderebbe la rinuncia in sede amministrativa all’attività processuale.

Quanto al denunciato vulnus dell’art. 101 Cost., il Giudice a quo afferma che “la pubblicità delle udienze tutela l’interesse pubblico di consentire al cittadini, e quindi al popolo, di conoscere dei procedimenti giudiziari”, interesse che non può essere superato da quello di economia processuale.

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