201804.05
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Corte di Cassazione, sez. III pen., 5 aprile 2018, n. 15172 (testo)

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 13 marzo – 5 aprile 2018, n. 15172
Presidente Savani – Relatore Socci

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Bari, giudice dell’esecuzione, con provvedimento del 27 aprile 2017 ha revocato la sentenza del Tribunale di Bari n. 1205 del 2014, irrevocabile il 18 ottobre 2014, in relazione all’art. 10 ter, d.lgs. 74/2000, in quanto la somma evasa era inferiore alla attuale soglia di 250.000,00 Euro (come previsto dall’art. 8, d.lgs. 158/2015).
2. La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari, ha proposto ricorso per Cassazione, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen..
2.1. Violazione di legge, art. 2, cod. pen..
Nel caso di specie non si è verificata un’abolizione del reato, ma un evidente fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, con la conseguente applicabilità dell’art. 2, quarto comma, cod. pen..
Il diritto dell’imputato ad essere giudicato in base al trattamento più favorevole, tra quelli succedutesi nel tempo, trova però il limite del giudicato.
Ha chiesto pertanto l’annullamento della decisione impugnata.
2.2. La Procura generale della Suprema Corte di Cassazione, Sostituto Procuratore Generale Gabriele Mazzotta ha chiesto il rigetto del ricorso.
2.3. S.P. ha presentato memoria, nella quale chiede il rigetto del ricorso, per avere il Tribunale correttamente revocato la sentenza di condanna.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato.
In tema di revoca per “abolitio criminis”, ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., la delibazione del giudice dell’esecuzione deve riguardare il confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, senza la necessità di ricercare conferme della eventuale continuità tra le stesse facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa, atteso che detto confronto permette in maniera autonoma di verificare se l’intervento legislativo posteriore assuma carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di reato, ovvero, non incidendo sulla struttura della stessa, consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio comune alle suddette fattispecie. (Sez. 1, n. 36079 del 10/05/2016 – dep. 31/08/2016, Costa, Rv. 26800201; vedi anche, nello stesso senso, Sez. 3, n. 5248 del 25/10/2016 – dep. 03/02/2017, Managò, Rv. 26901101).
Con il novellato art. 10 ter del d.lgs. N. 74 del 2000 (come modificato dall’art. 8 del d.lgs. 158 del 2015) il limite per la configurabilità del reato è di Euro 250.000,00: “È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a Euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta”.
La modifica della soglia di punibilità (250.000,00 Euro) ha comportato l’abrogazione, parziale, della norma incriminatrice, rendendo non più reato le omissioni al di sotto di 250.000,0 Euro. Quindi il giudice dell’esecuzione, ex art. 673, primo comma, cod. proc. pen. deve revocare la sentenza di condanna, se non sono necessari ulteriori accertamenti, come nel caso in giudizio (imposta evasa pacificamente inferiore a 250.000,00 Euro).
Del resto questa Corte Suprema di Cassazione già si è pronunciata per la parziale abrogazione del reato, nell’ipotesi di soglia modificata: “La modifica dell’art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000 ad opera dell’art. 7, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 158 del 2015, che ha escluso la rilevanza penale dell’omesso versamento di ritenute dovute o certificate sino all’ammontare di Euro 150.000,00, ha determinato una abolitio criminis parziale con riferimento alle condotte aventi ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo, commesse in epoca antecedente” (Sez. 3, n. 34362 del 11/05/2017 – dep. 13/07/2017, Sbrolla, Rv. 27096101; vedi anche, per l’art. 10 ter, d.lgs. 74/2000, Sez. 3, n. 10810/2018 non massimata: “La mutata soglia di punibilità dei reati di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000) e di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter, del d.lgs. n. 74 del 2000), al di sotto della quale operano soltanto a misure sanzionatorie di tipo amministrativo, introdotta dal d.lgs. 158/2015 rientra pertanto nell’abrogazione parziale dei due reati, nei quali il mutato giudizio di offensività della condotta omissiva si è tradotto nel restringimento dell’area della loro penale rilevanza, con assegnazione a quella amministrativa delle condotte che si collocano al di sotto della nuova soglia. Configurando la soglia di punibilità un elemento costitutivo di entrambe le fattispecie legali astratte delle suddette disposizioni, è evidente che la sua modifica rende la nuova fattispecie speciale rispetto alla precedente poiché ne restringe l’ambito applicativo, rimanendo l’area della punibilità circoscritta alle sole condotte che si collochino al di sopra della nuova soglia”).
Non v’è dubbio, del resto, che alla data odierna l’omesso versamento di somme inferiori a 250.000,00 Euro non è (più) previsto dalla legge come reato, sicché ove dovesse contestarsi, oggi, l’omesso versamento di somme per importi inferiori alla nuova soglia, la formula di proscioglimento sarebbe “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, che il giudice può adottare senza nemmeno accertare la corrispondenza al vero del fatto così contestato.
Deve pertanto essere affermato il seguente principio di diritto: “La nuova fattispecie di reato di cui all’art. 10 ter, d.lgs. n. 74 del 2000, come modificata dall’art. 8, d.lgs. n. 158 del 2015, che ha elevato a Euro 250.000,00 la soglia di punibilità, ha determinato l’abolizione parziale del reato commesso in epoca antecedente che aveva ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo, e in considerazione dell’abrogazione parziale trovano applicazione gli art. 2, comma secondo, cod. pen. (e non il quarto comma dell’art. 2, cod. pen.), e 673, comma primo, cod. proc. pen.”.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del P.M..