201705.09
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Cass., sez. VI civ. – T, 9 maggio 2017, n. 11388 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10578-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ 10, presso lo studio dell’avvocato GEMMA PATERNOSTRO, rappresentata e difesa dall’avvocato OLINTO RAFFAELE VALENTINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2258/06/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della PUGLIA, depositata il 26/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/04/2017 dal Consigliere Dott. MAURO MOCCI.

Svolgimento del processo

che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c. delibera di procedere con motivazione sintetica;

che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia che aveva accolto l’appello di P.C. contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Bari. Quest’ultima aveva respinto l’impugnazione della contribuente avverso l’avviso di accertamento IRPEF, per gli anni 2006 – 2007;

Motivi della decisione

che il ricorso è affidato a due motivi;

che, col primo, l’Agenzia assume la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 132 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4;

che la decisione impugnata sarebbe stata motivata solo apparentemente, non essendo entrata nel merito delle questioni da decidere e senza fornire alcuna motivazione idonea e sufficiente a rappresentare le ragioni della legittimità delle disponibilità finanziarie contestate dall’Ufficio;

che, col secondo, la ricorrente invoca la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6 e dei decreti ministeriali collegati, nonchè degli artt. 2728 e 2697 c.c. e degli artt. 113 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4;

che, in particolare, la CTR avrebbe fondato il proprio convincimento su erronee valutazioni, giacchè la disponibilità in capo al contribuente dei beni considerati dal redditometro costituirebbe una presunzione legale di capacità contributiva, ai sensi dell’art. 2728 c.c., nella misura calcolata in base all’applicazione del redditometro stesso: tale presunzione sarebbe stata superabile solo in funzione di circostanze, quali lo smobilizzo di attività patrimoniali o la provenienza dei redditi da familiari o terzi, mentre, nella specie, le giustificazioni e la documentazione fornita dal contribuente non avrebbero potuto ritenersi idonee a dimostrare l’effettiva disponibilità finanziaria dei redditi esenti o assoggettati a tassazione;

che l’intimata si è costituita con controricorso;

che il primo motivo non è fondato;

che, in effetti, la CTR ha offerto una motivazione razionale ancorchè succinta – dei fatti rilevanti di causa: le disponibilità della contribuente sono state giustificate con la dismissione di immobilizzazioni finanziarie, un indennizzo per decesso del coniuge, l’eredità paterna nonchè una rendita annua dell’INAIL: non si può dunque parlare di motivazione apparente;

che anche il secondo motivo è immeritevole di accoglimento;

che questa Corte (Cass. 1455/2016) ha di recente ritenuto che nessun’altra prova deve dare la parte contribuente circa l’effettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata agli incrementi patrimoniali se non la dimostrazione dell’esistenza di tali redditi”; nè può evincersi “un onere di dimostrazione, aggiuntivo, circa la provenienza oltre che l’effettiva disponibilità finanziaria delle somme occorrenti per gli acquisti operati dal contribuente”, in quanto “una diversa interpretazione, in nessun modo correlata al tenore testuale del ricordato art. 38, comma 6, ult. cit., determinerebbe in definitiva, una sorta di trasfigurazione del presupposto impositivo, non più correlato all’esistenza di un reddito ma, piuttosto, all’esistenza di una spesa realizzata da redditi imponibili ordinari e congrui o da redditi esenti o da redditi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo d’imposta”; con recente pronuncia questa Corte (Cass. 8995/2014) ha poi ulteriormente chiarito i confini della prova contraria a carico del contribuente, a fronte di un accertamento induttivo sintetico D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, specificando che “a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”. La norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori – redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perchè in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati”;

che la sentenza impugnata, in effetti, conferisce il crisma della plausibilità alle prove offerte dalla contribuente, in esito ad un’effettiva verifica ed analisi delle stesse;

che al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2017