201504.28
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Cass., sez. VI civ.-T, 28 aprile 2015 (ord.), n. 8605 (testo)

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 15 – 28 aprile 2015, n. 8605
Presidente Cicala – Relatore Conti

In fatto e in diritto

1.L’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti di B.F.C. un atto di contestazione con il quale sanzionava il contribuente per l’omessa compilazione del modello RW nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2006, in relazione alle movimentazioni del conto corrente esistente presso la HSBC Private Bank S.A. avente sede in Svizzera intestato al predetto. Gli elementi sui quali si era fondata la contestazione, rappresentati da una scheda di sintesi- denominata “fiche” contenente indicazioni del conto, del suo titolare e delle movimentazioni eseguite- erano stati trasmessi dall’autorità finanziaria francese attraverso i canali di collaborazione previsti dalla Direttiva n.77/799/CEE e dalla Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata da Italia e Francia il 5.10.1989 e ratificata con la l.n.20/1992, recepita nella legislazione italiana dall’art.31 bis del dPR n.600/73.
2. Il contribuente proponeva ricorso alla CTP di Como, deducendo l’illegittimità dell’atto impugnato, fondato sulla base di documenti acquisiti irritualmente e in violazione degli artt.31 bis e 42 dPR n.600/73 e 7 dello Statuto del contribuente, e contenuti nella cd. Lista (…), acquisita dallo Stato francese dietro corrispettivo in denaro pagato ad un soggetto fornitore. Lamentava, ancora, la carenza assoluta di motivazione, l’illegittimità delle procedure di acquisizione della documentazione di supporto alla ripresa fiscale, la non genuinità dei documenti utilizzati, privi di riscontro e di attestazione di conformità all’originale da parte delle autorità francesi e ancora l’inutilizzabilità dei documenti acquisiti con procedure illegittime in relazione al reato di accesso abusivo ad un sistema informatico di soggetti terzi e di appropriazione indebita di dati personali. Elementi già vagliati dal GIP presso il Tribunale di Pinerolo che, nel disporre l’archiviazione per il reato di cui all’art.4 d.lgs.n.74/00 a carico di un soggetto indagato, aveva altresì provveduto alla distruzione degli atti derivati dalla lista ai sensi dell’art.240 c.2 c.p.c. e art.3 l.n.281/2006.
3.La CTP accoglieva il ricorso con sentenza gravata dall’Agenzia delle entrate innanzi alla CTR della Lombardia che, con sentenza n.11/20/2013, depositata il 28.1.2013, respingeva l’impugnazione.
3.1 Secondo il giudice di appello il giudice di primo grado aveva correttamente ricostruito la fattispecie, facendo applicazione corretta delle norme che presidiano la materia. La CTP, in particolare, aveva preso atto della decisione adottata dal Gip del tribunale di Pinerolo, ritenendo in modo conseguenziale l’annullamento dell’atto in esame, risultato fondato esclusivamente su documenti dei quali era stata disposta la distruzione in quanto illecitamente acquisiti all’origine e successivamente utilizzati in differenti contesti e procedimenti derivati. La procedura di acquisizione della documentazione era dunque illegittima e la documentazione acquisita, priva di riscontro e di attestazione di conformità all’originale da parte delle autorità francesi, non era attendibile, non avendo l’autorità italiana nemmeno provveduto a controllare l’autenticità provenienza e riferibilità della stessa. In assenza di ulteriori elementi acquisiti tale documentazione non poteva essere utilizzata ai sensi dell’art.240 c.2 c.p.p., essendo stata raccolta attraverso informazioni illegali, trattandosi di files contenuti in un sistema informatico riservato nel quale il F. si era abusivamente introdotto contro la volontà di chi aveva diritto ad escluderlo, commettendo il reato di cui all’art.615 ter c.p. e quello di appropriazione indebita aggravata, ai sensi degli artt.846 e 61 n.11 c.p. Ne conseguiva che l’utilizzo di informazioni acquisite dalle autorità francesi integrava il reato di cui all’art.3 l.n.281/06 e quello di ricettazione ex art.648 c.p..
4.L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un’unica complessa censura alla quale ha resistito il contribuente con controricorso e memoria.
4.1 L’Agenzia, in particolare, prospetta la violazione degli artt.4,7 e 8 della Dir.n.77/799/CEE- nel testo ratione temporis vigente- e dell’art.27 l.n.20/1992-di ratifica della Convenzione internazionale stipulata fra Italia e Francia il 5.10.1989, nonché dell’art.31 bis del dPR n.600/73, dell’art.3 del D.L. n.259/06 (come sostituito dall’art.1 della l. di conversione n.281/2006) e degli artt.615 ter, 646, 61 n.11, 648 e 51 c.p. e 240 c.2 c.p.p. Illegittimamente la CTR aveva fondato la decisione sugli accertamenti svolti dal GIP presso il Tribunale di Pinerolo, riferibili a contribuente diverso da quello al quale era stato indirizzato l’atto di contestazione scaturito dagli elementi raccolti, in modo pienamente legittimo, dall’autorità fiscale italiana sulla base della collaborazione esistente con l’autorità fiscale francese, nell’ambito della cooperazione regolata dalla Direttiva comunitaria e dalla Convenzione internazionale sopra ricordate. La decisione del giudice penale di merito, peraltro, non era conforme alla giurisprudenza di questa Corte- Cass.pen.n.38753/2012-.Nè era corretto il richiamo alla normativa in tema di dati personali e alla configurabilità di ipotesi delittuose, non essendo opponibile alle autorità fiscali il carattere sensibile dei dati, riferibile alla utilizzazione di dati per finalità diverse da quelle fiscali.
4.2 Parimenti erronea era la decisione impugnata nella parte in cui aveva ascritto il comportamento dell’Agenzia nel paradigma dell’art.3 d.l.n.259/2006, risultando la detenzione della lista (…) giustificata dalle modalità di acquisizione dei dati nel contesto della cooperazione Europea e pattizia.
4.3 Inoltre, le autorità francesi avevano compiuto una delibazione in ordine alla liceità della trasmissione, ragion per cui le autorità fiscali nazionali non erano tenute a verificare la provenienza o la legittimità della documentazione acquisita, in quanto l’identità qualificata del soggetto che trasmette l’informazione ne legittimava la valenza probatoria.
5. Il contribuente, nel controricorso, ha dedotto l’infondatezza delle censure evidenziando che: a)l’autorità francese non si era espressa sulla liceità della Lista (…). Per converso la Corte di appello di Parigi aveva ritenuto illegittimo l’utilizzo dei dati contenuti nella lista proprio perché ottenuto illegalmente dalle autorità tributarie con una decisione confermata dalla Cour di Cassation, dotata di immediata efficacia nell’ordinamento interno ai sensi dell’art.64 lett.g) della l.n.218/1995. Inoltre, l’acquisizione mediante scambio di informazioni tra Stati non elideva la necessità che l’autorità interna provvedesse alla verifica di autenticità provenienza e autenticità della documentazione, per come affermato dalla CTR, dovendo peraltro ritenersi necessario che lo Stato contraente informasse il cittadino ove fossero chieste informazioni che lo riguardano, in modo da essere messo in condizioni di esercitare i propri diritti all’interno della procedura di richiesta di acquisizione dei dati da parte di uno degli Stati. Erronea era poi la censura dell’Agenzia circa la diversità del soggetto coinvolto nell’accertamento rispetto a quello destinatario dei provvedimenti resi dal GIP presso il Tribunale di Pinerolo, trattandosi della medesima documentazione sottratta dagli archivi informatici della HSBC, inutilizzabile proprio perché acquisita illecitamente. Essa avrebbe potuto al più costituire uno spunto di indagine- per come ritenuto da Cass.pen.n.29433/2013- non poteva costituire un unico motivo fondante l’atto impositivo.
5.1 Aggiungeva, inoltre, che l’entrata in vigore, medio tempore, della l.n.97/2013, con la quale non era stata ritenuta più obbligatoria la compilazione delle sezioni I e III del quadro RW incideva sul trattamento sanzionatorio applicato al contribuente- relativo anche alla sanzione applicata per l’omessa compilazione della sezione III, dovendosi applicare il principio della estensibilità della normativa sopravvenuta alle sanzioni applicate sulla base della legge precedente meno favorevole.
6. Le censure esposte dall’Agenzia sono manifestamente fondate nei limiti di seguito esposti.
6.1 Esaminando il tema dell’utilizzabilità dei dati acquisiti dall’ufficio fiscale dalle autorità fiscali francesi in forza della dir.CEE 77/779, la Corte di giustizia-Corte giust., Grande Sezione, 22 ottobre 2013, causa C-276/12,- ha riconosciuto che la direttiva 77/799 non tratta del diritto del contribuente di contestare l’esattezza dell’informazione trasmessa e non impone alcun obbligo particolare quanto al contenuto di quest’ultima, aggiungendo inoltre che spetta solo agli ordinamenti nazionali fissare le relative norme. Ne consegue che il contribuente può contestare le informazioni che lo riguardano trasmesse all’amministrazione fiscale dello Stato membro richiedente secondo le norme e le procedure applicabili nello Stato membro interessato. Tale affermazione trova il suo necessario prodromo nelle Conclusioni depositate il 6 giugno 2013 dall’Avvocata generale Kokott all’interno del medesimo procedimento, avendo quest’ultima ritenuto, con specifico riferimento al valore delle informazioni acquisite tramite cooperazione fra autorità fiscali, che “…La direttiva 77/799 non contiene neanche disposizioni che prevedano il riconoscimento delle informazioni da parte dello Stato membro richiedente o riguardino in qualsiasi modo il valore probatorio delle informazioni. La Repubblica ceca e la Repubblica francese hanno quindi correttamente sottolineato che nel procedimento tributario nazionale l’apprezzamento delle prove, e quindi il modo in cui le informazioni sono impiegate, deve essere valutato in base alle norme procedurali nazionali interne. È perciò compito del giudice nazionale stabilire che valore probatorio spetti, nel caso specifico, all’informazione comunicata da uno Stato membro in base alla direttiva 77/799. Il giudice nazionale può al riguardo valutare autonomamente se l’informazione necessiti di controprova da parte del soggetto passivo oppure se non sia utilizzabile per mancata indicazione delle fonti di cognizione o altri motivi. […] Si deve perciò concludere che il diritto dell’Unione non preclude ad un soggetto passivo la possibilità di mettere in discussione, nell’ambito di un procedimento tributario nazionale, la correttezza delle informazioni fornite da altri Stati membri ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 77/799.”-cfr. pp.25,26 e 27 Concl.cit.-.
6.2 Orbene, l’affermazione per cui spetta al giudice nazionale, ove le informazioni rese dall’autorità fiscale di altro Paese devono essere utilizzate, valutare il valore di tali prove e sulla base delle disposizioni nazionali interne -concetto che l’Avvocata Generale Kokott, nelle conclusioni sopra ricordate, individua come già emerso in Corte giust. 27 settembre 2007, Twoh International, causa C-184/05, punti 36 e 37 e in Corte giust., 6 dicembre 2012, Bonik (C-285/11, punto 32)[p.24 Concl., cit.]- esclude che la mera acquisizione di informazioni mediante lo strumento di cooperazione comunitario appena ricordato abbia la capacità di “purgare” gli elementi acquisiti da eventuali illegittimità o vizi, ma nemmeno contiene alcun elemento dal quale potere inferire che l’autorità fiscale interna avesse l’obbligo di controllare l’autenticità, provenienza e riferibilità della documentazione acquisita.
6.3 In altri termini, se non può sostenersi che le modalità di acquisizione mediante strumenti di cooperazione ai fini della lotta all’evasione possano ex se rendere legittima l’utilizzabilità della documentazione trasmessa, non può nemmeno affermarsi, come invece ha ritenuto la CTR, che detti strumenti imponessero all’autorità italiana un’attività di verifica circa provenienza e autenticità della documentazione trasmessa, anche considerando che secondo la Corte di Giustizia la dir.77/799 persegue l’ulteriore finalità di consentire il corretto accertamento delle imposte sul reddito e sul patrimonio nei vari Stati membri-Corte giust. 13 aprile 2000, causa C-420/98,W.N., p.22-.
6.4 In definitiva, l’attività di verifica indicata dalla CTR non risulta imposta né dalla ricordata Direttiva – la quale non prevede limitazioni all’utilizzabilità in uno Stato dei dati acquisiti da un altro Stato membro nemmeno sancendo un divieto a che uno Stato, entrato in possesso di dati relativi ad un cittadino di altro Stato, comunichi allo Stato cui appartiene il cittadino verificato gli elementi acquisiti in modo illegittimo se non per il caso in cui l’autorità dello Stato richiedente non è in grado di fornire lo stesso tipo di informazioni(v.art.31 bis c.3 d.P.R. n.600/73)- né in questa direzione milita l’art.27 della Convenzione italo-francese firmata il 5 ottobre 1989 e ratificata con la l.n.20/1992.
6.5 Ed invero, anche tale ultima disposizione chiarisce che “Le autorità competenti degli Stati si scambieranno le informazioni necessarie per applicare le disposizioni della presente Convenzione o quelle della legislazione interna degli Stati relativa alle imposte previste dalla Convenzione, nella misura in cui la tassazione che tali leggi prevedono non è contraria alla Convenzione, nonché per prevenire l’evasione e la frode fiscali. Lo scambio di informazioni non viene limitato dall’articolo 1. Le informazioni ricevute da uno Stato sono tenute segrete, analogamente alle informazioni ottenute in base alla legislazione interna di detto Stato e sono comunicate soltanto alle persone od autorità (ivi compresi i tribunali e gli organi amministrativi) incaricate dell’accertamento o della riscossione delle imposte previste dalla Convenzione, delle procedure o procedimenti concernenti tali imposte, o delle decisioni di ricorsi presentati per tali imposte. Tali persone od autorità utilizzano tali informazioni soltanto per questi fini. Esse possono servirsi di queste informazioni nel corso di udienze pubbliche di tribunale o nei giudizi. 2. Le disposizioni del paragrafo 1 non possono in nessun caso essere interpretate nel senso di imporre ad uno Stato l’obbligo: a) di adottare misure amministrative in deroga alla propria legislazione e alla propria prassi amministrativa o a quelle dell’altro Stato; b) di fornire informazioni che non potrebbero essere ottenute in base alla propria legislazione o nel quadro della propria normale prassi amministrativa o di quella dell’altro Stato; c) di fornire informazioni che potrebbero rivelare un segreto commerciale, industriale, professionale o un processo commerciale oppure informazioni la cui comunicazione sarebbe contraria all’ordine pubblico”.
6.6 Nessun onere di preventiva verifica spetta dunque all’autorità destinataria della documentazione che potrà essere posta a fondamento della pretesa fiscale secondo la disciplina propria dell’ordinamento in cui la stessa viene utilizzata. Ne consegue, pertanto, l’erroneità della decisione impugnata.
6.7 Erronea è, quindi, l’affermazione della CTR secondo cui era onere dell’amministrazione comprovare l’autenticità e provenienza della documentazione, non potendosi in ogni caso ipotizzare un’invalidità della documentazione sulla base di elementi previsti dalla normativa interna in tema di rogatorie internazionali. Del resto, Cass.pen.n.27336/12 e 24653/2009 hanno ritenuto, sia pur in ambito penale, che le acquisizioni documentali della Guardia di finanza attengono al procedimento di accertamento fiscale ed avendo natura di atti amministrativi acquisiti all’estero direttamente dalle amministrazioni competenti esulano dalla disciplina relativa alle rogatorie. D’altra parte, non si evince dagli strumenti comunitari e convenzionali appena ricordati un obbligo di attestazione di conformità agli originali della documentazione trasmessa in copia, a differenza di altri strumenti previsti in tema di cooperazione penale. Ciò a dimostrazione dell’autonomia del sistema di accertamento della pretesa fiscale rispetto a quello penale sul quale si tornerà appresso.
6.8 Nemmeno può profilarsi, nel caso di specie, un onere di comunicazione all’interessato dell’invio da parte dell’autorità fiscale francese a quella italiana su richiesta dello Stato italiano, alla quale ha fatto riferimento, nelle sue difese, la parte controricorrente.
6.9 Infatti, secondo la Corte di giustizia non esiste un diritto del medesimo ad essere preventivamente informato circa la procedura di cooperazione attivata nei di lui confronti. Ed invero, Corte giust. 22 ottobre 2013, C-276/12, cit., ha chiarito che il diritto dell’Unione, quale risulta in particolare dalla direttiva 77/799/CEE e dal diritto fondamentale al contraddittorio deve essere interpretato nel senso che esso non conferisce al contribuente di uno Stato membro il diritto di essere informato della richiesta di assistenza inoltrata da tale Stato a un altro Stato membro al fine, in particolare, di verificare i dati forniti dallo stesso contribuente nell’ambito della sua dichiarazione dei redditi, né il diritto di partecipare alla formulazione della domanda indirizzata allo Stato membro richiesto né il diritto di partecipare alle audizioni di testimoni organizzate da quest’ultimo Stato.
6.10 Principio dal quale è desumibile l’ulteriore corollario per cui la prospettata necessità del contraddittorio nella fase di acquisizione della documentazione non può ancor di più ammettersi allorché l’iniziativa di trasmettere la documentazione fiscale non sia stata intrapresa sulla base di una richiesta di assistenza dello Stato ove risiede il contribuente, ma abbia preso luogo da un’iniziativa autonoma dello Stato ove si sono rivelati i documenti successivamente trasmessi all’altro Stato.
6.11 Occorre a questo punto passare all’esame del corpo della censura relativa alla ritenuta inutilizzabilità degli elementi trasmessi dall’autorità fiscale francese correlata, secondo la CTR, al divieto nascente dall’art.240 c.2 c.p.p. Divieto, quest’ultimo, che la CTR ha fatto discendere dalla disposta distruzione dei documenti decisa dal GIP presso il Tribunale di Pinerolo in diverso procedimento all’esito della natura illecita della raccolta di informazioni operata dal dipendente F. , al quale sarebbero ascrivibili condotte penalmente rilevanti secondo l’ordinamento interno – art.615 ter c.p., art. 646 e 61 n.11 c.p. alle quali si affiancherebbero le condotte delittuose derivanti dall’utilizzo delle informazioni da parte delle autorità francesi- art.3 l.n.281/2006-.
6.12 Anche tale profilo di censura è fondato, non risultando pertinente il riferimento al decreto del G.I.P. di Pinerolo che ebbe a pronunziarsi su mezzi di prova rispetto ai quali nessun elemento è stato esposto dal giudice di appello per poterne ritenere l’identità rispetto agli accertamenti confezionati dall’amministrazione finanziaria non sulla base di rogatorie internazionali ma ai sensi della direttiva 77/799/Ce.
6.13 È poi errata la ritenuta inutilizzabilità -da parte della CTR-dei documenti in ragione della provenienza illecita- trafugamento dei dati bancari da parte di un ex dipendente della banca svizzera HSBC, F.H. acquisiti successivamente dall’autorità francese.
6.14 Occorre, anzitutto escludere qualunque diretta rilevanza ai fini del giudizio all’avviso espresso da Cass.pen.n.29433/2013 che, in ambito penale, ha escluso la legittimazione del contribuente a chiedere la distruzione dei documenti della Lista (…), al cui interno si rinviene l’affermazione che detti documenti potrebbero costituire valido spunto di indagine ancorché acquisiti illegalmente, al pari degli scritti anonimi- risolvendosi in un’affermazione che trova il suo ambito all’interno della disciplina processualpenalistica.
6.15 In effetti, la giurisprudenza di questa Corte è orientata a mantenere una netta differenziazione fra processo penale e processo tributario, secondo un principio – sancito non soltanto dalle norme sui reati tributari (D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, successivamente confermato dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 20) ma altresì desumibile dalle disposizioni generali dettate dagli artt. 2 e 654 c.p.p., ed espressamente previsto dall’art. 220 disp. att. c.p.p., che impone l’obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale, quando nel corso di attività ispettive emergano indizi di reato, ma soltanto ai fini della “applicazione della legge penale” (Cass. nn. 22984, 22985 e 22986 del 2010;Cass.n.13121/2012).
6.16 Si riconosce quindi, generalmente, che “…non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale comporta, di per sé, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso ed esclusi, ovviamente, i casi in cui viene in discussione la tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale (quali l’inviolabilità della libertà personale, del domicilio, ecc.) – cfr.Cass.n.24923/2011-. Tale prospettiva si collega al principio per cui nell’ordinamento tributario non si rinviene una disposizione analoga a quella contenuta all’art. 191 c.p.p., a norma del quale “le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate”.
6.17 Ora, occorre evidenziare che non può porsi in discussione la legittimità dell’attività posta in essere dall’Amministrazione fiscale interna su impulso di quella francese in forza della dir.79/799/CEE, correttamente utilizzata nel caso di specie, anche in relazione a quanto sopra esposto.
6.18 Peraltro, giova sottolineare che in forza della clausola di segretezza contemplata dall’art.7 della dir.111199 le informazioni che uno Stato membro abbia ottenuto in virtù della direttiva “…- devono essere accessibili soltanto alle persone direttamente interessate alle operazioni di accertamento o di controllo amministrativo dell’accertamento dell’imposta; – devono essere rese note solo in occasione di un procedimento giudiziario, di un procedimento penale o di un procedimento che comporti l’applicazione di sanzioni amministrative, avviate ai fini o in relazione con l’accertamento o il controllo dell’accertamento dell’imposta ed unicamente alle persone che intervengono direttamente in tali procedimenti; tali informazioni possono tuttavia essere riferite nel corso di pubbliche udienze o nelle sentenze, qualora l’autorità competente dello Stato membro che fornisce le informazioni non vi si opponga;- non devono essere utilizzate in nessun caso per fini diversi da quelli fissati o ai fini di un procedimento giudiziario o di un procedimento che comporti l’applicazione di sanzioni amministrative avviate ai fini o in relazione con l’accertamento o il controllo dell’accertamento dell’imposta.” Tale previsione, recepita dall’art.31 bis c.4 e 5 dPR n.600/73 (nella versione ratione temporis vigente)- a cui tenore “Le informazioni ottenute ai sensi del comma 1 sono tenute segrete con i limiti e le modalità disposti dall’articolo 7 della direttiva 77/799/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1977, modificata dalle direttive 2003/93/CE del Consiglio, del 7 ottobre 2003, e 2004/56/CE del Consiglio, del 21 aprile 2004. Non è considerata violazione del segreto d’ufficio la comunicazione da parte dell’Amministrazione finanziaria alle autorità competenti degli altri Stati membri delle informazioni atte a permettere il corretto accertamento delle imposte sul reddito e sul patrimonio”-conferma dunque che l’amministrazione finanziaria provvede allo scambio, con le altre autorità competenti degli Stati membri dell’Unione Europea, delle informazioni necessarie per assicurare il corretto accertamento delle imposte sul reddito e sul patrimonio. Se a ciò si aggiunge che il comma 5 dello stesso articolo prevede che “Non è considerata violazione del segreto d’ufficio la comunicazione da parte dell’Amministrazione finanziaria alle autorità competenti degli altri Stati membri delle informazioni atte a permettere il corretto accertamento delle imposte sul reddito e sul patrimonio”, risulta evidente che, ad onta di quanto erroneamente ritenuto dalla CTR, i dati normativi appena ricordati escludono con certezza profili di illiceità nel comportamento delle autorità fiscali che hanno contribuito all’acquisizione della documentazione posta a base della pretesa fiscale relativa all’accertamento della maggiore ripresa fiscale. In questa direzione, del resto, milita l’art.47 c.2 del D.lgs.n. 196/2003.
6.19 Tanto chiarito, non può dubitarsi nemmeno della piena utilizzabilità di elementi – qui la Lista (…) – rispetto ai quali l’eventuale illiceità si colloca a monte dell’azione dell’Ufficio fiscale (francese), essendo riferibile personalmente al F. . In questa direzione esistono precisi indici normativi dai quali inferire la piena utilizzabilità del materiale del quale qui si discute.
6.20 Ed infatti, tanto l’art. 39, comma 2, che l’art.41, comma 2, D.P.R. n. 600/1973 e l’art.55 comma 1, D.P.R. n. 633/1972 prendono esplicitamente in considerazione l’utilizzo di elementi “comunque” acquisiti, e perciò anche nell’esercizio di attività istruttorie attuate con modalità diverse da quelle indicate negli artt. 32 e 33 del D.P.R. n. 600/1973 e nell’art. 51 del D.P.R. n. 633/1972. Tali disposizioni individuano, quindi, un principio generale di non tipicità della prova che consente l’utilizzabilità – in linea di massima- di qualsiasi elemento che il giudice correttamente qualifichi come possibile punto di appoggio per dimostrare l’esistenza un fatto rilevante e non direttamente conosciuto. Ciò che trova, peraltro, un limite quando gli elementi probatori siano stati direttamente acquisiti dall’Amministrazione in spregio di un diritto fondamentale del contribuente.
6.21 Va dunque sottolineato, con riferimento al caso qui esaminato, che l’eventuale responsabilità penale dell’autore materiale della lista- questione che esula dalla vicenda processuale odierna, non risultando la condotta nemmeno posta in essere in Italia (v.art.7 c.p. rispetto alle ipotesi delittuose per le quali è astrattamente profilabile una competenza del giudice italiano in relazione a condotte commesse all’estero)- e, comunque, l’illiceità della di lui condotta nei confronti dell’istituto bancario presso il quale operava non è in grado di determinare l’inutilizzabilità della documentazione anzidetta nel procedimento fiscale a carico del contribuente utilizzata dal Fisco italiano al quale è stata trasmessa dalle autorità francesi – v., sul punto, la già ricordata pronunzia della Cassazione penale francese del novembre 2013-(Cour de Cassation criminelle, 27.11.2013, ric.13-85042) che ha espressamente riconosciuto l’utilizzazione -addirittura in ambito penale- della Lista (…) sul presupposto che al confezionamento eventualmente illecito delle prove non aveva cooperato l’autorità pubblica-.
6.22 Né l’utilizzazione, nel procedimento amministrativo volto all’accertamento di violazioni di natura fiscale, dei documenti provenienti dalla lista (…) determina una lesione di diritti costituzionalmente garantiti del contribuente.
6.23 L’attività anzidetta compiuta dell’amministrazione fiscale italiana su impulso di quella francese non si pone, considerando quanto già esposto in ordine alla base legale che giustifica l’attività della p.a., in rotta di collisione con il diritto fondamentale alla riservatezza.
6.24 In aggiunta a quanto già espresso sub p. 6.18, occorre rilevare che il legislatore, con la l.n.413/1991- art.18- ha abrogato il “cd. segreto bancario” (cfr.Cass.n. 16874/2009) -secondo l’opinione prevalente traente origine da una norma consuetudinaria- e, per altro verso, la sfera di riservatezza relativa alle attività che gravitano attorno ai servizi bancari è essenzialmente correlata all’obiettivo della sicurezza e al buon andamento dei traffici commerciali. Sul punto giova ricordare quanto affermato da Corte cost.n.51/1992, secondo la quale al “…dovere di riserbo cui sono tradizionalmente tenute le imprese bancarie in relazione alle operazioni, ai conti e alle posizioni concernenti gli utenti dei servizi da esse erogati… non corrisponde nei singoli clienti delle banche una posizione giuridica soggettiva costituzionalmente protetta, né, men che meno, un diritto della personalità, poiché la sfera di riservatezza con la quale vengono tradizionalmente i conti e le operazioni degli utenti dei servizi bancari è direttamente strumentale all’obiettivo della sicurezza e del buon andamento dei traffici commerciali. In questa direzione, del resto, si pone l’art.18 della dir.2011/16/UE che ha sostituito, a partire dall’1.1.2013, la dir.79/799 cit., a cui tenore “L’articolo 17, paragrafi 2 e 4, non può in nessun caso essere interpretato nel senso di autorizzare l’autorità interpellata di uno Stato membro a rifiutare di fornire informazioni sola mente perché tali informazioni sono detenute da una banca, da un altro istituto finanziario, da una persona designata o che agisce in qualità di agente o fiduciario o perché si riferiscono agli interessi proprietari di una persona”.
6.25 Ciò consente di evidenziare che i valori collegati al diritto alla riservatezza e al dovere di riserbo sui dati bancari sono sicuramente recessivi di fronte a quelli riferibili al dovere inderogabile imposto ad ogni contribuente dall’art.53 della Costituzione-v., per la necessità di procedere in materia ad un bilanciamento di valori Cons.Stato, sez. IV, 09 dicembre 2011, n. 6472-. D’altra parte, sempre secondo la Corte costituzionale, “…alla riservatezza cui le banche sono tenute nei confronti delle operazioni dei propri clienti non si può applicare il paradigma di garanzia proprio dei diritti di libertà personale, poiché alla base del segreto bancario non ci sono valori della persona umana da tutelare: ci sono, più semplicemente, istituzioni economiche e interessi patrimoniali, ai quali, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, quel paradigma non è applicabile (v. sentt. nn.55 del 1968 e 22 del 1971)”.
6.26 Se a ciò si aggiunge che “…l’evasione fiscale costituisce in ogni caso una “ipotesi di particolare gravità”, per il semplice fatto che rappresenta, in ciascuna delle sue manifestazioni, la rottura del vincolo di lealtà minimale che lega fra loro i cittadini e comporta, quindi, la violazione di uno dei “doveri inderogabili di solidarietà”, sui quali, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, si fonda una convivenza civile ordinata ai valori di libertà individuale e di giustizia sociale….”-v. anche Corte cost.n.260/2000- è evidente che nessuna lesione di valori costituzionalmente rilevanti può paventarsi nel caso di specie.
6.27 Del resto, l’esigenza primaria ben rappresentata dall’art.53 Cost., che si sostanzia nei doveri inderogabili di solidarietà, primo fra tutti quello di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, alla quale si associa in modo altrettanto cogente l’obiettivo di realizzare una decisa “lotta” ai paradisi fiscali illecitamente costituiti all’estero, giustifica l’utilizzabilità delle prove acquisite dall’amministrazione con le modalità qui esaminate, trovando comunque copertura nel quadro normativo sopra menzionato e senza che possa dirsi esistente nell’ordinamento interno un principio opposto a quello appena esposto- in questa direzione v., ancora, Corte costituzionale tedesca, 9 novembre 2010 2 BvR 2101/09-.
6.28 La possibilità di siffatta utilizzazione dei dati senza incidere sulle regole di riservatezza, d’altra parte, appare viepiù confermata da ulteriori indici normativi.
6.29 Né appare profilabile la lesione dell’art. 24 Cost. se si accede all’idea che il contenuto della lista costituisce semplice indizio nel processo tributario ed il giudicante di merito è tenuto a prenderlo in considerazione, pro o contro il fisco, nel quadro delle complessive acquisizioni processuali, con piena facoltà d’intervento delle difese-cfr.Cass.n.16874/2009-.
6.30 Nemmeno può ipotizzarsi una lesione del cd. giusto processo per come tutelato dall’art.6 CEDU. Se, infatti, nel presente procedimento deve ritenersi applicabile tale disposizione, controvertendosi in tema di sanzioni fiscali equiparabili a sanzioni penali secondo i cd. Engels criteria- Corte dir.uomo,12 luglio 2001 terrazzini c.Italia-ric.n. 44759/98-; Corte dir.uomo, 23 Novembre 2006, Jussila c. Finlandia -ric.n.73053/01-;Corte dir. Uomo, ric.n. 11633/04, sentenza del 5 aprile 2012, Chambaz c. Suisse- va ricordato che la Corte di Strasburgo è ferma nel ritenere che l’utilizzazione di una prova acquisita illegalmente non determina ex se la lesione della CEDU. Ed invero, l’art. 6 CEDU non disciplina espressamente le questioni relative all’ammissibilità delle prove che sono disciplinate dalla legge nazionale. In ogni caso, la Corte si riserva una verifica di compatibilità convenzionale che guarda al procedimento svolto nel suo complesso, al fine di verificare se lo stesso sia stata improntato a canoni di equità del processo- Corte dir.uomo, 26 aprile 2007, Dumitri Papescu c. Romania-ric.n.71525/01;Corte dir.uomo, 16 dicembre 1992, Edwards c.Regno Unito-nc.n. 13071/87-, pp. 34 e 35; Corte dir.uomojiernard c. Francia, 23 aprile 1998, § 37, e Corte dir.uomo,21 gennaio 1999, Garcia Ruiz c. Spagna-nc.n. 30544/96-; Corte dir.uomo, 1 marzo 2007, Heglas c.Rep.Ceca, ric. 5935/02,p. 85; id., Corte dir.uomo, 9 maggio 2003, Papageorgiou c.Grecia – ric.n.59506/00-p.35-. Esigenze che sono nel caso di specie ampiamente salvaguardate per le considerazioni sopra esposte.
6.31 Resta ancora da aggiungere, in relazione all’argomento difensivo esposto dal controricorrente con riferimento all’efficacia della sentenza della Cour de Cassation civile-sent.31.1.2012, ric.n.P.11-13.097- nell’ordinamento interno in base all’art.64 lett.g) della l.n.218/1995, che non è possibile attribuire alcun valore giuridico alla superiore decisione resa in un procedimento straniero avente ad oggetto una controversia insorta in Francia per verificare la ritualita di una perquisizione domiciliare svolta all’interno di un procedimento fiscale sulla base dei dati tratti dall’apparato informatico in possesso del predetto F. . Ed è in ogni caso decisivo il fatto che la reciproca indipendenza degli ordinamenti nazionali determina l’irrilevanza delle pronunce di giudici stranieri che abbiano eventualmente dichiarato inutilizzabile la “lista”.
6.32 Quanto al carattere indiziario degli elementi originariamente raccolti dalle autorità francesi, la CTR ha omesso di considerare che anche un solo indizio può risultare già di per sé idonei a giustificare la pretesa fiscale, essendo ormai ferma la giurisprudenza di questa Corte nel ritenere che in materia tributaria, è sufficiente, quale prova presuntiva, un unico indizio, preciso e grave (ancorché l’art. 2729 del codice civile si esprima al plurale) e la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l’esistenza del fatto da dimostrare derivi come conseguenza del fatto noto alla stregua di canoni di ragionevolezza e probabilità—cfr.Cass. n. 656/2014; Cass.n. 12438/2007; Cass.n.28047/2009;Cass.n.27063/2006. Né può dubitarsi dell’utilizzabilità di informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative quali elementi di prova (Cass. 30 settembre 2011, n. 20032; Cass. 20 aprile 2007, n. 9402; Cass. 29 luglio 2005, n. 16032; Cass. 5 maggio 2011, n. 9876;Cass. 14 maggio 2010, n. 11785;Cass.n.2916/2013;v. anche Cass.n.3839/2009;Cass., 7 agosto 2008 n. 21271; Cass.n.4612, 4613 e 4614/2014).
7. Sulla base di tali considerazioni, idonee a superare i rilievi difensivi esposti dalla parte controricorrente anche in memoria, il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate deve essere accolto per quanto di ragione e la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Lombardia perché faccia applicazione del seguente principio: L’Amministrazione finanziaria, nella sua attività di accertamento della evasione fiscale può – in linea di principio -avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una disposizione di legge o dal fatto di essere stati acquisiti dalla Amministrazione in violazione di un diritto del contribuente. Sono perciò utilizzabili, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari acquisiti dal dipendente infedele di un istituto bancario, senza che assuma rilievo l’eventuale reato commesso dal dipendente stesso e la violazione del diritto alla riservatezza dei dati bancari (che non gode di tutela nei confronti del fisco). Spetterà quindi al giudice di merito, in caso di contestazioni fiscali mosse al contribuente, valutare se i dati in questione siano attendibili, anche attraverso il riscontro con le difese del contribuente.

P.Q.M.

la Corte, visti gli artt. 375 e 280 bis c.p.c.
Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata rinviando ad altra sezione della CTR della Lombardia per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio.