202005.07
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Cass., sez. unite civ., 7 maggio 2020, n. 8631 (testo)

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 28 gennaio – 7 maggio 2020, n. 8631
Presidente Spirito – Relatore Vincenti

Fatti di causa

  1. – Il Giudice di pace di Venezia, con sentenza del 25 novembre 2013, respinse l’opposizione che la Società V.E.R.I.T.A.S. (Veneziana Energia Risorse Idriche Territorio Ambiente Servizi) S.p.A. aveva proposto avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore di C.E. per il pagamento della complessiva somma di Euro 156,38, oltre accessori, quale restituzione degli importi dall’ingiunta indebitamente incassati a titolo di i.v.a. nelle bollette di utenza domestica sulla Tariffa di Igiene Ambientale (T.I.A. 1) e sulla Tariffa di Integrata Ambientale (T.I.A. 2) nel periodo compreso tra aprile 2003 e novembre 2012.
  2. – Avverso tale sentenza interponeva appello la V.E.R.I.T.A.S. S.p.A., insistendo, inizialmente, per l’assoggettabilità ad i.v.a. di entrambe le T.I.A. (1 e 2), per poi concentrare il gravame soltanto sulla affermata debenza dell’Iva sulla T.I.A. 2, a partire dall’anno 2011.
    Nella resistenza del C. , il Tribunale di Venezia, con sentenza del 20 dicembre 2016, accoglieva solo parzialmente, e in punto di commisurazione delle spese processuali, l’appello della V.E.R.I.T.A.S., respingendolo nel resto.
    2.1. – Il giudice di appello – premesso che quanto alla T.I.A. 1, prevista dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, la non assoggettabilità ad i.v.a. era stata, condivisibilmente, affermata (sulla scorta delle pronunce in materia della Corte costituzionale: sentenza n. 238 del 2009 e ordinanze n. 300 del 2009 e n. 64 del 2010) dalla sentenza n. 5078 del 2016 di queste Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in ragione della natura tributaria della tariffa, connotata da “elementi autoritativi”, oltre che dall’assenza di “rapporto sinallagmatico proprio delle prestazioni soggette” ad i.v.a. ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3 e 4 – riteneva che, in riferimento alla T.I.A. 2, si dovesse giungere ad analoga conclusione, non essendo dirimente il dato testuale ricavabile dal combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 e del D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 122 del 2010) – ossia, rispettivamente, la dichiarata natura di corrispettivo della tariffa e la sua natura non tributaria -, essendo la T.I.A. 2 “un prelievo disciplinato secondo i medesimi parametri della T.I.A. 1” e, dunque, avendo le due tariffe natura “omogenea e tributaria”.
  3. – La V.E.R.I.T.A.S. S.p.A. ha proposto ricorso per la cassazione di tale decisione, affidando le sorti dell’impugnazione a un unico, articolato, motivo, illustrato da memoria.
    Ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato da memoria, C.E. .
  4. – La causa, già fissata per la trattazione in adunanza ex art. 380 bis.1 c.p.c. e poi rinviata a udienza pubblica, è stata, quindi, rimessa a queste Sezioni Unite a seguito di ordinanza interlocutoria n. 23949 del 25 settembre 2019, pronunciata, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., dalla Terza Sezione civile, la quale ha ritenuto che la “natura giuridica della tariffa integrata ambientale, cd. T.I.A. 2 e l’assoggettabilità ad Iva della stessa”, rilevi come questione di massima di particolare importanza.

Ragioni della decisione

  1. – Con l’unico mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 3, art. 4, commi 2 e 3, D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 e del D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 122 del 2010.
    Il giudice di appello avrebbe erroneamente accomunato la tariffa prevista dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 (c.d. T.I.A. 1) a quella del D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 238 (c.d. T.I.A. 2) – tariffa alla quale sono stati assoggettati gli immobili siti nel Comune di Venezia per il periodo dal 2011 al 2013, anno in cui la T.I.A. 2 è stata sostituita dalla TARES e poi dalla TARI -, errando altresì nell’escludere la natura di corrispettivo della T.I.A. 2 e il suo assoggettamento ad i.v.a..
    Il Tribunale di Venezia avrebbe, infatti, trascurato di considerare (anche alla luce della sentenza n. 238 del 2009 della Corte costituzionale) la diversa natura dei due prelievi: tributaria la T.I.A. 1, siccome correlata alla mera occupazione o detenzione di locali ed aree e dovuta anche in assenza di produzione di rifiuti, e, dunque, non assoggettata ad i.v.a. (in tal senso, le Sezioni Unite civili con la sentenza n. 5078 del 2006); di corrispettivo la T.I.A. 2, come affermato dai succitati artt. 238 e 14, in quanto correlata all’effettiva produzione di rifiuti e dovuta soltanto in tale evenienza, così da doversi assoggettare ad i.v.a. (nella specie, per una somma pari ad Euro 82,87) l’importo a tale titolo corrisposto.
  2. – Come detto, la assoggettabilità ad i.v.a. della T.I.A. 2 è questione che la Terza Sezione civile ha rimesso allo scrutinio e alla soluzione di queste Sezioni Unite.
    2.1. – L’ordinanza interlocutoria (n. 23249/2019), premessa un’ampia ricognizione normativa di settore, dà atto che, con la sentenza n. 16332 del 21 giugno 2018, la stessa Terza Sezione ha escluso la natura tributaria della T.I.A. 2, in quanto avente carattere di “corrispettivo” e non già di tributo e, quindi, da assoggettarsi ad i.v.a. ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 3 e 4.
    Tale orientamento ha, quindi, trovato conferma e puntualizzazione in numerose successive decisioni, anche della Sezione Tributaria (sono richiamate, tra le più recenti: Cass. n. 12744/2018, n. 12745/2018, n. 4876/2019, n. 14753/2019 e n. 15529/2019, della Terza Sezione e della Sesta Sezione, sottosezione III; Cass. n. 20972/2019, della Sezione Tributaria).
    Secondo il Collegio, il “nucleo centrale della motivazione”, su cui la sentenza n. 16332/2018 e le successive fondano la soluzione anzidetta, si basa sostanzialmente su due argomenti: “da un lato, viene ritenuto decisivo il dato normativo che individua il fatto generatore dell’obbligo del pagamento nella produzione di rifiuti e, dunque, nella “effettiva fruizione del servizio”, “commisurando l’entità del dovuto alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti”; dall’altro, si valorizza il dato letterale chiaro e innovativo, che definisce “corrispettivo” la tariffa”.
    2.2. – Della validità di tali argomenti a sorreggere le conclusioni raggiunte si dubita nell’ordinanza interlocutoria di rimessione a queste Sezioni Unite.
    Si sostiene, infatti, la necessità di ancorare il giudizio ad una indagine “sulle caratteristiche sostanziali del prelievo” – come, del resto, imposto non solo dalla giurisprudenza del Giudice delle leggi, ma anche dalla legislazione Eurounitaria e dalla Corte di giustizia -, per cui, al fine di verificare l’assoggettabilità ad i.v.a. del prelievo stesso, occorre prescindere dalla sua “qualificazione formale”, per dare rilievo, invece, alla “esistenza o meno di un nesso sinallagmatico tra l’importo dovuto e il servizio fruito”, ravvisabile dove tra chi fornisce la prestazione e il destinatario della stessa “intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario”.
    Una siffatta indagine – argomenta ancora il Collegio rimettente porta a valorizzare, in contrasto con la “tesi della natura privatistica”, taluni elementi, sostanziali e comuni alla T.I.A. 1 (della cui natura tributaria non è dato dubitare), e segnatamente: a) la determinazione autoritativa dell’importo della tariffa, prescindente dalla volontà delle parti, volta “allo scopo di ripartire spese pubbliche necessarie a provvedere a servizi indispensabili e pubblici”, gestiti in regime di privativa da parte dei Comuni; b) la debenza della tariffa non già in forza di un “rapporto sinallagmatico” e, dunque, di un nesso tra servizio ed entità del prelievo, ma in ragione del possesso o della detenzione di locali o di aree “che producano” rifiuti urbani, con una parametrazione del relativo importo “soltanto presuntiva e potenziale”, in quanto commisurata “alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte” (art. 238, comma 2); c) la copertura di costi di servizi relativi ai c.d. rifiuti esterni (giacenti sulle strade pubbliche), concernenti “spese pubbliche afferenti a un servizio indivisibile reso a favore della collettività”; d) la irrilevanza della “quota variabile” cui il Regolamento per l’applicazione della T.I.A. 2 del Comune di Venezia commisura (oltre alla previsione di una “quota fissa”) l’importo dovuto per la produzione di rifiuti “presuntiva di ciascuna singola utenza”, essendo l’ammontare determinato in base al D.P.R. n. 158 del 1999, che parametra l’importo alla “applicazione di indici medi di produttività dei rifiuti, ascrivibili ad ampie categorie di utenze, peraltro riferite ad aree geografiche ampie e indeterminate”.
    Di qui, dunque, nonostante la presenza di un “univoco orientamento di legittimità”, la rimessione a queste Sezioni Unite della questione, di massima di particolare importanza (incidente anche su profili applicativi della “TARI”, quale tariffa succeduta alla T.I.A. 2), relativa alla “natura giuridica della tariffa integrata ambientale” e alla “assoggettabilità ad Iva della stessa”.
  3. – Il ricorso della V.E.R.I.T.A.S. S.p.A. è ammissibile e fondato.
    3.1. – Va, anzitutto, disattesa, perché priva di consistenza, l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, sollevata dal controricorrente per “non identificabilità del petitum” e basata sull’assunto che il gravame non avrebbe “distinto le bollette oggetto dell’originario decreto ingiuntivo facenti riferimento alla c.d. TIA 1 rispetto a quelle facenti riferimento alla c.d. TIA 2”, sicché il suddetto “petitum” sarebbe “generico ed incomprensibile”.
    A tal fine è agevole rilevare, in via assorbente, come la società ricorrente (pp. 6 e 7 del ricorso) abbia puntualizzato, nel rispetto degli oneri di specificità e localizzazione cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, che l’impugnazione riguarda la T.I.A. 2, per gli anni 2011 e 2012, fino alla sostituzione con la “TARES” e poi la “TARI”, a decorrere dal 2013, trovando determinazione in base alle fatture “indicate ai numeri da 33 a 40 nella tabella di cui alle pagine 8-10 del ricorso per ingiunzione” (prodotto sub 3 in allegato al ricorso per cassazione), per un ammontare complessivo di Euro 82,87.
    Dunque, il ricorso riguarda la debenza, o meno, dell’i.v.a. sulla T.I.A. 2, quale profilo su cui, pertanto, si incentra unicamente, allo stato, la presente controversia.
  4. – Nell’economia della decisione sulla questione di massima di particolare importanza, rimessa dall’ordinanza della Terza Sezione ex art. 374 c.p.c., riveste centralità il dato del formante legislativo costituito dalla norma di interpretazione autentica di cui al D.L. 30 maggio 2010, n. 78, art. 14, comma 33, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, che, testualmente, recita: “Le disposizioni di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, si interpretano nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria. Le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria”.
  5. – È opportuno, quindi, dare immediatamente conto delle disposizioni del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, su cui è venuta ad incidere l’anzidetta norma interpretativa, le quali disciplinano la tariffa che il D.L. n. 208 del 2008, art. 5, comma 2-quater, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 13 del 2009, ha denominato “Tariffa Integrata Ambientale” (c.d. T.I.A. 2).
    5.1. – L’art. 238 citato ha previsto che (comma 1) “chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali, o aree scoperte ad uso privato o pubblico non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, che producano rifiuti urbani, è tenuto al pagamento di una tariffa”, la quale rappresenta “il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e ricomprende anche i costi indicati dal D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, art. 15”.
    L’anzidetta tariffa è (comma 2) “commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base di parametri, determinati con il regolamento di cui al comma 6 (i.e.: il decreto da emanarsi dal “Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle attività produttive, sentiti la Conferenza Stato regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, le rappresentanze qualificate degli interessi economici e sociali presenti nel Consiglio economico e sociale per le politiche ambientali (CESPA) e i soggetti interessati), che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali”.
    La relativa determinazione (comma 3) è affidata alle “Autorità d’ambito” e la medesima tariffa “è applicata e riscossa (ai sensi del comma 12, in base alle disposizioni del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, mediante convenzione con l’Agenzia delle entrate) dai soggetti affidatari del servizio di gestione integrata sulla base dei criteri fissati dal regolamento di cui al comma 6”, prevedendosi che, ove la tariffa copra anche i “costi accessori relativi alla gestione dei rifiuti urbani quali, ad esempio, le spese di spazzamento delle strade”, “ciò deve essere evidenziato nei piani finanziari e nei bilanci dei soggetti affidatari del servizio”.
    La tariffa è, quindi, composta (comma 4) “da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, nonché da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio”.
    Ai fini della determinazione (comma 7) “possono essere previste agevolazioni per le utenze domestiche e per quelle adibite ad uso stagionale o non continuativo, debitamente documentato ed accertato, che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali”. Inoltre, occorre, a detti fini, anche (comma 8) “degli obiettivi di miglioramento della produttività e della qualità del servizio fornito e del tasso di inflazione programmato” e (comma 9) “degli investimenti effettuati dai comuni o dai gestori che risultino utili ai fini dell’organizzazione del servizio”, potendosi, poi, applicare (comma 10) “un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi”.
    Nel dettare la disciplina, sostanziale, appena ricordata, il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, ha, nel contempo, provveduto (comma 1) alla soppressione della tariffa (di igiene ambientale) di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49 (la c.d. T.I.A. 1), “salvo quanto previsto dal comma 11”, che, a sua volta, ha disposto che “(s)ino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti”.
  6. – Posto, dunque, che sulla disciplina della “tariffa” (T.I.A. 2) recata dalle disposizioni del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, ha inciso la norma interpretativa di cui al D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, la prospettiva che guida il presente scrutinio (e che, come detto, fa della citata norma il fulcro del discorso giustificativo della decisione) induce, anzitutto, a rammentare “come” e “perché” si sia giunti alla sua emanazione.
    Giova, pertanto, tratteggiare – sia pure per sintesi, attingendo dalla puntuale ricognizione operata dall’ordinanza interlocutoria – quel percorso evolutivo, fatto di norme positive e della relativa interpretazione giurisprudenziale, che ha segnato la conformazione dell’ordinamento di settore nell’assetto reso attuale al momento dell’emanazione del D.L. n. 78 del 2010, per poi arrestarsi, di lì a poco, con il venir meno della stessa T.I.A. 2.
    6.1. – In un contesto, di gran lunga risalente (a partire dalla L. n. 366 del 1941) di “tassazione” sul servizio di smaltimento dei rifiuti urbani (interni ed esterni), confermato dalla disciplina sulla “tassa annuale” (c.d. TARSU) istituita, su base tariffaria, dal 1 gennaio 1994, dal D.Lgs. n. 507 del 1993 (artt. 58-81), il già citato del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 (c.d. “decreto Ronchi”, fatto oggetto di successive modificazioni ad opera della L. n. 426 del 1998 e della L. n. 488 del 1999) impose ai Comuni di effettuare, in regime di privativa, la gestione dei rifiuti urbani ed assimilati e, quindi, di istituire una “tariffa” (“tariffa di igiene ambientale”, c.d. T.I.A. 1) per la copertura integrale dei costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico, nelle zone del territorio comunale.
    La T.I.A. 1 era strutturata in base a due “quote”: una prima “quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti”; una seconda “quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio” (D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 4). Per la definizione delle componenti dei costi e per la determinazione della tariffa di riferimento il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio fu abilitato ad emanare apposite norme regolamentari per la elaborazione del “metodo normalizzato”; regolamento che fu approvato con il D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158.
    Tuttavia, la sostituzione (con relativa soppressione) della TARSU con la T.I.A. 1, già disposta a decorrere a decorrere dal 10 gennaio 1999, fu procrastinata al 1 gennaio 2000 dalla L. 9 dicembre 1998, n. 426, art. 1, comma 28, onsentendosi ai Comuni, in forza della L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, comma 7, di adottare in via sperimentale la T.I.A.1.
    Seguì, quindi, un articolato regime transitorio, disciplinato dal regolamento previsto dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 5, come novellato dalla L. n. 488 del 1999, art. 33, che concesse ai Comuni termini differenziati per sostituire la TARSU con la T.I.A.1, “entro i quali… provvedere alla integrale copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa”. A dettare la disciplina transitoria – in considerazione sia del grado di copertura dei costi dei servizi raggiunto dai diversi Comuni, sia della popolazione dei Comuni stessi – provvide del citato D.P.R. n. 158 del 1999, art. 11, come modificato direttamente dalla L. n. 488 del 1999, art. 33, comma 6, mantenendosi ferma, però, la possibilità, per tutti i Comuni, di deliberare l’applicazione della tariffa “in via sperimentale” in sostituzione della TARSU, anche prima della scadenza dei detti termini (D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, commi 1-bis e 16).
    Successivamente il legislatore intervenne più volte a spostare il termine per l’applicazione della T.I.A. 1: da ultimo e in via definitiva con la L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 134, che stabilì il passaggio definitivo dalla TARSU alla T.I.A.1 tra il 1 gennaio 2007 e il 1 gennaio 2008.
    6.2. – Come detto, il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, dispose, a decorrere dalla sua entrata in vigore (23 aprile 2006), la soppressione della T.I.A. 1 (di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49), sostituendola con la “Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani”, ossia la T.I.A. 2 (“Tariffa Integrata Ambientale”, così successivamente denominata), prevedendo, però, che sino all’emanazione dell’apposito regolamento ministeriale sui criteri generali per la definizione delle componenti dei costi della tariffa (comma 6), “continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti” (comma 11).
    Nelle more dell’adozione dell’anzidetto regolamento ministeriale (mai avvenuta), il legislatore (L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 184) intese far rimanere invariato, per l’anno 2007, il regime di prelievo relativo al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti adottato in ciascun Comune per l’anno 2006.
    Il blocco dei regimi relativi alla TARSU e alla T.I.A.1 venne, quindi, esteso anche agli anni 2008 e 2009 (rispettivamente con la L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 166 e con il citato D.L. n. 208 del 2008, art. 5, comma 1). Peraltro, il termine – 30 giugno 2009 – a partire dal quale (in base al comma 2-quater dello stesso art. 5 da ultimo richiamato) i Comuni avrebbero potuto adottare la T.I.A. 2 venne prorogato, dapprima (D.L. n. 78 del 2009, art. 23, comma 21, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 102 del 2009), al 31 dicembre 2009 e, poi (D.L. n. 194 del 2009, art. 8, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 25 del 2010), al 30 giugno 2010, data dalla quale i Comuni, a partire dal 2011, avrebbero potuto comunque istituire la nuova tariffa sulla base delle disposizioni normative e regolamentari vigenti (ossia il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 e il D.P.R. n. 158 del 1999).
    Per effetto di tali slittamenti e dell’entrata in vigore, dal 1 gennaio 2013 e in forza del D.L. n. 201 del 2011, art. 14 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 214 del 2011), del c.d. TARES (“Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi”), con contestuale abrogazione di tutti i precedenti prelievi, l’applicazione della T.I.A. 2 da parte dei Comuni è rimasta circoscritta ad un limitato periodo di tempo, compreso tra il 1 luglio 2010 (data a partire dalla quale il legislatore ha permesso l’utilizzo della tariffa anche in mancanza del regolamento di cui dell’art. 238, comma 6) e il 31 dicembre 2012.
    6.3. – È questo, dunque, il quadro normativo, caratterizzato da un’evoluzione non sempre coerente e ordinata, che ha impegnato la giurisprudenza, non soltanto di questa Corte, nell’esatta individuazione della natura giuridica della T.I.A. 2, e ancor prima della stessa T.I.A. 1, e nella perimetrazione dei profili consequenziali alla soluzione adottata, tra cui, segnatamente, quello concernente il giudice munito di giurisdizione sulle relative controversie tra il gestore del servizio e gli utenti, nonché quello (direttamente implicato nella questione in esame) della assoggettabilità, o meno, ad i.v.a. del prelievo.
    6.3.1. – La decisa scelta per la natura non tributaria della T.I.A. 1, con correlata affermazione della giurisdizione del giudice ordinario sul contenzioso che riguardava detta tariffa, dapprima operata da queste Sezioni Unite (Cass., S.U., 15 febbraio 2006, n. 3274), fu superata (Cass., S.U., 8 marzo 2006, n. 4895; Cass., 9 agosto 2007, n. 17526) in ragione dell’intervento legislativo (D.L. n. 203 del 2005, art. 3-bis, comma 1, lett. b, introdotto dalla Legge di Conversione n. 248 del 2005) che novellò del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 2, attribuendo “alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone (…) per lo smaltimento dei rifiuti urbani (…)”.
    Tuttavia, quest’ultimo approdo fu posto in discussione nel 2009 (Cass., S.U., 15 giugno 2009, n. 13894) attraverso la rimessione al Giudice delle leggi della questione di legittimità costituzionale della anzidetta norma novellatrice, nella parte in cui devolveva alla giurisdizione tributaria “le controversie relative alla debenza del canone (tariffa) per lo smaltimento dei rifiuti urbani”.
    La controversia del giudizio a quo riguardava il mancato pagamento di fatture relative alla tariffa d’igiene ambientale (T.I.A. 1) per gli anni dal 2001 al 2005, ma la citata ordinanza di rimessione delle Sezioni Unite argomentò sulle ragioni ritenute fondanti la natura non tributaria della “tariffa” assumendo come riferimento non solo la disciplina del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, ma anche quella del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 (ossia relativa alla T.I.A. 2).
    Seguì, di lì a poco, la decisione della Corte costituzionale, ma venne assunta su analoghe e precedenti ordinanze di rimessione di taluni giudici di merito.
    Con la sentenza n. 238 del 2009 fu, dunque, dichiarata non fondata, in riferimento all’art. 102 Cost., comma 2, la sollevata questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, comma 2, secondo periodo, ma il thema decidendum fu delimitato alla devoluzione al giudice tributario della giurisdizione sulle controversie relative alla T.I.A. 1, di cui all’art. 49 del c.d. “decreto Ronchi”, affermandosi, espressamente, che dal perimetro della decisione rimanevano escluse le controversie sulla T.I.A. 2, di cui all’art. 238 del codice dell’ambiente.
    E ciò non solo a motivo degli anni di imposta implicati (non ricadenti, ratione temporis, nel regime giuridico del citato art. 238, allora non ancora applicabile; nè, del resto, lo sarebbe stato – come detto – sino al 1 luglio 2010), ma anche in ragione della “rilevata formale diversità delle fonti istitutive delle due suddette tariffe (ancorché entrambe usualmente denominate, in breve, TIA)”, della “successione temporale delle fonti”, della “parziale diversità della disciplina sostanziale di tali prelievi” e del “fatto che la tariffa integrata espressamente sostituisce la tariffa di igiene ambientale”.
    Sull’ordinanza di rimessione di queste Sezioni Unite n. 13894 del 2009 intervenne, quindi, l’ordinanza di manifesta infondatezza n. 64 del 2010 della Corte costituzionale, la quale si limitò a richiamare la sentenza n. 238 del 2009, con cui – come detto – era stata già dichiarata non fondata l’identica questione di legittimità costituzionale “sul rilievo che la TIA, disciplinata dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, costituisce non già una entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU, disciplinata dal D.P.R. n. 507 del 1993 e conserva la qualifica di tributo propria di quest’ultima, con la conseguenza che le controversie aventi ad oggetto la debenza della TIA hanno natura tributaria e che la loro attribuzione alla cognizione delle commissioni tributarie è conforme al disposto dell’evocato art. 102 Cost., comma 2”.
    La successiva giurisprudenza di questa Corte, in punto di riparto di giurisdizione sulle controversie riguardanti la T.I.A. 1, si è da subito allineata all’orientamento espresso dalla Corte costituzionale (tra le altre, Cass., S.U., 8 aprile 2010, n. 8313 e Cass., S.U., 21 giugno 2010, n. 14903), per poi giungere ad enunciare, in riferimento alla questione di assoggettabilità della tariffa ad i.v.a., il seguente principio di diritto: “la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, istituita dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, oggi abrogato, avendo natura tributaria, non è assoggettabile all’IVA, che mira a colpire la capacità contributiva insita nel pagamento del corrispettivo per l’acquisto di beni o servizi e non in quello di un’imposta, sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente” (Cass., S.U., 15 marzo 2016, n. 5078).
    6.3.2. – Quanto alla T.I.A. 2, la qualificazione giuridica della tariffa integrata ambientale (e, quindi, le implicazioni correlate alla natura del prelievo) è rimasta questione che la giurisprudenza di questa Corte, maturata dopo la citata sentenza n. 238 del 2009 del Giudice delle leggi e sino all’ordinanza n. 16332 del 2018 della Terza Sezione civile (fatta oggetto di critica da parte della ordinanza interlocutoria remittente), non ha avuto modo di affrontare in modo immediato e diretto (ossia con effetti di giudicato, anche solo processuale ai fini di giurisdizione), pronunciandosi su di essa solo incidentalmente, per escludere l’equiparabilità della T.I.A. 2 alla T.I.A. 1 e per limitare alla prima l’ambito applicativo del d.I. n. 78 del 2010 (Cass., sez. V, 2 marzo 2012, n. 3293; Cass., sez. V, 9 marzo 2012, n. 3756; Cass., sez. V, 13 aprile 2012, n. 5831; Cass., sez. V, 5 aprile 2013, n. 8383).
    Anche la decisione regolativa della giurisdizione assunta dall’ordinanza n. 17113 dell’11 luglio 2017 di queste Sezioni Unite non ha avuto ad oggetto la T.I.A. 2, bensì l’addizionale provinciale prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 19, ad essa tariffa riferibile. A sostegno della assunta declaratoria di giurisdizione del giudice tributario, la citata pronuncia, dopo aver rilevato, incidentalmente, che T.I.A. 1 e T.I.A. 2 (e anche “TARI”) hanno i medesimi presupposti (“a) mancanza di nesso diretto tra prestazione e corrispettivo; b) il compenso ricevuto dal prestatore dei servizi non è il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario”), ha, poi, argomentato, in medias res, sulla persistente natura di tributo di detta addizionale nonostante il collegamento quantitativo e percentuale con la T.I.A. 2, definita come “di natura privatistica”, fungendo quest’ultima “solo da parametro per la quantificazione di tale prestazione (i.e.: l’addizionale) che ha natura di tributo a favore delle Province”.
  7. – Nel delineato contesto è, quindi, maturato l’intervento legislativo di cui al D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 122 del 2010; disposizione che, come ricordato, ha riguardato, nella sua portata qualificatoria della natura giuridica non tributaria della tariffa, soltanto quella (T.I.A. 2) disciplinata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 e non già la T.I.A. 1, di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 (così l’orientamento consolidato di questa Corte: oltre alle pronunce innanzi richiamate, cfr. anche, tra le altre: Cass., S.U., 23 luglio 2019, n. 19896, Cass., 18 luglio 2019, n. 19329, Cass., S.U., 27 gennaio 2020, n. 1839).
    Approdo giurisprudenziale, questo, affatto coeso e che, tuttavia, registra percorsi argomentativi diversi, giacché un orientamento ricorrente (corroborato da numerose pronunce tra quelle innanzi richiamate) fonda la ragione della negata estensione applicativa dell’art. 14, comma 33, alla TIA 1 sul rilievo che, al momento dell’entrata in vigore del D.L. n. 78 del 2010, il “diritto vivente” era già pacificamente indirizzato a “ritenere la natura tributaria e non di corrispettivo della TIA1”. Donde, il ritenuto “carattere innovativo”, e non “sostanzialmente interpretativo”, della “disposizione sulla TIA 2”, avendo questa istituito “una tariffa che nell’intenzione del legislatore dovrebbe essere ontologicamente diversa rispetto alla “prima Tia””.
  8. – La ricomposizione ad unità del discorso giustificativo nei termini condivisi dall’orientamento che, correttamente, ascrive natura di interpretazione autentica al D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33 (tra cui, segnatamente, proprio Cass. n. 16332 del 2018), transita, anzitutto, attraverso un’indagine di sistema sulle c.d. “norme di interpretazione autentica”, a tal riguardo sovvenendo in ausilio la copiosa giurisprudenza costituzionale in materia.
    8.1. – È opportuno, in primo luogo, distinguere il modus operandi della tecnica legislativa dell’interpretazione autentica dai caratteri intrinseci che ne connotano ratio e funzione.
    Sotto il primo profilo, l’interpretazione autentica trova vitalità nella saldatura che si viene a realizzare tra la disposizione interpretativa e una disposizione precedente su cui la prima imprime un certo significato normativo, pur lasciandone intatto il dato testuale, così da generarsi un precetto unitario nel quale vengono a congiungersi le due disposizioni implicate dall’operazione messa in campo dal legislatore (tra le molte, sentenze n. 397 del 1994, n. 94 del 1995, n. 425 del 2000).
    Quanto al secondo profilo, il carattere interpretativo di una disposizione di legge va riconosciuto “alle norme che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo” (tra le altre, sentenze n. 132 del 2016 e n. 424 del 1993).
    Tale direzione dell’intervento legislativo – di chiarificazione, con effetti vincolanti, del significato normativo di una certa disposizione di legge – trova effettività allorquando lo specifico esercizio di nomotesi si attui “in presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali”, ovvero anche soltanto “quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario” (tra le tante, sentenze n. 232 del 2016, n. 314 del 2013, n. 15 del 2012, n. 271 del 2011).
    Sicché, la norma che residua dall’operazione legislativa di interpretazione autentica “non può dirsi costituzionalmente illegittima qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario” (tra le altre, sentenze n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009).
    8.2. – Peraltro, ai fini della presente decisione, non necessita indagare sull’attributo costituito dalla naturale retroattività della norma interpretativa (pur da autorevole dottrina posto in discussione, nonostante la contraria, e alquanto coesa, posizione della giurisprudenza), poiché, anche ove si ritenesse tale la prima delle disposizioni di cui si compone del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 14, comma 33 (cioè: “Le disposizioni di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, si interpretano nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria”), non ne scaturirebbero effetti giuridici consequenziali, in quanto – come in precedenza ricordato – la T.I.A. 2, al momento dell’emanazione del D.L. n. 78 del 2010, non aveva ancora mai potuto trovare applicazione (proprio in ragione della peculiare modulazione della disciplina legislativa di riferimento) e tanto sarebbe potuto accadere solo da data successiva (1 luglio 2010).
    Di qui, pertanto, la coerente previsione di effetti temporali pro futuro da parte della seconda disposizione del medesimo art. 14, comma 33, che, per l’appunto, ha attribuito al giudice ordinario (in armonia con la natura non tributaria della tariffa, ritenuta dalla prima disposizione) le “controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
    8.4. – Dunque, lo statuto della norma di interpretazione autentica si caratterizza indefettibilmente per la determinazione, vincolante per il giudice che ne dovrà fare applicazione, del significato che il legislatore ha voluto ascrivere alla norma interpretata, assunto in un contesto di incertezza (intrinseca alla formulazione dell’enunciato o derivante da contrasti giurisprudenziali) sulla relativa applicazione oppure soltanto perché lo stesso legislatore ha inteso selezionare – e così imporre – uno soltanto dei plurimi significati già insiti nella medesima norma.
    Nel caso in esame, quindi, si dovrà verificare se davvero tale statuto si addice al precetto dettato dall’art. 14, comma 33, là dove prescrive di interpretare come priva di natura tributaria la tariffa prevista dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 e, ove un tale scrutinio abbia esito positivo, quali conseguenze possa trarne il giudice tenuto ad osservarlo nell’esercizio della funzione giurisdizionale.
    8.4.1. – A tal fine, giova ancora ribadire e precisare, in linea più generale, che, nell’ambito dell’esercizio della funzione giurisdizionale, il piano su cui si colloca l’ermeneusi della disposizione a carattere interpretativo – che, come detto, attribuisce alla disposizione interpretata un significato determinato tra una pluralità di varianti di senso – non coincide con quello dell’ermeneusi che era possibile rispetto alla disciplina dettata dalla disposizione interpretata, giacché il precetto risultante dalla saldatura tra quest’ultima disposizione e quella interpretativa non sarà più suscettibile di generare tutte le varianti di senso consentite dall’originario enunciato, essendo vincolato l’interprete a considerare solo quelle non scartate dalla disposizione interpretativa.
    Secondo questa tessitura a trama variabile, occorrerà, dunque, che il giudice – chiamato ad applicare quelle disposizioni nel caso concreto – si soffermi anzitutto sull’enunciato della norma interpretativa, scrutinabile certamente sotto la lente di tutti i criteri ermeneutici di cui esso interprete dispone, a partire da quello letterale (e, dunque, nei limiti della torsione massima permessa dalla connessione dei significanti linguistici), per fissare quale sia la variante di senso della norma interpretata scelta dal legislatore.
    Ed è su questa variante di senso, una volta coltone l’esatto significato, che potrà, se del caso, incentrarsi un dubbio sulla legittimità dell’intervento legislativo di interpretazione autentica, ove tale intervento abbia debordato da quei limiti che la Corte costituzionale ha inteso come “valori di civiltà giuridica”, tra cui, eminentemente, “il rispetto del principio di ragionevolezza”, “la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto”, “la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico”, “il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario” (tra le molte, sentenze n. 397 del 1994, n. 209 del 2010, n. 308 del 2013, n. 69 del 2014).
    8.4.2. – Una siffatta prospettiva, del resto, ha trovato ulteriore conforto nella più recente giurisprudenza costituzionale proprio in materia tributaria e in riferimento a norma di interpretazione autentica analoga a quella dell’art. 14, citato comma 33.
    Con la sentenza n. 167 del 2018, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 478, interpolativo del D.L. n. 159 del 2007, art. 39-bis (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 222 del 2007), che aveva incluso tra le disposizioni in materia di diritti aereoportuali di imbarco, da interpretarsi (ai sensi del citato art. 39-bis) “nel senso che dalle stesse non sorgono obbligazioni di natura tributaria”, anche quelle relative ai “corrispettivi a carico delle società di gestione aeroportuale relativamente ai servizi antincendi negli aeroporti”.
    Il Giudice delle leggi, nel delibare nel fondo il sollevato dubbio di costituzionalità, ha rilevato che la “qualificazione legislativa”, recata dalla norma interpretativa censurata, mancando di “esplicitare una possibile variante di senso della norma interpretata”, si è risolta “in una operazione meramente nominalistica, che non si accompagna alla modifica sostanziale dei ricordati elementi strutturali della fattispecie tributaria”, giacché alla stessa norma interpretata è attribuito “un significato non compatibile con la intrinseca ed immutata natura tributaria della prestazione, così ledendo la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico”. Lesione, questa, che “si traduce in una violazione del principio di ragionevolezza”, con conseguente illegittimità costituzionale della L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 478, per contrasto con l’art. 3 Cost..
    8.4.2.1. – Tale esito del giudizio di costituzionalità conferma la cogenza del vincolo per l’interprete nascente dalla norma interpretativa e dalla sua declinazione chiara di senso, avendo la stessa Corte costituzionale escluso che il giudice a quo fosse direttamente tenuto a validare – in forza di una interpretazione costituzionalmente conforme – il significato del precetto alla luce del principio sostanzialista, che orienta l’individuazione del discrimine tra prelievo di natura tributaria e non. Ossia, del principio che poggia su “tre indefettibili requisiti”, i quali, “indipendentemente dalla qualificazione offerta dal legislatore”, caratterizzano una fattispecie come “di natura tributaria”: “la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, debbono essere destinate a sovvenire pubbliche spese” (tra le tante, più di recente, sentenze n. 269 del 2017 e n. 89 del 2018).
    Invero, se quello scrutinio diretto fosse stato ritenuto praticabile, al Giudice delle leggi sarebbe rimasta l’alternativa tra il dichiarare inammissibile la questione sollevata – in assenza del previo e necessario tentativo, in applicazione dei criteri sostanziali innanzi ricordati, di adeguare il significato della norma all’assetto della Carta Fondamentale (la c.d. interpretazione costituzionalmente orientata) – ovvero, assumendo a guida della delibazione di costituzionalità proprio quel principio, dichiararla non fondata, con una decisione interpretativa di rigetto (come, del resto, è accaduto con la sentenza n. 238 del 2009 in materia di T.I.A. 1).
  9. – Venendo, quindi, allo specifico del thema decidendum, atteso che il carattere di interpretazione autentica della norma dettata dal D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, si desume, in modo inequivoco, quale intenzione oggettiva della legge, dal chiaro tenore letterale dell’enunciato che compone il frammento normativo (“Le disposizioni di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, si interpretano nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria”), militano plurimi argomenti di segno contrario alla arbitrarietà di un siffatto intervento legislativo, ossia che esso mascheri una “operazione meramente nominalistica” (così la ricordata sentenza n. 167 del 2018).
    9.1. – Anzitutto, non è affatto irrilevante – ai fini della delibazione complessiva sulla conformità della norma interpretativa al principio costituzionale di ragionevolezza – la circostanza (resa evidente dai lavori preparatori dell’art. 14, comma 33: relazione al disegno di legge di conversione e relazione tecnica, A.S., XVI legislatura, n. 2228) che l’esigenza di interpretare autenticamente le disposizioni sulla T.I.A. 2 sia maturata tempestivamente, in epoca ravvicinata alla sentenza n. 238 del 2009 della Corte costituzionale, che aveva riconosciuto natura tributaria della tariffa di igiene ambientale (T.I.A. 1), per cui si è inteso provvedere con una disposizione – concernente la “nuova tariffa” prevista dall’art. 238 citato (T.I.A. 2) – volta “a dirimere la pluralità di dubbi interpretativi sorti negli ultimi mesi in relazione alla esatta natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte di servizi di smaltimento dei rifiuti, tenendo conto anche della mancanza di un’univoca giurisprudenza di legittimità in materia”.
    Il legislatore, quindi, ha interpretato la disciplina della T.I.A. 2, dettata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, per impedire che tra le possibili varianti di senso si potesse propendere per la natura tributaria della tariffa, come, invece, era avvenuto, in epoca appena precedente, per la T.I.A. 1.
    9.2. – Un rilievo affatto significativo assume, poi, il “diritto vivente” formatosi a seguito della citata ordinanza n. 16332 del 2018, che, come rilevato dalla stessa Terza Sezione rimettente, si è mostrato coeso nel ribadirne i principi, tutti convergenti nel senso della natura di corrispettivo della T.I.A. 2 e, dunque, della qualificazione in termini di prelievo non tributario (tra le tante, Cass.: n. 32250/2018, n. 4275/2019, n. 4876/2019, n. 14195/2019, n. 14753/2019, n. 15520/2019, n. 15529/2019, n. 16379/2019, 19296/2019, n. 19299/2019, n. 19329/2019, n. 19545/2019, n. 19544/2019, n. 23669/2019).
    9.2.1. – E, come condivisibitmente posto in luce anche dall’Ufficio del pubblico ministero in sede di conclusioni orali ai sensi dell’art. 379 c.p.c. (dunque, dalla parte pubblica che, nel giudizio civile, coopera, in posizione di indipendenza rispetto ai concreti interessi delle parti, alla dinamica di attuazione dell’ordinamento attraverso la giurisdizione), l’interpretazione giurisprudenziale costituitasi in “diritto vivente”, massimamente se proveniente dal giudice di legittimità, è fermento dei valori, di rango costituzionale, della certezza del diritto e della sicurezza giuridica, sicché la salvaguardia della sua unità e della sua stabilità va considerata alla stregua “di un criterio legale di interpretazione delle norme giuridiche”, che, seppure non è l’unico e neanche “quello su ogni prevalente”, di sicuro rappresenta “un criterio di assoluto rilievo” (Cass., S.U., 6 novembre 2014, n. 23675 del 2014).
    9.2.2. – Nella prospettiva, quindi, dell’orientamento giurisprudenziale anzidetto assume importanza, anzitutto, la novità, peculiare, del dato normativo rispetto a quello che disciplinava la T.I.A. 1; circostanza, questa, che – come detto – era stata già messa in luce dalla citata sentenza n. 238 del 2009 della Corte costituzionale.
    L’art. 238 del D.Lgs. n. 152 del 2006, dunque, a differenza del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, individua il fatto generatore dell’obbligo di pagamento della T.I.A. 2 nella produzione di rifiuti, ancorando il debito all’effettiva fruizione del servizio, e, al tempo stesso, diversamente dal passato, assegna natura di “corrispettivo” alla tariffa, parametrando l’entità del dovuto alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti.
    Ne consegue che la natura privatistica della tariffa consente di ritenere il prelievo assoggettabile ad i.v.a. ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3, ciò non trovando ostacolo nella circostanza che “il pagamento della TIA2 (come quello della TIA1) sia obbligatorio per legge, atteso che il D.P.R. n. 633 del 1972, citato art. 3, prevede che “le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere” costituiscono prestazioni di servizi (ai fini della assoggettabilità all’IVA ex art. 1 del medesimo decreto) “quale ne sia la fonte”” (così la citata Cass. n. 16332/2018).
    Peraltro, a conforto della natura privatistica della tariffa si è anche precisato (tra le altre, Cass. n. 4275/2019 e Cass. n. 19544/2019, citate) che “nella prospettiva dell’opzione legislativa è… chiaro che l’individuazione del costo con componenti predeterminate o accessorie è del tutto compatibile trattandosi di contratti di massa, nella cornice dei quali trova idonea spiegazione anche la redistribuzione agevolativa dei costi con modalità che tengano conto anche di indici reddituali”.
    9.3. – L’approdo del “diritto vivente”, nei termini così delineati che rendono armonica la configurazione privatistica della tariffa con l’inerenza di essa ad un rapporto giuridico che registra la coincidenza tra soggetto tenuto al pagamento e soggetto beneficiario dell’attività di chi eroga il servizio (quale elemento che concorre a configurare quei reciproci obblighi come sostanzianti un rapporto sinallagmatico: cfr. sentenza n. 269 del 2017 del Giudice delle leggi) -, ha trovato rispondenza nella più recente giurisprudenza costituzionale, che, in materia, ha assunto una posizione particolarmente incisiva, sulla quale, peraltro, non si sono misurate nè l’ordinanza interlocutoria di rimessione a queste Sezioni Unite, nè ulteriori pronunce di questa Corte (salvo – e in maniera significativa, come si vedrà – quella, già citata, n. 1839/2020, sempre di queste Sezioni Unite).
    9.3.1. – Con la sentenza n. 188 del 2018, il Giudice delle leggi, nello scrutinare la legittimità di una legge regionale calabra (L.R. n. 11 del 2003) in tema di contributi di bonifica e affrontando il problema della natura tributaria, o meno, del prelievo, ha rammentato, anzitutto, quale sia il perimetro entro il quale il legislatore statale può esercitare la sua discrezionalità in materia di politica fiscale rispetto, segnatamente, alla provvista di un servizio pubblico, essendo ad esso consentito prevedere o escludere che la prestazione patrimoniale imposta “indipendentemente dalla qualificazione” della stessa (citazione, questa, ripresa proprio dalla, appena precedente, sentenza n. 167 del 2018, innanzi ricordata) – sia in “una relazione sinallagmatica con il servizio, seppur non in termini di stretta corrispettività”, così da conformare detta prestazione, rispettivamente, come canone o tariffa ovvero come tributo.
    La Corte costituzionale, quindi, ha messo in rilievo come il legislatore “può anche passare da un sistema basato sulla fiscalità di un contributo ad uno fondato sulla corrispettività di una tariffa o di un canone, come è avvenuto nell’ipotesi della tariffa di igiene ambientale, istituita con il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), inizialmente di natura tributaria (sentenza n. 238 del 2009 e, da ultimo, Corte di cassazione, sezioni unite, ordinanza 10 aprile 2018, n. 8822), poi sostituita dalla tariffa per la gestione dei rifiuti urbani del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ex art. 238 (Norme in materia ambientale), prestazione patrimoniale ritenuta di natura non tributaria (Corte di cassazione, sezione terza civile, ordinanza 21 giugno 2018, n. 16332), al pari della tariffa per il servizio di fognatura e depurazione (sentenza n. 335 del 2008)”.
    Il riferimento espresso a quest’ultima pronuncia si presta ad assumere particolare valenza ai fini dell’istituito raffronto, in termini di omologia della natura della prestazione patrimoniale, con la tariffa del D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 238 (ossia, con la T.I.A. 2), poiché la sentenza del 2008, per giungere ad escludere la natura tributaria dell’anzidetta prestazione patrimoniale (quale componente della tariffa del servizio idrico integrato di cui alla L. n. 36 del 1994, poi sostituita dalla tariffa disciplinata dello stesso D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 154) ha fatto leva su plurimi indici e segnatamente: 1) sui lavori preparatori, da cui “si desume che il legislatore ha inteso costruire la tariffa in modo tale da coprire i costi del servizio idrico integrato”, ciò trovando corrispondenza, poi, in espressa disposizione della L. n. 36 del 1994; 2) sulla rilevata coerenza con tale impostazione della previsione per cui “tutte le componenti della tariffa rappresentano “il corrispettivo del servizio idrico integrato”” (la cui determinazione è rimessa, peraltro, al c.d. “metodo normalizzato”, nella specie disciplinato dal D.M. 1 agosto 1996); 3) sulla esistenza di un “diritto vivente” fermo nell’escludere la natura tributaria della (quota di) tariffa; 4) sulla relazione armonica tra “l’uso legislativo del termine “corrispettivo” e la rilevata struttura sinallagmatica del rapporto con l’utente” e l’assoggettabilità ad i.v.a. delle quote di tariffa riferite ai servizi di fognatura e depurazione in base alla previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 5, lett. b), come modificato dalla L. n. 448 del 1998, considerate “come veri e propri corrispettivi dovuti per lo svolgimento di attività commerciali, ancorché “esercitate da enti pubblici”.
    9.5. – La portata della sentenza n. 188 del 2018, nei termini in cui è ribadita, in linea con il “diritto vivente”, la natura non tributaria, bensì di corrispettivo privatistico, della T.I.A. 2, è stata colta dalla recentissima sentenza n. 1839 del 27 gennaio 2020 di queste Sezioni Unite, che, nel riconoscere, in base al D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 122 del 2010), la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie aventi ad oggetto la debenza della tariffa integrata ambientale di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, ha inteso evidenziare – proprio alla luce della richiamata pronuncia del Giudice delle leggi – come le “scarne essenziali indicazioni” dell’art. 14, comma 33, “sottolineano la risolutezza delle formule utilizzate dal legislatore per il passaggio dal vecchio al nuovo sistema, disegnato dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238”, in tale prospettiva venendo in rilievo, quali elementi di riconoscimento della natura propria della tariffa, la produzione dei rifiuti, la qualificazione del prelievo in termini di “corrispettivo” di un servizio (quello della “raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani”) e, quindi, la soppressione del tributo disciplinato dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49.
  10. – Le considerazioni che precedono inducono, quindi, a ritenere che la qualificazione della T.I.A. 2 recata dal D.L. n. 78, art. 14, comma 3, non si esaurisca in una “operazione meramente nominalistica”, saldandosi, invece, con la disciplina originaria della medesima tariffa (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238) – diversa da quella dettata dal legislatore per la T.I.A. 1 -, nella quale trova rispondenza in base agli evidenziati indici di riconoscimento, in coerenza con il principio, di matrice Europea, del “chi inquina paga” e con la definizione in termini di corrispettivo del prelievo stesso.
    Non sussistono, quindi, margini per poter apprezzare l’intervento legislativo di interpretazione autentica come arbitrario e manifestamente lesivo del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), tale da dare consistenza ad un dubbio di legittimità costituzionale sulla disposizione anzidetta.
  11. – La natura privatistica della T.I.A. 2, quale corrispettivo del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, nel contesto di un rapporto sinallagmatico, consente, pertanto, l’assoggettabilità ad i.v.a. della relativa prestazione patrimoniale.
    Nè sono fondati i dubbi che il controricorrente ha prospettato sulla conformità di un tale approdo alla disciplina Eurounitaria (direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto).
    Come evidenziato in più di un’occasione dalla giurisprudenza di questa Corte, per un verso, non esiste un vincolo, per gli Stati membri, a finanziare con una specifica modalità, anche in tesi tributaria, la gestione della raccolta dei rifiuti (Corte giust., 15/07/2009, causa 254/08); per altro verso, la Corte di giustizia ha ribadito (sentenza del 22 febbraio 2018, in causa C-182/17) che costituisce una prestazione di servizi fornita a titolo oneroso, soggetta all’imposta sul valore aggiunto, un’attività economica consistente nello svolgimento da parte di una società di determinati compiti pubblici in esecuzione di un contratto concluso tra tale società e un comune, rimarcando, in siffatta prospettiva, “come la determinazione forfettaria (in quel caso, su base annua) di un simile compenso non spezza di per sé il nesso tra prestazione e corrispettivo (punto n. 37), e l’affidamento a una società di compiti pubblici, parimenti, non è logicamente decisivo per valutare lo svolgimento di prestazioni a titolo oneroso nella medesima cornice (punto n. 40)” (così tra le molte: Cass. n. 32250/2018 e Cass. n. 19299/2019, citate).
    Ciò, peraltro, rende irrilevante la difesa della parte controricorrente per cui la V.E.R.I.T.A.S. sarebbe “solo formalmente una società privata perché il suo socio sovrano è il Comune di Venezia”, giacché – pur volendo prescindere dal fatto che non viene precisato se la circostanza, la cui verifica richiede un approfondito accertamento in fatto, sia stata già fatta oggetto di discussione nel giudizio di merito l’attività commerciale di una società in house “nei confronti di terzi ben può restare privatistica, nonostante la rilevanza pubblicistica del regime dell’ente ad altri fini correlati al controllo della società stessa da parte dell’amministrazione che ne sia socia” (tra le molte, Cass. n. 19545/2019).
  12. – Il ricorso va, dunque, accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio al Tribunale di Venezia, in diversa composizione, il quale, nel delibare l’appello della V.E.R.I.T.A.S. S.p.A., si atterrà al seguente principio di diritto:
    “la tariffa di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, come interpretato dal D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 122 del 2010, ha natura privatistica ed è, pertanto, soggetta ad IVA ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 3, art. 4, commi 2 e 3”.
    Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.