202303.16
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Cass., sez. unite civ., 16 marzo 2023, n. 7682 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8937-2017 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMANUELE GIANTURCO 6, presso lo studio dell’avvocato NICOLA RIVELLESE, rappresentato e difeso dall’avvocato RENATO DAMIANO;

  • ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

  • controricorrente –

avverso la sentenza n. 8467/44/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 05/10/2016. Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/10/2022 dal Consigliere LUCIO NAPOLITANO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale GIUSEPPE LOCATELLI, il quale chiede il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Il Dott. A.A. ricorre per cassazione, in forza di quattro motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (CTR) della Campania n. 8467/44/16, depositata il 5 ottobre 2016, non notificata, con la quale la CTR ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado della Commissione tributaria provinciale (CTP) di (Omissis), che aveva, invece, accolto il ricorso proposto dal contribuente avverso avviso di liquidazione relativo ad imposta di registro non versata in relazione a nota di accompagnamento, contenente ricognizione di debito, ad assegno emesso a titolo di prestito personale, senza corresponsione d’interessi, posto a fondamento di decreto ingiuntivo, munito di clausola di provvisoria esecuzione, emesso dal Tribunale di Napoli in favore del ricorrente.

Il giudice tributario d’appello ha motivato l’accoglimento del gravame dell’Amministrazione finanziaria attribuendo alla summenzionata nota di accompagnamento natura di “atto che non rientra nella sfera di esplicazione di attività amministrativa, ma di atto che costituisce “caso d’uso” in quanto trattasi di “scrittura privata non autenticata””, affermando altresì che “(l)a scrittura privata nel prestito di denaro ha il valore di un vero e proprio contratto”, soggetta a registrazione “in caso d’uso””. Ha quindi concluso la CTR statuendo che “(n)el caso di specie la scrittura privata che documenta l’esistenza di un prestito con statuizione delle clausole ad hoc è stata il supporto probatorio per l’azione in giudizio; ciò per cui è soggetta a registrazione”.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Chiamata la causa alla pubblica udienza del 19 ottobre 2021 dinanzi alla sezione tributaria, per la quale il Pubblico Ministero aveva depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso, con ordinanza interlocutoria n. 33313 depositata l’11 novembre 2021, il Collegio, ritenuto che la controversia ponesse tanto questione di massima di particolare importanza circa la nozione di deposito in caso d’uso e l’obbligo di registrazione relativo ai documenti depositati nei procedimenti giudiziari, quanto presupponesse la soluzione di contrasto tra indirizzi interpretativi difformi in tema di registrazione di atto di ricognizione di debito, ha rimesso gli atti al Primo Presidente della Corte, che ne ha disposto quindi l’assegnazione alle Sezioni Unite civili, dinanzi alle quali è stata fissata la pubblica udienza.

Il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione ha quindi nuovamente depositato conclusioni scritte, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 – bis, convertito, con modificazioni, dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, e del D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, comma 1, poi convertito, con modificazioni, dalla l. 25 febbraio 2022, n. 15, chiedendo rigettarsi il ricorso.

Non essendo stata fatta, secondo le succitate norme, nei termini, richiesta di discussione orale, la causa è stata decisa all’odierna camera di consiglio delle Sezioni Unite, in prossimità della quale il ricorrente ha depositato ulteriore memoria ex art. 378 c.p.c..

Ugualmente ha depositato memoria l’Agenzia delle entrate.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di norme di diritto (D.P.R. n. 131/1986, artt. 6 e 22) di seguito anche TUR, (Testo Unico Registro) ed omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, censurando la sentenza impugnata per avere omesso di rilevare come il decreto ingiuntivo, con relativa clausola di esecuzione provvisoria, avesse ad oggetto unicamente l’assegno e non anche la scrittura di ricognizione di debito.
  2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione ed erronea applicazione del D.P.R. n. 131/1986, art. 6 e relativa tariffa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la decisione impugnata ha ritenuto che la nota di accompagnamento costituisse scrittura soggetta a registrazione in caso d’uso e che quest’ultimo nella fattispecie fosse da ravvisare nel deposito dell’atto a fini probatori in giudizio.
  3. Con il terzo motivo il contribuente lamenta ancora violazione ed erronea applicazione del D.P.R. n. 131/1986 e relativa tariffa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento all’omessa previsione della registrazione di scrittura di ricognizione di debito, che avrebbe dovuto indurre la CTR a confermare la sentenza di primo grado che ne aveva escluso la sottoposizione ad imposta ai sensi del TUR e relativa tariffa.
  4. Con il quarto motivo, infine, il ricorrente denuncia cumulativamente violazione ed erronea applicazione degli artt. 112, 345 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nonchè degli artt. 17 bis e 36, n. 4, d. lgs. n. 546/1992, in relazione agli artt. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c., deducendo che la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccezione di esso appellato in merito all’illegittimità della richiesta dell’Agenzia delle entrate di sentire dichiarare “legittima la procedura seguita”, pur avendo precisato che era intervenuto l’annullamento parziale dell’avviso di liquidazione oggetto di reclamo, con riduzione della tassazione in misura proporzionale secondo l’aliquota dell’1%, effettuata unicamente per evitare la controversia, emettendo così una nuova pronuncia su cosa giudicata, atteso che la pretesa dell’Ufficio, per effetto del parziale accoglimento del reclamo, era ormai limitata all’importo conseguente alla ridotta anzidetta tassazione ed al conseguente trattamento sanzionatorio, questi ultimi quindi oggetto del ricorso poi iscritto a ruolo dinanzi alla CTP di Napoli in primo grado.
  5. Appare opportuno premettere una più puntuale descrizione del fatto alla base della presente controversia.

E’ incontestato che l’odierno ricorrente abbia ottenuto dal Tribunale di Napoli decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, sulla base di assegno bancario, non trasferibile, recante la data del (Omissis), nei confronti di B.B., allegando altresì agli atti del procedimento monitorio “nota manoscritta”, firmata dal debitore, il cui tenore letterale è stato trascritto, in ossequio al principio di autosufficienza, a pag. 8 del ricorso per cassazione, datata 20.10.2009, in cui si dà atto della causale (prestito personale, infruttifero), del fatto che l’importo comprende due corresponsioni di denaro avvenute in tempi diversi, rispettivamente di quindicimila e di diecimila Euro, e che la data di restituzione del prestito è stata convenuta il 15 gennaio 2010.

Premesso che è altrettanto incontestato che il decreto ingiuntivo è stato regolarmente registrato e sottoposto alla relativa imposizione, la pretesa estrinsecata dall’Amministrazione finanziaria nell’avviso di liquidazione notificato all’odierno ricorrente ha riguardato la sottoposizione all’imposta di registro secondo l’aliquota proporzionale del 3% riguardo all’anzidetta scrittura privata, sul presupposto che nella fattispecie in esame trovasse applicazione l’art. 9 della Tariffa – Parte I – allegata al D.P.R. n. 26 aprile 1986, n. 131, rientrando detta scrittura tra gli “(a)tti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”.

Detto avviso di liquidazione è stato impugnato dal contribuente in sede di merito sulla base, per quanto qui rileva, di due principali motivi: a) l’essere non dovuta alcuna imposta per essere stato emesso il decreto ingiuntivo sula base di assegno bancario, atto per il quale non vi è obbligo di chiedere la registrazione, ai sensi dell’art. 11 della Tabella allegata al TUR; b) l’essere comunque non dovuta alcuna imposta, non concretizzando la produzione in giudizio della scrittura privata non autenticata, sopra menzionata, avente natura di ricognizione di debito, “caso d’uso”.

Nell’ambito della fase precontenziosa ex art. 17 bis del d. lgs. n. 546/1992 l’Agenzia delle entrate ha parzialmente accolto il reclamo del contribuente con provvedimento n. prot. 76864 del 18 maggio 2014, per effetto del quale “le imposte in relazione alla ricognizione del debito sono state rideterminate al 1% e proporzionalmente anche la sanzione per omessa registrazione pari al 120%”, precisandosi ulteriormente che “(p)ertanto, viene meno la legittimazione ad agire in giudizio relativamente alla parte dell’atto che è stata annullata”.

Ne è conseguito che il ricorso iscritto a ruolo ha quindi contestato, sulla base degli stessi motivi, la pretesa del fisco nell’an, sostenendosi, da parte del contribuente, per le ragioni dinanzi esposte, che non dovesse essere versata imposta alcuna, e, comunque, nel quantum come ridotto a seguito del parziale accoglimento del reclamo.

  1. Ciò premesso, vanno esaminati previamente il primo ed il quarto motivo di ricorso.

Essi sono entrambi infondati.

6.1. Con il primo motivo, come innanzi riportato sub 1), il ricorrente lamenta al tempo stesso violazione delle norme di diritto indicate in epigrafe, alle quali, nell’esplicazione del motivo stesso, ha aggiunto l’art. 11 della Tabella allegata al TUR, nonchè omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, per avere erroneamente escluso ogni rilevanza all’assegno prodotto in giudizio ed al decreto tassato che di tale scrittura non fa menzione, affermando che l’assegno troverebbe supporto dalla scrittura privata.

Il motivo è infondato in relazione ad entrambi i distinti profili di censura. Premesso che qui il richiamo all’art. 6 del TUR (su cui infra par. 7 e relativi sottoparagrafi) non è pertinente all’effettivo ambito della censura come dinanzi delineata e che non vi è alcun cenno, nella sentenza impugnata – che ha riformato la sentenza di primo grado che aveva viceversa dato atto che nel provvedimento del giudice non vi era menzione di detta nota – all’enunciazione nel decreto ingiuntivo dell’atto di ricognizione di debito, per cui del pari la censura riferita alla violazione dell’art. 22 TUR non inerisce alla ratio decidendi, ugualmente non vi è violazione dell’art. 11 della Tabella allegata al TUR, nè omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, avendo ad oggetto la pretesa impositiva non già il decreto ingiuntivo, pacificamente sottoposto ad imposta di registro, nè l’assegno sulla base del quale è stato emesso, per il quale del pari pacificamente non vi è obbligo di registrazione, ma la scrittura privata non autenticata di ricognizione di debito.

6.2. Il quarto motivo – di là dai profili d’inammissibilità pur evidenziati nelle conclusioni scritte del Procuratore Generale in relazione al difetto di specificità della censura, oscillando la stessa tra la denuncia di omessa pronuncia, di violazione del divieto di domande nuove in appello, di violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 bis in tema di reclamo – mediazione, di difetto assoluto di motivazione – è in ogni caso infondato, dovendo il contenuto della pronuncia decisoria essere ricostruito anche alla luce dell’esposizione del fatto processuale, avendo dato ivi conto la sentenza impugnata chiaramente dei limiti della pretesa del fisco come oggetto del sindacato giurisdizionale richiesto dal contribuente all’atto del deposito del ricorso, per effetto dell’annullamento parziale dell’avviso di liquidazione conseguito all’accoglimento del reclamo nei limiti di quanto sopra osservato, con riduzione dell’assoggettamento dell’atto, ritenuto dall’Amministrazione soggetto a registrazione in termine fisso, ad imposta secondo l’aliquota minore dell’1%, con conseguente riduzione proporzionale del trattamento sanzionatorio.

6.3. La conclusione alla quale è pervenuta la CTR secondo la quale la scrittura privata in oggetto “è soggetta a registrazione”, non può che essere riferita dunque al minore importo riliquidato in sede di reclamo sulla base della ritenuta applicabilità, da parte dell’Agenzia delle entrate, dell’art. 3, Parte I, della Tariffa, che prevede l’assoggettamento ad imposta di registro degli atti di natura dichiarativa relativi a beni o rapporti di qualsiasi natura secondo l’aliquota dell’1%, salvo il successivo art. 7, il quale ultimo non rileva nella fattispecie in esame.

  1. Sono viceversa fondati il secondo e terzo motivo.

7.1. Con il secondo motivo il ricorrente censura come erronea in diritto, in violazione delle norme richiamate sub 2), la sentenza impugnata, nella parte in cui, pur riportando il testo dell’art. 6 TUR, ha affermato, con riferimento alla succitata nota di accompagnamento, che si tratta “di atto che costituisce “caso d’uso” in quanto trattasi di scrittura privata non autenticata”.

Di là dall’improprietà della formula lessicale adoperata, afferendo il “caso d’uso” non all’atto in sè, ma all’attività che si estrinseca nel suo deposito, la statuizione in esame risulta affetta dal vizio denunciato.

Giova premettere che, ai sensi dell’art. 1 TUR, l’imposta di registro si applica, nella misura indicata nella tariffa allegata al detto testo unico, agli atti soggetti a registrazione e a quelli volontariamente presentati per la registrazione.

La succitata tariffa è suddivisa in due parti. L’art. 5 TUR, nella formulazione applicabile ratione temporis, prevede al comma 1 che sono soggetti a registrazione in termine fisso gli atti indicati nella parte prima della tariffa e in caso d’uso quelli indicati nella parte seconda. Il comma 2, per quanto qui utile riportare, stabilisce che “(l)e scritture private non autenticate sono soggette a registrazione in caso d’uso se tutte le disposizioni in esse contemplate sono relative ad imposizioni soggette all’imposta sul valore aggiunto”.

L’art. 6 TUR, di cui la ricorrente lamenta, in uno alla relativa Tariffa parte seconda, la violazione, prevede che “(s)i ha caso d’uso quando un atto si deposita, per essere acquisito agli atti, presso le cancellerie giudiziarie nell’esplicazione di attività amministrative o presso le amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici territoriali e i rispettivi organi di controllo, salvo che il deposito avvenga ai fini dell’adempimento di un’obbligazione delle suddette amministrazioni, enti o organo ovvero sia obbligatorio per legge o per regolamento”.

7.2. Ciò posto, dato atto, per quanto attiene al presente giudizio, che la scrittura privata non autenticata di cui si discute, ricognitiva, per quanto più in dettaglio di seguito osservato, di un prestito personale, non attiene ad operazioni soggette ad IVA, e ribadito che non vi è alcun riferimento, nella decisione impugnata, al diverso profilo dell’enunciazione, espressamente esclusa peraltro dalla pronuncia di primo grado, di atti non registrati, di cui all’art. 22 TUR – dovendosi, inoltre, opportunamente rilevare come, secondo la giurisprudenza della Corte, l’enunciazione non costituisca “caso d’uso” (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, ord. int. 6 aprile 2022, n. 11118; Cass. sez. 6-5, ord. 29 marzo 2021, n. 8869; Cass. sez. 5, 30 ottobre 2015, n. 22243; Cass. sez. 5, 14 marzo 2007, n. 5946) – la decisione impugnata, che sembra dedurre tout court la ricorrenza del “caso d’uso” dalla natura di scrittura privata autenticata della nota di accompagnamento all’assegno di cui al credito azionato dal contribuente con il ricorso per decreto ingiuntivo, incorre, secondo quanto esposto nelle seguenti considerazioni, nella denunciata violazione di legge.

7.3. L’art. 6 TUR, come sopra trascritto, riproduce, in sostanza, il contenuto della precedente disposizione di cui al D.P.R. n. 1972, n. 634, art. 6, che segnava invece un’evidente cesura rispetto alla prima norma che stabiliva l’obbligo di registrazione di atti in “caso d’uso”, il R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 2 (Approvazione del testo di legge del Registro), che, dopo avere stabilito, al comma 1, la ripartizione tra gli atti da registrarsi in termine fisso e quelli soggetti invece a registrazione solamente in caso d’uso, stabiliva, al comma 2, che ai sensi dell’anzidetta legge, si aveva caso d’uso: “1 Quando gli atti si presentano o si producono in giudizio davanti l’autorità giudiziaria ordinaria e nei procedimenti in sede giurisdizionale avanti il Consiglio di Stato, la Corte dei conti, le Giunte provinciali amministrative, i Consigli di Prefettura ed ogni altra speciale giurisdizione e quando si producono davanti agli arbitri;

2 Quando si riportano in tutto o in parte in atti pubblici o privati soggetti a registrazione o si inseriscono negli atti, pure soggetti a registrazione, delle cancellerie giudiziarie o delle pubbliche amministrazioni o degli enti pubblici”.

Mentre, dunque, la disposizione da ultimo citata comportava che la produzione di un atto nei procedimenti giurisdizionali determinasse un caso d’uso, detta previsione non è contemplata dall’attuale art. 6 TUR, per il quale il deposito dell’atto, perchè ne derivi il “caso d’uso”, deve avvenire, per quanto qui rileva, “presso le cancellerie giudiziarie nell’esplicazione di attività amministrative”, e non deve essere oggetto di un obbligo.

L’attività deve dunque costituire frutto di una valutazione discrezionale della parte che la compia, integrando quindi un onere a carico della parte medesima che, come già evidenziato da questa Corte (cfr. Cass. sez. 5, 12 novembre 2014, n. 24107; Cass. sez. 5, 23 maggio 2005, n. 10865), intenda conseguire dal deposito “un effetto sostanziale e cioè l’acquisizione dell’atto medesimo a fini giuridici ed operativi”; ciò in sintonia con l’indirizzo espresso in dottrina, secondo cui è “il presupposto teleologico” a fondare l’obbligo di registrazione in “caso d’uso”, non essendo di per sè sufficiente il mero deposito a concretizzarlo.

7.4. Nel caso di specie il deposito della scrittura privata di cui si discute, prodotta nella cancelleria del giudice civile in sede di procedimento contenzioso, certamente non può integrare, alla stregua di quanto sopra osservato, “caso d’uso”, presupponendo l’art. 6 TUR, come detto, che il deposito dell’atto debba avvenire presso le cancellerie giudiziarie nell’esplicazione di attività amministrative.

Ciò, d’altronde, oltre che conforme al tenore letterale della norma richiamata, è in linea con la necessità di assicurare che la tutela del diritto di difesa, garantita dalla Cost., art. 24, possa dispiegarsi pienamente, senza che essa possa risultare ostacolata dall’imposizione fiscale derivante dall’applicazione dell’imposta di registro sul deposito dell’atto funzionale al conseguimento per l’interessato di fini giuridici ed operativi.

7.5. La stessa Amministrazione finanziaria, del resto, come evidenziato in particolar modo nella memoria da ultimo depositata in atti, è consapevole di ciò, avendo ivi richiamato i propri atti di prassi (cfr. Ris. min. 4 aprile 1978, n. 250117; Ris. min. 17 gennaio 1979, n. 251170; Ris. min. 5 aprile 1983, n. 251258), che hanno escluso il “caso d’uso” nelle ipotesi di allegazione di un documento ad un atto giudiziario nell’ambito di un’attività processuale contenziosa.

La strada seguita dall’Agenzia delle entrate nel giustificare l’assoggettamento della scrittura privata di cui in oggetto ad imposta di registro è stata, infatti, quella di ritenere l’atto soggetto ad obbligo di registrazione in termine fisso, sia pure con oscillazione riguardo alla norma ritenuta applicabile, avendo dapprima l’Ufficio ritenuto che l’atto dovesse scontare l’imposta nella misura proporzionale del 3% (art. 9, parte I, della Tariffa), norma di chiusura che assoggetta a detta aliquota “gli (a)tti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”, salvo, poi, in sede di accoglimento parziale del reclamo del contribuente, ridurre la pretesa impositiva sul presupposto dell’applicabilità, nella fattispecie in esame, dell’art. 3, parte I, della Tariffa, che prevede l’imposizione proporzionale nell’1% sugli “(a)tti di natura dichiarativa relativi a beni o rapporti di qualsiasi natura, salvo il successivo art. 7”, norma, quella dell’art. 7, che non rileva ai fini del presente giudizio.

7.6. L’ordinanza interlocutoria n. 33313/21 ha ricostruito la diversità degli orientamenti che, nell’ambito della stessa giurisprudenza della sezione tributaria della Corte, si sono manifestati con riferimento all’applicazione dell’imposta di registro alla ricognizione di debito.

7.6.1. Va premesso che altro è l’imposizione sul decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo emesso, che l’art. 37 TUR assoggetta ad imposta proporzionale nella misura del 3%, salvo conguaglio in base a successiva sentenza passata in giudicato – imposta pacificamente assolta dal contribuente nella fattispecie in esame – altro è l’imposizione cui debba, ricorrendone le condizioni, essere assoggettata eventualmente la ricognizione di debito allegata alla relativa domanda giudiziale.

Su tale ultimo aspetto il contrasto rilevato risente certamente della mancata espressa previsione, da parte del D.P.R. n. 131/1986, del trattamento fiscale ai fini dell’imposta di registro della ricognizione di debito, laddove il già citato R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, all’art. 8 della Tariffa, allegato A, come modificato dalla l. 4 aprile 1953, n. 261, assoggettava la ricognizione di debito all’aliquota proporzionale dell’1,5%.

L’esame del trattamento fiscale, ai fini dell’imposta di registro, della ricognizione di debito, non può prescindere dall’esame della natura giuridica della stessa, come disciplinata, unitamente alla promessa di pagamento, dall’art. 1988 c.c., secondo il quale “(l)a promessa di pagamento o la ricognizione di debito dispensa colui a favore del quale è fatta dall’onere di provare il rapporto fondamentale. L’esistenza di questo si presume fino a prova contraria”.

7.6.2. E’ espressione di principio consolidato la statuizione secondo cui la ricognizione di debito, al pari della promessa di pagamento, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma determina un’astrazione meramente processuale della causa debendi, comportante una semplice relevatio ab onere probandi, per la quale il destinatario della ricognizione di debito è dispensato dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale (cfr., più di recente, Cass. sez. 1, ord. 25 gennaio 2022, n. 2091; Cass. sez. 3, 2020, n. 24451; Cass. sez. 1, 20 dicembre 2016, n. 26334), il quale ultimo si presume pertanto fino a prova contraria.

Esso può essere indicato o meno nell’atto ricognitivo, nel primo caso parlandosi di riconoscimento titolato, nel secondo caso di riconoscimento puro.

La divergenza, rilevabile, in ambito civilistico, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, in ordine all’affermazione della natura negoziale (in tal senso, tra le altre, in giurisprudenza, Cass. sez. 3, ord. 3 novembre 2020, n. 24451; Cass. sez. 3, 22 luglio 2004, n. 13642; Cass. sez. 1, 9 febbraio 2001, n. 1831; Cass. sez. 1, 20 luglio 2000, n. 9530; Cass. sez. 1, 26 giugno 1992, n. 8029), o meno, della ricognizione di debito, si riflette anche sul piano delle conseguenze che se ne fanno discendere riguardo al tipo d’imposizione in tema d’imposta di registro.

7.6.3. In relazione al profilo fiscale, in via di tendenziale schematizzazione, come rilevato nell’ordinanza interlocutoria n. 33313/21, le posizioni assunte dalla giurisprudenza della sezione tributaria della Corte possono ricondursi a tre filoni interpretativi.

I primi due corrispondono alle posizioni assunte, nel presente giudizio, dall’Amministrazione finanziaria, in limine litis, dapprima con la notifica dell’avviso di liquidazione avente ad oggetto la pretesa dell’assoggettamento della nota di accompagnamento, recante la ricognizione di debito, all’imposta proporzionale di registro, in termine fisso, nella misura del 3%, successivamente, con l’accoglimento parziale del reclamo, nella misura ridotta dell’1%.

7.6.4. La prima tesi (cfr., più di recente, Cass. sez. 5, 14 luglio 2017, n. 17808, nonchè, principalmente, la già citata Cass. n. 24107/14), senza operare distinzioni di sorta, ritiene che la ricognizione di debito debba farsi rientrare nell’ambito dell’art. 9 della tariffa, parte I, del D.P.R. n. 131/1986, che assoggetta all’imposizione proporzionale nella misura del 3% gli “(a)tti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”; ciò, essenzialmente, in ragione della considerazione secondo cui è “difficile negare che la patrimonialità pertenga all’obbligazione certificata in una scrittura ricognitiva di debito” (così, in motivazione, la citata Cass. n. 24107/14), dovendo pertanto trovare applicazione la previsione residuale di cui al citato art. 9 della tariffa, parte I. 7.6.5. Diversamente, sempre movendo però dalla condivisione della natura di dichiarazione di volontà della ricognizione di debito, nell’ambito del secondo orientamento si è affermato che – posto che non sempre nell’atto ricognitivo risulta esplicitata la causa debendi mediante richiamo, implicito o esplicito, all’esistenza dell’atto costitutivo di un sottostante rapporto patrimoniale, donde, come si è visto, la ricognizione di debito può assumere forma “pura” o “titolata”- laddove dalla ricognizione non risulti l’esistenza dell’atto costitutivo di un rapporto patrimoniale sottostante, di modo che non è dato verificare se per esso risulti già versata o meno l’imposta dovuta, la dichiarazione, priva di contenuto patrimoniale, non comportando alcuna innovazione rispetto all’obbligazione contratta, va ricondotta alla previsione di cui all’art. 3, parte prima, della tariffa, che prevede l’assoggettamento all’imposta proporzionale nella misura dell’1% degli “(a)tti di natura dichiarativa, relativi a beni o rapporti di qualsiasi natura”, sempre soggetti all’obbligo di registrazione in termine fisso (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, ord. 16 giugno 2021, n. 15190; Cass. sez. 5, 12 febbraio 2020, n. 3379; Cass. sez. 6-5, ord. 18 gennaio 2017, n. 1247; Cass. sez. 5, 15 luglio 2016, n. 14480; Cass. sez. 5, 20 giugno 2008, n. 16829; Cass. sez. 5, 28 maggio 2007, n. 12432).

7.6.6. Secondo un terzo orientamento, infine, si è venuto affermando il principio secondo il quale alla ricognizione di debito, avendo essa natura meramente dichiarativa e, come tale, non apportando alcuna modificazione nè rispetto alla sfera patrimoniale del debitore che la sottoscrive, nè a quella del creditore che la riceve, limitandosi a confermare un’obbligazione già esistente (cfr., già, Cass. sez. 5, 19 gennaio 2009, n. 1132), deve attribuirsi natura di mera dichiarazione di scienza, rispetto alla quale non sarebbe applicabile, quindi, nè l’art. 9, parte prima, della tariffa, nè l’art. 3, parte prima della tariffa, ma l’art. 4, parte II, della Tariffa, secondo cui, sono assoggettate, in caso d’uso, ad imposta di registro in misura fissa, per quanto qui rileva, le scritture private non autenticate non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale (cfr. Cass. sez. 5, 2021, n. 15268; Cass. sez. 5, 11 gennaio 2018, n. 481).

7.6.7. Per completezza espositiva va altresì segnalata un’ulteriore tesi, che ha trovato adesione in qualche pronuncia di merito, rimasta peraltro isolata, secondo cui la ricognizione di debito andrebbe assoggettata ad imposta proporzionale di registro nella misura dello 0,50%, in relazione all’art. 6, Parte I, della Tariffa, che prevede la registrazione in termine fisso in tale misura proporzionale delle “(ce)ssioni di crediti, compensazioni e remissioni di debiti, quietanze, tranne quelle rilasciate mediante scrittura privata non autenticata; garanzie reali e personali a favore di terzi, se non richieste dalla legge”, ciò sull’asserito presupposto che gli atti di riconoscimento di debito, al pari di quelli ivi menzionati, non determinano un incremento patrimoniale.

7.6.8. Limitando, ai fini della risoluzione del segnalato contrasto, l’esame ai primi tre diversi orientamenti sui quali si è posizionata la sopra richiamata giurisprudenza sezionale della Corte, queste Sezioni Unite ritengono che occorra muovere comunque dall’analisi dal disposto dell’art. 3, parte I, della Tariffa, che, come è stato puntualmente evidenziato in dottrina, in assenza di esplicita previsione in tema di tassazione degli atti a contenuto ed effetto ricognitivo da parte del vigente TUR e relative tariffe ad esso allegate, è la sola norma che, in termini generali, vi si avvicini e che, come si è già detto, assoggetta a registrazione in termine fisso con l’aliquota dell’1% gli “(a)tti di natura dichiarativa relativi a beni o rapporti di qualsiasi natura”.

Si è posto in rilievo che, nel genus degli atti avanti natura dichiarativa sono tendenzialmente distinguibili tre diverse categorie di atti: a) quella degli atti o negozi “dichiarativi” riferibili alle fattispecie nella quali, come nella divisione, si abbia, per effetto del negozio dichiarativo, una modificazione della situazione giuridica preesistente, senza che a ciò consegua, però, il prodursi di effetti obbligatori o reali; b) quella degli atti o negozi “ricognitivi” finalizzati, da parte di chi li pone in essere, a manifestare la propria consapevolezza in ordine ad una data situazione giuridica, non incerta, preesistente all’atto ricognitivo, situazione che pertanto non viene ad essere in alcun modo innovata, non ricorrendo, rispetto ad essa, alcun effetto costitutivo, modificativo od estintivo ad opera dell’atto ricognitivo; c) quella, infine, degli atti o negozi di accertamento (distinguibili in negozi di “mero accertamento” e in negozi di “accertamento costitutivo”), la cui causa sia quella di rimuovere un’oggettiva e riconosciuta dalle parti situazione d’incertezza.

Per quanto concerne gli atti ricognitivi, con riferimento alla fattispecie oggetto del presente giudizio, ove (si veda supra, par. 5) l’atto di riconoscimento del debito – che fa espressamente riferimento al rapporto fondamentale sottostante, riconoscendo il debitore una situazione giuridica certa nella quale, per effetto di due successive dazioni di denaro, egli deve restituire al creditore il complessivo importo di Euro 25.000,00 erogatogli come prestito personale, è propriamente un atto meramente ricognitivo, come tale atto giuridico in senso stretto, dal quale, dunque, non scaturisce alcun effetto reale o obbligatorio, l’obbligazione riferita al rapporto fondamentale essendo a monte, nè potendo ad esso ricondursi un autonomo rilievo patrimoniale, derivandone solo l’agevolazione per il creditore sul piano dell’onere della prova, che, operando pertanto sul piano dell’astrazione processuale, non può qualificarsi come effetto “dichiarativo” dell’atto di riconoscimento.

7.6.9. In ragione di ciò ritengono queste Sezioni Unite che debba preferirsi il terzo orientamento sopra menzionato, con la conseguenza che, nella fattispecie in esame, la scrittura privata non autenticata di mero riconoscimento di debito debba essere ricondotta, ai fini dell’imposta di registro, all’art. 4, Parte II della Tariffa, che assoggetta, in caso d’uso, le scritture private non autenticate non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale ad imposta fissa (attualmente nell’importo di Euro 200,00).

  1. Possono, dunque, alla stregua delle considerazioni che precedono, enunciarsi i seguenti principi di diritto:

“Il deposito di documento a fini probatori in procedimento contenzioso non costituisce “caso d’uso” in relazione al D.P.R. n. 131/1986, art. 6 “.

“La scrittura privata non autenticata di ricognizione di debito che, come tale, abbia carattere meramente ricognitivo di situazione debitoria certa, non avendo per oggetto prestazione a contenuto patrimoniale, è soggetta ad imposta di registro in misura fissa solo in caso d’uso”.

  1. In relazione a tale ultimo principio, occorre, comunque, evidenziare come il giudice di merito debba pervenire alla qualificazione della natura dell’atto all’esito d’interpretazione dell’atto stesso ex art. 20 TUR che, nella sua attuale formulazione seguita alla modifica ad esso apportata dalla l. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), nn. 1) e 2), prevede che “l’ imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”, di cui, come è noto, il giudice delle leggi, ha confermato, con due diverse pronunce (Corte Cost. 21 luglio 2020, n. 158 e Corte Cost. 16 marzo 2021, n. 39, anche in relazione alla l. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, in forza del quale la l. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a, costituisce interpretazione autentica del D.P.R. n. 131/1986, art. 20), la legittimità costituzionale.

9.1. Laddove, infatti, a mero titolo esemplificativo, indipendentemente dal nomen iuris adoperato di ricognizione di debito, debba riconoscersi alla dichiarazione un effetto modificativo di una situazione giuridica obbligatoria preesistente, che assuma rilevanza patrimoniale, tornerà applicabile l’art. 3, parte I della Tariffa, con obbligo di registrazione in termine fisso, da assoggettare ad imposta proporzionale secondo l’aliquota dell’1%, da applicare al valore del bene o del diritto oggetto dell’atto dichiarativo (art. 43, comma 1, lett. a, TUR), come espresso nello stesso atto dichiarativo.

9.2. Nella fattispecie in esame, incontroversa, in fatto, la natura di atto meramente ricognitivo della dichiarazione di riconoscimento di debito, e ribadito che il suo deposito contestualmente ad assegno bancario in sede di ricorso per decreto ingiuntivo – quest’ultimo pacificamente assoggettato a regolare imposizione secondo l’art. 37 TUR – non integra “caso d’uso”, il ricorso per cassazione del contribuente va accolto in relazione al secondo e terzo motivo, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e, non ricorrendo la necessità di ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384, comma 2, ultima parte, c.p.c., con accoglimento dell’originario ricorso del contribuente (in relazione al quarto motivo dello stesso).

  1. Stante il contrasto di giurisprudenza che ha dato luogo alla rimessione alla Sezioni Unite della presente controversia, ricorrono le condizioni di legge per compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente.

Dichiara compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili, il 11 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2023