202110.05
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Cass., sez. trib., 5 ottobre 2021 (ord.), n. 26910 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Lina – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3375/15 R.G., proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis.

  • ricorrente –

contro

M.G., rappresentato e difeso dall’Avv.to Carlo Amato e dall’Avv.to Giuseppe Marini, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, Via di Villa Sacchetti, n. 9, in virtù di mandato in margine al controricorso.

  • controricorrente-

avverso sentenza Commissione tributaria regionale del Veneto n. 1255/24/2014, depositata il 22/07/2014, non notificata;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 luglio 2021 dal Cons. Rosita D’Angiolella.

Svolgimento del processo

che:

La Guardia di Finanza di (OMISSIS) effettuava una verifica fiscale nei confronti della società (OMISSIS) s.r.l., svolgente attività di “discoteche, sale da ballo e night”, dalla quale emergevano una serie di irregolarità contabili della società in base alle quali si procedeva alla ricostruzione induttiva del reddito d’impresa, per gli anni 2007, 2008 e 2009 per maggiori corrispettivi, non registrati non dichiarate, ai fini Ires, Iva ed Irap. Il processo verbale di constatazione veniva notificato alla società in data (OMISSIS).

La società (OMISSIS) s.r.l., in data (OMISSIS), veniva cancellata dal registro delle imprese e, con sentenza del 10/01/2013 n. 7, il Tribunale di Treviso ne dichiarava il fallimento.

Successivamente, l’Agenzia delle entrate, ritenendo che le risultanze del p.v.c. legittimassero la ricostruzione induttiva del reddito, emetteva vari avvisi accertamento, per gli anni 2007-2008-2009, nei confronti della società, per il recupero dei maggiori corrispettivi non dichiarati ammontanti a complessivi Euro 3.127.707,50, ed in seguito, in ragione della cancellazione della società dal registro delle imprese, notificava avvisi di accertamento nei confronti dei soci della compagine sociale.

Con ricorso notificato in data 24/04/2012, M.G., socio della (OMISSIS) s.r.l., impugnava gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società, a lui pervenuti in notifica, invocando la propria estraneità ai fatti addebitati alla società e, quindi, la carenza di legittimazione passiva. Sin dal primo grado di giudizio, l’Ufficio, per converso, invocava la responsabilità del socio della società estinta ex art. 2945 c.c..

La Commissione tributaria provinciale di Treviso, con sentenza n. 97/05/12 accoglieva integralmente il ricorso di M.G. sul presupposto che la legge non dispone circa il subentro automatico dei soci alla responsabilità di una società estinta.

L’Agenzia delle entrate proponeva appello che veniva rigettato dalla Commissione tributaria regionale con la sentenza di cui in epigrafe.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a tre motivi.

M.G. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

che:

  1. L’Agenzia delle entrate, con il primo motivo di ricorso, deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il difetto assoluto di motivazione e, comunque, di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, con contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, perchè, a dire della ricorrente, non si comprende se la CTR abbia respinto l’appello dell’Ufficio per carenza di legittimazione passiva del socio in quanto non destinatario di provvedimenti impositivi ovvero in quanto non responsabile di condotte fraudolente e/o di attività sociali residuate in esito all’estinzione della compagine sociale.

1.1. Il primo mezzo di gravame è infondato.

1.2. La Commissione Tributaria Regionale, sulla premessa in fatto dell’avvenuta notificazione di distinti avvisi di accertamento nei confronti dei soci della società in ragione dell’avvenuta estinzione della società (“l’Agenzia delle entrate ha notificato gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS)… (OMISSIS)…(OMISSIS) a tutti i soci della compagine sociale per il recupero dei maggiori corrispettivi accertati a carico della società (OMISSIS) s.r.l. per gli anni 2007-2008-2009 per complessivi Euro 3.127.707,50 (…) sulla circostanza della cancellazione della società dal registro delle imprese con conseguente estinzione della società e della perdita della sua capacità di legittimazione processuale e sostanziale”, v. primi due capoversi, della parte della sentenza riguardante lo “svolgimento del processo”), ha ritenuto infondato l’appello dell’Amministrazione in relazione al disposto dell’art. 2945 c.c., e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, per la mancata contestazione della responsabilità dei soci in relazione alle loro quote di partecipazione ovvero in relazione ai beni ricevuti, in proporzione, per effetto della liquidazione (v. pag. 1, prima parte dei “motivi della decisione”: “dagli atti di causa emerge modo incontestabile che l’ufficio non ha emesso alcun avviso di accertamento a carico dei soci, nè per imputare a loro i maggiori redditi accertati a carico della società in proporzione delle loro quote di partecipazione in qualità di soci di una società ristretta base sociale, per individuare in ogni socio i beni ricevuti per effetto della liquidazione in proporzione addebitare la responsabilità delle obbligazioni sociali nei confronti dell’erario… non ci sono accertamenti individuale carico dei soci non ci sono ben individuati pervenuti soci dalla liquidazione non ci sono accertamenti consolidati di responsabilità per condotte illecite nei confronti dell’erario”,). Ha, poi, escluso la rilevanza, ai fini della responsabilità dei soci, della costituzione del “trust” e delle attività ivi presenti ritenendola espressione della libertà negoziale dei costituenti (v. pag. 1, ultima parte, dei “motivi della decisione”: “La stessa costituzione del Trust rientra nella libertà negoziale di un soggetto….se attività fossero risultate in possesso del Trust queste sarebbero state devolute al pagamento dei creditori come contrattualmente previsto ma non sono state occultate dei soci quindi non sussiste alcuna loro responsabilità nè civile nè penale ma solo affidamento della gestione di un’entità autonoma dell’attività economica”).

1.3. Ritiene il Collegio che nella specie non ricorrano quelle ipotesi di anomalia motivazionale che si tramutano in violazione di legge costituzionalmente rilevante in quanto attinenti all’esistenza della motivazione in sè che si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico,” nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, in quanto le argomentazioni dei secondi giudici enunciano, in maniera obiettivamente adeguata, le ragioni che, sia sul piano logico che su quello giuridico, hanno portato al rigetto dell’appello della Amministrazione erariale.

In particolare, la Commissione regionale ha ritenuto, compiendo un accertamento di merito, che, nella specie, mancasse un accertamento fiscale teso ad imputare ai soci della società a ristretta base sociale i maggiori redditi in proporzione delle loro quote, così come disposto dall’art. 2945 c.c., nè per individuare i beni pervenuti ai soci per effetto della liquidazione ai fini della responsabilità D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 36.

1.4. E’ evidente, dunque, che la CTR dia per scontato la sussistenza della legittimazione passiva degli ex soci (nel caso, di M.G.) della società estinta, ritenendo illegittima la pretesa erariale per l’insussistenza degli elementi accertativi, sia per le passività che per le attività, atti ad azionare la pretesa fiscale nei confronti del socio.

Le argomentazioni dei secondi giudici, dunque, per quanto stringate, esprimono una motivazione comprensibile, soprattutto tenendo conto dell’evoluzione del dibattito relativo alla trasmissibilità agli ex soci dei debiti tributari della società di capitali estinta. Relativamente al predetto problema, si è consolidato l’orientamento giurisprudenziale che ha sancito la portata estintiva della cancellazione della società dal registro delle imprese per ogni tipologia societaria (società di capitali o di persone), basato sul nuovo art. 2495 c.c., così come modificato dalla riforma del diritto societario del 2004, con importanti conseguenze di ordine fiscale, perchè determina l’impossibilità di fare “rivivere” il soggetto societario anche qualora, successivamente alla cancellazione, sia accertato un debito d’imposta riferibile alla non più sussistente società (v. Cass. S.U. nn. 4060, 4061 e 4062 del 22/2/2010; 6070, 6071 e 6072 del 12/03/2013, Cass. Sez. 5, 31/01/2017, n. 2444 e Sez. 5, 07/04/2017, n. 9094).

1.5. Ed invero, secondo i principi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte (v. ex plurimis, Sez. VI, 28 settembre 2016, n. 19142), alla cancellazione della società di capitali dal registro delle imprese consegue: a) la definitiva estinzione dell’ente; b) l’insorgenza di una comunione fra i soci in ordine ai beni residuati dalla liquidazione (qualora non fosse stato ripartito l’intero attivo nella fase liquidatoria); c) la successione, in termini giuridici (per l’operare di un meccanismo di tipo “derivativo-successorio” ex art. 110 c.p.c.), degli ex soci nei debiti della società, nei limiti ed alle condizioni previste dalla legge, ossia dall’art. 2495 c.c..

1.6. Quanto ai limiti di cui all’art. 2495 c.c., tale disposizione prevede che, ferma restando l’estinzione della società di capitali dopo la cancellazione, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino a concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione. D’altro canto, anche l’art. 2312 c.c., contiene la regola della responsabilità dei soci delle società di persone cancellate ma, coerentemente con la natura della partecipazione in tale compagine societaria, senza alcuna limitazione di responsabilità. Inoltre, con specifico riferimento all’Ires non assolta dalle società di capitali (contestazione inerente all’avviso di accertamento in oggetto), il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, comma 3, dispone che i soci siano responsabili dell’imposta dovuta dalla società se e nel limite in cui abbiano ricevuto denaro e altri beni sociali, nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione o nel periodo della liquidazione.

La regola sostanziale della responsabilità di cui all’art. 36, comma 3, appare in buona parte analoga a quella dell’art. 2495 c.c., differenziandosi per il fatto che la norma fiscale amplia il periodo temporale di riferimento per valutare se il socio abbia goduto della distribuzione di somme o beni societari. Inoltre, mentre il citato art. 36, ha una portata speciale, riferendosi solo all’Ires non assolta, per quanto attiene gli altri tributi (Iva, imposte di registro, Irap, anch’esse oggetto di contestazione nel caso all’esame), risulta applicabile la disposizione di carattere generale di cui all’art. 2495 c.c.. Infine, occorre considerare che il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, obbliga l’Amministrazione finanziaria a rispettare una precisa disciplina procedimentale e, in particolare, ad emanare un avviso di accertamento al socio, che quest’ultimo potrà contestare giudizialmente, per quanto attiene alla sussistenza sia del debito di imposta, sia degli specifici presupposti a lui riferibili.

1.7. In conclusione, come affermato dalla sentenza di questa Sezione n. 9094 del 07/04/2017, per il limite di responsabilità dei soci succeduti alla società estinta, il limite stesso di cui all’art. 2495 c.c., “non incide sulla loro legittimazione processuale ma, al più, sull’interesse ad agire dei creditori sociali, interesse che, tuttavia, non è di per sè escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale, potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si sono trasferiti ai soci”.

  1. Con il secondo mezzo la ricorrente amministrazione denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo e controverso riguardante l’emissione degli avvisi di accertamento nei confronti dei soci della società estinta; assume la ricorrente amministrazione che la CTR avrebbe completamente omesso di esaminare – ritenendoli insussistenti – gli atti contenente la pretesa fiscale nei confronti degli ex soci, la cui cognizione era oggetto della res controversa.

2.1. Il mezzo è inammissibile, perchè non offre evidenziazione del fatto, in senso storico-naturalistico, di cui si assume omesso l’esame, non essendo integrato il fatto in questione dalla “cognizione” che il giudice di merito ha avuto degli atti processuali che confermavano l’emissione di avvisi di accertamento nei confronti della società estinta e dei soci (ex plurimis, sul fatto decisivo e controverso che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006 – realizza il vizio relativo all’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione come riferito ad un “fatto”, da intendere quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico, v. Cass., 3/10/2018 n. 24035); in più, la denuncia riguarda l’omesso esame di una circostanza invece esaminata dalla CTR, secondo cui, nonostante l’emissione degli avvisi di accertamento nei confronti della società estinta e dei soci, non risultava provata agli atti la pretesa fiscale azionata nei confronti degli ex soci), nè la ricorrente ha assolto l’onere della specifica localizzazione di quella parte degli avvisi di accertamento che ritiene non esaminati e che avrebbero integrato i presupposti di cui all’art. 2495 c.c., e al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36.

  1. Col terzo mezzo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione di legge (artt. 1325, 1343, 1418 e 2495 c.c., D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, L. n. 364 del 1989, esecutiva in Italia della convenzione dell’Aja), là dove la decisione della CTR si è basata sull’errato convincimento che all’Ufficio fosse preclusa qualsiasi azione nei confronti del socio della (OMISSIS) s.r.l., senza valutare il comportamento tenuto dei soci della società al fine di eludere il recupero delle imposte non versate. Assume che il fatto che il bilancio di limitazione della (OMISSIS) s.r.l. non prevedeva alcuna ripartizione dell’attivo tra i soci, non doveva trarre in inganno i giudici di secondo grado in quanto, già nei mesi precedenti alla cessazione della società, i soci avevano posto in essere comportamenti finalizzati ad azzerare il patrimonio sociale, come sarebbe stato dimostrato dalla costituzione di un trust, in data (OMISSIS), in cui erano confluiti tutti i beni sociali. L’Amministrazione ricorrente, richiamando la sentenza di questa Corte n. 10105 del 09/05/2014, deduce che la CTR ha contravvenuto i principi ivi espressi là dove non ha considerato che la validità del trust è da escludere allorquando esso renda il patrimonio “inaggredibile” a fronte di procedimenti aventi rilevanza pubblicistica in quanto rimette per intero la liquidazione dell’attivo alla discrezionalità del “trustee” e che, nello specifico, la nullità dell’accordo negoziale era determinata dalla previsione di una clausola nulla – dell’atto costitutivo del trust, art. 7 – per la quale i beni costituiti in trust non erano minimamente aggredibili dai creditori del trustee e da quelli del disponente. La ricorrente trascrive nel ricorso in cassazione, i passi dell’atto dell’appello in cui ha eccepito la nullità di tale clausola e, quindi, dell’intero accordo (pagina 9, comma 4, dell’atto di appello; quanto all’atto istitutivo, pag. 3 dell’allegato 4 all’atto di appello).

3.1. Il mezzo è inammissibile.

3.2. Costituisce ius receptum (ex multis, tra le più recenti, cfr. Cass., 09/02/2021, n. 3115; Cass. 11/02/2021, n. 3590; Cass., 05/12/2017, n. 29111) che l’attività con la quale il giudice del merito ricostruisce l’accordo negoziale, volta ad interpretare la volontà delle parti, ossia ad individuare gli effetti da esse avuti di mira, consiste in un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità; viceversa, l’interpretazione del contratto può essere sindacata in sede di legittimità, come vizio di legge, solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c., violazione che non può ricavarsi dal rilievo come fa la ricorrente – che il giudice di merito abbia scelto un’interpretazione che non tiene conto dell’interesse pubblicistico inerente alla par condicio creditorum delle procedure fallimentari. In proposito va considerato che il tema della rilevanza pubblicistica sottesa alla procedura di liquidazione, è stato posto dalla ricorrente amministrazione in maniera del tutto eccentrica rispetto all’oggetto della controversia, non comprendendosi quale sia, rispetto alla pretesa fiscale vantata dall’Amministrazione, la norma imperativa, di ordine pubblico, violata dalla quale ricavare la nullità del trust, rilevabile d’ufficio, anche in sede di legittimità.

3.3. Ciò senza contare che sebbene nell’ambito concettuale dei negozi costituenti i vincoli di destinazione, nei quali rientrano gli atti di cui all’art. 2645 ter c.c., così come pure il vincolo di destinazione dei patrimoni costituiti in trust (anche cd. liquidatorio), ciò non è sufficiente a giustificare l’applicazione del regime conseguente alla cancellazione della società nei confronti degli ex soci, proprio in quanto deve realizzarsi l’attribuzione del bene (trasferimento di ricchezza), successivamente allo scioglimento del vincolo, in considerazione della quale determinare la responsabilità dell’ex-socio in relazione alle quote liquidategli (cfr., Sez. 5, 12/01/2021, n. 224 che, in riferimento alle imposte di donazione e successione, ha ritenuto che non è dovuta in sede di istituzione e dotazione di “trust” liquidatorio in funzione solutoria comportando il trasferimento (solo temporaneo) al “trustee” dei beni da liquidare e la ripartizione del ricavato ai beneficiari a dovuta soddisfazione dei loro crediti senza effettivo e stabile passaggio di ricchezza, sicchè restano fiscalmente neutri in quanto meramente attuativi degli scopi di segregazione patrimoniale ed apposizione del vincolo di destinazione).

Viceversa, come sopra esposto, le norme applicate dalla CTR per escludere la responsabilità dell’ex socio sono l’art. 2945 c.c., e il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, la cui violazione, anche in termini di falsa applicazione, non è stata minimamente prospettata dall’Amministrazione ricorrente.

3.4. In proposito va considerato che, come pure affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 619 del 15/01/2021, sarebbe stata senz’altro legittima la pretesa azionata dall’ufficio fiscale nei confronti dell’ex socio della società cancellata, in quanto, con specifico riferimento al tema della mancata distribuzione degli utili ai soci in sede di liquidazione, l’assenza nel bilancio di liquidazione della società estinta di ripartizioni agli ex soci non esclude “l’interesse dell’Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell’interesse ad agire che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti” (così, Cass. 07/04/2017 n. 9094, richiamata in motivazione da S.U. n. 619 del 2021).

  1. In conclusione, il ricorso deve essere interamente rigettato.
  2. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dell’Amministrazione erariale.
  3. Non sussistono i presupposti per il versamento del doppio contributo, trattandosi di amministrazione pubblica ammessa a prenotazione a debito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna l’Amministrazione ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidati in complessivi Euro 12.000,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2021.