201909.25
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Cass., sez. trib., 25 settembre 2019, n. 23855 (testo)

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 12 giugno – 25 settembre 2019, n. 23855
Presidente Locatelli – Relatore Crucitti
Fatti di causa
Sulla base di un controllo della documentazione prodotta in esito all’accesso, l’Ufficio delle imposte di Varese, rilevando una serie di costi non documentati, rettificò la dichiarazione dei redditi presentata, per l’anno di imposta 2004, dalla Nuova Ceam s.r.l. accertando, ai fini dell’IRPEG l’emersione di reddito di impresa, un maggiore valore della produzione netta ai fini dell’IRAP, e una maggiore IVA dovuta. Conclusosi negativamente il tentativo di accertamento con adesione, la Società propose ricorso avverso l’atto impositivo che veniva integralmente accolto dalla C.T.P. di Varese, limitatamente ai rilievi concernenti spese legali e promozionali, per prestazioni di terzi e per provvigioni.
La decisione, appellata dall’Agenzia delle Entrate, veniva riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (d’ora in poi C.T.R.) la quale confermava l’avviso di accertamento, ad esclusione del rilievo relativo alle spese per trasferta dipendenti e a quello inerente perdite su cambi, rinunciato dall’Ufficio.
In particolare il Giudice di appello:
-riteneva corretta la ripresa a tassazione delle spese per prestazioni professionali, dovendosi fare riferimento alla data dell’ultimazione della prestazione, nonché la ripresa di costi non documentati, per essere la documentazione priva di data certa e, come tale, non opponibile all’Ufficio;

  • riteneva, inoltre, inutilizzabile la documentazione prodotta dalla contribuente perché non esibita durante la verifica ma solo successivamente, con grande e ingiustificato ritardo;
  • accertava la correttezza della ripresa a tassazione, quali spese di rappresentanza, dei costi relativi e delle spese sostenute per vitto e alloggio a favore di agenti, clienti e fornitori, mentre annullava il rilievo relativo a costi non documentati per trasferte di dipendenti essendone stata fornita la prova dell’inerenza. Avverso la sentenza ha proposto ricorso, su quattro motivi, la Società.
    L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, su unico motivo.
    Ragioni della decisione
  1. Con il primo motivo di ricorso, articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la Società deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora art. 109) laddove la C.T.R. aveva ritenuto corretto l’operato dell’Ufficio che aveva escluso la deducibilità del costo relativo ad una fattura emessa da uno studio legale, in data 10 maggio 2004, perché ritenuta di competenza dell’anno precedente.
    1.1 La censura è infondata. In tema di imposte sui redditi d’impresa, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 (già art. 75) ha sancito, quale regola generale per l’imputazione temporale dei componenti di reddito, il principio di competenza, ossia che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui è sorto l’obbligo giuridico al sostenimento dell’onere e non in quello in cui il costo è stato assolto. In particolare, i costi relativi a prestazioni di servizio sono – ai sensi dell’art. 109 TUIR (già art. 75), comma 2, lett. b), – di competenza dell’esercizio in cui le prestazioni medesime sono ultimate, senza che abbia rilevo alcuno il momento in cui viene emessa la relativa fattura o effettuato il pagamento (v.Cass. n. 27296 del 2014), con l’unica eccezione per i contratti di locazione, mutuo, assicurazione o altri contratti da cui derivino corrispettivi periodici, in relazione ai quali le spese per i corrispettivi sono imputabili all’esercizio di maturazione degli stessi (v.Cass. n. 9096 del 2012).
    I componenti negativi che concorrono a formare il reddito possono, peraltro, essere imputati all’anno di esercizio in cui ne diviene certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell’esercizio di competenza (v.Cass. n. 3368 del 2013). Ne deriva che, anche in questi casi, l’esercizio di competenza è quello nel quale nasce e si forma il titolo giuridico, limitandosi il legislatore soltanto a prevedere una deroga al principio della competenza, consentendo la deducibilità di queste particolari spese nel diverso esercizio nel quale si raggiunge la certezza della loro esistenza ovvero la determinabilità, in modo obiettivo, del relativo ammontare.
    Questa Corte (v.sentenza n. 27296 del 23/12/2014) ha, così, statuito, in materia, che “in tema di imposte sui redditi, i costi relativi a prestazioni di servizio sono, a norma del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 (ora art. 109), comma 2, lett. b), di competenza dell’esercizio in cui le prestazioni medesime sono ultimate, senza che abbia rilevo alcuno il momento in cui viene emessa la relativa fattura o effettuato il pagamento”. Principio ribadito dalla sentenza n. 16969 del 2016 la quale ha precisato che in materia di prestazioni professionali vige la regola della postnumerazione (artt. 2225 e 2233 c.c.), secondo la quale il diritto al compenso pattuito si matura una volta posta in essere una prestazione tecnicamente idonea a raggiungere il risultato a cui la prestazione è diretta (regola mitigata da un duplice ordine di diritti del professionista: quello all’anticipo delle spese occorrenti all’esecuzione dell’opera e quello all’acconto da determinarsi secondo gli usi sul compenso da percepire una volta portato a termine l’incarico – Cass. 10 novembre 2006, n. 24046). La prestazione difensiva ha così carattere unitario e ciò importa che gli onorari di avvocato debbano essere liquidati in base alla tariffa vigente nel momento in cui la prestazione è condotta a termine per effetto dell’esaurimento o della cessazione dell’incarico professionale, unitarietà che va rapportata ai singoli gradi in cui si è svolto il giudizio, e quindi al momento della pronunzia che chiude ciascun grado (fra le tante Cass. 3 agosto 2007, n. 17059). Ulteriore manifestazione dell’unitarietà della prestazione è la decorrenza della prescrizione. Ai sensi dell’art. 2957 c.c. la prescrizione del diritto dell’avvocato al compenso decorre dal momento dell’esaurimento dell’affare per il cui svolgimento fu conferito l’incarico dal cliente (Cass. 30 giugno 2015, n. 13401)”.
    1.2 La sentenza impugnata che di questi principi ha fatto corretta applicazione va, pertanto, esente da censura.
    2 Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 3.
    La Società, premesso che tutta la documentazione richiesta, in sede di verifica (ad eccezione di quella relativa al conto trasferta dipendenti e spese addebito penali), era stata immediatamente consegnata (come evincibile dallo stesso processo verbale giornaliero) e che la stessa, comunque, era stata ridepositata, unitamente all’istanza di accertamento con adesione, contesta che la stessa possa ritenersi, come fa la sentenza impugnata, presentata tardivamente. Deduce, pertanto, l’errore commesso dal Giudice di appello nell’applicazione del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 che, invece, intende punire il dolo, l’intenzione di sottrarre la documentazione e di ostacolare la verifica laddove il comportamento della Società sia nel corso della verifica che nel procedimento di accertamento per adesione era stato massimamente fattivo e collaborativo.
    2.1 Il motivo è inammissibile non attingendo l’effettiva ratio decidendi sulla quale è fondata la sentenza impugnata. Come evincibile dalla lettura integrale della motivazione, la C.T.R. ha, infatti, interpretato l’invocato art. 32 nello stesso senso propugnato dalla ricorrente ed ha escluso l’utilizzabilità dei documenti, non perché prodotti successivamente alla verifica ma perché li ha ritenuti, per il grande e ingiustificato ritardo con cui vennero esibiti e la mancanza di data certa, non genuini. E tale valutazione, effettuata dal Giudice di merito non è stata fatta oggetto di censura.
    3.Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di un fatto decisivo costituito dalla circostanza che l’Ufficio aveva sollevato l’eccezione di inutilizzabilità della documentazione solo in grado di appello come evidenziato dalla stessa Società nelle sue controdeduzioni.
    3.1 Il motivo è inammissibile. Per la costante giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 17761 del 08/09/2016; id. n. 2805 del 2011; n. 21152 del 2014), anche nella vigenza del precedente disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (applicabile ratione temporis al ricorso in esame per essere stata la sentenza impugnata depositata nel maggio 2012) “il motivo di ricorso con cui, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo”.
    3.2 Nel caso in esame, non è dato rinvenire l’individuazione di un “fatto” nell’accezione sopra individuata quanto la denuncia di un error in procedendo, peraltro, insussistente avendo il giudice di appello, come già esposto con riguardo al secondo motivo di ricorso, effettuato un giudizio di merito sull’inattendibilità della documentazione prodotta dalla contribuente.
    4 Con il quarto motivo, articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74 (ora art. 108) laddove la C.T.R. aveva ritenuto corretto il raggruppamento delle spese sostenute per vitto e alloggio a favore di agenti, clienti e fornitori nella voce spese di rappresentanza e la conseguente applicazione del diverso regime fiscale rispetto alle spese di pubblicità.
    4.1 D motivo è infondato. È rimasto incontestato che, nella specie, si trattava di costi relativi a spese per vitto e alloggio..per ospitare clienti, agenti e fornitori in occasione di visite alle sedi produttive dell’azienda, o in occasione di mostre e fiere in cui erano esposti i prodotti commercializzati dalla stessa.
    4.2. In materia la giurisprudenza di questa Corte (cfr., di recente, Cass. n. 12676 del 23/05/2018; id n. 3087 del 17/02/2016) è ferma nel ritenere che “in tema di redditi d’impresa, il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obbiettivi, anche strategici, perseguiti mediante le stesse, che, nella prima ipotesi, coincidono con la crescita d’immagine ed il maggior prestigio, nonché con il potenziamento delle possibilità di sviluppo della società, mentre, nell’altra, consistono in una diretta finalità promozionale e di incremento commerciale, concernente la produzione realizzata in un determinato contesto”.
    4.3 Nel caso di specie appare evidente che non è stata fornita dimostrazione alcuna che le spese sostenute e dedotte avessero avuto una diretta finalità promozionale e di incremento commerciale con conseguente correttezza, sul punto, della sentenza impugnata che ha applicato i principi sanciti da questa Corte nell’interpretazione della normativa di riferimento.
  2. Con il ricorso incidentale l’Agenzia delle entrate ha formulato, ai sensi dell’art. 360, co 1, n. 3 c.p.c., un unico motivo con il quale ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 75 (ora 109) del TUIR per avere la C.T.R. ritenuto, in merito alla ripresa fiscale relativa al conto dipendenti/trasferte, che, dalla documentazione in atti, detti costi fossero riferibili a personale dipendente e ad esso rimborsati in base a specifiche note spese, fatto che di per se stesso prova l’inerenza della prestazione, quindi la deducibilità.
    Secondo la prospettazione difensiva, la presenza della nota spese presentata dal dipendente non costituiva di per sé prova dell’inerenza dell’onere dell’attività produttiva, che costituisce un requisito ulteriore per la deducibilità, con la conseguenza che la mancanza di documentazione, che consentiva di ricondurre le trasferte e le relative spese all’attività dell’impresa, unitamente alla mancata sottoscrizione delle note e, comunque, alla mancata allegazione dei giustificativi di spesa (l’estratto conto della carta di credito non essendo all’uopo sufficiente) legittimava il disconoscimento della deducibilità fiscale.
    5.1 In materia questa Corte (cfr. di recente, Cass. n. 18904 del 17/07/2018) è ferma nel ritenere che, ai fini della detrazione di un costo, ia prova dell’inerenza del medesimo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato.
    5.2 Nel caso in esame, la C.T.R. non ha malamente applicato la norma in esame ma, con accertamento in fatto (non idoneamente contrastato con il mezzo di impugnazione), ha ritenuto che tale prova fosse stata fornita dalla contribuente, attraverso le circostanze che i costi erano riferibili ai dipendenti e che tali soggetti erano stati rimborsati dal datore di lavoro dietro presentazione di nota spese. In tale ottica, allora, il mezzo di impugnazione, sotto l’egida della violazione di legge, appare teso, inammissibilmente, ad una rivalutazione dell’accertamento effettuato dal Giudice di merito.
    5.3 Ne consegue il rigetto del ricorso incidentale.
  3. In conclusione, entrambi i ricorsi, principale e incidentale, vanno rigettati con compensazione integrale tra le parti, reciprocamente soccombenti, delle spese processuali
  4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
    P.Q.M.
    rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale;
    compensa integralmente tra le parti le spese processuali.
    ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13 comma 1 bis.