201811.21
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Cass., sez. trib., 21 novembre 2018, n. 30039 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI Maria Giulia – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22779/2011 R.G. proposto da:

V.F.M. (c.f. (OMISSIS)), n.q. di erede di V.G.M.P., rappresentata e difesa dall’Avv. Marco Miccinesi, dall’Avv. Francesco Pistoiesi, dall’Avv. Giulio Azzaretto e dall’Avv. Paolo Puri, elettivamente domiciliata in Roma, via XXIV Maggio n.43, presso lo studio Miccinesi e associati studio legale e tributario.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, n. 63/22/2011 depositata in data 28 febbraio 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 4 luglio 2018 dal consigliere Pierpaolo Gori;

Udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale De Agustinis Umberto, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità e in subordine il rigetto del ricorso e l’Avv. Azzaretto Giulio per la contribuente;

Udito per l’Agenzia l’avvocato dello Stato Giancarlo Caselli.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, veniva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di V.F.M., n.q. di erede di V.G.M.P. (in seguito, la contribuente), e riformata la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma (in seguito, CTP) n. 11/56/2009, avente ad oggetto un avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta IVA; nel dettaglio, l’Amministrazione riteneva non applicabile l’aliquota ridotta del 4% prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, allegata Tabella A, parte 2, n. 21 per le prime case non di lusso, ritenendo che la compravendita intervenuta il 30.7.2002 rientrasse nella disciplina del D.M. 2 agosto 1969, e calcolando la differenza, comprensiva di interessi.

2. La contribuente proponeva ricorso avanti alla CTP, eccependo, tra l’altro, il proprio difetto di legittimazione passiva, la decadenza dall’azione accertatrice, la non sottoscrizione dell’avviso di liquidazione da parte del titolare dell’Ufficio e, nel merito, deducendo l’applicabilità del D.M. 4 dicembre 1961 secondo i cui criteri l’immobile non sarebbe stato considerato di lusso e, infine, la non trasmissibilità delle sanzioni all’erede. L’Agenzia si costituiva resistendo al ricorso e la CTP lo accoglieva, ritenendo l’atto non sufficientemente motivato.

3. Proponeva appello l’Ufficio, ribadendo la legittimazione passiva della contribuente, riaffermando la tempestività dell’atto e la corretta sottoscrizione e, nel merito, deduceva la corretta motivazione dell’atto, e la presenza di soli interessi nell’avviso di rettifica, dal quale era stata esclusa l’applicazione di sanzioni. L’appellata resisteva all’impugnazione e la CTR accoglieva l’appello nel merito.

4. Contro la sentenza d’appello, la contribuente propone ricorso per Cassazione affidato ad otto motivi, che illustra con memoria, cui resiste l’Agenzia con controricorso.

Motivi della decisione

5. Con il primo motivo di ricorso, si censura, ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n.3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, artt. 3 e 21 septies, nonchè della L. n. 212 del 2000, art. 7 e D.P.R. n. 633 del 1973, art. 56, comma 5, che disciplinano la motivazione del provvedimento impositivo.

6. Il motivo, attinente agli oneri motivazionali dell’atto impositivo, è fondato. La contribuente censura la violazione di legge commessa dalla CTR nel decidere sull’eccezione, riproposta dall’appellata, secondo la quale la motivazione dell’avviso di rettifica, circa la non applicabilità dell’aliquota ridotta alla compravendita – in quanto riconducibile alle caratteristiche di lusso dell’immobile -, rinvia ad un parere dell’Agenzia del Territorio non allegato all’avviso e da lei non precedentemente conosciuto, nemmeno nel contenuto essenziale.

7. La Corte osserva che è dimostrato dalla lettura della sentenza della CTP in atti (allegato n. 8 al ricorso) che il contenuto del parere cui rinvia la motivazione dell’avviso, indubbiamente rilevante ai fini della difesa in quanto contenente la stessa qualificazione e sussunzione della fattispecie, è stato conosciuto dalla contribuente solo successivamente all’instaurazione del processo: “Nella pubblica udienza del 10 aprile 2008 di trattazione del presente ricorso, iscritto al n. 17269/05 del R.G.R., il Collegio di questa Sezione 56 ha deliberato di acquisire agli atti del fascicolo la documentazione citata ma non allegata alla nota di controdeduzioni comunicata dall’Agenzia delle entrate, Ufficio di Roma 4. (…). In particolare, dalla nota dell’Agenzia del territorio di Milano sulla conferma o meno delle agevolazioni fiscali prima casa alla ricorrente si rileva che l’accertamento ha a riferimento il D.M. 2 agosto 1969, (art. 6) in base al quale l’immobile oggetto del rogito rientra in quelli definiti di lusso”.

8. Orbene, questa Corte non ignora che, in passato, la giurisprudenza di legittimità ha affermato l’applicabilità all’impugnazione dell’avviso della c.d. teoria della provocatio ad opponendum, interpretandola latamente, ad esempio nei seguenti termini: “In tema di imposta di registro ed INVIM, anche a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 212 del 2000, art. 7, che ha esteso alla materia tributaria i principi di cui della L. n. 241 del 1990, art. 3, l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento di maggior valore deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione del criterio astratto in base al quale è stato rilevato, con le specificazioni in concreto necessarie per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa e per delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, nella quale l’Amministrazione ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto, ed il contribuente la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri” (Cass. 1 marzo 2016 n. 4047; Cass. 21 aprile 2011 n. 9187; Cass. 1 dicembre 2006 n. 25624).

9. Nondimeno, esiste un difforme orientamento giurisprudenziale, di segno maggiormente restrittivo, espresso, tra le altre, dalla decisione Cass. 17 ottobre 2014 n. 22003. E’ questo secondo orientamento ad essere maggiormente convincente, secondo il Collegio, che condivide integralmente l’argomentazione secondo la quale nel procedimento tributario, la motivazione dell’avviso di accertamento assolve ad una pluralità di funzioni, che garantisce il diritto di difesa del contribuente, delimitando l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nella successiva fase processuale contenziosa. Ciò consente una corretta dialettica processuale, presupponendo l’onere di enunciare i motivi di ricorso, a pena di inammissibilità, e la presenza di leggibili argomentazioni dell’atto amministrativo, contrapposte a quelle fondanti l’impugnazione, e, infine, assicura, nel rispetto del principio costituzionale di buona amministrazione, un’azione amministrativa efficiente e congrua alle finalità della legge, permettendo di comprendere la “ratio” della decisione adottata.

10. A ben vedere, lo stesso orientamento che reitera l’affermazione della provocatio ad opponendum, trova origine in una risalente decisione della prima sezione (Cass. 8 aprile 1992 n. 4307) che afferma il principio di diritto secondo cui “l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo della motivazione quando pone il contribuente nella condizione di conoscere la esatta pretesa della Finanza, individuata nel suo “petitum e nella causa petendi”, risultando espressa una fedele e chiara ricostruzioni degli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, secondo la valutazione tecnico giuridica ed il metodo di rilevazione adoperato dall’ufficio, senza che sia, a tal fine, necessaria in ogni caso l’indicazione delle specifiche disposizioni di legge che si assumono violate nè la specificazione di tutti gli elementi di prova, che l’Amministrazione finanziaria può produrre nel corso del successivo giudizio”.

Tale originario e condivisibile principio di diritto, imperniato sulla affermazione della necessaria presenza nell’avviso di accertamento e di rettifica, degli elementi identificativi del petitum e della causa petendi, va reiterato nel senso che dev’essere escluso ogni formalismo nell’indicazione delle norme di diritto violate, quando chiaramente evincibili, e di tutti gli elementi di prova, eventualmente integrabili in sede di giudizio purchè siano indicati gli elementi di fatto e istruttori del procedimento. In altri termini, dalla motivazione dell’avviso deve emergere una fedele e chiara ricostruzione di tutti gli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, così da consentire una adeguata, efficace e piena difesa in giudizio.

11. L’originario insegnamento, secondo questa Corte, non può invece essere interpretato latamente al punto da rendere l’avviso contenente la ripresa a tassazione astratto e avulso dalla ricostruzione degli elementi concreti fondanti l’obbligazione tributaria, ossia rendere sufficiente una causa petendi meramente processuale, ampiamente integrabile con gli elementi di fatto e probatori della fattispecie concreta in sede di eventuale, successiva, impugnazione giudiziale.

Ciò è confermato dal fatto che, su di un piano processuale, in sede di impugnazione giudiziale dell’atto impositivo l’Amministrazione può versare dal D.Lgs. n. 546 del 1992, ex artt. 23 e 32, gli elementi di prova richiamati nell’atto impositivo stesso e può dedurne di nuovi nei limiti del principio di consequenzialità in rapporto ai motivi di ricorso, ma ciò presuppone proprio la loro compiuta indicazione nell’avviso.

12. Inoltre, va tenuto conto del fatto che, successivamente all’enucleazione del principio di diritto originario sopra richiamato, è stato introdotto della L. n. 212 del 2000, art.7, (Statuto del contribuente), il quale a sua volta richiama dalla L. n. 241 del 1990, art. 3, dovendo ora l’Amministrazione indicare “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.

Dunque, la motivazione dell’atto, deve compiutamente indicare anche la causa petendi, e non può esaurirsi nell’enunciazione di una imposizione fiscale di per sè, soggetta a verifica processuale eventuale ex post, ma deve dare conto degli elementi di fatto ed istruttori procedimentali e del fondamento di legalità che rendono da un lato trasparente il buon andamento (art. 97 Cost.) e, dall’altro, contribuiscono in modo potente alla deflazione del contenzioso in materia tributaria, rendendo subito pienamente controllabile l’operato della Pubblica Amministrazione.

13. In conclusione, va affermato il seguente principio di diritto: “L’avviso soddisfa l’obbligo della motivazione quando pone il contribuente nella condizione di conoscere esattamente la pretesa impositiva, individuata nel suo “petitum e nella causa petendi”, attraverso una fedele e chiara ricostruzione degli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, senza che l’atto possa esaurirsi nell’enunciazione di una imposizione fiscale di per sè, il cui fondamento sia soggetto a verifica processuale eventuale ex post, dovendo la motivazione dare conto degli elementi di fatto ed istruttori del procedimento, e del fondamento di legalità, i quali rendono da un lato trasparente il buon andamento (art. 97 Cost.) e, dall’altro, rendendo subito pienamente controllabile l’operato della Pubblica Amministrazione”.

14. Con il secondo motivo, si deduce, ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, per aver la CTR fondato il proprio convincimento in ordine al denunciato vizio motivazionale dell’avviso di liquidazione su di un’erronea valutazione dei fatti di causa, e su un documento, il parere dell’Agenzia del Territorio, irrilevante ai fini del decidere.

(Ndr: testo mancante da originale) art. 2 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, nonchè dell’art. 115 c.p.c., ove la CTR ritiene che un documento illegittimamente acquisito d’ufficio dalla CTP sia idoneo all’assolvimento da parte dell’Ufficio dell’onere di provare la pretesa impositiva.

Con il quarto motivo di ricorso, si deduce, ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per extrapetizione, in quanto i giudici dell’appello, nel ritenere legittimo l’avviso con cui l’Ufficio qualifica l’abitazione di lusso, hanno posto a fondamento della decisione dei fatti, ossia l’asserita sussistenza dei requisiti previsti dal D.M. 4 dicembre 1961 per qualificare l’abitazione, estranei al ricorso in appello.

Con il quinto motivo, si lamenta, ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n.3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, circa la non corretta applicazione del canone di riparto dell’onere della prova.

Con il sesto motivo, si censura, ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n.5, l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, in ordine a determinate difese dedotte dalla contribuente, inclusa una perizia.

Con il settimo motivo, si lamenta, ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, nota 2-bis, comma 4, della tariffa, parte prima, nel testo vigente ratione temporis, e del D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, art. 8, in relazione alle norme che disciplinano la natura dell’importo dovuto dall’acquirente nel caso di mendace dichiarazione sulle caratteristiche dell’immobile acquistato, nonchè della norma che vieta la trasmissione delle sanzioni tributarie agli eredi.

Con l’ottavo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n.4, dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla domanda di annullamento del c.p.c., per omessa pronuncia sulla domanda di annullamento dell’avviso di liquidazione IVA per carenza di legittimazione passiva dell’acquirente in ordine alla ripresa.

15. L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento dei restanti sette motivi di ricorso, incluso quello sulla natura del recupero, se integralmente sia da considerarsi sanzione o IVA, tenuto conto del momento della compravendita, intervenuta in data 30 luglio 2002 e, dunque, se sia trasmissibile mortis causa o meno. Infatti, il riscontrato vizio di motivazione travolge lo stesso atto impositivo alla base della ripresa.

La sentenza impugnata dev’essere conseguentemente cassata e, in assenza di necessari ulteriori accertamenti in fatto, ex art. 384 c.p.c., comma 2, la causa va decisa nel merito, con accoglimento del ricorso introduttivo originario.

16. Le spese di lite devono essere compensate per i due gradi di merito, in considerazione degli esiti difformi delle decisioni, mentre le spese di legittimità seguono l’ordinario criterio della soccombenza, secondo il canone dell’art. 91 c.p.c., e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

la Corte:

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario introduttivo del giudizio.

Compensa le spese dei due gradi di merito e condanna la controricorrente alla rifusione alla ricorrente delle spese di legittimità, liquidate in Euro 7.200,00 per compensi, oltre Iva e Cpa. Così deciso in Roma, il 4 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2018