202302.02
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Cass., sez. trib., 2 febbraio 2023 (ord.), n. 3149 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. HMELJAK Tania – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso n. 9770-2014, proposto da:

A.A. (cf. (Omissis)), elettiva mente domiciliato in Roma al V.le del Vignola n. 5, presso lo studio dell’avv. Ranuzzi, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Quercia;

  • Ricorrente –

CONTRO

AGENZIA DELLE ENTRATE, cf 06363391001, in persona del Direttore p. t., elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’AvvocaturaòGenerale dello Stato, che la rappresenta e difende;

  • Controricorrente –

Avverso la sentenza n. 64/13/2013 della Commissione tributaria regionale della Puglia, depositata il 17 ottobre 2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 13.07.2022 dal Consigliere Dott. Francesco Federici;

Svolgimento del processo

A A.A. fu notificato l’avviso d’accertamento con cui, relativamente all’anno 2004, l’Agenzia delle entrate contestò un maggior imponibile ai fini Iva e Irpef, rideterminando le imposte e comminando sanzioni. L’accertamento era stato ricondotto alla vendita di un trattore agricolo alla Generaltractor Srl , come desunto dalla fattura rinvenuta presso la sede della cessionaria. L’Ufficio, rilevando che nella dichiarazione fiscale del A.A. non vi era traccia della vendita, reputò che la cessione della macchina agricola avesse generato un reddito diverso non dichiarato, afferente ad un bene non annoverabile tra quelli strumentali, per essere stato acquistato solo nell’anno precedente.

Il contribuente propose ricorso per l’annullamento dell’atto impositivo, rappresentando che la trattrice agricola era stata solo l’oggetto di una finta vendita, posta in essere al solo scopo di costituire su di essa un pegno a garanzia di un finanziamento concessogli da altra società, la Genercredit Spa , per l’acquisto di un altro mezzo agricolo (una mietitrebbia).

La Commissione tributaria provinciale di Bari rigettò l’impugnazione con sentenza n. 7/20/2011. L’appello fu parimenti rigettato dalla Commissione tributaria regionale della Puglia con la sentenza n. 64/13/2013, ora al vaglio della Corte. Il giudice regionale ha respinto tutti i motivi d’appello, con cui il contribuente aveva insistito sulla nullità della sentenza di primo grado per l’insufficiente e contraddittoria motivazione, sulla erroneità della decisione di primo grado quanto alla fondatezza della pretesa tributaria e alla nullità dell’avviso d’accertamento, sulla eccepita insussistenza di presunzioni gravi precise e concordanti, sulla illegittimità delle sanzioni comminate.

Il A.A. ha censurato la pronuncia con sei motivi, chiedendone l’annullamento, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Nell’adunanza camerale del 13 luglio 2022 la causa è stata trattata e decisa.

Motivi della decisione

Con il primo motivo parte ricorrente si duole della nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. per aver statuito sulla fondatezza dell’avviso di accertamento nonostante le plurime argomentazioni fornite a dimostrazione della nullità della pretesa impositiva, trattandosi non già di una cessione di bene ma di una finta vendita.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente, nella lunga esposizione, riprende le ragioni introdotte nei gradi di merito, rappresentando che l’operazione di cessione della trattrice agricola, alla quale era stato ricondotto l’imponibile non dichiarato ai fini irpef ed iva, celava una finta vendita del mezzo alla Generaltractor Srl , da cui aveva a sua volta acquistato una mietitrebbia. La finta cessione nascondeva l’esigenza di costituire un pegno finalizzato all’ottenimento di un finanziamento, come richiesto dalla Generaltractor, mediante il coinvolgimento della Genercredit Spa . In realtà nel medesimo giorno il mezzo era stato rivenduto all’odierno ricorrente, così che esso non era stato mai ceduto nel 2004. Ha anche affermato che la fattura sarebbe stata formata dal medesimo acquirente, che aveva anche errato nel riportare il numero di matricola del mezzo agricolo e che quest’o sarebbe stato veramente ceduto solo nel 2009 ad altra società. Assume che sulla ricostruzione dei fatti l’Amministrazione finanziaria non aveva sollevato alcuna contestazione e pertanto nel giudizio era stata dimostrata l’infondatezza della pretesa impositiva.

Deve intanto evidenziarsi che il motivo di ricorso è stato sussunto nell’alveo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ossia quale denuncia dell’errore di diritto sostanziale nell’interpretazione delle norme. II richiamo della suddetta critica pone una questione di ammissibilità stessa del motivo, atteso che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di valutazione delle prove il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, che è insindacabile in sede di legittimità. La denuncia della violazione delle predette norme da parte del giudice del merito, quando si critichi la ponderazione e la valutazione delle prove, come nel caso di specie, e non già l’applicazione delle regole giuridiche che presiedono i criteri di valutazione delle medesime, configura infatti un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito con modificazioni in L. n. 134 del 2012 (cfr. Cass., 12 ottobre 2017, n. 23940; 11 febbraio 2021, n. 3572; cfr. anche Cass., 7 febbraio 2019, n. 3680).

Quanto al mancato rispetto del principio di non contestazione, da cui secondo la difesa del ricorrente sarebbe affetta la decisione, essa, quando riconosciuta, va ricondotta nel vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., non certo nella fattispecie dell’error iuris in iudicando. In ogni caso il principio di non contestazione ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti (Cass. 5 marzo 2020, n..6172; 17 novembre 2021, n. 35037).

Ma soprattutto non risponde affatto al vero che i fatti riferiti dal contribuente non siano stati contestati dall’Ufficio. Deve infatti ribadirsi che non è necessario che la controparte contesti in maniera formale tali fatti, essendo sufficiente insistere nella propria prospettazione, quando questa evidenzi una posizione difensiva del tutto contrastante con i fatti addotti dalla difesa avversa. Nel caso di specie è proprio dal ricorso del contribuente che si evince come l’Amministrazione finanziaria abbia sempre affermato che la ricostruzione della vicenda e la relativa documentazione fosse stata allegata dal contribuente solo nel corso delVinstaurazione del contenzioso, e che comunque sin dal giudizio di primo grado l’ufficio aveva preso puntuale posizione, affermando che “In merito alla questione relativa alla fictio iuris si precisa che Il momento Impositivo è coinciso, così come disposto dalla D.P.R. n. 633 del 1972, all’atto della emissione della fattura e per tale motivo a nulla valgono le eccezioni relative alla finta vendita allo scopo di ottenere il finanziamento ed alla successiva reale vendita del bene” (pag. 7, secondo cpv, del ricorso).

Si tratta di una contestazione integrale delle difese articolate dal contribuente a giustificazione della vicenda, contestazione diretta innanzitutto a minare la rilevanza stessa del racconto.

Il motivo in conclusione risulta infondato.

Con il secondo motivo il contribuente denuncia la “nullità” della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quanto al vizio da cui ritiene affetta la decisione per aver riconosciuto che l’Ufficio aveva dimostrato l’occultamento del reddito attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti.

Con il terzo motivo il contribuente si duole della nullità della sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quanto all’omesso esame della finzione della vendita.

Con il quarto motivo il contribuente ha invocato la “nullità” della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 85, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quanto all’erronea applicazione della disciplina ad una operazione il cui corrispettivo non sarebbe stato mai percepito dal contribuente.

Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la “nullità” della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, e della Costituzione, art. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quanto all’erronea conclusione cui sarebbe pervenuto il giudice regionale sulla fondatezza dell’avviso di accertamento, nonostante la trattrice agricola fosse stata comunque riacquistata nello stesso giorno in cui era stata venduta, con annullamento reciproco delle due operazioni ai fini impositivi.

I motivi possono essere trattati congiuntamente perchè, sia pur sotto i distinti profili dell’error iuris sulle regole di riparto dell’onere della prova e sui principi in tema di ricavi e imputabilità dei medesimi, e del vizio di motivazione, criticano tutti la pronuncia quanto alla ricostruzione e all’inquadramento della vicenda giuridica in una cessione onerosa di un bene, non dichiarata dal contribuente, laddove essa, secondo la prospettazione difensiva della contribuente, trovava corretta collocazione in una fictio iuris, che sotto la prospettiva formale di una cessione aveva per causa un finanziamento mirante a costituire liquidità, e doveva pertanto escludere la sua rilevanza sul piano fiscale.

I motivi sono fondati nei termini appresso chiariti.

Il giudice regionale, utilizzando una motivazione certo succinta, ha affermato, oltre che la correttezza della motivazione della sentenza di primo grado dinanzi a sè appellata -così mostrando di condividerne il percorso argomentativo- la correttezza dell’avviso d’accertamento, fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti. Nello specifico ha valorizzato la fattura emessa in occasione della cessione della trattrice agricola, da cui ha tratto origine l’accertamento fiscale del reddito non dichiarato, e l’omessa dichiarazione dei ricavi corrispondenti al prezzo riportato in fattura.

Nella trama logica della pronuncia la decisione del giudice regionale valorizza proprio quel documento, ossia la fattura formalmente emessa dal A.A. e rinvenuta presso il cessionario Generaltractor Srl Da tanto fa discendere la ricostruzione della vicenda, con conseguente riconoscimento della cessione onerosa della trattrice agricola e l’altrettanto conseguente riconoscimento della correttezza delle contestazioni elevate dall’Ufficio sulla omessa dichiarazione di quei ricavi (e recupero di imponibile ai fini Ires ed Iva).

Dalla lettura della sentenza si evince che il giudice regionale ha inequivocamente fondato il proprio convincimento sul riscontro di un unico documento, la fattura.

E tuttavia la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la fattura è un mero documento contabile che può, ai sensi dell’art. 2710 c.c., far prova dei rapporti intercorsi tra imprenditori, ma che in nessun caso assume la veste di atto scritto avente natura contrattuale (Cass., 14 ottobre 2022, n. 30309; 29 novembre 2004, n. 22401), necessitando allora di una valutazione solo in concorso con altri elementi, comprese le nozioni di comune esperienza (cfr. Cass., 8 gennaio 2020, n. 134).

Nel caso di specie la fattura è stata posta dall’Agenzia delle entrate a fondamento della ricostruzione dei rapporti giuridico-commerciali tra ii A.A. e la Generaltractor Srl , traendone -solo da essa- la convinzione che il primo avesse ceduto a titolo oneroso alla seconda la trattrice agricola. Ebbene, intanto il documento fiscale, per essere invocato dall’Amministrazione finanziaria, e non dall’imprenditore nella qualità di controparte nei rapporti d’impresa, esula dal perimetro d’efficacia probatoria tra imprenditori -quanto ai rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa- dei libri e delle altre scritture contabili (in terna di esclusione della efficacia probatoria della documentazione fiscale ai sensi dell’art. 2710 c.c., quando ad esempio utilizzata dal curatore fallimentare che agisca non in via di successione di un rapporto precedentemente facente capo al fallito, cfr. Sez. U, 20 febbraio 2013, n. 4213; da ultimo 16 novembre 2022, n. 33728). Inoltre, per quanto emerge dalla pronuncia impugnata, alla fattura non si accompagna alcun altro elemento, neppure indiziario, perchè ad essa possa attribuirsi valenza probatoria della effettività della cessione “in vendita” verso corrispettivo della predetta trattrice agricola.

Sotto il profilo appena valutato ne consegue che la decisione è errata alla luce della disciplina sull’onere probatorio, senza per giunta tenere in alcun conto delle difese e allegazioni del contribuente, che invece nei gradi di merito aveva insistito nel negare natura di cessione in vendita di quel mezzo agricolo, per essere l’operazione meramente finalizzata, attraverso una vendita fittizia, a costituire un pegno a garanzia di un mutuo per l’acquisto di altro mezzo agricolo (la mietitrebbiatrice, secondo la prospettazione difensiva del A.A.).

In altri termini non si trattava di vendita, insiste il ricorrente, ma di un negozio di finanziamento, che dalla sua descrizione può trovare collocazione in un sale and lease-back, negozio che, al di là della compatibilità con il divieto del patto commissorio, ha essenzialmente una funzione di finanziamento.

Il giudice regionale, decidendo nei termini descritti, si è discostato dalle regole e dai principi di diritto enunciati in tema di prova, così errando nella valutazione della controversia. In tal modo non si è neppure avveduto che, ove fosse emerso che con l’operazione conclusa tra il A.A. e la Generaltractor Srl si perseguivano finalità diverse dalla cessione in vendita del mezzo agricolo, ai fini fiscali quell’operazione doveva intendersi come oggettivamente inesistente.

Ed a tal fine le considerazioni ed l’principi appena spiegati incidono sui motivi quarto e quinto, nei termini appresso chiariti.

Poichè le norme invocate nei predetti motivi si riferiscono ai ricavi in materia di imposte dirette, va qui chiarito che, in terna di operazioni oggettivamente inesistenti, la deducibilità dei costi delle suddette operazioni è esclusa, a differenza di quanto invece prescrive L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1.4, comma 4-bis, nella formulazione introdotta dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 26 aprile 2012, n. 44- per le operazioni soggettivamente inesistenti, ancorchè l’acquirente sia consapevole del loro carattere fraudolento, salvi i limiti derivanti, in virtù del D.P.R. n. 917 del 1986, dai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (Cass., 7 dicembre 2016, n. 25249; 6 luglio 2018, n. 17788; 15 marzo 2022, n. 8480).

Quanto invece ai ricavi, che interessano l’oggetto del contendere, a disciplinare la fattispecie è intervenuto l’art. 8, comma. 2, del citato D.L. n. 16 del 2012, secondo cui “Ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi. In tal caso si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi. In nessun caso si applicano le disposizioni di cui al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, art. 12, e la sanzione è riducibile esclusivamente ai sensi dell’art. 16, comrna 3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472”.

Pertanto, al fine di non computare nel reddito complessivo dei contribuente i ricavi relativi ad operazioni oggettivamente inesistenti, grava su di lui l’onere di provare la natura fittizia dei componenti positivi del reddito che, ai sensi dell’art. 8, comma 2, del D.L. cit., siano direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati. Essi pertanto non concorreranno alla formazione del reddito, oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi (Cass., 19 dicembre 2019, n. 33915; cfr. anche 20 aprile 2016, n. 7896; 8 ottobre 2014, n. 21189).

Si è infatti affermato che per le operazioni oggettivamente inesistenti non vi è simmetria, nè automatismo biunivoco, tra costi per acquisti inesistenti e ricavi dichiarati, ciò che giustifica l’onere della prova gravante sul contribuente in merito alla corrispondenza tra ricavi e costi attinenti a beni non effettivamente scambiati (Cass., 17 luglio 2018, n. 19000).

Per quanto qui ancora d’interesse, il comma 3 della medesima norma ha previsto inoltre che “Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, comma 4-bis dell’art. 14, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in esserè prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi. Resta ferma l’applicabilità delle previsioni di cui al periodo precedente ed ai commi 1 e 2 anche per la determinazione del valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive”.

In conclusione trovano accoglimento i motivi dal secondo al quinto.

Infondato invece è il sesto motivo, con cui il ricorrente denuncia la “nullità” della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quanto all’erroneo riconoscimento della fondatezza dell’avviso di accertamento e della maggiore iva dovuta, nonostante nel caso di specie non si fosse compiuta alcuna cessione di bene a titolo oneroso.

E infatti, mentre l’accertata inesistenza oggettiva delle operazioni, in materia di imposte dirette, può incidere sui ricavi risultanti dalle operazioni medesime, nei limiti e nei termini chiariti, non altrettanto può dirsi in tema di iva.

Tanto perchè, quand’anche la fattura, emessa per la vendita di una trattrice agricola, fosse ritenuta dal contribuente descrittiva di un operazione fittizia, strumentale ad ottenere un finanziamento, qualunque operazione le parti abbiano concretamente inteso porre in essere, ai fini iva il principio di cartolarità, stabilito dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, impone comunque al contribuente l’assolvimento dell’Iva a debito indicata nel documento fiscale di vendita che ha emesso.

In tema si è affermato, che, con riferimento alla cisciplina prevista dal D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 7, in caso di operazione inesistente e in difetto di rettifica o annullamento della fattura, sussiste l’obbligo di versamento dell’imposta per l’intero ammontare indicato in fattura, in quanto l’emissione del documento contabile determina l’insorgenza del rapporto impositivo, senza che ciò contrasti con il principio di neutralità dell’IVA, prevalendo la funzione riprist:inatoria solo in conseguenza della rettifica o annullamento della fattura, a meno che non sia stato eliminato in tempo utile qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale derivante dall’esercizio del diritto alla detrazione (Cass., 12 marzo 2020, n. 7080; 30 settembre 2020, n. 20843; 30 settembre 2021, n. 26515).

La giurisprudenza della CGUE ha avvertito che “dal solo fatto che l’amministrazione tributaria non abbia rettificato, in un avviso di accertamento in rettifica indirizzato all’emittente di tale fattura, l’imposta sui valore aggiunto da esso dichiarata, non si può dedurre che tale amministrazione abbia riconosciuto che detta fattura corrispondeva a un’operazione imponibile effettiva” (CGUE, in C-642/11, del 31 gennaio 2013).

D’altronde l’art. 21, comma 7, cit., si conforma all’art. 203 della direttiva iva e, prima, all’art. 21, paragrafo 1, lettera c), della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, come modificata dalla direttiva 91/680/CEE del Consiglio, del 16 dicembre 1991, nell’interpretazione che ne ha fornito la giurisprudenza Euro-unitaria, secondo la quale, in base a quelle disposizioni, chiunque indichi l’iva in una fattura o in ogni altro documento che ne fa le veci è debitore di tale imposta, perchè tali soggetti sono debitori dell’iva indicata in una fattura indipendentemente da qualsiasi obbligo di versarla in ragione di un’operazione soggetta a iva (cfr. CGUE 18 giugno 2009, causa C-566/07, punto 26; CGUE 31 gennaio 2013, causa C-643/11, punto 33).

Ii principio trova fondamento e giustificazione nella tutela dal rischio di perdita del gettito fiscale che può derivare dal diritto alla detrazione (CGUE 31 gennaio 2013, causa C-642/11, punto 32; CGUE 8 maggio 2019, causa C-712/17, punto 32). Peraltro, si è anche affermato che in l’orza del principio di proporzionalità il rispetto del principio di neutralità dell’iva è garantito dalla possibilità, riconosciuta dagli Stati membri, di rettificare ogni imposta indebitamente fatturata, purchè l’emittente della fattura dimostri la propria buona fede o abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdita di gettito fiscale (causa C-712/17, cit., punto 33).

Nella fattispecie ora al vaglio della Corte è lo stesso contribuente che insiste sulla circostanza che l’operazione negoziale non costituiva una cessione di beni, al contrario di quanto indicato in fattura, con ciò mostrando consapevolezza, anzi confessando egli stesso, che la trattrice agricola non fosse stata mai trasferita. Egli stesso pertanto ha escluso la propria buona fede, nè risulta escluso il rischio di perdita del gettito fiscale.

Non osta all’applicabilità dell’art. 21, comma 7, cit., neppure la circostanza che l’operazione, benchè non qualificabile.come cessione di beni, sia stata comunque realizzata, perchè, come già chiarito in precedenti relativi a controversie analoghe alla presente, “la norma si applica non solo se l’operazione non sia avvenuta ma anche se essa sia stata realizzata in termini diversi da quelli descritti (Cass. 10 giugno 2015, n. 12111) o risponda a una diversa qualificazione giuridica (Cass. n. 7030/20, cit., punto 2.2.), sempre che, come nell’ipotesi in esame, in fattura sia indicata un’operazione imponibile (Cass. 13 dicembre 1996, n. 11141; Cass. 29 luglio 2016, n. 15870)” (cfr. Cass., 25 novembre 2021, n. 36687).

Il sesto motivo va dunque rigettato.

In conclusione la sentenza va cassata in relazione ai motivi secondo, terzo, quarto e quinto, mentre il primo ed il sesto motivo vanno rigettati.

Il processo va rinviato dinanzi alla Corte di giustizia di II grado della Puglia, che in diversa composizione provvederà a riesaminare l’appello del A.A., nell’osservanza dei principi di diritto enunciati in sentenza, oltre che a liquidare le spese dei giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie i motivi secondo, terzo, quarto e quinto del ricorso, rigetta il primo e il sesto. Cassa la decisione in ragione e nei limiti dei motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia di II grado della Puglia, cui demanda anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2023