201502.10
0

Cass., sez. trib., 16 gennaio 2015, n. 673 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege;

– ricorrente –

contro

L.S., elettivamente domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, e rappresentato e difeso dall’Avv.to GIGLIO ANASTASIA, in forza di procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 136/05/2008 della Commissione Tributaria regionale della Campania, Sezione Staccata di Salerno, depositata il 12/05/2008;

e sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege;

– ricorrente –

contro

Loffredo Arredamenti snc di Sabino Loffredo e figlio, in persona del legale rappresentante p.t., nonchè L.S. e G.M. G. in proprio, elettivamente domiciliati in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, e rappresentati e difesi dall’Avv.to Anastasia Giglio, in forza di procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 137/05/2008 della Commissione Tributaria regionale della Campania, Sezione Staccata di Salerno, depositata il 12/05/2008;

e sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege;

– ricorrente –

contro

G.M.G., elettivamente domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, e rappresentata e difesa dall’Avv.to Anastasia Giglio, in forza di procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 223/02/2008 della Commissione Tributaria regionale della Campania, Sezione Staccata di Salerno, depositata il 4/11/2008;

udita la relazione delle cause svolta nella pubblica udienza del 29/10/2014 dal Consigliere Dott. Giulia Iofrida;

uditi l’Avvocato dello Stato, Eugenio De Bonis, per parte ricorrente, e l’Avv.to Anastasia Giglio, per parti contro ricorrenti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.


Svolgimento del processo


L’Agenzia delle Entrate propone tre ricorsi per cassazione, affidati, rispettivamente, a cinque (n. 14112/2009), a quattro (n. 14114/2009) ed a sei motivi (n. 14575/2009), nei confronti di L.S., quale socio della Loffredo Arredamenti snc, nonchè della Loffredo Arredamenti snc di Sabino Loffredo e Figlio, e dei soci L. S. e G.M.G., e di quest’ultima, sempre quale socia della Loffredo Arredamenti snc (che resistono con separati controricorsi), avverso tre sentenze della Commissione Tributaria Regionale della Campania, Sez. Staccata di Salerno, nn. 136/05/2008, n. 137/05/2008 e n. 223/02/2008, depositate, le prime due, in data 12/05/2008, e, la terza, in data 4/11/2008, con le quali – in una controversia relativa alle separate impugnazioni di diversi avvisi di accertamento inerenti, quanto alla società, la rettifica del reddito d’impresa per l’anno d’imposta 2002 (a seguito di contestazioni di maggiori ricavi a fini IVA, omessa certificazione di corrispettivi, omessa fatturazione di immobili destinati ad uso familiare di un socio e di validità di una nota di credito), con rideterminazione delle imposte IVA ed IRAP dovute, nonchè, quanto ai due soci, al 50% ciascuno, della suddetta società di persone, L. e G., la rettifica del rispettivo reddito IRPEF, per l’anno 2002, in conseguenza, ex art. 5 del TUIR, del maggior reddito da partecipazione nella suddetta società, con maggiori imposte IRPEF ed addizionali regionale e comunale dovute, sempre per il 2002 – sono state stata confermate le distinte decisioni di primo grado, che, nella stessa data ed ad opera della stessa Sezione della C.T.P. di Avellino, avevano accolto i, separati, ricorsi dei contribuenti. In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto: 1) nella sentenza n. 136/05/2008 (ricorso n. 14112/2009), con riguardo alla posizione del socio L. ed all’avviso di accertamento relativo all’IRPEF da questi dovuta, che, essendo stata confermata, in appello, in pari data, la decisione di primo grado che aveva annullato l’accertamento a carico della società, richiamate le motivazioni con le quali erano stati confutati tutti i rilievi riportati nel P.V.C., doveva essere confermata anche la decisione della C.T.P. di Avellino che aveva annullato l’accertamento relativo al maggior reddito da partecipazione del socio; 2) nella sentenza n. 137/05/2008 (ricorso n. 14114/2009), con riguardo alla posizione della società ed all’avviso di accertamento relativo alle maggiori IVA ed IRAP dovute, che andavano condivise tutte le argomentazioni espresse in primo grado (e precisamente: sui rilievi concernenti i maggiori ricavi, la verifica aveva riguardato solo “22 operazioni” costituenti il “9% del totale, con una media semplice e non ponderata”, attesa la variegata gamma di prodotti in vendita, con notevole differenza di prezzo; sul rilievo concernente la presunta mancata emissione di scontrini relativi a tre commissioni, era “realistica” la ricostruzione della società e comunque, essendo stato impiegato il metodo di ricostruzione dei ricavi utilizzato per il primo rilievo, non era stato scorporato “il costo del venduto”; sul rilievo relativo all’utilizzo dell’appartamento per uso personale, tale condotta non aveva arrecato danno erariale, avendo regolarmente versato la società le imposte sul proprio patrimonio; sul rilievo ultimo relativo alla nota di credito annullata dall’Ufficio, la società aveva dimostrata che si trattava di “un documento interno emesso a storno di una duplicazione di corrispettivo, generata dall’accredito di somme oggetto di un finanziamento prima della consegna della merce”); 3) nella sentenza n. 223/02/2008 (ricorso n. 14575/2009), con riguardo alle posizioni della socia G. ed all’avviso di accertamento relativo all’IRPEF dalla stessa dovuta, che, essendo stata confermata, in appello, la decisione di primo grado che aveva annullato l’accertamento a carico della società, “conseguentemente”, doveva essere confermata anche la decisione della C.T.P. di Avellino che aveva annullato l’accertamento relativo al maggior reddito da partecipazione della socia. Tutti i controricorrenti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..


Motivi della decisione


1. L’Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta: A) nel ricorso n. 14114/2009 (relativo alle imposte IVA ed IRAP dovute dalla società):

1) con il primo motivo, l’insufficiente motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, su fatto controverso costituito dalla “rappresentatività del campione di merci posto a base della percentuale di ricarico media del 48,39% applicata” dai verificatori, non avendo i giudici della C.T.R. considerato che, come dedotto, anche in appello, “le 24 tipologie di arredi analizzate dai verificatori” (non 22) erano state individuate tra le “più rappresentative del settore” e le “più vendute” e che le percentuali di ricarico applicate dall’impresa su tale campione di merce erano state legittimamente conteggiate ai fini della media semplice; 2) con il secondo motivo, l’omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, su altro fatto controverso, costituito dalla “omessa registrazione di corrispettivi per Euro 45.537,51, desunta dal raffronto tra tre ordinativi di alcuni clienti con gli scontrini fiscali emessi”; 3) con il terzo motivo, l’insufficiente motivazione, sempre ex art. 360 c.p.c., n. 5, su ulteriore fatto controverso, individuato nella “omessa auto fatturazione di immobile destinato ad uso familiare e recupero di Euro 156.482,40, quali ricavi scaturenti dall’accertata destinazione di parte dell’immobile di proprietà della società a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, e destinato non temporaneamente ad abitazione dell’amministratore e dei suoi familiari”, non avendo i giudici della CTR posto attenzione al dato rilevante della destinazione, non temporanea, in quanto risalente al 1975, di parte dell’immobile ad uso estraneo alla società; 4) con il quarto motivo, l’insufficiente motivazione, exart. 360 c.p.c., n. 5, su altro fatto controverso, rappresentato dall'”annullamento di nota di credito n. 1 del 21/03/2002 a storno di duplicazione di corrispettivo (operazione del 3.11.2001) relativo all’operazione del 21.12.2001″, avendo i giudici della CTR del tutto trascurato di considerare i fatti esposti dagli accertatori ai fini del giudizio di inattendibilità della suddetta nota di credito.

B) nel ricorso n. 14112/2009 (relativo all’IRPEF dovuta dal socio L.): 1) con il primo motivo, la nullità del procedimento e della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art.14, in relazione all’art. 5 del TUIR ed al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40, non avendo i giudici d’appello ritenuto di dovere disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società e di tutti i singoli soci; 2) con i restanti quattro motivi, vizi motivazionali identici a quelli prospettati nel ricorso n. 14114/2009.

C) nel ricorso n. 14575/2009 (relativo all’IRPEF dovuta dall’altra socia G.): 1) con il primo motivo, la nullità del procedimento e della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, in relazione all’art. 5 del TUIR, ed al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40, non avendo i giudici d’appello ritenuto di dovere disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società e di tutti i singoli soci; 2) con il secondo motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, in quanto, stante la laconicità della motivazione adottata, in termini di mera adesione ad altra decisione concernente la società di persone, non è possibile ricostruire l’iter logico seguito dai giudici e se vi sia stata effettiva valutazione di infondatezza dei motivi di gravame; 3) con i restanti quattro motivi, vizi motivazionali identici a quelli prospettati nel ricorso n. 14114/2009.

2.1. Osserva, preliminarmente, la Corte che l’unitarietà dell’accertamento, che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e di quelle dei singoli soci, e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed a prescindere dalla percezione degli stessi (art. 5 del T.U.I.R.), comporta, in linea di principio, la configurabilità di un litisconsorzio necessario tra tutti i soggetti ( società e tutti i soci) ai quali il suddetto accertamento si riferisce, con conseguente necessità, in difetto di partecipazione di tutti i litisconsorti necessari, di integrazione del contraddittorio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, pena la nullità assoluta del giudizio rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (cfr. Cass. S.U. 14815/08). h diversa conclusione deve tuttavia pervenirsi, secondo quanto ritenuto da questa Corte, nell’ipotesi in cui siano stati incardinati simultaneamente diversi giudizi di merito relativi, rispettivamente, alla rettifica del reddito di una società di persone ed alla conseguente automatica imputazione dei redditi stessi a ciascun socio, qualora tali giudizi si fondino su identiche difese e vengano trattati contemporaneamente, potendo la Corte procedere alla riunione dei giudizi, per connessione oggettiva ex art. 274 c.p.c., anzichè pronunciare l’annullamento delle sentenze di merito (Cass. 2907, 3830 e 22122/10; Cass. 11622/2013).

Nel caso di specie, va rilevato che la società Loffredo Arredamenti snc ed i soci L.S. e G.M.G. hanno instaurato, in primo grado, simultanei ricorsi avverso i rispettivi avvisi di accertamento in rettifica, trattati in maniera coordinata dai giudici di merito – come si evince anche dai richiamo espressi operati nelle sentenze di appello -, decisi contemporaneamente, in primo grado ed in appello (salvo per la socia G.), e con motivazione sostanzialmente identica.

Va poi rilevato che, nel giudizio concernente l’avviso di accertamento a carico della società, avente carattere “portante”, in quanto alla rettifica del reddito sociale consegue, ex art. 5 del TUIR, quella del reddito da partecipazione dei soci, risultano avere partecipato anche i due soci, L. e G..

Ne discende – in forza dei rilievi che precedono – che i tre ricorsi per cassazione proposti, rispettivamente, dalla società e dai soci, che la compongono, possono essere riuniti, ai sensi dell’art. 274 c.p.c., al fine di sanare la questione pregiudiziale del difetto di litisconsorzio necessario originario, nei giudizi concernenti le posizioni dei singoli soci, introdotti autonomamente da questi, ma aventi ad oggetto i medesimi presupposti della imposizione, che si realizzano unitariamente nei confronti tanto dei soci che della società.

2. 2. Vanno conseguentemente respinti i motivi sub 1 dei ricorsi nn. 14112 e 14575 del 2009 (violazione del principio del contraddittorio).

3. Tanto premesso, assume carattere prioritario la trattazione del ricorso n. 14114/2009, concernente l’impugnazione dell’atto impositivo relativo all’IVA ed all’IRAP dovute dalla società, per l’anno 2002.

3.1. La prima censura è infondata.

Viene in discussione il metodo di rettifica globale dei ricavi fondato sulle c.d. percentuali di ricarico.

In generale, essendo il ricarico rappresentato dal rapporto tra i ricavi contabilizzati e gli acquisti registrati in contabilità – il confronto dell’effettivo margine di guadagno sulle merci con quanto risultante dalla contabilità consente di fondatamente presumere che acquisti registrati abbiano dato luogo a vendite non (regolarmente) registrate; il punto critico è rappresentato dalla scelta del criterio di determinazione della percentuale di ricarico concretamente applicabile, in quanto detto criterio deve comunque rispondere a canoni di coerenza logica e di congruità, a disparte dall’esser rapportato alla omogeneità dei beni-merce ed alla scelta del campione selezionato per la comparazione tra i prezzi di acquisto e di rivendita. La scelta da parte dell’Amministrazione finanziaria del criterio di determinazione della percentuale di ricarico deve rispondere a canoni di coerenza logica e congruità che devono essere esplicitati attraverso adeguato ragionamento, essendo consentito il ricorso al criterio della “media aritmetica semplice” in luogo della “media ponderale” quando risulti l’omogeneità della merce, ma non quando fra i vari tipi di merce esista una notevole differenza di valore ed i tipi più venduti presentino una percentuale di ricarico molto inferiore a quella risultante dal ricarico medio (cfr. Cass. 979/2003 n. 979; Cass.14328/2009; Cass. 26312/2009 e Cass.10148/2010).

Il controllo di logicità sulla scelta ed applicazione del criterio di calcolo per il ricarico si estende anche alla congruità del campione selezionato per la comparazione tra i prezzi di rivendita e di acquisto, non potendo limitarsi il campione ad alcuni articoli soltanto, ma dovendo comprendere – in relazione agli elementi conoscitivi acquisiti nel corso della indagine svolta dall’Ufficio accertatore – l’inventario generale delle merci commercializzate dalla impresa (Cass. n. 979/2003 cit.; Cass. 6849 e 6852/2009) o comunque un “gruppo significativo, per qualità e quantità dei beni” oggetto dell’attività di impresa, anche senza estendersi necessariamente alla totalità dei beni (cfr. Cass. 13816/2003 cit., per cui la “insufficienza o inadeguatezza del campione” è oggetto di sindacato da parte del giudice del merito che può determinare una riduzione del reddito accertato induttivamente dall’Ufficio).

In sostanza, il riscontro di incongrue percentuali di ricarico sulla mercè venduta costituisce – sia in tema di imposte dirette (v. Cass. 7871/12, 7653/12, 13319/11), sia in tema di IVA (v. Cass. 26177/11 e 26312/09) – legittimo presupposto dell’accertamento induttivo, purchè la determinazione della percentuale di ricarico sia coerente con la natura e le caratteristiche dei beni venduti, sicchè, qualora il contribuente, in sede di giudizio, contesti il criterio di determinazione della percentuale di ricarico, il giudice di merito è tenuto a verificare la scelta dell’Amministrazione in relazione alle critiche proposte, alla luce dei canoni di coerenza logica e di congruità, tenuto conto della natura, omogenea o disomogenea, dei beni-merce nonchè della rilevanza dei campioni selezionati, e la loro rispondenza al criterio di media (aritmetica o ponderale) prescelto.

Nella specie, i giudici d’appello, condividendo le argomentazioni espresse dai giudici della CTP, hanno ritenuto insufficiente il campione rappresentativo di merci (pari al 9% del totale delle marci vendute) e la percentuale di ricarico prescelta (il 48%, a fronte di quella dichiarata dal contribuente del 45%) secondo il sistema della “media semplice”, considerata la diversità di tipologia e di prezzo dei prodotti (arredi e complementi d’arredo) inseriti nel campione (la stessa ricorrente deduce che le percentuali di ricarico rilevate nel PVC oscillavano tra il “15,54%” ed il “93,01%”), con motivazione congrua, esaustiva ed esente da vizi.

3.2. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto non viene censurata l’affermazione, autonoma, espressa in sentenza, secondo la quale il secondo rilievo contestato costituiva una mera duplicazione del primo. In ogni caso, lo stesso motivo è infondato, non sussistendo la lamentata “omessa motivazione”.

3.3. La terza censura è, al pari, infondata. Veniva, in effetti, contestato alla società l’omessa auto fatturazione, sulla base del valore normale, di un appartamento, facente parte di un immobile destinato, per la restante parte, all’azienda di vendita al dettaglio di mobili (come tale assoggettabile ad IVA in sede di autofatturazione), conseguente all’assegnazione definitiva, ad uso personale di un socio e dei suoi familiari e dunque per finalità estranee all’esercizio dell’impresa (c.d. “autoconsumo).

La norma richiamata, nell’accertamento, è il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, commi 5 e 6, secondo il quale “Costituiscono cessioni di beni:.. : 5) la destinazione di beni al consumo personale o familiare dell’imprenditore e ad altre finalità estranee all’esercizio dell’impresa; 6) le assegnazioni ai soci fatte a qualsiasi titolo da società di ogni tipo e oggetto…”.

Ora, i giudici d’appello hanno ritenuto che l’immobile, come dimostrato dalla ricorrente (sin dal 1983, vedasi controricorso), era stato riportato in dichiarazione dalla società, quale proprietaria, con assolvimento delle relative imposte.

In ogni caso, la plusvalenza conseguente alla destinazione ad autoconsumo dell’appartamento doveva essere riferita, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, (esigibilità dell’imposta), all’anno 1975, risalendo a tale periodo, come riferito dallo stesso Ufficio, il prelievo del bene vale a dire la destinazione al consumo familiare del socio ed a finalità estranea all’esercizio dell’impresa e non al 2002.

3.4. La quarta censura è anche infondata, apparendo la motivazione, sopra richiamata, del tutto esaustiva.

Va ribadito che “la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudico di cassazione” (Cass. s.u.

24148/2013).

4. Il rigetto del ricorso per cassazione n. 14114/2009, avverso la sentenza della C.T.R. Campania che ha confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento a carico della società Loffredo Arredamenti snc, comporta il conseguente rigetto dei ricorsi per cassazione, riuniti, nn. 14112/2009 e 14575/2009, avverso le sentenze della C.T.R. Campania, che hanno confermato l’annullamento degli atti impositivi a carico dei due soci, ricorsi fondati su paralleli rilievi e motivi, stante anche l’unicità, sostanziale, della controversia tributaria.

5. Per tutto quanto sopra esposto, i ricorsi riuniti vanno tutti respinti.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.


P.Q.M.


La Corte, riuniti al ricorso n. 14112/2009 i ricorsi nn. 14114/009 e 14575/2009, li respinge tutti; condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.000,00, a titolo di compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2014.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2015