201711.15
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Cass., sez. trib., 15 novembre 2017 (ord.), n. 27041 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6677-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

L.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 19/2012 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di LECCE, depositata il 07/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/07/2017 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI.

Svolgimento del processo

L’Agenzia delle Entrate con ricorso del 5 marzo del 2013 ha chiesto a questa Corte, la cassazione della sentenza an. 19/24/12 con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Puglia sez. Lecce confermava la sentenza n. 535/04/2000 della Commissione Tributaria Provinciale di Brindisi che aveva accolto parzialmente il ricorso della ditta individuale di L.T.C. avverso l’atto di accertamento che su verifica della Guardia di Finanza aveva rettificato il reddito di impresa nella misura di L. 2.028.085.000 contro il dichiarato di L. 173.246.000. Secondo la CTR della Puglia confermava che, così come era stato ritenuto dai giudici di primo grado la fatturazione di corrispettivi pari a L. 1.640. 750.000 non aveva alcun fondamento e trovavano sostanziale giustificazione nella contabilità. A sua volta, l’Ufficio finanziario non aveva prodotto prove certe ed elementi validi a far ritenere irregolare la contabilità.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta per tre motivi: 1) per violazione e falsa applicazione degli artt. 2214, 2216 e 2219 cod. civ., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22 con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; 2) per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; 3) per omessa e/o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

Motivi della decisione

1.= Secondo l’Agenzia delle Entrate la CTR di Bari avrebbe errato:

a) nell’aver ritenuto ammissibile l’annotazione cumulativa delle fatture in epoca successiva alla loro emissione nel presupposto che si tratterebbe di rilievo puramente formale non tenendo conto che le norme sulla contabilità contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973 impongono di annotare in apposito registro le fatture emesse nell’ordine della loro emissione (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22). Così come avrebbe errato la CTR nell’affermare che nonostante il momentaneo squilibrio di cassa e di natura contabile conseguente al criterio di contabilità adottata dall’Istituto posto che il saldo del conto cassa non può essere mai negativo perchè ciò vorrebbe dire che dal conto sia uscito più denaro di quanto ne sia entrato.

b) che l’Ufficio non avrebbe prodotto prove certe ed elementi validi a far ritenere irregolare la contabilità perchè in palese contrasto con l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione in ordine alla ripartizione dell’onere probatorio nella particolare ipotesi in cui sia stato contestato il saldo negativo di cassa. (cfr Cass. 17004 del 2012). Piuttosto, l’esistenza di un saldo di cassa negativo costituisce idonea prova presuntiva dell’omessa contabilizzazione di ricavi a fronte della quale incombe al contribuente l’onere di fornire idonea prova contraria.

c) che la CTR di Bari nell’affermare che le entrate su fatture relative ad un certo periodo di tempo risultavano raggruppate ed annotate complessivamente, che i pagamenti di L. 1.640.750.000 trovavano sostanziale giustificazione nella contabilità non avrebbe tenuto conto dei rilievi critici formulati dall’Ufficio nel proprio appello. In particolare la CTR di Bari non avrebbe tenuto conto che la contribuente aveva l’obbligo di annotazione delle fatture e dei corrispettivi secondo il principio di cronologia e giorno per giorno. Con l’ulteriore specificazione che non risultava esibito alcun documento dal quale si potesse ritenere provato quanto affermato in sentenza. L’Ufficio finanziario aveva evidenziato con il proprio atto di appello che dall’analisi dei registri contabili emergeva una registrazione delle fatture avvenuta giorno per giorno e non in maniera cumulativa come era stato sostenuto da parte del contribuente.

1.1.= I motivi che per la loro innegabile connessione vanno esaminati congiuntamente sono fondati.

Va qui premesso che secondo la norma fiscale (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22) le società obbligate ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 13, devono registrare tutte le operazioni, tra l’altro, quelle contabili, nel libro giornale, entro 60 giorni dalla data in cui le operazioni sono state effettuate, senza che rivesta alcuna rilevanza la data in cui avviene la registrazione (cfr. Ris. Min. Fin. n. 9/2270 del 7 dicembre 1977) e successivamente nel libro degli inventari. Il libro giornale è un registro cronologico – analitico, nel quale vanno indicate giorno per giorno le operazioni relative all’esercizio dell’impresa; mentre il libro degli inventari è un registro periodico-sistematico, ed ha la funzione di fornire il quadro della situazione patrimoniale dell’imprenditore. E, ciò porta ad escludere una registrazione cumulativa delle operazioni effettuate.

1.2.= E, comunque, a parte questa considerazione va premesso che come afferma la dottrina ragionieristica e, con essa, la giurisprudenza di questa Corte la chiusura “in rosso” di un conto di cassa significa, senza possibilità di dubbio, che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degl’introiti registrati, non si può fare a meno di ravvisare, senza alcuna forzatura logica, l’esistenza di altri ricavi, non registrati, in misura almeno pari al disavanzo. Si deve, conseguentemente, ritenere che una chiusura di cassa con segno negativo oltre a rappresentare, sotto il profilo formale, un’anomalia contabile, denota sostanzialmente l’omessa contabilizzazione di un’attività (almeno) equivalente al disavanzo (Cassazione civile, sez. trib., n. 27585 del 2008 e n. 24509 del 2009).

La sentenza d’appello, pertanto, va censurata sul punto impugnato, perchè contiene un vizio logico quando, pur riconoscendo l’anomalia, considera ingiustificata la conclusione dell’occultamento di ricavi, ritenendo, altresì, che l’Ufficio non avrebbe prodotto prove certe ed elementi validi a far ritenere irregolare la contabilità. Inoltre, la decisione di secondo grado non rende conto delle ragioni addotte dal fisco nel processo verbale di verifica per accreditare la propria tesi limitandosi ad annotare che il saldo negativo si esaurirebbe “nell’ambito puramente finanziario della contabilità”, senza ulteriori specificazioni, necessarie per superare la presunzione ex actis di maggiori guadagni e i principi contabili di veridicità e chiarezza dei bilanci societari (artt. 2423 e 2424 c.c.). Infine, va osservato che – in contrasto col riparto degli oneri probatori regolato dal regime di presunzioni del D.P.R. n. 633, art. 54, comma 2, e del D.P.R. n. 600, art. 39, comma 2, – i giudici d’appello affermano che “l’ufficio non avrebbe prodotto prove certe ed elementi validi a far ritenere irregolare la contabilità”.

Per le ragioni esposte, in accoglimento del ricorso e previa cassazione della sentenza impugnata, la causa deve essere rinviata ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale di Lecce, che rinnoverà il giudizio uniformandosi ai principi sopra esposti e così in sintesi enunciati: “in tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa ai fini Irpeg e Iva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo”. Il giudice di rinvio regolerà fra le parti, anche l’onere delle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale di Bari sez. staccata di Lecce, che provvederà al regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2017