202301.12
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Cass., sez. trib., 12 gennaio 2023, n. 798 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. ANGARANO Rosanna – Consigliere –

Dott. CORTESI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 27171/2019 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata ope legis in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;. – ricorrente –

contro

A.A., rappresentato e difeso dall’avv. Valerio Vallefuoco, presso cui è elettivamente domiciliato in Roma al viale Regina Margherita n. 294;

  • controricorrente –

Avverso la sentenza n. 849/2019 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, pronunciata in data 23 gennaio 2019, depositata in data 26 febbraio 2019 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 21 dicembre 2022 D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, ex art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, dal Consigliere Dott. Andreina Giudicepietro.

Dato atto che il Sostituto Procuratore Generale Dott. Giuseppe Locatelli ha depositato le seguenti conclusioni scritte: “accogliere il ricorso; cassare la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigettare il ricorso introduttivo del contribuente”.

Udito il P.G. Dott. Giuseppe Locatelli e l’avvocato dello Stato, Davide Giovanni Pintus, per l’Agenzia delle Entrate, che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso, nonchè l’avv. Valerio Vallefuoco, per parte contribuente, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

  1. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso, con un unico motivo, contro A.A., che resiste con controricorso, avverso la sentenza n. 849/2019 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, pronunciata in data 23 gennaio 2019, depositata in data 26 febbraio 2019 e non notificata, che ha accolto l’appello del contribuente avverso la sentenza n. 7138/2017 della Commissione tributaria provinciale di Milano, che aveva rigettato il ricorso contro il diniego tacito di rimborso dell’Euroritenuta, effettuata dalla Banca Credit Agricole Indosuez sa Switzerland, in (Omissis), presso la quale il contribuente, fiscalmente residente in (Omissis), deteneva la propria consistenza finanziaria, oggetto di regolarizzazione mediante adesione alla procedura di voluntary disclosure (letteralmente “collaborazione volontaria”).
  2. In particolare, in data 23 settembre 2015, il sig. A.A. presentava istanza di ammissione alla procedura di collaborazione volontaria di cui del D.L. n. 167 del 1990, art. 5 quater, come modificato dalla L. 186 del 2014, al fine di regolarizzare le violazioni relative ai redditi di capitale da assoggettare ad imposta sostitutiva ed al monitoraggio fiscale, relativamente alle giacenze di attività finanziarie detenute in (Omissis). L’imposta sostitutiva versata per i redditi di capitali prodotti era stata calcolata dall’Ufficio senza tener conto dell’Euroritenuta, pari ad Euro 300.223,00, già versata e certificata dall’Istituto di credito estero, quale sostituto d’imposta, per le annualità oggetto della procedura di collaborazione volontaria. In seguito alla definizione della predetta procedura, in data (Omissis) il sig. A.A. chiedeva il rimborso di quanto versato all’estero. L’ufficio non rispondeva alla suddetta istanza. Il contribuente presentava ricorso avverso il diniego tacito dell’ufficio, deducendo la violazione o falsa applicazione dell’art. 14 della direttiva n. 2003/48/CE, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 165 e 169 (T.u.i.r.) e dell’art. 53 Cost.. Ad avviso del ricorrente, nella fattispecie, il pagamento all’estero dell’Euroritenuta determinava un caso di doppia imposizione, che colpiva il medesimo reddito di capitale. Pertanto, sulla base dell’art. 14 della direttiva, il contribuente riteneva spettante il rimborso della ritenuta effettuata dalla banca svizzera. Si costituiva in giudizio l’ufficio, sostenendo la non spettanza del rimborso richiesto dal contribuente. Infatti, ad avviso dell’Ufficio, l’Euroritenuta non poteva essere rimborsata, mancando, nel caso di specie, il presupposto di cui all’art. 165 del T.u.i.r., il cui comma 8, nega il diritto alla detrazione delle imposte pagate all’estero, in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero. Inoltre, l’ufficio denunciava il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte del contribuente in relazione all’effettivo pagamento dell’Euroritenuta, in quanto la documentazione depositata in giudizio era generica.
  3. Con la sentenza n. 7138/11/2017, depositata in data 27 dicembre 2017, la C.t.p. di Milano respingeva il ricorso in ragione della mancata indicazione del credito in dichiarazione o di aver effettuato il pagamento della cd. “Euroritenuta”.

Avverso la suddetta sentenza il contribuente proponeva appello davanti alla C.t.r. della Lombardia dolendosi: a) della falsa applicazione dell’art. 165 t.u.i.r, atteso che l’Euroritenuta non sarebbe ricompresa nell’ambito di applicazione della norma; b) della violazione dell’art. 14 della direttiva 2003/48/CE, dell’art. 169 t.u.i.r e dell’art. 53 Cost., per il mancato riconoscimento della spettanza del credito d’imposta maturato in seguito alla definizione della collaborazione volontaria, instaurata al fine di denunciare la detenzione dei capitali, dai quali era scaturito l’obbligo del pagamento dell’Euroritenuta. L’ufficio si costituiva in giudizio, deducendo l’inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi e ribadendo l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 165, comma 8, TUIR, che impediva il diritto alla detrazione delle imposte pagate all’estero in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata. Peraltro, l’ufficio evidenziava come il contribuente non si fosse neppure adeguato alle indicazioni fornite con la Circolare n. 9/E del 5 marzo 2015, che prevedeva, nel caso di omessa indicazione delle imposte pagate all’estero, la possibilità di presentare una dichiarazione integrativa. L’ufficio ribadiva poi che difettava anche un’adeguata certificazione del pagamento dell’Euroritenuta. La C.t.r. della Lombardia, con sentenza n. 849/13/2019, depositata il 26 febbraio 2019, accoglieva l’appello del contribuente e riformava la sentenza di primo grado, ritenendo sussistente la violazione dell’art. 14 della direttiva 2003/48/CE. Parte contribuente ha depositato memoria ed istanza di trattazione orale ed il P.G., Giuseppe Locatelli, conclusioni scritte, con cui ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

1.1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate denunzia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14 della direttiva 48/CE/2003, nonchè violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 165, commi 1 e 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente ha premesso che sarebbero pacifiche le seguenti circostanze: 1) che non è stata rimborsata l’Euroritenuta che il contribuente afferma di aver versato; 2) che il contribuente non ha presentato la dichiarazione con l’indicazione dei redditi prodotti all’estero.

L’Agenzia delle Entrate ha rilevato che, in materia di imposte sui redditi, l’obbligazione tributaria grava su tutti i possessori di reddito, residenti o meno nel territorio dello Stato italiano, secondo quanto stabilito dall’art. 2 del T.u.i.r.. I soggetti fiscalmente residenti nel territorio italiano vengono incisi in base al principio dell’utile mondiale (o worldwide taxation principle), alla stregua del quale la tassazione avviene rispetto a tutti i redditi dagli stessi posseduti. Per i soggetti non residenti, si applica, invece, il principio di territorialità, sulla cui scorta sono tassati solo i redditi prodotti nel territorio dello Stato. L’adozione del doppio criterio di prelievo, dell’utile mondiale e della fonte di produzione del reddito, implica il rischio di doppie imposizioni rispetto a quei Paesi che utilizzino gli stessi criteri.

Il legislatore italiano, proprio al fine di eliminare la doppia imposizione, ha introdotto il rimedio del credito d’imposta, disciplinato dall’art. 165 del T.u.i.r., che al comma 1 prevede che “Se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo…”.

Ritiene la ricorrente che, nel caso di specie, la mancata presentazione della dichiarazione – o, meglio, la mancata indicazione delle disponibilità estere nelle dichiarazioni presentate -, come pacificamente risulta dagli atti di causa, ha impedito al reddito estero di concorrere alla formazione del reddito imponibile. La necessità, ai fini del riconoscimento del credito di imposta, che il reddito estero concorra alla formazione del reddito globale e che sia indicato nella dichiarazione dei redditi troverebbe riscontro nella previsione dell’art. 165, comma 4 del T.u.i.r., secondo cui “la detrazione di cui al comma 1, deve essere calcolata nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta cui appartiene il reddito prodotto all’estero al quale si riferisce l’imposta di cui allo stesso comma 1…”; inoltre la conferma dell’obbligatorietà della dichiarazione dei redditi, per la fruizione del credito d’imposta, sarebbe data dell’art. 165, comma 8 del T.u.i.r., ai sensi del quale “La detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata”.

Secondo l’amministrazione finanziaria, risulterebbe destituita di fondamento la sentenza della C.t.r. anche nella parte in cui afferma che la preclusione al recupero dell’Euroritenuta “risulterebbe contraria agli accordi internazionali, nella specie quello UE con la Confederazione elvetica, contro la doppia imposizione, e ciò violerebbe la direttiva 2003/48/CE che, vietando la doppia imposizione, prevede al suo art. 14 che lo Stato di residenza fiscale, in questo caso l’Italia, possa sostituire il meccanismo del credito con un rimborso della ritenuta alla fonte”.

La ricorrente precisa sul punto che l’Euroritenuta non viene espressamente contemplata nella Convenzione contro le doppie imposizioni fra Italia e Svizzera e neppure nel protocollo che ha modificato la predetta Convenzione; in mancanza di tale previsione, la preclusione al recupero dell’imposta versata non potrebbe ritenersi contraria agli accordi internazionali tra Italia e Svizzera.

Così come non sembrerebbe possibile che il mancato rimborso della ritenuta violi “la direttiva 2003/48/CE che, vietando la doppia imposizione, prevede al suo art. 14 che lo Stato di residenza fiscale, in questo caso l’Italia, possa sostituire il meccanismo del credito con un rimborso della ritenuta alla fonte”.

Invero, secondo l’Agenzia delle entrate, la direttiva chiarirebbe in più punti che il riconoscimento, ovvero il rimborso, dell’Euroritenuta sarebbero stati ammessi “…secondo la legislazione nazionale” dello Stato del beneficiario effettivo, dunque, nel caso che ci occupa, l’Italia.

L’articolo che disciplina il caso di specie, sarebbe, per i motivi già detti, l’art. 165 T.u.i.r., il quale prevederebbe in maniera diretta e non interpretabile che il riconoscimento del credito d’imposta, ovvero del rimborso, non è possibile laddove il contribuente abbia omesso la dichiarazione o il reddito dal quale il credito stesso discende.

Infine, ritiene la ricorrente che la circolare n. 9/E del 5 marzo 2015, a cui fa riferimento la Commissione tributaria, pur ammettendo la possibilità di denunciare i redditi relativi all’imposta versata all’estero, anche mediante presentazione di dichiarazione integrativa a sfavore, precisa, a chiare lettere, alla sezione 3.4. rubricata “Omessa dichiarazione redditi prodotti all’estero” – art. 165, comma 8, del TUIR – che “in base a tale disposizione, il contribuente non può fruire del credito di cui all’art. 165 del TUIR qualora la dichiarazione relativa all’annualità oggetto di controllo sia omessa (o debba essere considerata tale) o il reddito estero non sia stato dichiarato”.

La ricorrente richiama anche la più recente Circolare n. 21/E del 20/07/2017, che ha illustrato le ultime novità normative in materia, stante la riapertura dei termini della procedura di collaborazione volontaria in un intervallo temporale che va dal 24 ottobre 2016 al 31 luglio 2017. Con tale circolare, in tema di detrazione delle imposte pagate all’estero nell’ambito della collaborazione volontaria, l’Agenzia delle Entrate ha ribadito, ancora una volta, la posizione di ferma chiusura rispetto al rimborso delle imposte pagate all’estero per i redditi ivi prodotti. Secondo la ricorrente, se, da un lato, la novità normativa in questione consente – esclusivamente nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria – di detrarre le imposte pagate all’estero a titolo definitivo, relative a redditi esteri da lavoro dipendente o autonomo, anche in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, dall’altro lato, “resta invece normativamente precluso in ogni caso il rimborso delle imposte già pagate” (pag. 4 della Circolare 21/E citata).

In conclusione, secondo la prospettazione dell’ufficio, la procedura di voluntary disclosure, con l’applicazione del metodo forfetario di tassazione, altro non sarebbe che un “pacchetto fiscale” che lo Stato italiano ha messo a disposizione dei contribuenti proprio al fine di regolarizzare i capitali detenuti all’estero e sottratti, non solo alla tassazione secondo il diritto domestico, ma anche al monitoraggio fiscale di cui ai Quadri RW delle dichiarazioni presentate.

Ritiene la ricorrente che si tratti di una disciplina agevolatrice speciale, e come tale di stretta interpretazione, che ha dettato regole ben precise alle quali il contribuente può o meno aderire, ma che non ha alcuna possibilità di modificare.

L’errore in cui sarebbe incorsa la C.t.r., secondo l’amministrazione finanziaria, consisterebbe nell’aver ritenuto che il credito di imposta assolta definitivamente all’estero, in relazione a redditi prodotti all’estero da soggetto fiscalmente residente in (Omissis), sussista a prescindere dalla presentazione della dichiarazione e, dunque, costituisca un credito da indebito pagamento, diversamente da quanto previsto dall’art. 165 T.u.i.r..

2.1. In primo luogo, il collegio rileva che l’eventuale spontaneo adempimento della sentenza di appello non comporta l’inammissibilità dell’attuale ricorso in cassazione, in quanto l’esecuzione spontanea di un provvedimento giudiziario determina il sopravvenuto difetto di interesse ad agire nel giudizio di impugnazione soltanto se accompagnata dal riconoscimento – anche implicito purchè inequivoco – della fondatezza della domanda (cfr. Cass. n. 1588/2020; Cass. n. 26005/2010 Cass. n. 23289/2007).

Nel caso di specie, dunque, anche se l’amministrazione avesse adempiuto spontaneamente al rimborso, a seguito della sentenza di appello, il ricorso non sarebbe inammissibile, in quanto mancherebbe il riconoscimento espresso o implicito della fondatezza della domanda avversaria ovvero la rinunzia alla prosecuzione del giudizio, contraddetta proprio dalla proposizione del ricorso in cassazione.

2.2. Passando all’esame del ricorso, l’unico motivo proposto dall’Agenzia delle entrate, è infondato e deve essere rigettato.

La voluntary disclosure (cioè la “collaborazione volontaria”) è una procedura che consente ai soggetti residenti in Italia, che detengono anche indirettamente o per interposta persona attività patrimoniali o finanziarie all’estero e che abbiano omesso di dichiararle, la possibilità di sanare la propria posizione fiscale presentando apposita istanza nominativa e versando, senza possibilità di compensazione, le dovute imposte e le sanzioni, rideterminate (queste ultime) in misura ridotta.

L’introduzione di una disciplina speciale in materia di voluntary disclosure risponde alla necessità di prevedere un meccanismo di regolarizzazione per gli attivi detenuti all’estero, come raccomandato dall’OCSE nel 2010 in attuazione di una politica di contrasto alle evasioni fiscali internazionali.

In Italia, la prima voluntary disclosure, regolata dalla L. 15 dicembre 2014, n. 186, si è conclusa nel novembre 2015, la seconda, regolata dal D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, è terminata il 31 luglio 2017. Il collegato fiscale 2018, D.L. 16 ottobre 2017, n. 148, ha previsto una mini voluntary disclosure limitata ai soggetti fiscalmente residenti che in precedenza erano residenti all’estero o che lavorano in zone di frontiera e che hanno violato gli obblighi di compilazione del quadro RW della dichiarazione fiscale.

Ai sensi del D.L. n. 167 del 1990, art. 5 quater, comma 1, inserito dalla L. 15 dicembre 2014, n. 186, art. 1, comma 1, “1. L’autore della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all’art. 4, comma 1, commessa fino al 30 settembre 2014, può avvalersi della procedura di collaborazione volontaria di cui al presente articolo per l’emersione delle attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori del territorio dello Stato, per la definizione delle sanzioni per le eventuali violazioni di tali obblighi e per la definizione dell’accertamento mediante adesione ai contenuti dell’invito al contraddittorio di cui alla lettera b) per le violazioni in materia di imposte sui redditi e relative addizionali, di imposte sostitutive, di imposta regionale sulle attività produttive e di imposta sul valore aggiunto, nonchè per le eventuali violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti d’imposta”.

I contribuenti che intendevano accedere al programma di collaborazione volontaria dovevano presentare, esclusivamente per via telematica, l’apposita richiesta di accesso alla procedura, utilizzando il modello approvato dall’amministrazione finanziaria, nella quale andavano indicati tutti gli investimenti e tutte le attività di natura finanziaria costituiti o detenuti all’estero, anche indirettamente o per interposta persona, nei periodi d’imposta oggetto di regolarizzazione, unitamente ai documenti ed elementi necessari alla ricostruzione dei redditi connessi e al calcolo delle imposte dovute.

La “collaborazione volontaria” riguardava necessariamente tutti i periodi d’imposta per i quali, alla data di presentazione della richiesta di accesso alla procedura, non erano scaduti i termini per l’accertamento di maggiori imposte o per la contestazione delle violazioni degli obblighi dichiarativi in materia di monitoraggio fiscale.

La responsabilità in ordine al contenuto della richiesta di accesso alla procedura, alla veridicità e completezza della documentazione e delle informazioni relative, al corretto e tempestivo invio di essa ricadeva sul contribuente (D.L. n. 167 del 1990, art. 5 septies).

Ai sensi dell’art. 5 quater, comma 1, lett. b), l’autore della violazione, per accedere alla voluntary disclosure, doveva “b) versare le somme dovute in base all’invito di cui del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 5, comma 1, e successive modificazioni, entro il quindicesimo giorno antecedente la data fissata per la comparizione e secondo le ulteriori modalità indicate nel comma 1-bis del medesimo articolo per l’adesione ai contenuti dell’invito, ovvero le somme dovute in base all’accertamento con adesione entro venti giorni dalla redazione dell’atto, oltre alle somme dovute in base all’atto di contestazione o al provvedimento di irrogazione delle sanzioni per la violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all’art. 4, comma 1, del presente decreto entro il termine per la proposizione del ricorso, ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 16, e successive modificazioni, senza avvalersi della compensazione prevista del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, e successive modificazioni. Il versamento può essere eseguito in unica soluzione ovvero essere ripartito, su richiesta dell’autore della violazione, in tre rate mensili di pari importo. Il pagamento della prima rata deve essere effettuato nei termini e con le modalità di cui alla presente lettera. Il mancato pagamento di una delle rate comporta il venir meno degli effetti della procedura”.

La voluntary disclosure non era ammessa (D.L. n. 167 del 1990, art. 5 quater, comma 2) qualora l’autore della violazione avesse avuto formale conoscenza: (i) dell’inizio di accessi, ispezioni o verifiche; (ii) dell’inizio di altre attività amministrative di accertamento; (iii) della propria condizione di indagato o di imputato in procedimenti penali per violazione di norme tributarie.

I benefici derivanti dall’adesione alla procedura, con riferimento agli aspetti di natura amministrativa, riguardavano la riduzione delle sanzioni e la riduzione degli anni accertabili; viene, infatti, sterilizzato il raddoppio dei termini in caso di capitali detenuti in Paesi black list, così come previsto del D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 12.

Una volta inviata l’istanza, dunque, il contribuente poteva scegliere di prestare acquiescenza all’invito a comparire previsto dal D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 5, comma 1, recante gli imponibili, le imposte, gli interessi e le sanzioni, ovvero di avviare una separata procedura di accertamento con adesione.

Il perfezionamento della voluntary disclosure avveniva in ogni caso in virtù del versamento, anche rateale, di quanto dovuto a seguito delle attività svolte dall’ufficio. Tale versamento doveva essere effettivo: il contribuente, infatti, non era ammesso ad avvalersi di forme di estinzione dell’obbligazione tributaria diversi dal pagamento e non gli era consentito di compensare il debito con eventuali crediti d’imposta.

L’omesso versamento comportava la notifica di un nuovo avviso di accertamento o di un nuovo atto di contestazione e la connessa rideterminazione della sanzione in misura ordinaria, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di notificazione dell’invito di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5, o di redazione dell’atto di adesione o di notificazione dell’atto di contestazione, anche se nel frattempo erano decorsi i termini ordinari di accertamento (D.L. n. 167 del 1990, art. 5 quinquies, comma 10).

Come si è detto, la procedura originava da un’autodenuncia a carattere spontaneo ed esaustivo, esperibile in totale tra Spa renza una sola volta in seno al rapporto tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria, per la regolarizzazione della consistenza patrimoniale o reddituale a fronte di violazioni tributarie commesse in anni ancora suscettibili di accertamento.

In tal senso la procedura di voluntary disclosure si distingue dal ravvedimento operoso che, riformulato dalla L. 23 dicembre 1990, n. 190, si articola mediante presentazione di una dichiarazione integrativa e un’autoliquidazione d’imposta.

Oltre alla possibilità di regolarizzare le attività finanziarie detenute all’estero, la L. n. 186 del 2014, art. 1, comma 2, ha istituito anche uno speciale programma di emersione nazionale (cd. collaborazione volontaria nazionale), per i contribuenti diversi da quelli assoggettati agli obblighi sul monitoraggio fiscale.

Con procedura analoga, è infatti consentito definire le violazioni degli obblighi dichiarativi commesse fino al 30.9.2014 in materia di imposte sui redditi e relative addizionali, imposte sostitutive delle imposte sui redditi, imposta regionale sulle attività produttive e imposta sul valore aggiunto, nonchè le violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti d’imposta.

Nella voluntary disclosure rilevavano: a) gli investimenti e le attività di natura finanziaria costituiti o detenuti all’estero, anche indirettamente o per interposta persona, in violazione degli obblighi di dichiarazione in materia di monitoraggio fiscale; b) i redditi connessi, ovverosia i redditi che servirono per costituire o acquistare tali investimenti e attività finanziarie, e quelli derivanti dalla loro dismissione o utilizzazione a qualunque titolo; c) i maggiori imponibili non associati agli investimenti e alle attività illecitamente costituite o detenute all’estero, agli effetti delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive, dell’imposta regionale sulle attività produttive, dei contributi previdenziali dell’imposta sul valore aggiunto e delle ritenute.

Il problema che si pone è quello relativo alla possibilità per i contribuenti di scomputare dall’imposta dovuta le eventuali imposte pagate all’estero sugli stessi redditi oggetto della procedura di “collaborazione volontaria”.

2.3. Nel nostro ordinamento, per evitare le doppie imposizioni sui rediti prodotti all’estero da soggetti residenti, dell’art. 165, comma 1 del T.u.i.r., riconosce il credito d’imposta qualora ricorrano congiuntamente le tre seguenti condizioni: la produzione di un reddito all’estero, il concorso del reddito prodotto all’estero alla formazione del reddito complessivo in Italia ed, infine, il pagamento di imposte estere a titolo definitivo.

Sono escluse dalla formazione della base imponibile ed esonerate dall’obbligo di dichiarazione alcune ipotesi reddituali tassativamente previste, tra cui i rediti sottoposti a ritenuta d’imposta o imposta sostitutiva, per i quali gli obblighi tributari risultino già assolti al momento della dichiarazione.

Dunque, in relazione ai redditi esteri, assoggettati in Italia a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o d’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, viene esclusa la spettanza del credito d’imposta per le imposte assolte.

In tali ipotesi può verificarsi una doppia imposizione del reddito transnazionale, alla quale il contribuente può sottrarsi quando gli è concessa la facoltà di rinunciare al regime di tassazione sostitutiva, facendo concorrere il reddito estero alla formazione del proprio reddito imponibile (come nel caso dei redditi di capitale erogati da soggetti non residenti e percepiti all’estero, ai sensi dell’art. 18, comma 1, T.u.i.r.).

La necessità del concorso del reddito estero alla formazione del reddito complessivo trova riscontro dell’art. 165 citato, comma 8, il quale prevede che “la detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata”.

Nel caso della voluntary disclosure, l’amministrazione ricorrente esclude la possibilità di recupero degli esborsi sostenuti all’estero dai contribuenti, rilevando che i rimedi alla doppia imposizione seguono i modelli della esenzione e del credito d’imposta previsti dall’art. 165 T.u.i.r. e, dunque, non sono compatibili con la specifica procedura della collaborazione volontaria, poichè il modello del credito d’imposta si paleserebbe ostacolato dal fatto che le imposte sostitutive e le ritenute assolte all’estero non risultano correlate a redditi esposti in una dichiarazione fiscale, come richiesto dall’art. 165, comma 8, T.u.i.r..

In tal senso l’Agenzia delle entrate richiama la propria circolare n. 9/E del 5 marzo 2015, con cui l’amministrazione finanziaria ha negato la possibilità del riconoscimento del credito d’imposta in sede di voluntary disclosure, in quanto lo stesso è subordinato all’esposizione in dichiarazione.

La citata circolare specifica che “L’art. 165, comma 8 del T.u.i.r., nega il diritto alla detrazione delle imposte pagate all’estero in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero. In base a tale disposizione, il contribuente non può fruire del credito di cui all’art. 165 del T.u.i.r. qualora la dichiarazione relativa all’annualità oggetto di controllo sia omessa o il reddito estero non sia stato dichiarato”.

Tuttavia, con la medesima circolare, l’Agenzia delle entrate ha precisato che è consentito usufruire del credito di imposta per le imposte assolte all’estero in caso di omessa indicazione del reddito estero nell’ambito di una dichiarazione considerata valida e che la violazione compiuta può essere sanata mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa a sfavore, entro i termini di cui al D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2, comma 8.

A conferma della generale applicabilità della causa di esclusione della spettanza del credito di imposta prevista dall’art. 165 comma 8 Tuir, l’Agenzia ricorrente sottolinea che del D.L. n. 167 del 1990, art. 5 octies, comma 1, lett. a bis), introdotto del D.L. n. 50 del 2017, art. 1 ter, comma 1, lett. a), ha stabilito che l’art. 165, comma 8, citato, non si applica nei soli casi di redditi prodotti all’estero e non indicati nella dichiarazione dei redditi appartenenti alla categoria dei redditi di lavoro dipendente od autonomo. Inoltre del citato D.L. n. 50 del 2017, art. 1, comma 2, stabilisce che “in ogni caso non si fa luogo al rimborso delle imposte già pagate” (come nel caso di specie in cui si chiede il rimborso di imposte già versate).

Tutto quanto fin qui esposto è stato, da ultimo, ribadito dall’ufficio anche con la più recente Circolare n. 21/E del 20/07/2017, che illustra le ultime novità normative in materia, stante la riapertura dei termini della procedura di collaborazione volontaria in un intervallo temporale che va dal 24 ottobre 2016 al 31 luglio 2017. Nello specifico, in tema di detrazione delle imposte pagate all’estero nell’ambito della collaborazione volontaria, l’Agenzia delle entrate ribadisce, ancora una volta, la posizione di ferma chiusura rispetto al rimborso delle imposte pagate all’estero per i redditi ivi prodotti. Se, da un lato, la novità normativa in questione consente -esclusivamente nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria – di detrarre le imposte pagate all’estero a titolo definitivo, relative a redditi esteri da lavoro dipendente o autonomo, anche in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, dall’altro lato, “resta invece normativamente precluso in ogni caso il rimborso delle imposte già pagate” (pag. 4 della Circolare 21/E).

2.4. Nel caso di specie, il contribuente, che ha effettuato la voluntary disclosure, chiede il rimborso dell’Euroritenuta, che era già stata in precedenza versata e certificata dall’Istituto di credito estero, quale sostituto d’imposta, per le annualità oggetto della procedura di collaborazione volontaria.

La specifica normativa in tema di voluntary disclosure e la disciplina dell’art. 165 T.u.i.r., dunque, vanno coordinati con la direttiva 2003/48/CE del Consiglio dell’Unione Europea del 3 giugno 2003, recepita in Italia dal D.Lgs. 18 aprile 2005, n. 84, che ha disciplinato l’Euroritenuta.

Quest’ultima era un’imposta riscossa attraverso l’applicazione di una ritenuta alla fonte da parte di un agente pagatore stabilito in uno Stato membro Ue ed in Stati che applicavano misure equivalenti (tra cui (Omissis)). La base imponibile su cui veniva calcolata era il reddito da ri Spa rmio percepito sotto forma di interessi ed il soggetto passivo era il beneficiario effettivo del reddito, residente in altro Stato membro.

L’obiettivo dichiarato della direttiva (art. 1) era quello di garantire che i redditi da ri Spa rmio fossero imponibili secondo la legislazione dello Stato di residenza dei soggetti beneficiari, anche se corrisposti in un altro Stato membro. Si può quindi affermare che tale normativa comunitaria consentiva l’applicazione di una tassazione uniforme dei redditi da ri Spa rmio all’interno dell’ambito Europeo e che essa era tesa ad evitare la fuga dei capitali all’estero, con il fine di sottrarre fonti di ricchezza all’imposizione nazionale.

Ad oggi l’Euroritenuta non è più riscossa in quanto la direttiva Ue 2015/2060/UE, approvata dal Consiglio dell’Unione Europea del 10 novembre 2015, ha abrogato, con effetto a decorrere dal 1 gennaio 2016, la Direttiva 2003/48/CE, essendo stato regolamentato lo scambio automatico delle informazioni tra le Amministrazioni dei Paesi aderenti all’UE. Tornando alla disciplina applicabile nella vigenza dell’Euroritenuta, l’art. 11, comma 4, della direttiva 2003/48/CE prevedeva che “l’applicazione della ritenuta alla fonte da parte dello Stato membro dell’agente pagatore non impedisce allo Stato membro di residenza fiscale del beneficiario effettivo di tassare i redditi secondo la sua legislazione nazionale, fatta salva l’osservanza del trattato”.

L’art. 14, comma 1, stabiliva che “lo Stato membro di residenza fiscale del beneficiario effettivo assicura, a norma dei seguenti paragrafi 2 e 3, l’eliminazione di tutte le doppie imposizioni che potrebbero derivare dall’applicazione della ritenuta alla fonte di cui all’art. 11”, e disponeva, ai commi successivi, che tale eliminazione poteva essere realizzata attraverso il meccanismo del credito d’imposta, oppure, a scelta dello Stato membro di residenza fiscale del beneficiario effettivo, con un rimborso della ritenuta stessa.

In particolare, i successivi commi del citato art. 14 prevedevano: “2. Se gli interessi percepiti da un beneficiario effettivo sono stati assoggettati a siffatta ritenuta alla fonte nello Stato membro dell’agente pagatore, lo Stato membro di residenza fiscale del beneficiario effettivo accorda a quest’ultimo un credito d’imposta pari all’importo della ritenuta effettuata secondo la legislazione nazionale. Se detto importo supera l’importo dell’imposta dovuta secondo la legislazione nazionale, lo Stato membro di residenza fiscale rimborsa al beneficiario effettivo l’importo di ritenuta eccedente l’imposta dovuta.

  1. Se, oltre alla ritenuta alla fonte di cui all’art. 11, gli interessi percepiti da un beneficiario effettivo sono stati assoggettati a qualsiasi altro tipo di ritenuta fiscale e lo Stato membro di residenza fiscale accorda un credito d’imposta per tale ritenuta secondo la legislazione nazionale o ai sensi di convenzioni contro le doppie imposizioni, quest’altra ritenuta viene imputata prima che venga applicata la procedura di cui al paragrafo 2.
  2. Lo Stato membro di residenza fiscale del beneficiario effettivo può sostituire il meccanismo del credito d’imposta di cui ai paragrafi 2 e 3 con un rimborso della ritenuta alla fonte di cui all’art. 11″.

Simmetricamente, l’Accordo tra la Comunità Europea e la Confederazione svizzera del 26 ottobre 2004 (pubblicato in Gazzetta ufficiale dell’UE del 29/12/2004), che stabiliva misure equivalenti a quelle definite nella Direttiva 2003/48/CE del Consiglio in materia di tassazione dei redditi da ri Spa rmio sotto forma di pagamenti di interessi, prevedeva (art. 8), quanto alla ripartizione del gettito fiscale, che la Svizzera trattenesse il 25 per cento del gettito generato dalla ritenuta prevista dall’accordo e trasferisse il 75 per cento di tale gettito allo Stato membro di residenza del beneficiario, e, quindi (art. 9, rubricato “Eliminazione delle doppie imposizioni”), stabiliva che, se gli interessi percepiti da un beneficiario effettivo erano stati assoggettati alla ritenuta da parte di un agente pagatore in (Omissis), lo Stato membro in cui il beneficiario effettivo aveva la residenza fiscale accordava a detto beneficiario un credito d’imposta pari all’importo della ritenuta, secondo la legislazione nazionale o ai sensi di convenzioni contro le doppie imposizioni (paragrafi 1 e 2) e poteva sostituire il meccanismo di credito d’imposta con un rimborso della ritenuta.

Il D.Lgs. 18 aprile 2005, n. 84, art. 10, di attuazione della direttiva 2003/48/CE in materia di tassazione dei redditi da ri Spa rmio sotto forma di pagamenti di interessi, sull’eliminazione delle doppie imposizioni, a sua volta statuiva: “Allo scopo di eliminare la doppia imposizione che potrebbe derivare dall’applicazione della ritenuta alla fonte di cui all’art. 11 della direttiva 2003/48/CE, se gli interessi percepiti dal beneficiario effettivo residente nel territorio dello Stato sono stati assoggettati alla suddetta ritenuta, è riconosciuto al beneficiario effettivo medesimo un credito d’imposta determinato ai sensi del Testo Unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 165.

  1. Se l’importo della ritenuta operata di cui al comma 1 è superiore all’ammontare del credito d’imposta determinato ai sensi del Testo Unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 165, ovvero nel caso in cui non sia applicabile il citato art. 165, il beneficiario effettivo può chiedere il rimborso, rispettivamente, dell’eccedenza o dell’intera ritenuta; in alternativa, può utilizzare la modalità di compensazione prevista dal D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17″.

L’articolo risulta abrogato, a decorrere dal 1 gennaio 2016, dalla L. 7 luglio 2016, n. 122, art. 28, comma 1; tuttavia, a norma del comma 6 del medesimo articolo, le disposizioni di cui al presente articolo, continuano ad applicarsi con riguardo alla ritenuta alla fonte applicata nel 2016 e negli anni precedenti.

2.5. Alla luce di tale normativa, deve ritenersi che, in caso di voluntary disclosure, escludere la possibilità della detrazione del credito di imposta per l’omessa indicazione del reddito estero nelle dichiarazioni presentate per ogni singolo anno di imposta, non comporti automaticamente la negazione del diritto al rimborso dell’Euroritenuta pagata all’estero.

Invero, la direttiva del 2003, in particolare con gli artt. 11 e 14, com’è assolutamente chiaro dalla piana lettura del 21considerando, mira all’armonizzazione fiscale, sia pure molto settoriale in tema d’imposte dirette, rendendo neutrali i passaggi trans-frontalieri di redditi.

Nei “considerando” e negli articoli della direttiva non si coglie alcuna distinzione tra imposizione diretta ordinaria, sostitutiva o speciale, il che si spiega proprio con l’intento di armonizzare in qualche modo un settore, quello dell’emersione dei redditi trans- frontalieri, rispetto una imposizione diretta assai variegata tra i paesi UE. Ciò si estende anche ai paesi a fiscalità “preferenziale” come la Svizzera (24^ considerando), a sua volta paese “accordista” con UE e Italia, senza che le relative fonti bilaterali facciano alcuna eccezione, il che non consente l’introduzione “pretoria” di alcuna distinzione, attese le rigorose regole interpretative dettate dalla convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (in particolare art. 31, p. 1; vedi 2019/30347, conf. 2019/10706, p. 1.10, e 2016/23984, in motivazione).

Se è vero che l’art. 11 della direttiva riconosce il diritto al rimborso delle imposte assolte all’estero “secondo la legislazione nazionale”, il riferimento deve intendersi a regole procedimentali interne, non discriminatorie e non eccessive, non potendo la regola interna escludere in tutto il diritto al rimborso, come a configurare una sanzione indiretta, non rispondente a principi di adeguatezza e proporzionalità.

Dunque, il fatto che la dichiarazione contra se del contribuente avvenga nell’ambito di una procedura di collaborazione volontaria, prevista da una normativa speciale ed agevolativa, che consente al contribuente di regolarizzare plurimi anni di imposta, usufruendo di un trattamento sanzionatorio più favorevole, non esclude a priori il rimborso della ritenuta pagata all’estero.

Il richiamo del D.Lgs. 18 aprile 2005, n. 84, art. 10, attuativo della direttiva istitutiva dell’Euroritenuta, all’art. 165 T.u.i.r. appare rivolto alle sole modalità di determinazione del credito d’imposta.

Inoltre, lo stesso art. 10, al comma 2, consente al contribuente di presentare l’istanza di rimborso nel caso in cui l’importo della ritenuta ecceda quella del credito d’imposta determinato ai sensi dell’art. 165 T.u.i.r. oppure nei casi in cui tale ultimo articolo non risulti applicabile, all’evidente fine di consentire pienamente, oltre i limiti dell’art. 165 T.u.i.r., il rimborso dell’Euroritenuta.

L’inderogabilità della direttiva del 2003 (self executing nei suoi principi generali e comunque attuata nel diritto interno senza rilevanti differenze), degli Accordi e delle Convenzioni, che rivestono, in questa materia, un ruolo di specificità e quindi di prevalenza logico-giuridica sulle norme fiscali interne (es. 2017/24112; 2019/30140; 2019/29635; 2009/1138; 2016/4474; 2016/23984), trova conferma persino nei dettati espliciti del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 75 (“nell’applicazione delle disposizioni concernenti le imposte sui redditi, sono fatti salvi accordi internazionali resi esecutivi in Italia”) e dell’art. 169 T.u.i.r. (per il quale le disposizioni dello stesso testo unico “si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione”). Del resto la circostanza che la disciplina delle nuove voluntary disclosure facciano salvo lo scomputo di talune ritenute estere costituisce indice rivelatore della situazione di potenziale doppia imposizione pregiudizievole che viene a crearsi; nè può dimenticarsi che lo stato estero, quale mero adiectus solutionis causa, trattiene una modesta quota delle ritenute quale aggio per la riscossione e ne riversa la maggior parte allo stato italiano, beneficiario effettivo.

Pertanto, le fonti comunitarie, convenzionali e attuative interne, impongono un’applicazione delle norme interne (art. 165 T.u.i.r., e disciplina della collaborazione volontaria) comunitariamente e convenzionalmente orientata.

In applicazione del principio comunitario del divieto di doppia imposizione, la normativa richiamata consente il riconoscimento del diritto al rimborso dell’Euroritenuta pagata all’estero anche nel caso in cui, a seguito di autodenunzia spontanea del contribuente, lo stesso reddito, inizialmente non dichiarato, viene sottoposto ad imposizione in Italia.

Ciò è ancor più ragionevole, se si pensi che al contribuente, una volta presentata l’istanza introduttiva della procedura di collaborazione volontaria, non rimane che aderire incondizionatamente agli atti dell’Agenzia delle entrate come unica modalità per ottenere i benefici premiali in termini di riduzione delle sanzioni, previste dalla normativa in parola, in quanto l’attivazione del contraddittorio con l’amministrazione comporta l’impossibilità di usufruire della procedura agevolativa.

Nè appare convincente il parallelo, propugnato dal P.G. e dall’amministrazione finanziaria al fine di negare la possibilità del rimborso, tra la volountary disclosure e l’accertamento con adesione, che sarebbe intangibile una volta perfezionatosi.

Sul punto, l’Agenzia ricorrente evidenzia che il D.L. n. 167 del 1990, art. 5 quater, comma 1, lett. b), richiama il D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5, sull’invito al contraddittorio in tema di accertamento con adesione e che, per espressa previsione normativa, il perfezionamento della voluntary disclosure è legato al pagamento delle imposte dovute.

Tale richiamo, tuttavia, ha la sola finalità di individuare la procedura attraverso cui gli uffici dell’amministrazione finanziaria gestiscono gli atti conseguenti alla collaborazione volontaria, senza che il legislatore abbia inteso ricondurre gli effetti di quest’ultima a quelli del D.Lgs. n. 218 del 1997, attesa la profonda diversità dei due istituti (prima fra tutte il fatto che l’accertamento con adesione prevede una fase di contraddittorio e presuppone una verifica delle violazioni a carico del contribuente, elementi assenti nel caso della voluntary disclosure).

L’irretrattabilità, nel caso della volountary disclosure, riguarda il contenuto della dichiarazione confessoria, cioè l’indicazione degli investimenti e delle le attività di natura finanziaria costituiti o detenuti all’estero, anche indirettamente o per interposta persona, nei periodi d’imposta oggetto di regolarizzazione, unitamente ai documenti ed elementi necessari alla ricostruzione dei redditi connessi; essa non preclude al dichiarante di richiedere il rimborso dell’Euroritenuta precedentemente versata, in conformità con quanto previsto dalla normativa comunitaria in materia, così come attuata nell’ordinamento italiano (D.Lgs. 18 aprile 2005, n. 84, art. 10).

Significativo in tal senso appare il superamento, in tema di ravvedimento operoso, delle limitazioni previste dall’art. 165 T.u.i.r. nella citata circolare n. 9/E del 5 marzo 2015, in cui la stessa Agenzia delle entrate ha sostenuto che “il reddito oggetto di integrazione deve ritenersi, comunque, dichiarato e conseguentemente al contribuente spetta la detrazione delle imposte pagate all’estero”.

In sostanza, secondo quanto affermato dalla Agenzia delle entrate nella circolare n. 9/E/2015, ciò che rileva ai fini del riconoscimento del credito d’imposta è la circostanza che il contribuente abbia provveduto ad integrare la propria dichiarazione dei redditi per correggere errori od omissioni, mediante una successiva dichiarazione – il che è analogo a ciò che avviene con il meccanismo della voluntary disclosure.

In conclusione, deve enunciarsi il seguente principio di diritto:”In applicazione della normativa comunitaria (art. 14 della direttiva 2003/48/CE, come recepita nell’ordinamento italiano dal D.Lgs. 18 aprile 2005, n. 84, art. 10, attuativo della citata direttiva, che costituisce disciplina normativa speciale prevalente su quella interna), deve riconoscersi il diritto al rimborso dell’Euroritenuta pagata all’estero sugli interessi relativi a disponibilità finanziarie detenute su conto corrente presso una banca svizzera da un soggetto fiscalmente residente in (Omissis), che abbia aderito alla procedura di “collaborazione volontaria”, la quale consente al contribuente, mediante una dichiarazione confessoria spontanea, di regolarizzare plurimi anni di imposta relativamente a tali interessi, usufruendo di un trattamento sanzionatorio più favorevole”.

Atteso il rigetto del ricorso, le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio, n. 115, art. 13 comma 1 quater (Cass. 29/01/2016, n. 1778).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.400,00 per compensi, oltre il 15% per spese generali, Euro 200,00 per esborsi, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2023