201610.07
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Cass., sez. III pen., 7 ottobre 2016, n. 42462 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMORESANO Silvio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere –

Dott. ACETO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

T.R.R., nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 24/11/2015 del Tribunale di Ravenna;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

sentita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. POLICASTRO Aldo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

letta la memoria difensiva depositata dal ricorrente il 07/06/2016.


Svolgimento del processo


1. Il sig. T.R.R. ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 24/11/2015 del Tribunale di Ravenna che ha respinto l’istanza di riesame del decreto del 23/10/2015 del Giudice per le indagini preliminari di quello stesso Tribunale che, sulla ritenuta sussistenza indiziaria del reato di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, (omesso pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione dalla Svizzera all’Italia per un importo di Euro 220.000,00), ha ordinato il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, dello yacht “(OMISSIS)”, battente bandiera svizzera ed ormeggiato presso il porto turistico di (OMISSIS), sito in (OMISSIS).

1.1. Con il primo motivo, deducendo che l’imbarcazione è stata prodotta in Francia, eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), l’insussistenza indiziaria del delitto ipotizzato in considerazione della origine comunitaria del bene sequestrato e la conseguente erronea applicazione dell’art. 321 c.p.p., D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301, D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 67 e 70.

1.2. Con il secondo eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), l’erronea applicazione dell’art. 321 c.p.p., D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301, D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 67 e 70, deducendo, sotto altro profilo, che, in conseguenza dell’accordo di libero scambio del 19/12/1972 tra la CEE e la Confederazione Svizzera, anche a voler ritenere che il bene sia stato importato dalla Svizzera, l’imposta sul valore aggiunto non sarebbe comunque dovuta.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso, deducendo di essere un privato che non esercita imprese, arti o professioni e dunque di non essere soggetto passivo dell’imposta, eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), la violazionedell’art. 321 c.p.p., D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301, D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 67 e 70, nonchè dell’art. 90, e art. 228, comma 7, T.F.U.E. e art. 4 dell’Accordo del 19/12/1972 tra la Confederazione Svizzera e la CEE, ma anche la totale mancanza di motivazione sull’analoga censura sollevata in sede di riesame. Sotto altro profilo eccepisce la disparità di trattamento tra il regime sanzionatorio previsto per il mancato versamento dell’IVA all’importazione rispetto all’omesso versamento dell’IVA interna (per la cui penale rilevanza è prevista una soglia pari a Euro 250.000,00). Nel caso di specie, trattandosi di un importo evaso quantificato nella misura di Euro 220.000,00, sarebbe evidente la disparità di trattamento.

1.4. Con il quarto motivo, contestando la affermata natura permanente del reato e rivendicandone, anzi, la natura istantanea, eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), la sua intervenuta prescrizione e la conseguente violazione del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301, artt. 157 e 158 c.p., D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 67 e 70, deducendo, in fatto, che l’imbarcazione si trova in Italia dal 2007.


Motivi della decisione


2. Il ricorso è fondato per quanto di ragione.

3. Il primo motivo si fonda su allegazioni fattuali non consentite.

3.1. E’ certo che il natante sequestrato, pur prodotto in Francia, è iscritto al registro delle imbarcazioni da diporto del compartimento di Basilea, ciò che costituisce indizio sufficiente a ipotizzare, al livello di conoscenza consentito dal tipo di provvedimento impugnato, la provenienza del bene da un Paese non compreso nel territorio della Comunità Europea (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 67).

3.2. Peraltro, poichè la sussistenza dei presupposti dell’applicazione del D.P.R. n. 633 cit., art. 67, costituisce questione di fatto, il ricorrente non deduce di averla inutilmente sottoposta all’esame del tribunale del riesame, non potendo ora essere discussa per la prima volta in questa sede attingendo a principi giurisprudenziali dettati in casi in cui la costruzione in Italia del naviglio battente bandiera estera costituiva dato incontrovertibilmente acquisito al processo.

4. Il secondo ed il terzo motivo sono manifestamente infondati.

4.1. Soccorrono, al riguardo, le ampie considerazioni svolte nella motivazione della sentenza Sez. 3, n. 45468 del 25/06/2014, Rosati, che ribadendo un principio consolidato di questa S.C. ha affermato: “3.4 (…) L’Accordo (doganale tra la Confederazione Elvetica e la C.E. del 19 dicembre 1972) lascia “impregiudicata la facoltà di riscossione dell’Iva all’atto dell’ingresso delle merci nel territorio degli Stati aderenti alla Comunità, trattandosi di imposta il cui presupposto finanziario è diverso da quello dei dazi doganali (così Sez. 3^ 10.6.2002 n. 22555, Panseri, Rv 221884; idem 22.3.2005 n. 17432, P.M. in proc. Visconti Frasca, Rv. 231613; idem 4.7.2007 n. 36198. P.M. in proc. Di Fulvio, Rv. 237552 la quale ha riaffermato che il reato di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, non è escluso dall’Accordo tra la Confederazione Elvetica e la Comunità perchè l’IVA rappresenta un tributo interno che, secondo i principi del Trattato CE, è dovuto allo Stato al momento dell’ingresso delle merci, a meno che non si provi che il tributo sia stato assolto anteriormente, sia pure al momento dell’esportazione dallo Stato di provenienza). 3.5 Tali regole interpretative sono state ancor più recentemente rimarcate da altra decisione di questa sezione (Sez. 3^ 17.3.2010 n. 16860, P.M. in proc. Sirtori, Rv. 246990), secondo la quale l’Accordo tra Confederazione Elvetica e Comunità impedisce di ritenere ancora sussistente il reato di contrabbando, mentre di contro ammette la sussistenza dell’ipotesi di evasione dell’Iva all’importazione, con l’unico limite del divieto di doppia imposizione. 3.6 In aggiunta a tali rilevi di ordine generale non può non farsi cenno di altra significativa decisione di questa stessa Sezione secondo la quale il reato previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, cit. ricorre anche nella ipotesi in cui (come nella specie – ndr) la merce proveniente dalla Svizzera ed introdotta in Italia senza pagamento dell’IVA sia stata prodotta in uno Stato comunitario (Sez. 3^ 3.3.2005 n. 17835, Santoro, Rv. 231836): ciò perchè – prosegue la decisione in esame – la nozione di importazione definita dalla sesta direttiva n. 77/338 CEE (art. 7) vale per gli Stati membri ma non per i rapporti tra essi e la Confederazione Elvetica, avendo l’Accordo tra lo stato Elvetico e la C.E.E. del 19 dicembre 1972 abolito i dazi doganali e le restrizioni quantitative negli scambi tra la Comunità e la Svizzera, ma non incluso quest’ultima nel territorio doganale della Comunità. 3.7 Può in definitiva affermarsi che quando una merce che risulti provenire dalla Svizzera faccia ingresso nel territorio doganale comunitario (nel caso di specie, italiano), si è in presenza di una importazione della merce ai sensi del Regolamento CEE 2840/72, con la conseguenza che la stessa merce, per effetto dell’accordo di libero scambio, non è gravata da dazio doganale o altra tassa di effetto equivalente, ma è comunque assoggettata al pagamento dell’IVA (salvo che non assolto in precedenza) al pari di qualsiasi altra merce ceduta nei territori degli Stati membri. 4. (…) questa S.C. ha avuto modo di precisare che una volta che la merce, prodotta nello Stato Comunitario, sia entrata in Svizzera, l’origine comunitaria del bene non ha più alcuna rilevanza in quanto quel bene è pur sempre uscito dall’unione doganale Europea (Sez. 3^ 17835/05 cit.). Peraltro le violazioni in materia di IVA all’importazione comportano la confisca obbligatoria della merce introdotta in Italia ai sensi del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301, anch’esso richiamato dal citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, il quale dispone per l’evasione dell’IVA l’applicazione di tutte le sanzioni – da intendersi in senso ampio, comprensive, cioè, di misure di sicurezza patrimoniale come la confisca i cui effetti ablativi si risolvono in una sanzione pecuniaria”.

4.2. Quanto al soggetto passivo di imposta, è sufficiente ricordare che secondo quanto dispone il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 1, l’imposta sul valore aggiunto si applica alle importazioni “da chiunque effettuate”, con la conseguenza che, in questi casi, il debitore di imposta (come oggi definito dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, la cui rubrica è stata sul punto modificata dal D.Lgs. 11 febbraio 2016, n. 24, art. 1, comma 1, lett. a) non deve possedere i requisiti che il ricorrente ritiene elementi costitutivi invariabili dell’obbligazione tributaria (cfr. sul punto anche Sez. 3, n. 17835 del 2005, cit., secondo cui la diversità di trattamento fiscale sussiste solo quando l’operazione è effettuata da un privato che non esercita una impresa, un’arte o una professione, giacchè in tale ipotesi la cessione nazionale della merce è esclusa dall’imposta per difetto del presupposto soggettivo, mentre la importazione della merce è gravata dall’imposta).

4.3. La diversità strutturale della fattispecie incriminatrice di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, rispetto a quella di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, impedisce che quest’ultima possa fungere da termine di paragone ai fini dell’eccepita illegittimità costituzionale del reato di evasione dell’IVA all’importazione nella parte un cui non prevede la medesima soglia di punibilità.

4.4. In quest’ultimo caso, infatti, elemento costitutivo del reato è l’importazione del bene (come definita dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 67) che è, ad un tempo, anche fatto costitutivo dell’obbligazione tributaria e del conseguente dovere di assolvimento dell’imposta rimasto inadempiuto; nel caso di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto di cui al D.Lgs. n. 74, cit., art. 10 ter, invece, il fatto genetico del rapporto obbligatorio tributario precede la dichiarazione, è da essa solo presupposto ed è estraneo allo stesso accertamento del reato, tant’è che la dichiarazione fiscale ha solo funzione ricognitiva/confessoria del quantum debeatur, non certo dell’an. Sicchè, mentre in questo ultimo caso il mancato versamento dell’imposta non mette comunque a rischio il buon fondamento della pretesa dell’Erario, l’evasione dell’IVA all’importazione espone a pericolo lo stessa possibilità di accertare la sussistenza della pretesa. Accostamenti, se proprio li si vuol fare, andrebbero effettuati prendendo piuttosto a riferimento la fattispecie di omessa presentazione della dichiarazione annuale, non senza dimenticare, però, che anche in questo caso il rapporto non è omogeneo sia per la diversa qualifica del debitore di imposta, sia perchè l’IVA all’importazione non assolta riguarda una operazione singola, i reati di omessa dichiarazione e di omesso versamento dell’IVA riguardano la massa delle operazioni imponibili effettuate nel periodo di tempo considerato.

4.5.Già in passato questa Corte ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, prospettata, in relazione all’art. 3 Cost., sotto il profilo che la norma prevede diversa entità di sanzione per l’evasione dell’I.V.A. in relazione a cessioni all’interno e per l’evasione dell’I.V.A. relativa ad importazioni e ciò sul rilievo che tale disomogeneità è obiettivamente giustificata dalla diversità delle situazioni regolate (Sez. 3, n. 1387 del 23/11/1983, Fiore, Rv. 162661; si veda altresì Sez. 3, n. 4222 del 25/02/1983, Gervasoni, Rv. 158903, che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 633, cit., art. 70 – che, ai fini dell’I.V.A. per le importazioni richiama, quanto alle sanzioni, le Disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine -, per presunto contrasto con l’art. 50, dello stesso D.P.R. e con l’art. 3 Cost., sul rilievo che il duplice regime sanzionatorio di cui ai citati artt. 50 e 70, tiene conto della diversità intrinseca delle violazioni cui si riferiscono le due norme, riguardanti la prima le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, la seconda le importazioni di qualsiasi genere da chiunque effettuate anche di merci non sottoposte a dazi doganali).

5. E’ invece fondato il quarto motivo di ricorso.

5.1. Costituiva principio sin qui mai messo in discussione che il delitto di evasione dell’I.V.A. sulle importazioni ha un carattere di antigiuridicità, che permane oggettivamente sulla merce abusivamente importata in ogni vicenda successiva e coinvolge ogni susseguente atto di vendita o di trasporto della merce medesima (Sez. 3, n. 9797 del 05/10/1983, Nicosia, Rv. 161280; Sez. 3, n. 4245 del 04/03/1987, Tallarini, Rv. 175594; Sez. 3, n. 9953 del 21/06/1988, Salin, Rv. 179393).

5.2.Anche in tema di contrabbando di nave costruita all’estero o proveniente da bandiera estera, questa Corte ha costantemente affermato il principio che, anche nell’ipotesi prevista dal D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 216, comma 2, il reato è di natura permanente e non istantanea; esso si consuma fin dal momento in cui, mancando od essendo venute meno una o più condizioni dell’importazione temporanea, previste dalla convenzione di Ginevra 18 maggio 1956, con l’uso nel territorio dello stato senza la dovuta immatricolazione, la nave venga indebitamente sottratta ai vincoli doganali (art. 36, commi 4 e 5 del T.U.); in tale momento, infatti, deve ritenersi avverato il presupposto dell’obbligazione doganale relativo alla nave importata, ma si protrae fino a che il soggetto obbligato non abbia provveduto alla immatricolazione anzidetta. Il vincolo in parola vien meno e la permanenza del reato cessa, nel caso di sequestro della nave, preordinato alla sua confisca (Sez. 3, n. 3459 del 28/02/1984, Brugnoli, Rv. 163705; Sez. 3, n. 7569 del 21/03/1989, Schnoll, Rv. 181384).

5.3.La natura permanente (anche) del reato di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, si fonda quindi sulla condivisione, con quello di contrabbando, del presupposto finanziario che però è venuto meno, per quanto riguarda i beni importati dalla Svizzera, in conseguenza del citato Accordo doganale tra la Confederazione Elvetica e la C.E. del 19 dicembre 1972, che, come detto, lascia “impregiudicata la facoltà di riscossione dell’Iva all’atto dell’ingresso delle merci nel territorio degli Stati aderenti alla Comunità, trattandosi di imposta il cui presupposto finanziario è diverso da quello dei dazi doganali”.

5.4. Richiamando, pertanto, i principi espressi dalla citata Sez. 3, n. 45468 del 25/06/2014, Rosati, e dalla giurisprudenza che vi è indicata, è agevole rilevare che, sia in ambito comunitario che nei rapporti con la Confederazione Elvetica, l’importazione dalla Svizzera non può mai essere considerata intrinsecamente “abusiva”, definizione, quest’ultima, che palesava lo stigma sul bene sottratto ai diritti di confine considerato un vero e proprio corpo estraneo che non poteva circolare liberamente nel territorio italiano fino alla sua regolarizzazione, uno stigma che attraeva a sè anche il mancato assolvimento dell’onere tributario che, pur imposto ad altri fini, risentiva della permanente estraneità del bene al circuito commerciale nazionale (ben evidenziata dalla applicazione, per quanto attiene le controversie e le sanzioni, dalle disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine).

5.5. Oggi, come detto, non è così. Il presupposto dell’imposta è costituito, puramente e semplicemente, dall’importazione che identifica il fatto costitutivo del rapporto tributario ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1 e 67, (nonchè, per le operazioni intracomunitarie, dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427).

5.6. L’obbligazione che ne deriva ha natura personale e non si trasferisce sul bene, non ha cioè natura di obbligazione reale (“propter rem”), come invece previsto, dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 338, che onera del pagamento dei diritti doganali anche “il ricettatore”. L’inadempimento (e dunque l’omesso versamento) è perciò ascrivibile solo ed esclusivamente al soggetto passivo del rapporto, allo stesso modo con cui lo è l’omesso versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale o la omessa presentazione della dichiarazione ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

5.7. Non trova pertanto applicazione il principio espresso da Sez. 3, n. 42161 del 07/10/2010, Ancona, Rv. 248755, secondo cui il reato di evasione dell’Iva all’importazione, previsto dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 67 e70, è configurabile non soltanto a carico di chi ha importato la merce assoggettata al tributo, ma anche a carico di colui che semplicemente la detiene dopo l’importazione a seguito della sua irregolare sottrazione al controllo (cfr., in senso decisamente contrario, Sez. 3, n. 19514 del 18/03/2004, Nardelli, Rv. 229056, secondo cui, invece, il reato di evasione dell’Iva all’importazione, previsto dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 67 e 70, è configurabile soltanto a carico dei soggetti che hanno importato la merce assoggettata al tributo e non anche di chi semplicemente la detiene dopo l’importazione, atteso che il rinvio operato dal citato art. 70 alle disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine è limitato al regime sanzionatorio e non si estende alle altre disposizioni, tra le quali la presunzione di cui al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 25, in base alla quale in caso di mancata o inattendibile prova sulla legittimità della provenienza della merce il detentore è ritenuto responsabile di contrabbando).

5.8. E’ sufficiente infatti evidenziare che il principio espresso da Sez. 3, n. 42161 del 2010 affonda le proprie radici in un caso di detenzione di tabacchi lavorati sottratti ai diritti di confine e detenuti da persona che si dichiarava estranea all’importazione, ipotesi del tutto eterogenea e niente affatto sovrapponibile a quella odierna. Nella soluzione fornita in quell’occasione si avverte chiaramente la “contaminazione” della natura dei dazi di importazione e delle procedure relative al loro accertamento e riscossione, sulla struttura e finalità dell’imposta sul valore aggiunto. Vi si legge, infatti, che “il D.P.R. n. 43 del 1973, art. 34 (Diritti doganali e diritti di confine) dispone che “si considerano diritti doganali tutti quei diritti che la dogana è tenuta a riscuotere in forza di una legge, in relazione alle operazioni doganali. Fra i diritti doganali costituiscono diritti di confine i dazi d’importazione e quelli di esportazione, i prelievi e le altre imposizioni all’importazione o all’esportazione previsti dai regolamenti comunitari e dalle relative norme di applicazione e inoltre, per quanto concerne le merci in importazione, i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine e ogni altra imposta di consumo a favore dello Stato”. L’IVA dovuta all’importazione è, quindi, uno dei diritti di confine, avendo natura d’imposta di consumo a favore dello Stato, la cui imposizione e riscossione spetta alla dogana in occasione della relativa operazione d’importazione (…) il debito dell’IVA all’importazione può sorgere anche successivamente all’introduzione della merce nel territorio comunitario a carico dei soggetti indicati nell’art. 203 Codice Doganale Comunitario, inerendo VIVA all’importazione non alla persona dell’importatore, ma al bene importato donde la configurabilità del reato a carico di chi lo detiene dopo l’importazione a seguito della sua irregolare sottrazione al suddetto controllo. Affermazioni che, come si è fatto notare in dottrina, indubbiamente mal si conciliano con il fatto che le operazioni imponibili ai fini IVA sono solo quelle definite dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 67, ma che trovano la propria logica (condivisibile o no che sia, non è questa la sede) nella assimilazione dell’IVA ai diritti di confine, assimilazione che – come già detto – in considerazione degli Accordi sopra citati non trova più giustificazione nei rapporti con la Svizzera.

5.9. Deve perciò essere affermato il principio di diritto che “il reato di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, quando riguarda importazioni dalla Svizzera ha natura istantanea che si consuma al momento della scadenza prevista per l’assolvimento dell’imposta. Il reato è configurabile soltanto a carico dei soggetti che hanno importato la merce assoggettata al tributo e non anche di chi semplicemente la detiene dopo l’importazione”.

5.10. La questione relativa alla data di effettiva importazione del bene in sequestro costituisce dunque questione di fatto rilevante ai fini del giudizio e tuttavia essa non è stata risolta “funditus” dal Tribunale del riesame, essendo stata liquidata sul rilievo della natura permanente del reato.

5.11. Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio, al Tribunale di Ravenna per nuovo esame sul punto.


P.Q.M.


Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Ravenna.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2016