201602.12
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Cass., sez. II civ., 29 gennaio 2016, n. 1716 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8241-2014 proposto da:

PROCURATORE GENERALE REPUBBLICA PRESSO CORTE APPELLO VENEZIA;

– ricorrente –

contro

I.B., elettivamente domiciliato in Roma, Via Delle Tre Madonne 8, presso lo studio dell’avvocato SARA PARISI, rappresentato e difeso dall’avvocato NAPPI SEVERINO, come da procura speciale in atti;

– controcorrente e ricorrente incidentale –

nonchè CONSIGLIO NOTARILE DISTRETTI RIUNITI DI VIGENZA E BASSANO DEL GRAPPA, in persona del suo Presidente e legale rappresentante, G. V., elettivamente domiciliato presso l’avv. Roberto Puglisi, Roma, via G. Nicotera 29, rappresentato e difeso dall’avv.to AMBROSETTI Enrico Maria, come da procura speciale in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 05/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/06/2015 dal Consigliere Ippolisto Parziale;

udito l’Avvocato Ambrosetti, che si riporta agli atti e alle conclusioni assunte;

udito il sostituto procuratore generale, dott. Lucio Capasso, che conclude per l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale.


Svolgimento del processo


1. La Corte di appello di Venezia così riassume la vicenda. “Su istanza del consiglio notarile dei distretti riuniti di Vicenda e Bassano del Grappa veniva dato corso a giudizio disciplinare innanzi alla commissione amministrativa regionale di disciplina del Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Veneto a carico del notaio I. B. di Lonigo per la violazione dell’art. 28 della legge notarile.

I fatti contestati al notaio erano:

– l’avere ricevuto l’atto di costituzione di fondo patrimoniale in data 22 marzo 2011, numero di repertorio (OMISSIS), avente ad oggetto, tra gli altri, anche beni immobili di proprietà di F. C. colpiti da sequestro preventivo penale, atto che non poteva essere stipulato per il divieto espresso dalla norma di cui all’art. 334 c.p.;

– l’avere il notaio medesimo ricevuto, in data 22 marzo 2011, i seguenti atti, tutti aventi ad oggetto beni del predetto F. C., e precisamente: atto istitutivo di trust (repertorio (OMISSIS)), atto di costituzione di rendita vitalizia (repertorio (OMISSIS)), atto di costituzione di fondo patrimoniale (repertorio (OMISSIS)).

Il notaio avrebbe dovuto legittimamente rifiutare la stipula degli atti predetti in quanto, mediante la conclusione di essi, il F. aveva posto in essere la medesima finalità criminose sanzionata dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11che punisce chi aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la riscossione coattiva di imposte non pagate.

Con la decisione qui impugnata, la commissione amministrativa regionale, unificate le violazioni contestate e ritenuta sussistente la violazione dell’art. 28 della legge notarile, riconosciute le attenuanti generiche, condannava il notaio incolpato al pagamento della sanzione pecuniaria complessiva di Euro 15.000,00. Osservava la commissione che il notaio, nel prestarsi alla stipula del contratto costitutivo di fondo patrimoniale avente ad oggetto, tra gli altri, beni colpiti dal sequestro preventivo penale, aveva violato l’art. 28 della legge notarile in quanto si trattava di atto vietato dalla legge, stante il disposto dell’art. 334 c.p.. Ciò in quanto il reato previsto da tale norma era di pericolo e mirava a punire qualunque condotta rivolta a rendere anche solo più difficoltosa la procedura di recupero coattivo. Per tale motivo non spiegava rilievo alcuno il fatto che la trascrizione del sequestro preventivo penale rendeva opponibile il vincolo ai terzi di modo che la successiva trascrizione della costituzione del fondo patrimoniale non impediva l’attuazione della misura disposta dall’autorità giudiziaria. Quanto alla seconda contestazione mossa al notaio, osservava la commissione che il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 prevedeva fosse punita con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, alfine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, alienava simulatamente o compiva altri atti fraudolenti sui propri beni idonei a rendere in tutto in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Per la configurazione del reato non era richiesto il presupposto di una preesistente e compiuta attività di verifica, accertamento od iscrizione a ruolo e, pertanto, il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 era di pericolo di talchè, affinchè fossero integrati gli estremi costitutivi della fattispecie incriminatrice, bastava unicamente che la condotta risultasse idonea a rendere in tutto in parte inefficace una procedura di riscossione coattiva da parte dello Stato.

Ciò posto, si doveva ritenere che il notaio I. fosse a conoscenza dell’idoneità degli atti stipulati a sottrarre i beni del cliente F. all’aggressione da parte dell’erario (il quale vantava la pretesa tributaria per Euro 42 milioni) ed avrebbe dovuto ricusare il proprio ministero, ai sensi dell’art. 28 della legge notarile, rifiutando la stipula dei negozi in quanto idonei a cagionare pregiudizio all’interesse tutelato dalla norma imperativa”.

2. La Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della decisione impugnata dal notaio, “ritenuta sussistente la violazione dell’art. 28 L.N. in relazione al solo D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 di cui al capo secondo dell’incolpazione, riconosciute le attenuanti generiche, condanna il notaio incolpato al pagamento della sanzione pecuniaria di Euro 14.000,00″.

2.1 – Riteneva la Corte territoriale, quanto alla prima incolpazione, che non fosse configurabile la violazione dell’art. 334 c.p., non essendo “neppure ipotizzatile che con l’apposizione di un vincolo giuridico sul bene, peraltro inopponibile al sequestrante in ragione della priorità della trascrizione effettuata, si realizzi la sottrazione intesa come attività atta a rendere non rinvenibile il bene sottoposto a sequestro”. Rilevava, inoltre, che “l’effetto della costituzione del fondo patrimoniale avente ad oggetto il bene sottoposto a sequestro non solo non ha determinato la sottrazione del bene al proprietario ma, nell’apporre un vincolo all’alienazione, ne ha ulteriormente limitato la circolazione”.

2.2 – Riteneva invece sussistente la seconda incolpazione. Osservava che “il F., dopo aver avuto contezza del sequestro preventivo disposto sul bene che poi ha ritenuto di sottoporre al vincolo del fondo patrimoniale e ben sapendo che il credito dell’erario per imposte evase ammontava a 42 milioni di Euro, ha simultaneamente posto in essere tre atti (fondo patrimoniale, trust e rendita vitalizia) che altro fine non potevano avere se non quello di sottrarsi al pagamento del debito tributario, tenuto conto del fatto che mai si era indotto, prima di allora, a stipulare atti di tale natura e che proprio a seguito dell’avvenuta conoscenza della pretesa tributaria nei suoi confronti si è indotto alla stipula dei tre atti per cui è processo tutti nello stesso giorno”. Rilevava, quindi, che “la stipula degli atti di cui si tratta doveva ritenersi vietata al F. e, conseguentemente, il notaio I. aveva l’obbligo di astenersi dal prestare il proprio ministero, a norma dell’art. 28 L.N., in quanto egli ben sapeva, risultando un tanto dalle visure ipocatastali, che sussisteva il sequestro penale su alcuni beni del F.. Ciò avrebbe dovuto indurlo, facendo corretto uso del suo ministero, a farsi consegnare dal cliente la documentazione relativa al procedimento penale onde avvedersi dell’entità del credito dell’erario che, messo in raffronto con il valore dei beni di proprietà del F., avrebbe evidenziato l’illiceità degli atti alla cui stipula si è prestato”.

3. Impugna tale decisione il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Venezia, che formula due motivi. Resiste con controricorso il notaio, che avanza ricorso incidentale affidato ad un ampio e articolato motivo. Resiste con controricorso al ricorso incidentale il Consiglio Notarile.


Motivi della decisione

A. Il ricorso principale.

1. I motivi del ricorso principale.

1.1 – Col primo motivo di ricorso si deduce: “violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con espresso riferimento alla norma dell’art. 334 c.p.”. Osserva il ricorrente che resta applicabile l’art. 334 c.p. anche nel caso di sequestro della cosa immobile, in cui “riveste fondamentale rilevanza giuridica il “vincolo” di indisponibilità, che risulta, in forza del sequestro penale, apposto sul bene e che, violato, integra in ogni caso la condotta della “sottrazione”; sicchè va apprezzata, ai fini della idoneità a ledere l’interesse tutelato (quello pubblico alla conservazione del vincolo), ogni attività suscettibile di rendere non solo impossibile, ma anche semplicemente più difficoltoso il conseguimento della finalità che presiede all’imposizione del vincolo medesimo. Tale è, come è noto, la tesi di fondo della sentenza Cass. SS.UU. n. 43428, datata 30 settembre 2010 (che tratta, fra l’altro, della stipulazione di atti dispositivi relativi a quote di una società sottoposta a sequestro preventivo penale). Peraltro, che l’alienazione dei beni in questione risulti inopponibile al sequestrante è circostanza che, ove davvero sussistente, renderebbe comunque configurabile la stessa fattispecie dell’art. 334 c.p., ancorchè nella forma di “tentativo punibile” (che resta, pur sempre, un reato)”.

1.2 – Col secondo motivo di ricorso si deduce: “contraddittoria motivazione afferente ad un punto decisivo della controversia, con riferimento alla diversa e contrastante valutazione riservata, in due passaggi della motivazione, al “sequestro preventivo” penale”.

Osserva che la Corte locale, dopo aver escluso la rilevanza penale della condotta di cui sub 1), ha finito invece per “considerare essa stessa la condotta in questione non solo penalmente rilevante, ma addirittura grave”.

B. Il ricorso incidentale del notaio.

1. – I motivi del ricorso incidentale.

1.1 – Col primo ed unico motivo di ricorso si deduce: “Violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 1913, art. 28 e art. 138 (L.N.), unitamente a insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti decisivi. Violazione e falsa applicazione unitamente a omessa e contraddittoria motivazione circa fatti decisivi D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 ed art. 334 c.p.”.

Rileva il notaio che “il procedimento disciplinare è stato aperto, per gli atti ricevuti il 22/3/2011 (nn. 131.387, 131.388, 131.389 del Repertorio) – rispettivamente atto istitutivo di trust, atto di costituzione di rendita vitalizia ed atto costitutivo di fondo patrimoniale – per la ritenuta e contestata violazione dell’art. 28 Legge notarile in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, ove i beni oggetto dei primi due atti (trust e rendita vitalizia) non risultavano colpiti dal sequestro penale”.

Rileva che la Corte di appello di Venezia ha violato e falsamente applicato “gli artt. 28 e 138 oltre ad incorrere in vizio motivazionale costituito dalla omessa motivazione di fatti decisivi”, perchè “tutti gli atti posti in essere non possono essere valutati complessivamente, com’è avvenuto, rispetto all’art. 28, che punisce chi riceva atti nulli, singolarmente considerati, e cioè facendo leva esclusivamente sul carattere della loro nullità”. E ciò in assenza di specifica previsione che consenta di valutare la sussistenza di “una sorta di unico disegno criminoso, non punendo la legge atti coordinati e finalizzati a scopi illeciti, ma unicamente quelli nulli alla luce del chiaro tenore del collegamento esistente tra gli artt. 28 e 27 della legge notarile”. Richiama in tal senso Cass. 2013 n. 25408 e Cass. 2011 n. 5913.

Osserva che “rispetto ai beni non colpiti dal sequestro preventivo penale non vi era alcun divieto espresso a ricevere gli atti, ed anche tale circostanza pure sollevata in appello (pag. 7 e ss.), risulta del tutto tralasciata”. In definitiva, la Corte territoriale ha violato il principio della tipicità dell’illecito, posto che la “violazione si sostanzia con l’aver ritenuto non rilevanti i singoli atti da esaminare sotto il profilo della nullità, o meno, degli stessi” e rilevante invece “la lettura complessiva degli stessi sotto il profilo della assunta illiceità della scopo, assumendosi come accertata la consapevolezza della illiceità (pag. 7 e ss.

ordinanza)”. La Corte territoriale ha nella sostanza individuato “una nuova categoria di atti coordinati e finalizzati a scopi illeciti, dai contorni evanescenti, facendoli ricadere tutti nella previsione dell’art. 28 cit.”, senza considerare “l’art. 28 vieta al notaio di ricevere o autenticare esclusivamente atti espressamente proibiti dalla legge o manifestamente contrari al buon costume o all’ordine pubblico, e cioè il relativo divieto si pone come una eccezione al generale dovere di prestare il ministero ogni volta che ne è richiesto posto dall’art. 27 della stessa legge come tale circoscritta a casi specifici individuati o individuabili”. Osserva ancora il notaio che il principio di tipicità degli illeciti “si pone quale necessario complemento alla attuazione del diritto di difesa (art. 24), che sarebbe vanificato, o quantomeno largamente svuotato di contenuto, se le condotte punibili attribuibili al soggetto al quale si assicura la difesa nel procedimento giurisdizionale (e nel procedimento amministrativo) non fossero ex ante precisamente individuate dal legislatore, al pari delle pene”.

Di qui la necessaria interpretazione restrittiva “degli illeciti costruiti dal legislatore con condotte a forma libera” con conseguente “illegittimità dell’operazione ermeneutica compiuta dalla Corte di merito”, che, “a fronte di una “imputazione” riguardante una serie di atti compiuti dal notaio in pretesa violazione dell’art. 28, ha ritenuto di poter prescindere dalla riconducibilità di ciascuno di essi nell’ambito della categoria di atti “espressamente proibiti dalla legge” e di poterli invece considerare unitariamente sotto il profilo della assunta illiceità della scopo che sarebbe emerso dal contesto della vicenda”. La Corte territoriale “ha ritenuto di poter fondare tale interpretazione estensiva sulla non ben precisata, innanzitutto dal punto di vista normativo, riconduzione all’art. 28 delle assunte violazioni contestate al notaio, accomunando vari atti ricevuti dallo stesso … cosi giungendo ad integrare un nuovo illecito, e cioè l’uso “strumentale” di atti leciti, configurandone una astratta nullità, sul presupposto della loro coordinazione e finalizzazione a scopi illeciti”. E ciò a fronte di un orientamento interpretativo sempre più restrittivo nel tempo sull’area di applicazione dell’art. 28, posto che, superando gli orientamenti precedenti, la Corte di cassazione ha affermato che “Il divieto per il notaio di ricevere atti nulli sussiste solo quando la nullità dell’atto sia inequivoca ed indiscutibile, dovendosi intendere l’avverbio espressamente, che nella L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 28 qualifica la categoria degli “atti proibiti dalla legge”, come “inequivocamente”; pertanto, tale divieto si riferisce a contrasti dell’atto con la legge che risultino in termini inequivoci, anche se la sanzione della nullità deriva solo attraverso la disposizione generale dell’art. 1418 c.c., comma 1, per effetto di un consolidato orientamento interpretativo giurisprudenziale o dottrinale” (Cass. 2011, n. 5913, n. 15892; n. 21202). Rileva il notaio che la “Corte di merito avrebbe dovuto esaminare ciascun atto compiuto dal notaio accusandolo di averlo posto in essere in violazione dell’art. 28, per verificarne l’inequivoca nullità di ciascuno, comminando esclusivamente la sanzione corrispondente ai sensi dell’art. 138 se uno o più di essi fosse risultato avere le caratteristiche della inequivoca nullità”.

La Corte territoriale ha anche errato nel ritenere che “il notaio dovrebbe svolgere preventive ed articolate verifiche” (“farsi consegnare dal cliente la documentazione relativa l procedimento penale onde avvalersi dell’entità del credito dell’erario”), così da “”cogliere” la nullità degli atti nel loro insieme richiesti, siccome preordinati ad un fine illecito, e cioè quello di operare un aggravio all’anione dell’Autorità finanziaria, il cui “interesse” alla persona del F. si determinava dall’esistenza di un sequestro penale per una parte dei beni stessi”. Osserva il notaio che “in tal modo si pretende dal notaio una serie di verifiche cui chiaramente lo stesso non è deputato.

Precisamente: la verifica dell’esistenza di una valida pretesa tributaria; il fatto che la stessa abbia ad oggetto proprio l’imposta di cui alla norma che si assume violata (D.Lgs. n. 74 del 2000 iva o redditi); l’accertamento del carattere simulato o fraudolento dell’atto; l’idoneità dell’atto (simulato o fraudolento) a rendere, in tutto od in parte, “inefficace la procedura di riscossione coattiva”, attraverso la stima dei beni oggetto del sequestro, in raffronto con la valutazione della complessiva situazione patrimoniale del cliente”. Senza poi considerare che “l’assunta pretesa tributaria sarebbe dovuta rivolgersi ad una società di capitali, tale società Vimos S.p.A., mentre gli atti sono stati stipulati, in proprio, dal sig. F.C. e dai suoi familiari”.

C – Le eccezioni di inammissibilità del ricorso principale. Occorre, in primo luogo, esaminare le eccezioni avanzate dal notaio, in via preliminare, sull’inammissibilità del ricorso principale “per mancata indicazione dei motivi su cui si fonda l’impugnazione art. 366 c.p.c., n. 4, e per violazione del principio di autosufficienza del ricorso”. Il ricorso sarebbe inammissibile per “la sua estrema genericità” con violazione del principio di autosufficienza.

Le eccezioni sono infondate. Il ricorso principale è ammissibile posto che risultano adeguatamente esposti di “fatti” di causa e la vicenda processuale ex art. 366 c.p.c., n. 3, nonchè i”motivi” per i quali si chiede la cassazione dell’impugnata ordinanza (o meglio dei soli capi assolutoli della stessa), non occorrendo l’integrale trascrizione dell’atto di gravame e dell’ordinanza impugnata, provvedimento ritualmente depositato ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2. Quanto rilevato vale anche per il secondo motivo di ricorso (prospettato sotto il profilo del vizio di motivazione) a sostegno del quale il ricorrente procuratore generale presso il giudice a quo ha riportato i passaggi dell’ordinanza necessari e sufficienti ad evidenziare la contraddittorietà del percorso argomentativo seguito dalla corte distrettuale. Va ancora osservato che ai fini dell’intelligibilità dei motivi di ricorso e della valutazione dei medesimi non è necessario trascrivere il contenuto degli atti stipulati dal notaio, dei sequestri penali, della decisione della commissione regionale di disciplina, posto si tratta di atti e documenti dei quali il ricorrente principale non aveva lamentato l’omesso od incongruo scrutinio. Il ricorso, in definitiva, seppure sintetico sui punti in questione, consente agevolmente di definire l’ambito della valutazione richiesta a questa Corte con riguardo alla vicenda disciplinare, alle contestazioni e alla decisioni assunte dalla Corte di appello.

D. Il ricorso principale è fondato e va accolto.

1. Quanto al primo motivo, dedotto sotto il profilo della violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3), il giudice distrettuale ha errato nel ritenere necessaria “l’amotio” sia per la sottrazione di cose mobili sequestrate, sia per la sottrazione riferita agli “immobili”, ritenendola unico atto idoneo a mutare arbitrariamente il regime giuridico cui il bene è soggetto in forza del provvedimento cautelare. Nella sottrazione di beni immobili, invece, è lo stesso atto dispositivo di diritti sugli immobili sequestrati, che è idoneo ad eludere il vincolo o quanto meno a rendere più difficoltoso il conseguimento della finalità cui il vincolo è funzionale ad integrare la sottrazione (confr. Cass. SU penali del 2010 n. 43428).

In ogni caso, l’inopponibilità al sequestrante dell’atto ricevuto da notaio non fa degradare la condotta alla figura del reato “impossibile”, ma integra gli estremi del reato “tentato” penalmente rilevante.

Occorre osservare, poi, che i rilievi svolti dal ricorrente principale non sono rivolti a prospettare una responsabilità “penale” del notaio ex art. 334 c.p., ma solo a dimostrare l’erroneità dell’esclusione della violazione dell’art. 28 legge notarile (per avere “ricevuto” il notaio atti che avrebbe dovuto rifiutare), non occorrendo che l’art. 334 c.p. preveda testualmente la “nullità” degli atti compiuti in contrasto con detta norma, discendendo la “nullità” predetta dei principi generali riflettenti la violazione di norme imperative.

1.1 – Nei termini indicati risultano superate le diffuse argomentazioni svolte dal notaio (anche nell’ambito del suo ricorso incidentale e che qui si esaminano per continuità argomentativa) in ordine alla necessità che ciascun atto posto in essere risulti affetto da nullità (e non da mera annullabilità o inefficacia) in linea con le recenti pronunce al riguardo di questa Corte. E il caso solo di aggiungere che i precedenti richiamati dal notaio riguardano fattispecie civilistiche e non già ipotesi integranti in astratto una violazione penale. Nè rileva la prospettata valutazione unitaria delle condotte del notaio con riguardo ai vari atti posti in essere, perchè ognuno di essi poteva integrare la violazione penale sotto il profilo quanto meno del tentativo. Nè, ancora, assumono autonomo rilievo decisivo le considerazioni svolte dalla Corte locale quanto alla necessità di una necessaria preventiva assunzione di informazioni da parte del notaio per valutare la compatibilità degli atti che stava per rogare con la sottoposizione della quasi totalità dei beni a sequestro penale per l’importo di circa 42 milioni di Euro, posto che si tratta evidentemente di una motivazione ad abundantiam, con la quale la Corte di appello ha voluto evidenziare il comportamento del professionista, che non ha ritenuto nemmeno necessario acquisire ulteriori informazioni utili a meglio delineare il contenuto e le finalità degli atti che gli erano richiesti. Nè, infine, vi è violazione del principio della tipizzazione dell’illecito disciplinare, essendosi fatta applicazione della testuale previsione dell’art. 28 della legge notarile.

1.2 – In via più generale, è opportuno ulteriormente sottolineare la specificità della vicenda portata all’esame di questa Corte, nella quale l’attività professionale del notaio è stata svolta nella sua piena consapevolezza dell’evidente finalità elusiva perseguita dal cliente, integrante, quest’ultima, quanto meno reato tentato sotto i profili già esaminati. Al di là della valutazione dei profili di responsabilità penale, che qui non sono in discussione, occorre necessariamente valutare il comportamento tenuto dal notaio, pur nell’ambito dei confini definiti dagli artt. 27 e 28 della legge notarile, tenendo conto dell’attuale evoluzione dell’etica sociale verso un ordinamento economico/finanziario che limita sempre più l’area delle possibili elusioni delle norme imperative a protezione del bene comune da esso tutelato e che, di conseguenza, sempre più responsabilizza la specifica funzione dei soggetti obbligati in ragione della loro qualificazione professionale ad intervenire nelle transazioni commerciali a tutelare non solo gli interessi delle parti contraenti, ma anche e specialmente quelli della generalità dei cittadini. Sotto quest’ultimo profilo, le norme penali di cui è stata richiamata la violazione hanno la specifica ed evidente finalità di garantire lo Stato nelle sue pretese fiscali avverso gravi violazioni in corso di accertamento, sanzionando appunto quei comportamenti che con esse si pongano in contrasto. E ciò per l’evidente esigenza di garantire adeguatamente la collettività anche sotto il profilo, sempre più rilevante, dell’efficacia dell’azione di recupero del dovuto, che necessariamente influisce sulla tenuta complessiva dell’assetto economico/finanziario dello Stato. In tale prospettiva valutativa va inquadrata in particolare l’attività notarile, per la sua specifica e delicata funzione, che, tra l’altro, ne ha finora garantito la sua conservazione. E in tale prospettiva vanno letti e interpretati gli artt. 27 e 28 delle legge notarile, che definiscono i confini della attività del notaio tra l’obbligo di rogare gli atti richiesti e l’obbligo di rifiutarli. Al riguardo, non può certamente ritenersi che l’obbligo di rogare l’atto, previa adeguata informativa sul suo contenuto e sui suoi effetti, possa risultare di ampiezza tale da imporgli di prestare la propria assistenza anche quando l’atto da rogare si ponga come un evidente strumento elusivo di norme pubblicistiche, assistite da sanzioni penali, pur in presenza di norme che, complessivamente interpretate, possano, in tesi, non necessariamente integrare la sola nullità intesa sotto il profilo civilistico. E ciò specie se l’atto o gli atti, come nel caso in questione, non presentino una “effettiva” controparte da tutelare.

Così facendo, infatti, il rilievo pubblicistico della funzione notarile viene significativamente snaturato, ponendosi anzi l’attività svolta come necessario strumento per consentire alla parte la realizzazione di una evidente attività elusiva di norme inderogabili.

2 – E’ fondato anche il secondo motivo del ricorso principale. Il concetto di “sottrazione” del bene immobile alla sua destinazione funzionale è diversamente inteso ai fini della sussistenza dell’elemento materiale del reato di cuiall’art. 334 c.p. e ai fini della configurazione della fattispecie delittuosa di cui al D.Lgs. n. 75 del 2000, art. 11. Se lo stesso elemento materiale è previsto da due diverse norme incriminatrici, non può dello stesso “fatto” predicarsi una differente lettura, in assenza di elementi all’interno di ognuna delle due norme penali che valgono a tipizzare il fatto “sottrazione” in modo tale da consentirne una diversa interpretazione. Sussiste, quindi, anche il dedotto vizio di motivazione.

E. Il ricorso incidentale del notaio è infondato.

Il ricorso è strutturato su un unico motivo, prospettato sia sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, che sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La violazione della norma penale conduce, ineluttabilmente, alla violazione dell’art. 28 della legge notarile, perchè l’attività negoziale compiuta in spregio della norma penale è colpita da nullità derivante dal contrasto con disposizioni di legge imperative (vedi Cass. 2010 n. 4657 e Cass. 1998 n. 7665).

In particolare, per quanto attiene alla violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 va rilevato che la costituzione di un fondo patrimoniale è idonea ad integrare la “sottrazione” prevista dalla predetta norma (vedi Cass. penale del 2012 n. 21013) e che anche la costituzione di un trust, nonostante la formale liceità dello strumento utilizzato, può realizzare l’intento frodatorio avuto di mira dall’agente (vedi Cass. penale 15449 del 2015). Per le restanti argomentazioni si richiama quanto esposto sub D 1.1.

F. La decisione impugnata va quindi cassata per quanto riguarda l’affermata esclusione della violazione dell’art. 28 della legge notarile sotto il profilo di cui all’art. 334 c.p.. Va disposto il rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia, che, nel valutare il contenuto della contestazione, si atterrà al principio di diritto affermato al punto D1 e terrà anche conto dei beni eventualmente non sottoposti al sequestro preventivo e ricompresi nell’atto di costituzione del fondo patrimoniale (atto rep. 131389).

La Corte di rinvio procederà alla liquidazione delle spese anche del giudizio di cassazione.


P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta l’incidentale;

cassa l’ordinanza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di appello di Venezia.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 giugno 2015.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2016