202210.03
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Assistenza tecnica e contraddittorio: i grandi assenti della riforma della giustizia tributaria

Nella legge n. 130 del 2022, contenente la riforma della Giustizia Tributaria, due sono i grandi assenti, vale a dire interventi sull’assistenza tecnica nel processo tributario e sul c.d. “contraddittorio endoprocedimentale” nell’istruttoria amministrativa.
Se con riferimento al primo profilo l’omissione può essere giustificata dalla necessità di approvare il disegno di legge entro i termini imposti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, vi è una sostanziale unanimità di consensi a favore dell’introduzione nello Statuto dei diritti del contribuente di un articolo dedicato al c.d. “contraddittorio endoprocedimentale”.
La c.d. “Commissione Della Cananea” non soltanto ha colto lo stretto legame consequenziale tra l’istruttoria amministrativa e la fase processuale, ma ha anche evidenziato la portata deflattiva del contenzioso tributario che potrebbe produrre la partecipazione del contribuente al procedimento tributario, suggerendo di riconoscerne il diritto di essere sentito prima dell’emissione di qualsiasi atto impositivo, pena la sua nullità.

Con la legge n. 130 del 2022 il Governo Draghi ha rispettato il cronoprogramma del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, così conseguendo ingenti finanziamenti europei: l’obiettivo imposto è quello di “rendere più efficace l’applicazione della legislazione tributaria e ridurre l’elevato numero di ricorsi alla Corte di Cassazione” mediante la riforma degli organi della Giustizia Tributaria e alcuni interventi sulle norme processuali.
Nella novella spiccano due grandi assenti, vale a dire interventi sull’assistenza tecnica nel processo tributario e sul c.d. “contraddittorio endoprocedimentale” nell’istruttoria amministrativa.

La riforma lascia intatta la disciplina dell’assistenza tecnica.

La legge n. 130 del 2022 non interviene sull’art. 12, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ove è regolata l’assistenza tecnica nel processo tributario: secondo la disciplina vigente, tra gli altri sono abilitati all’assistenza tecnica, se iscritti nei relativi albi professionali, gli avvocati, i commercialisti e i consulenti del lavoro, nonché, per le c.d. “controversie catastali”, gli ingegneri, gli architetti e i geometri, e, per le controversie relative ai tributi doganali, gli spedizionieri doganali.

Nel dibattito che ha accompagnato l’iter legislativo, il Consiglio Nazionale Forense ha dichiarato che la mancata riserva in via esclusiva ai soli avvocati vanifica “l’esigenza di modernizzazione del sistema tributario a partire dalla professionalizzazione del giudice, assunto tramite concorso, adeguatamente retribuito e a tempo pieno, al pari delle altre giurisdizioni”. Anche le associazioni forensi hanno preso posizione a favore di tale riserva: ad esempio l’Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi (UNCAT) ritiene necessario sopprimere “la pletora di difensori contemplati nell’art. 12 del d.lgs. n. 546/92, di varia, eterogenea estrazione professionale”. Diametralmente opposta è la posizione assunta dal Consiglio Nazionale dei Commercialisti, secondo cui soltanto la presenza di altri professionisti nel collegio difensivo può tutelare degnamente i principi di giustizia e di difesa dei contribuenti.

Non operando alcuna modifica, la legge n. 130 del 2022 ha cristallizzato la scelta di mantenere lo status quo. Tale scelta risponde all’esigenza di evitare l’ostruzionismo politico di alcune lobbies professionali per garantire la tempestiva approvazione della riforma della giustizia tributaria. Ciononostante la questione rimane sul tappeto e potrà – dovrà? – essere affrontata dal nuovo Parlamento.

A parere di chi scrive, il patrocinio dovrebbe essere riservato esclusivamente agli avvocati fin dal primo grado di giudizio, mentre l’apporto conoscitivo di altre categorie di professionisti attualmente abilitati al patrocinio dinanzi alle Corti di Giustizia Tributaria dovrebbe poter essere garantito attraverso altri meccanismi, come, ad esempio, un più ampio uso delle consulenze tecniche di parte e d’ufficio ex art. 7, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Ciò che esce dalla porta può rientrare dalla finestra: i professionisti che siano esclusi dal ruolo di difensore tributario non subirebbero né una lesione del proprio prestigio professionale, né un pregiudizio economico, giacché potrebbero apportare le proprie competenze nel processo – e, prima ancora, nella fase istruttoria che lo precede – partecipando al collegio difensivo nella veste del consulente tecnico.

Si tratta di una soluzione coerente con la riserva del patrocinio alla sola Avvocatura nel giudizio di legittimità. Infatti viene da chiedersi, ad esempio, perché le medesime questioni contabili e aziendalistiche, la cui esistenza giudistificherebbe il patrocinio dei commercialisti nei giudizi di merito, possano essere affrontate nanti la Corte di Cassazione da avvocati – e da collegi giudicanti – che non hanno seguito un percorso universitario e professionale focalizzato su tali materie. La soluzione è sempre la medesima: eventuali carenze nelle competenze extra-processuali possono essere risolte attraverso l’utilizzo della consulenza tecnica.

La Commissione Della Cananea ha proposto di intervenire sul procedimento tributario.

Nonostante l’evidente collegamento tra la fase amminsitrativa e la fase processuale, la legge n. 130 del 2022 non opera alcuna modifica alla disciplina del procedimento amministrativo.

Al contrario, la Commissione interministeriale per elaborare proposte di interventi in materia di giustizia tributaria (la c.d. “Commissione Della Cananea”) non soltanto ha colto tale legame, ma ha anche evidenziato la portata deflattiva del contenzioso tributario che potrebbe produrre un ampliamento del c.d. “contraddittorio endoprocedimentale”. Nella relazione del 30 giugno 2021 si legge, infatti che, l’Amministrazione finanziaria “ha, deve avere, un certo margine di flessibilità. Proprio per questo motivo, in moltissimi paesi appartenenti alla tradizione giuridica occidentale le leggi sul procedimento amministrativo ammettono l’intervento del privato in termini generali, a fini di difesa o di partecipazione. Lo ha ammesso anche il legislatore italiano, fin dal 1990, con la legge n. 241”. La Commissione ha suggerito di provvedere in due modi:

  • inserendo nello Statuto dei diritti del contribuente una disposizione legislativa che riconosca il diritto dei contribuenti di essere sentiti prima che sia adottato l’atto impositivo di qualsiasi tributo;
  • completando tale disposizione con un’altra, che commini la nullità per qualunque atto impositivo emanato in violazione delle garanzie procedurali. Illustrando tale proposta, la componente professional-accademica della Commissione ha ribadito che “il diritto del contribuente al contraddittorio endoprocedimentale è espressione anche del principio di buon andamento ed imparzialità amministrativa ex art. 97 Cost.; principio a sua volta richiamato dalle “collaborazione e buona fede” che debbono improntare i rapporti tra contribuente ed amministrazione ai sensi dell’art. 10 Statuto del Contribuente (l. n. 212/2000)”, come rilevato dalla stessa Corte di Cassazione (da ultimo, Cass. n. 16011 del 2021, secondo cui “Il contraddittorio procedimentale (è) espressione dei principi di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente, riconducibili a diritti costituzionalmente tutelati, nella tensione verso un migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva”). Si evidenzia poi che “il riconoscimento di tale diritto ha sì il fine di consentire al contribuente di anticipare la sua “difesa” rispetto alla eventuale fase contenziosa, ma ha anche lo scopo di consentire all’autorità fiscale di conoscere elementi di fatto e/o di diritto che assicurano un più fondato e legittimo esercizio del potere impositivo”: tale duplice funzione giustifica il significativo effetto deflattivo del contraddittorio endoprocedimentale sul contenzioso tributario.

L’evoluzione del contraddittorio endoprocedimentale nella legislazione e nella giurisprudenza della Corte di Cassazione.

La Commissione ricorda che con la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 24823 del 2015 è stato escluso che esista nel nostro ordinamento “un diritto generalmente riconosciuto del contribuente al contraddittorio al di fuori del procedimento di applicazione dei tributi armonizzati – per i quali tale diritto è stato riconosciuto dalla Corte di Giustizia UE (che […] ricollega tale diritto all’esercizio del diritto di difesa) – ed al di fuori dei casi in cui il Legislatore, ed eccezionalmente la stessa giurisprudenza, lo riconoscono con riferimento all’applicazione di tributi diversi da quelli armonizzati, e nella specie delle imposte sul reddito” (come, ad esempio nell’art. 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente per l’abuso del diritto, gli artt. 36 bis, 36 ter e 38, d.p.r. n. 600 del 1973 per la liquidazione automatica e il controllo formale delle dichiarazioni, nonché per l’accertamento sintetico). La Commissione osserva inoltre che l’invito a comparire di cui all’art. 5 ter, d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218 è specificamente finalizzato all’avvio del procedimento di definizione dell’accertamento e non ad assicurare il contraddittorio endoprocedimentale per i tributi erariali. Alla luce di tale situazione, la Commissione ha ritenuto necessario “il riconoscimento normativo, con carattere di generalità, del diritto del contribuente al contraddittorio, inserendo ratione materiae la norma nello Statuto del contribuente; ciò anche al fine di assicurare la sua applicazione da parte degli enti impositivi non statali”.

Preso atto di tali autorevoli considerazioni, è tuttavia doveroso ricordare che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno enunciato una serie di principi a tutela del contribuente e del buon andamento della Pubblica Amministrazione con plurimi arresti appena anteriori a quello del 2015, supra citato.

Ad esempio nella sentenza n. 26636 del 2009 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente; tale il contraddittorio è uno strumento istruttorio indefettibile, in ossequio al principio del giusto procedimento amministrativo.

Similmente nella sentenza n. 18184 del 2013 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno statuito che l’inosservanza del termine dilatorio di 60 giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento ex art. 12, comma 7, l. 27 luglio 2000, n. 212 determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus.

Infine nella sentenza n. 19667 del 2014 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno inviduato in 30 giorni il termine per la presentazione di osservazioni prima dell’iscrizione dell’ipoteca su beni immobili ex art. 77, d.p.r. n. 602 del 1973, “dovendosi ritenere che l’omessa attivazione di tale contraddittorio endoprocedimentale comporti la nullità dell’iscrizione ipotecaria per violazione del diritto alla partecipazione al procedimento, garantito anche dagli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali della Unione europea”.

Le proposte dell’Associazione Nazionale Tributaristi italiani.

Di particolare pregio è la proposta, formulata dall’Associazione Nazionale Tributaristi Italiani, di inserire nella legge n. 212 del 2000 un articolo rubricato “Principio generale del contraddittorio endoprocedimentale”.

In tale progetto, richiamati sia l’ordinamento dell’Unione Europea, sia il principio di cooperazione tra Pubblica Amministrazione e contribuente, si prevede che ogni provvedimento impositivo o sanzionatorio debba essere preceduto dalla notifica al destinatario di un processo verbale di constatazione, motivato in base alle risultanze della precedente istruttoria. Entro 60 giorni dalla notifica di tale atto, il contribuente può comunicare osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori; l’atto impositivo non può essere emanato prima del decorso di tale termine e deve essere specificamente motivato in relazione alle osservazioni formulate dal contribuente in sede di contraddittorio endoprocedimentale.

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