201601.07
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Corte d’appello di Milano, sez. I civ., 7 gennaio 2016 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D’APPELLO DI MILANO

PRIMA SEZIONE CIVILE

composta da:

– Dr. Amedeo Santosuosso – Presidente

– Dr. Francesca Fiecconi – Consigliere

– Dr. Maria Iole Fontanella – Consigliere relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile di unico grado ex art. 33/2 L. n. 287 del 1990 tra :

S.G. S.r.l. ( (…)), con l’avv.to Umberto Fantigrossi del foro di Milano

ATTORE

Contro

Agenzia Delle Entrate e del Territorio ((…)), con l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano.

CONVENUTO

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato in data 28 aprile 2009, la Srl S.G. conveniva in causa l’ Agenzia del Territorio al fine di ottenerne la condanna al risarcimento del danno conseguente alle condotte anticoncorrenziali della stessa, nonché inibirla dal porre sul mercato il servizio di ricerca continuativa in via telematica con modalità diverse da quelle prescritte dalla L. n. 287 del 1990.

L’attrice S.G. S.r.l. specificava di operare da tempo nel settore delle informazioni economiche e finanziarie, dove la clientela servita è rappresentata, in prevalenza, da Studi professionali (notai, avvocati,commercialisti, ecc.) e da banche, che richiedono rapporti informativi sulla consistenza patrimoniale di persone fisiche e giuridiche. Tali rapporti informativi vengono realizzati anche attraverso la consultazione di vari archivi e registri pubblici, in particolare le Conservatorie dei registri immobiliari ed il Catasto terreni e fabbricati, il cui accesso è libero e non richiede l’autorizzazione ed il consenso della persona alle quali le informazioni si riferiscono.

L’ attività svolta, aggiungeva l’ attrice, non è rappresentata dalla semplice distribuzione dei dati, ma necessita di interpretazione ed elaborazione derivante dal confronto di vari archivi oltreché dall’apporto interpretativo; le prestazioni vengono offerte dietro pagamento di un corrispettivo, né vi è sovrapposizione tra il servizio pubblico reso dall’Agenzia del Territorio con la messa a disposizione dei dati “grezzi”, e l’ elaborazione di servizi prodotti e commercializzati dalle imprese del settore.

Ciò premesso, l’attrice lamentava che il mercato delle informazioni economiche e finanziarie era stato gravemente alterato ad opera delle disposizioni contenute nelle Leggi Finanziarie del 2005 e 2007 e delle conseguenti condotte dell’Agenzia del Territorio, la quale in ottemperanza alle suddette leggi, aveva posto in essere condotte incompatibili con la normativa comunitaria.

Così la tariffa richiesta per il rilascio dell’elenco soggetti era stata elevata dai precedenti 7 Euro per pagina a 4 Euro per nominativo, provocando un aumento di oltre il 500% assolutamente ingiustificato, se non con la volontà di far transitare i clienti delle Società al servizio di monitoraggio reso dalla stessa Agenzia con l’ introduzione del servizio ” ricerca continuativa” offerto agli utenti.

L’ aumento del costo dell’elenco soggetti e le conseguenti condotte dell’Agenzia del Territorio volte a “mettere fuori mercato” le imprese private ed offrire direttamente i servizi in questione, avevano indotto lo S.G. S.r.l. ad interrompere il servizio di monitoraggio e l’aggiornamento della propria banca dati (doc. nn. 12-13-14), con ripercussioni estremamente negative sulla redditività dell’azienda.

Si costituiva l’Agenzia delle Entrate contestando tutti gli addebiti nonché il preteso danno.

La disposta CTU affidata al prof. Felice Martinelli ( cfr. Relazione Finale, depositata in data 11 aprile 2011) riconosceva la sussistenza di un pregiudizio economico da concorrenza sleale imputabile alle condotte dell’ Agenzia delle Entrate per il periodo 2006-2007, per un complessivo importo indicato ” prudenzialmente” in Euro 385,698,00,.

All’ esito della CTU l’attrice ha proposto ricorso ex 186 quater c.p.c., per ottenere il pagamento del risarcimento nell’ importo emerso dalla relazione peritale .

Con ordinanza n. 1976 del 20 maggio 2013 la Corte ha condannato la convenuta Agenzia del Territorio a pagare all’attrice S.G. s.r.l. la somma di Euro 358.698,00 , oltre alla rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT e agli interessi legali sulla somma medesima, nonché a rifondere all’attrice le spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 12.780,00 oltre CPA ed IVA e della CTU.

L’Amministrazione ha chiesto alla Corte d’Appello di Milano la prosecuzione del giudizio e la decisione della causa con sentenza.

All’udienza di precisazione delle conclusioni, tenutasi il giorno 29 settembre 2015, parte attrice ha chiesto, previa conferma dell’ordinanza ex art. 186 – quater c.p.c. del 20 maggio 2015 e l’accertamento che la lamentata condotta dell’Agenzia costituisce abuso di posizione dominante e come tale illecito concorrenziale, la condanna della stessa al risarcimento del danno per l’importo determinato in corso di causa dalla espletata CTU o, in subordine, in via equitativa ex art. 1126 c.c.; nonché l’inibizione di porre sul mercato il servizio di ricerca continuativa in via telematica con modalità diverse da quelle prescritte dalla L. n. 287 del 1990.

L’ Amministrazione ha invece concluso chiedendo la revoca dell’ ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. ed il rigetto di tutte le domande attoree

Motivi della decisione

Come già anticipato con l’ ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. , il thema decidendum ha formato oggetto di esame e valutazione da parte del giudice di legittimità che con la sentenza Cass. S.U. n. 30175/2011, cui ha fatto seguito la sentenza Cass. n.17164/12, entrambe rese in giudizi che vedevano convenuta l’ Agenzia del Territorio ha affermato i seguenti principi :

– la nozione di impresa ricomprende qualsiasi soggetto esercitante in modo organizzato e durevole un’attività economica sul mercato, al di là del proprio status giuridico;

– l’Agenzia del Territorio è soggetta alla disciplina antimonopolistica in ordine al mercato della utilizzazione economica delle informazioni commerciali, tratte dalla consultazione di detti registri;

– tale attività è altra e diversa da quella istituzionale di carattere pubblicistico di tenuta e pubblicità dei dati di tale ente;

– siffatta attività non rientra fra i servizi di interesse economico generale, da intendersi come quelli strettamente connessi all’adempimento di specifici obblighi affidati all’impresa;

– non risulta dimostrato il necessario nesso funzionale, nel rispetto del criterio di proporzionalità del sacrificio delle esigenze concorrenziali, tra il servizio di formazione, conservazione e gestione dei registri pubblici, da un lato, e dall’altro le limitazioni che l’Agenzia del Territorio è abilitata a porre nella successiva utilizzazione economica dei dati da parte di altri soggetti.

I suddetti approdi giurisprudenziali si sono formati in relazione alla contestazione di abuso di posizione dominante mossa all’ Agenzia delle Entrate, che, in applicazione dell’ art. 1 commi 367 e ss L. n. 311 del 2004 e della L. n. 286 del 2006, aveva assunto iniziative che, di fatto, avevano impedito il libero riutilizzo dei dati risultanti dai pubblici registri.

Com’è noto la funzione istituzionale che svolge l’ Agenzia del Territorio è quella della formazione, conservazione e gestione dei pubblici registri ipotecari e catastali ; l’ abuso di posizione dominante ad essa contestato riguarda invece le diverse attività di utilizzazione commerciale mediante interpretazione ed elaborazione dei dati ricavati dalla consultazione dei registri.

Il mercato in questione assume la qualifica di “rilevante”, ai fini dell’applicazione della disciplina anti concorrenziale, dal momento che trattasi di un mercato “distinto” da quello in cui i dati grezzi vengono generati e che si caratterizza per essere da quelle informazioni dipendente, in quanto “non sostituibili” con dati provenienti da altre fonti.

Pertanto, ritiene la Corte, non vi è sovrapposizione tra il servizio pubblico, reso dall’Agenzia del territorio con la messa a disposizione dei dati “grezzi”, ed i servizi – che appunto si definiscono “a valore aggiunto” – prodotti e commercializzati dalle imprese del settore.

Nella fattispecie le specifiche condotte illecite contestate dall’ attrice all’Agenzia delle Entrate sono: l’aumento abnorme delle tariffe per il rilascio dell’elenco soggetti in forma cartacea e l’avvio del servizio di ” trasmissione telematica dell’elenco dei soggetti presenti nelle formalità di un determinato giorno”.

Il servizio “elenco soggetti” ( istituito con la circolare n. 29 del 18 aprile 1988 il Ministero delle Finanze con la denominazione “stampa dei soggetti indicati sulle note presentate nel giorno” che si proponeva di venire incontro alle esigenze palesate dagli Istituti di credito di avere un quotidiano controllo delle vicende ipotecarie dei propri clienti) non rientra certamente tra quelli di interesse generale istituzionalmente forniti dall’Agenzia delle Entrate.

Si tratta infatti – come si desume dalla circolare istitutiva – di un servizio che non viene né richiesto né fornito alla generalità degli utenti, come le ordinarie “visure” o certificazioni, ma che interessa gli operatori commerciali, costituendo la base essenziale per l’elaborazione del monitoraggio, in quanto consiste in un elenco in cui si trovano evidenziati i nominativi di tutti i soggetti “a favore” o “contro” i quali sono state effettuate, nella giornata, trascrizioni, iscrizioni o annotamenti, con l’indicazione della tipologia della formalità effettuata.

Date queste caratteristiche, deve escludersi che tale servizio rientri nell’ambito della funzione propria delle ispezioni dei registri di cui all’articolo 2673 c.c. , trattandosi piuttosto di un servizio “a valore aggiunto” realizzato attraverso il riutilizzo dei dati ricavati dalla consultazione di detti registri che esulano dall’ambito dei compiti di servizio pubblico” (art. 10, par. 2, Direttiva 2003/98/CE), e come tale soggetto ai principi ed ai limiti pro-concorrenziali nazionali e comunitari.

In relazione alla qualifica dell’Agenzia del Territorio come “impresa” e alla valutazione in termini di “posizione dominante”, secondo il diritto della concorrenza, la Corte richiama la già citata sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione Civile ( cfr sentenza n. 30175/2011 , che ha riconosciuto che l’Agenzia del Territorio – proprio in considerazione delle funzioni in concreto ad essa affidate – svolge tra i suoi compiti anche attività d’impresa, intesa come “qualsiasi entità economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle modalità di finanziamento”, specificando che ciò che conta è che si tratti di un’attività economica consistente nell’offerta di beni o servizi sul mercato da cui “esuli l’esercizio di un potere d’imperio”. Ciò chiarito, il giudice di legittimità ha escluso che l’attività dell’Agenzia possa rientrare nel novero di quei “servizi d interesse economico generale” che, per disposizione tanto dell’art. 8, Il comma, della L. n. 28 del 1990 quanto dell’art. 86, comma 2, del Trattato CE (ora art. 106 TFUE) si sottraggono all’applicazione delle norme sulla concorrenza. La deroga, infatti, ha una “funzione di bilanciamento tra il richiamato interesse economico generale e le esigenze cui è ispirata la normativa sulla concorrenza, sicché essa opera solo entro i limiti in cui il sacrificio richiesto su un versante non risulti sproporzionato rispetto al vantaggio perseguito sull’altro”.

Il fatto che l’impresa eserciti la gestione di servizi di interesse generale non è ragione sufficiente ai fini dell’esenzione dall’osservanza delle norme in tema di concorrenza : come ha già rilevato questa Corte d’ Appello con la sentenza n. 3374/2015, la nozione di impresa in senso comunitario, è “per certi versi più economica che giuridica, o almeno non giuridico – formale, nel senso che la sua essenziale connotazione risiede nell’esercizio organizzato e durevole di un’attività economica sul mercato, a prescindere dal modo in cui i singoli ordinamenti nazionali definiscono l’ente o la persona fisica alla quale la suddetta attività economica fa capo”. Il che comporta l’ irrilevanza della qualifica di ente pubblico attribuito dall’ordinamento italiano all’Agenzia del Territorio, il cui assoggettamento alla disciplina antimonopolistica dipende unicamente dal tipo di attività che essa svolge e dal modo in cui siffatta attività si esplica sul mercato.

Affinché, allora, non si venga a costituire abuso di posizione dominante è necessario che il comportamento denunciato si ponga come strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti affidati all’impresa. A tal proposito, è onere dell’Ente quello di allegare gli elementi in forza dei quali possa ritenersi dimostrata la suindicata connessione con la specifica missione istituzionale, cosa che nella fattispecie non è assolutamente avvenuta. L’abuso di posizione dominante, quindi, riguarda le ulteriori e diverse attività afferenti al trattamento commerciale dei dati desunti dalla consultazione dei registri e si concretizza nell’ indebito sfruttamento della posizione previlegiata di cui l’Agenzia gode sul collegato mercato dell’informazione commerciale, “condizionando la riutilizzazione dei dati contenuti in detti registri ad un regime convenzionale da essa predisposto ed all’imposizione di ulteriori oneri per i riutilizzatori”.

La qualificazione come “abusiva”, dal punto di vista concorrenziale, delle lamentate condotte dell’Agenzia, non trova giustificazione nel fatto che il nuovo assetto delle funzioni e degli obiettivi da perseguire da parte dell’ Agenzia delle Entrate siano stati determinati dal legislatore ordinario, giacchè nella materia della concorrenza le norme comunitarie hanno prevalenza qualora incompatibili con la norma interna ( cfr. Cass. n. 29736 del 29 dicembre 2011; Cass Sez. 1, n. 20695 del 10/09/2013 : L’obbligatorietà della disciplina comunitaria “antitrust” impone agli organi giurisdizionali o amministrativi, tenuti a dare attuazione nell’ordinamento nazionale alle leggi ed agli atti aventi forza di legge, di non applicare le norme interne incompatibili con la prima, senza che per essi sia configurabile l’esimente dell’ignoranza incolpevole della gerarchia delle fonti “in subiecta materia”, altrimenti vanificandosi la tutela offerta ai privati dalla menzionata disciplina contro gli abusi anticoncorrenziali realizzati altresì dalla P.A. con la giustificazione della doverosa osservanza degli atti normativi nazionali.”

Ciò premesso, vanno valutate le eccezioni dell’ Agenzia delle Entrate relative alle modalità di determinazione del danno e del risarcimento.

Secondo Cass. n. 3205 del 2.2.2007, l’azione risarcitoria promossa ai sensi dell’art. 33, comma 2, della L. n. 287 del 1990 “tende alla tutela dell’interesse giuridicamente protetto (dalla normativa comunitaria, dalla Costituzione e dalla legislazione nazionale) a godere dei benefici della libera competizione commerciale(interesse che può essere direttamente leso da comportamenti anticompetitivi posti in essere a monte dalle imprese) nonché alla riparazione del danno ingiusto…”

L’ onere probatorio, rileva la Corte, ben può essere soddisfatto con ricorso alla consulenza tecnica (cfr. Cass.S.U.30175/11) e l’esistenza del nesso causale tra la condotta abusiva e il danno lamentato può essere desunta anche attraverso criteri di alta probabilità logica o per il tramite di presunzioni ( Cass. 3205/2007).

L’attrice ha qualificato il pregiudizio subito come perdita di opportunità conseguente alla fuoriuscita dal mercato per effetto dell’ avvio della commercializzazione sperimentale del servizio di elaborazione dati da parte dell’ Agenzia e correlativa perdita di valore e di redditività della banca dati costituita a causa dei maggiori costi delle interrogazioni sui nominativi già in banca dati e alla impossibilità di procedere in via sistematica ed in tempo reale all’ aggiornamento dell’ archivio.

Il CTU prof. Martinelli ha pertanto ritenuto che il metodo idoneo per riflettere le conseguenze del c.d. “evento esterno” (entrata in vigore del D.L. n. 262 del 2006) rispetto alla prospettazione di parte attrice dovesse essere individuato in un “margine (perdita) economica differenziale ” ( differenza fra il margine effettivo conseguito dall’impresa in presenza dell’evento causativo del danno e il margine teorico conseguibile dall’impresa in assenza dell’evento causativo del danno) calcolato nel biennio 2006-2007 , giacchè , ha rilevato il CTU, negli esercizi successivi al 2007 non vi sono sufficienti elementi comprovanti un condizionamento dell’ evento esterno (condotta dell’ Agenzia) rispetto alle scelte gestionali della srl G..

Il CTU ha quindi preliminarmente analizzato i bilanci relativi agli esercizi 2006 e 2007 e, pur notando un complessivo peggioramento dei risultati economici, ha rilevato l’ impossibilità di distinguere l’ andamento dei ricavi e dei costi con riferimento ai diversi servizi d’ impresa forniti dalla società ed in particolare con riferimento al servizio di visure immobiliari.

Ha pertanto proceduto individuando un margine differenziale complessivo , ossia riferito a tutti i servizi d’impresa, ottenuto sottraendo il margine operativo lordo conseguito nell’ esercizio 2006 da quello conseguito nell’ esercizio 2007 , ed ipotizzando che il differenziale così ottenuto possa rappresentare una stima sintetica degli effetti causati dall’ evento esterno. Ne è risultato l’importo di E. 385.698 ,00 corrispondente alla maggior perdita subita dalla srl G. nel passaggio dall’ esercizio 2006 all’ esercizio 2007.

L’Agenzia delle Entrate ha contestato il suddetto risultato per i seguenti motivi :

– assenza di prova rigorosa del danno, desunto da una “ipotesi convenzionale” formulata dal CTU e non da elementi concreti che lo S.G. avrebbe dovuto dimostrare, considerato che delle condotte lesive lamentate , una, il servizio di “ricerca continuativa” non è mai stato attivato e dunque non può avere determinato concreta lesività , mentre il sevizio “elenco soggetti” rientra tra quelli di interesse generale istituzionalmente conferiti all’ Agenzia del Territorio ( ora Agenzia delle Entrate) e il solo aumento tariffario ex D.L. n. 262 del 2006 non assume autonome efficacia abusiva ;

– la metodologia seguita dal CTU che utilizza il margine differenziale complessivo, invece del margine differenziale limitato al servizio di visure immobiliari, ha il solo scopo di sopperire all’ inadempienza dell’ onere probatorio da parte dell’ attrice;

– applicando il medesimo calcolo differenziale riferito all’ anno 2005 (quindi precedente all’ evento esterno asseritamente causativo del pregiudizio ) emerge che il margine operativo lordo è addirittura incrementato;

– utilizzare il margine complessivo lordo equivale a presumere che l’ intero andamento gestionale della srl G. negli esercizi 2006-2007 sia stato condizionato esclusivamente dal comportamento concorrenziale dell’ Agenzia e di tale circostanza l’ attrice non ha fornito prova .

Rileva la Corte che la giurisprudenza ha reiteratamente riconosciuto che :

“In tema di risarcimento del danno derivante da paventate violazioni agli artt. 2 e seguenti della L. 10 ottobre 1990, n. 287, il giudice non può decidere la causa applicando meccanicamente il principio dell’onere della prova, ma è chiamato a rendere effettiva la tutela dei privati che agiscono in giudizio…..fermo restando l’onere dell’attore di indicare in modo sufficientemente plausibile seri indizi dimostrativi della fattispecie denunciata come idonea ad alterare la libertà di concorrenza e a ledere il suo diritto di godere del beneficio della competizione commerciale, il giudice è tenuto a valorizzare in modo opportuno gli strumenti di indagine e conoscenza che le norme processuali già prevedono, interpretando estensivamente le condizioni stabilite dal codice di procedura civile in tema di esibizione di documenti, richiesta di informazioni e consulenza tecnica d’ufficio, al fine di esercitare, anche officiosamente, quei poteri d’indagine, acquisizione e valutazione di dati e informazioni utili per ricostruire la fattispecie anticoncorrenziale denunciata”.

( Cass. Sez. 1 n. 11564 del 04/06/2015)

“Benché le parti non possano sottrarsi all’onere probatorio a loro carico invocando, per l’accertamento dei propri diritti, una consulenza tecnico di ufficio, non essendo la stessa un mezzo di prova in senso stretto, è tuttavia consentito al giudice fare ricorso a quest’ultima per acquisire dati la cui valutazione sia poi rimessa allo stesso ausiliario (c.d. consulenza percipiente) purchè la parte, entro i termini di decadenza propri dell’istruzione probatoria, abbia allegato i corrispondenti fatti, ponendoli a fondamento della sua domanda, ed il loro accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche. (Così statuendo, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva respinto, ritenendola carente di prova, una domanda risarcitoria per danni cagionati da abuso di posizione dominante, benché l’attore avesse “ab initio” allegato l’insieme delle ripercussioni negative derivategli dall’applicazione di una normativa nazionale contrastante con l’ordinamento comunitario, al cui accertamento aveva altresì tempestivamente chiesto darsi seguito con un’istanza non accolta di c.t.u. finalizzata alla quantificazione di tali danni).

(Cass. Sez. 1, n. 20695 del 10/09/2013)

“Ai fini dell’accertamento del danno derivante da abuso di posizione dominante, suscettibile di traslazione sulla clientela per effetto della conseguente maggiorazione delle tariffe, costituisce principio di economia di comune esperienza quello secondo cui l’aumento del corrispettivo della prestazione determina una riduzione della domanda, salva la prova contraria della rigidità dei consumi”.

( Cass. Sez. 1 n. 21033 del 13/09/2013) .

Dunque, sulla base della giurisprudenza succitata, deve riconoscersi che:

– l’ attrice ha adempiuto al suo onere probatorio , avendo prodotto : i bilanci 2005-2008; tutte le fatture clienti 2004-2006 suddivise per periodo e servizio; relazione tecnica di parte sul volume d’ affari relativo all’ attività di visure immobiliari ( cfr. memoria autorizzata ex art. 183, VI comma, n. 2, c.p.c., ); i dati risultanti da tali documenti non sono stati contestati dall’ Amministrazione convenuta;

– al CTU è stato correttamente richiesto di effettuare una stima del pregiudizio fondata su un’ ipotesi di ragionevole correlazione tra le condotte pacificamente anticoncorrenziali dell’ Agenzia (aumento di oltre il 500% delle tariffe richieste per l’ elenco soggetti e attivazione del servizio ” di ricerca continuativa ” ) e le ripercussioni sui bilanci della società attrice, da stimare con giudizio di probabilità collegato all’ esame dei risultati economici dei diversi esercizi sociali .

Circa il metodo d’indagine utilizzato , la scelta del margine operativo lordo complessivo – nell’ impossibilità evidenziata dal CTU di calcolare il margine complessivo relativo allo specifico servizio visure immobiliari – non appare idoneo ad alterare i risultati dell’ indagine, atteso che la srl S.G. ha dedotto fin dall’ atto di citazione di operare nel settore delle informazioni economiche e finanziarie e che , ancor oggi, ha rilevato il CTU, l’ attività descritta sul sito web è quella della offerta di indagini ipocatastali , pertanto può legittimamente ritenersi che questa attività , in assenza di prova contraria che l’ Agenzia avrebbe dovuto fornire, costituisce verosimilmente quella principale svolta dalla società, il che giustifica la qualificazione operata dal CTU di ” core business” e l’ attendibilità del calcolo con il criterio del margine differenziale complessivo .

Si rileva altresì che l’ Agenzia ha negato in comparsa conclusionale di avere attivato il servizio di “ricerca continuativa”, mentre aveva ammesso in sede di operazioni peritali di averlo attivato e poi prudenzialmente interrotto ” a seguito delle intervenute pronunce cautelari sfavorevoli”

Come questa Corte d’Appello ha già valutato “il pregiudizio temuto dalle ricorrenti ben può coincidere anche con iniziative di introduzione di nuovi servizi non generalizzate ma sperimentali ovvero con l’annuncio e la presentazione di tali iniziative”… (Cfr. Corte App. Milano, sez. I civile, Ord. del 14.06.2007 emessa nel giudizio RG. 1274/2007).

Ha anche spiegato il CTU che nella quantificazione degli effetti pregiudizievoli non sono proponibili confronti desumibili dall’ applicazione del calcolo differenziale al biennio 2004-2005 , il cui andamento è stato condizionato da un’ altra legge finanziaria ( n.311/2004) che pure ha inciso nel settore in cui opera la srl G.

A tutto ciò va infine aggiunto che l’importo determinato a titolo di risarcimento – peraltro qualificato dal CTU come “prudenziale” – appare proporzionato in rapporto alla dimensione aziendale ( desumibile dai bilanci e dal fatturato) e ai presumibili costi del ripristino dell’archivio della banca dati necessario alla società per lo svolgimento del servizio.

In definitiva, accertati gli atti di concorrenza illecita, le conclusioni della consulenza tecnica vanno condivise in quanto immuni da vizi logici e sono idonee a fornire la prova del pregiudizio , necessariamente presuntiva, trattandosi di lucro cessante, quindi di danno futuro.

L’ Agenzia convenuta va condannata al risarcimento del danno in favore dell’ attrice nella misura di E. 385.698,00 oltre rivalutazione secondo gli indici istat decorrente dal 1/1/2008 ( essendo stato calcolato il pregiudizio con riferimento agli anni 2006-2007) ed interessi legali sulla somma annualmente rivalutata , oltre spese di CTU e processuali liquidate come in dispositivo.

Ai sensi dell’ ‘art. 2599 c.c. va inibita la continuazione degli atti illeciti lamentati

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dalla srl S.G., accertato che la condotta dedotta costituisce illecito concorrenziale, ne inibisce la continuazione e condanna l’ Agenzia delle Entrate e del Territorio al risarcimento del danno in favore dell’ attrice che liquida in E. 385.698,00, oltre rivalutazione secondo gli indici istat decorrente dal 1/1/2008 ed interessi legali sulla somma annualmente rivalutata, oltre spese di CTU nella misura già liquidata e spese processuali liquidate in E. 15.000,00 complessive, oltre IVA.CPA e spese generali (da cui va detratto quanto già eventualmente corrisposto a tale titolo in ottemperanza dell’ ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. del 20/5/13)

Così deciso in Milano, il 16 dicembre 2015.

Depositata in Cancelleria il 7 gennaio 2016.