201005.20
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Comm. trib. reg. Lombardia, sez. XVII, 25 febbraio 2008, n. 2 (testo)

Svolgimento del processo

I fatti

La W.L.G., società di diritto germanico, si obbligava ad acquistare dalla società controllata W.I.F. s.p.a., che a sua volta si obbligava a cederle n. 50.639.000 azioni della B.C. s.p.a. che la W.I.F. s.p.a. stava per acquisire mediante sottoscrizione di una quota di aumento del capitale sociale deliberato dalla B.C. I rispettivi obblighi venivano formalizzati mediante lettera-accordo di data 5 luglio 1999 indirizzata alla W.I.F. s.p.a.; all’art. 5 degli accordi, in particolare, era prevista una speciale formula per la determinazione del prezzo di cessione; era anche stato concordato che la cessione dovesse avvenire il 30 settembre 2002, ovvero, anticipatamente, alle date del 30 settembre 2000 o del 30 settembre 2001. Il consiglio di amministrazione della W.I. in data 2 luglio 1999 aveva deliberato la sottoscrizione delle 50.639.000 ed aveva anche deciso di attribuire all’acquisto, sotto il profilo della modalità di iscrizione in bilancio, la funzione di portafoglio «non immobilizzato». L’acquisto veniva poi eseguito nell’agosto 1999, al prezzo di euro 1,5952 per azione. Va anche aggiunto che in data 15 luglio 1999 la stessa società aveva stipulato con la B.C. s.p.a. un accordo di collaborazione in determinati settori dell’attività bancaria.

Successivamente, nell’ambito di una ristrutturazione del gruppo in cui si prevedeva, tra l’altro, l’intensificazione del rapporto di collaborazione con la B.C., il consiglio di amministrazione della W.I. in data 21 marzo 2002, deliberava di acquistare dalla fondazione C.R.G.I. ulteriori n. 17.598.000 azioni della stessa B.C., previo ottenimento dell’autorizzazione della Banca d’Italia, resasi necessaria in conseguenza del superamento, per effetto del secondo acquisto, della quota del 5% del capitale C. (infatti, il primo acquisto rappresentava il 4,96% del capitale C., costituito da azioni quotate al mercato MTA della Borsa italiana).

L’autorizzazione venne rilasciata in data 13 maggio 2002. Nel verbale della predetta riunione del consiglio di amministrazione veniva inoltre evidenziato che nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2001 la partecipazione C. era stata collocata tra le immobilizzazioni e non più nel circolante, stante la mutata strategia dell’investimento, ora ritenuto durevole. L’acquisto della seconda tranche veniva perfezionato in data 25 settembre 2002 al prezzo corrente di mercato di euro 1,9651 per azione. In data 30 settembre la W.I. cedeva alla controllante W.L.G. le 50.639.000 azioni al prezzo di euro 1,6192, prezzo determinato con l’applicazione della formula prevista nell’accordo del 5 luglio 1999.

La verifica, l’accertamento e la fase processuale

A seguito di una verifica fiscale, ordinata dalla DRE Lombardia nei confronti della società appellante, veniva redatto processo verbale di constatazione nel quale si rilevava che la società verificata aveva imputato a conto economico nell’esercizio 2002 una minusvalenza di euro 5.296.925, determinatasi in conseguenza dell’applicazione del criterio LIFO (last in first out) alla cessione di n. 50.639.000 azioni, considerando nel raffronto anche il pacchetto acquistato per ultimo (n. 17.598.000). (Omissis)

I verbalizzanti ritenevano infatti non applicabile anche alle immobilizzazioni finanziarie il criterio specificamente previsto per la valutazione dell’attivo circolante (art. 61 del vecchio T.U.I.R. che regola la valutazione delle rimanenze di magazzino) ed ipotizzavano l’esistenza di una operazione elusiva, ricorrendo le condizioni previste dall’art. 37- bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

L’Ufficio faceva propria l’ipotesi elusiva dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 sollevata in sede di processo verbale di constatazione, riteneva la minusvalenza indebitamente dedotta ed includeva nel reddito la plusvalenza come sopra determinata.

(Omissis) L’Ufficio, ritenuto che le ragioni addotte dalla società non sciogliessero i dubbi sull’operazione, emetteva avviso di accertamento affermando:

— che le operazioni del 25 e del 30 settembre 2002 di acquisto e, rispettivamente, vendita, le quali avevano generato la minusvalenza, erano prive di una valida ragione economica,

— che l’insieme degli atti

1) spostamento della partecipazione dell’attivo circolante alle immobilizzazioni,

2) acquisto del secondo pacchetto azionario,

3) valutazione secondo il criterio LIFO a scatti,

4) iscrizione della minusvalenza nel bilancio al 31 dicembre 2002,

erano stati posti in essere al solo scopo di ottenere una riduzione d’imposta,

— che le suddette operazioni tendevano ad aggirare l’obbligo previsto dell’ordinamento tributario di dichiarare la plusvalenza,

— che dette operazioni erano perciò «inopponibili » all’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 37-bis, primo, secondo e terzo comma, lett. f), del D.P.R. n. 600/1973, (Omissis)

La W.I. presentava ricorso nel quale chiedeva in via principale l’annullamento dell’avviso di accertamento e, in subordine, la non applicazione delle sanzioni (Omissis).

La Commissione tributaria provinciale con la sentenza impugnata rigettava la domanda principale mentre accoglieva la subordinata.

(Omissis) La W.I. impugna la sentenza con appello nel quale puntualmente contraddice tutti gli specifici aspetti esposti in sentenza a sostegno della decisione (Omissis).

In particolare l’appellante, a sostegno della propria tesi tendente a dimostrare la sostanziale assenza di risparmio d’imposta, ripropone l’argomento secondo cui le operazioni poste in essere hanno, in definitiva, determinato l’iscrizione della partecipazione residua ad un minor costo, cosa che ha poi fatto emergere plusvalenze negli esercizi successivi; e di ciò dà contezza allegando un prospetto. (Omissis).

Motivi della decisione

(Omissis). Per tutto quanto precede questo Collegio ritiene di dover condividere, anche se con motivazioni diversamente articolate, le conclusioni cui è pervenuto il Collegio di primo grado circa la sussistenza dell’intento elusivo nelle operazioni poste in essere dalla W.I. Ne consegue la «inopponibilità» dei relativi negozi giuridici agli effetti fiscali.

Allo stesso modo il Collegio ritiene di condividere le conclusioni del primo giudice circa l’inapplicabilità delle sanzioni.

Infatti l’elusione consiste in un risparmio fiscale conseguito «abusando» di uno strumento giuridico, essa presuppone quindi il compimento di atti effettivamente voluti dalle parti, ma realizzati mediante un «percorso» anomalo, nell’intento di aggirare norme fiscali e così conseguire un risparmio d’imposta. L’elusione è quindi fenomeno ben diverso dall’evasione, con la quale si persegue sempre un risparmio d’imposta, ma realizzato con la diretta violazione di specifiche norme fiscali. Queste considerazioni, a parere di questo Collegio, sono in linea con l’intento del legislatore allorquando ha tolto dall’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 l’avverbio «fraudolentemente», presente nella previgente formulazione della norma, il che conduceva ad una lettura marcatamente «penalistica» della norma stessa.

Da tutto ciò consegue che il rinvio, contenuto nel sesto comma dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 all’art. 68 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 circa il pagamento di tributi e sanzioni costituisce un mero riferimento all’automatica e generale applicazione di sanzioni in presenza di un maggior reddito accertato, ma non per questo è stata introdotta alcuna specifica norma che sanziona il comportamento elusivo.

Pertanto va ribadito che nel caso in esame l’art. 66 del vecchio T.U.I.R. e gli altri articoli correlati (art. 61 e art. 54, nonché gli articoli ai quali dette norme fanno rinvio) non sono stati violati, bensì è stato fatto un uso abnorme del criterio di valutazione LIFO, adottando una tempistica delle operazioni di acquisto/cessione tale da conseguire un risparmio d’imposta che poteva anche apparire lecito.

Assodato che nel caso in questione non è stata specificamente violata (ma soltanto aggirata) alcuna norma di legge, non può essere irrogata alcuna sanzione. (Omissis).

P.Q.M.

La Commissione conferma l’impugnata sentenza. Spese compensate.