201505.19
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Comm. trib. reg. Lombardia, sez. XIII, 19 maggio 2015, n. 2184 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI MILANO

TREDICESIMA SEZIONE

riunita con l’intervento dei Signori:

BARBAINI LAURA – Presidente

MOLITERNI FRANCESCO PAOLO – Relatore

CASTELLI ANTONIO – Giudice

ha emesso la seguente

SENTENZA

– sull’appello n. 444/15

depositato il 21/01/2015

– avverso la sentenza n. 345/3/14 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di COMO

contro: A.D.R.C.E.N. S.P.A.

proposto dal ricorrente:

M.F.G.

VIA M. N. 5 22040 L. D. C.

difeso da:

CASSANITI DAVID FRANCO

AVV.

VIA METASTASIO N. 9 95014 GIARRE CT

altre parti coinvolte:

AG.ENT. DIREZIONE PROVINCIALE COMO

VIA CAVALLOTTI, 6 22100 COMO CO

Atti impugnati:

CARTELLA DI PAGAMENTO n. (…) IRPEF-ADD.REG. 2007

CARTELLA DI PAGAMENTO n. (…) IRPEF-ADD.COM. 2007

CARTELLA DI PAGAMENTO n. (…) IRPEF-ALTRO 2007

Svolgimento del processo

La contribuente, come rappresentata e difesa, propone appello alla sentenza n. 345/03/2014 del 26/05/14 della Commissione Tributaria Provinciale di Como che, condannandola alle spese di Euro 500,00, ha riconosciuto la legittimità di una cartella di pagamento relativa all’anno di imposta 2001 per il recupero di IRPEF e addizionali n. xxx di Euro 41.673,69, notificata in data 20/10/2013 a seguito di un avviso di accertamento oggetto di istanza di autotutela e successivo provvedimento di autotutela parziale n. xxx/2013, notificato all’indirizzo dello studio del commercialista presso cui la contribuente aveva eletto domicilio e divenuto definitivo per mancata impugnazione. Con l’appello la contribuente contesta che abbia mai eletto domicilio presso lo studio del commercialista, onde la nullità della notifica dell’atto prodromico e della conseguente cartella di pagamento. Infatti il mandato conferito al commercialista per la pratica di autotutela non indica l’elezione di domicilio presso di lui ma tale indicazione è stata dichiarata di sua iniziativa all’ insaputa della ricorrente che ha avuto notizia dell’atto solo con la notifica della cartella che, pertanto, deve essere annullata. L’atto contestato è, altresì, nullo anche per carenza dei poteri di firma del soggetto che ha delegato la sottoscrizione dell’avviso di accertamento indicato nella persona del direttore A. P. che non risulta nell’elenco dei dirigenti messo a disposizione online dall’Agenzia delle Entrate in ossequio al principio di trasparenza. Conclude con la richiesta di riforma della sentenza impugnata e rifusione delle spese del doppio grado di giudizio. Si costituisce in giudizio con controdeduzioni l’ufficio per precisare che con l’istanza di adesione la contribuente aveva eletto suo legale rappresentante con procura speciale il commercialista incaricato di seguire la pratica ma che, comunque, l’originario avviso di accertamento era stato notificato al suo effettivo domicilio ed era divenuto definitivo per mancata impugnazione nei termini in quanto l’istanza di adesione era stata rigettata perché presentata oltre il termine decadenziale e l’autotutela parziale era stata emessa su iniziativa dall’ufficio a tutela ed esclusivo vantaggio della contribuente, per cui non può invocare, in questa sede, la non conoscenza dell’atto. Quanto alla doglianza sulla carenza del potere di delega, in via preliminare, l’ufficio chiede l’inammissibilità per domanda nuova, non essendo rilevabile d’ufficio e non essendo stata chiesta nel ricorso introduttivo. Chiarisce che la questione posta con l’eccezione di parte è oggetto di esame da parte della Corte Costituzionale per cui nella fattispecie trova applicazione l’istituto del funzionario di fatto.

Conclude con la richiesta di conferma della sentenza impugnata e deposita nota spese di Euro 3.473.00.

All’odierna trattazione in Pubblica udienza il difensore della ricorrente insiste per la nullità dell’atto anche a seguito della sentenza n. 37/2015 della corte costituzionale ed il rappresentante dell’Ufficio insiste per la validità dell’atto essendo comunque stato firmato da un funzionario di fatto anche se il dirigente è stato dichiarato decaduto dalla Corte Costituzionale e perché l’eccezione non è rilevabile d’ufficio in ogni grado e stato del giudizio ma andava richiesta in sede di ricorso introduttivo. Indi la causa viene posta in decisione.

Motivi della decisione

L’appello della contribuente, come rappresentata e difesa è fondato e va accolto. Pregiudizialmente, perché assorbente del merito, va risolta l’eccezione del contribuente sulla nullità dell’atto impugnato per carenza dei poteri di firma del direttore signor A. P. che non risulta nell’elenco dei dirigenti delle Agenzie dell’Entrate. All’uopo è necessario riferirsi alla recente sentenza della Corte Costituzionale n.37 del 25/02/2015 depositata il 17/3/15 e pubblicata in G.U. n. 12 del 25/03/15 che ha dichiarato illegittimi i ripetuti conferimenti di incarichi dirigenziali ai funzionari senza indire i regolari concorsi come previsto dalla Costituzione in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 e dalle varie leggi ordinarie. Le norme dichiarate illegittime dalla citata sentenza sono:

-l’art. 8,comma 24 del D.L. n. 16 del 02 marzo 2012;

-l’art. 1, comma 14 del D.L. n. 150 del 30 dicembre 2013;

-l’art. 1,comma 8, del D.L. n. 192 del 31 dicembre 2014.

Di conseguenza sono decaduti dagli incarichi dirigenziali tutti coloro che erano stati nominati in base alle predette leggi dichiarate incostituzionali e tutti gli atti relativi da essi firmati. Infatti il D.Lgs. n. 300 del 30 luglio 1999 agli artt. 66-67-68 stabiliscono che il direttore rappresenta l’Agenzia delle Entrate e la dirige emanando tutti i provvedimenti che non siano attribuiti ad altri organi, mentre il successivo D.Lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, art. 4 comma 3, stabilisce che le attribuzioni dei dirigenti possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative.

La G.U. n. 36 del 13/2/2001 ha pubblicato il Regolamento di Amministrazione dell’Agenzia delle Entrate che stabilisce il principio che l’Agenzia si conforma ai principi della L. n. 241 del 07 agosto 1990, che gli avvisi di accertamento sono emessi dalla direzione provinciale e sono sottoscritti dal rispettivo direttore o, per delega di questi, dal direttore dell’ufficio preposto all’attività accertatrice ovvero da altri dirigenti o funzionari a seconda della rilevanza e complessità degli atti.

La L. n. 241 del 1990, richiamata dal regolamento citato, stabilisce i casi di invalidità dei provvedimenti amministrativi all’art. 21 septies quale nullità assoluta del provvedimento “che è viziato da difetto assoluto di attribuzione”, che può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio, come statuito dalla sentenza n. 12104 del 2003 della Corte di Cassazione.

Quindi, gli avvisi di accertamento firmati da un dirigente dichiarato illegittimamente nominato sono nulli perché gli artt. 42,commi 1 e 3 del D.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 56, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972 stabiliscono che gli atti devono essere firmati da un dirigente sotto pena di nullità.

Il successivo articolo 21 octies, comma 1,della medesima L. n. 241 del 1990 dichiara annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.

Dunque, gli avvisi di accertamento firmati da dirigenti dichiarati illegittimamente nominati sono nulli anche perché adottati in violazione degli artt. 42 e 56 D.P.R. n. 633 del 1972 citati e perché viziati da incompetenza.

La Corte Costituzionale, con la sentenza “de qua”, nel rilevare che le regole interne di organizzazione dell’Agenzia delle Entrate consentivano la possibilità di ricorrere all’istituto della delega anche a funzionari, cita quattro sentenze della Corte di Cassazione che, secondo la difesa dell’Amministrazione Finanziaria, avrebbero sanato l’illegittimità degli avvisi di accertamento, ma non le recepisce in quanto il punto è che la delega doveva essere concessa sempre da dirigenti legittimamente nominati a seguito di concorso, ma non ex-lege come, in realtà, è avvenuto.

Pertanto, sul punto della nullità degli atti amministrativi firmati da dirigenti illegittimi, non sembra esservi ombra di dubbio sulla loro caducità, anche alla luce della giurisprudenza di legittimità succedutasi negli anni in relazione agli artt. 42e 56 D.P.R. n. 633 del 1972 citati, della Suprema Corte di Cassazione come la n. 17400/12, 14626/00, 14195/00, 14943/12 ed ancora la n. 10267/2005, n. 12262/2007, n. 2487/2006, 10513/08, n. 18514/10 e n. 19379/12.

Per effetto delle norme della L. n. 241 del 1990, applicabili anche al processo tributario per espressa previsione normativa presente nel regolamento delle Agenzie delle Entrate precedentemente richiamata, la nullità può essere rilevata in qualunque stato e grado del processo anche d’ufficio, per cui non può essere accolta l’eccezione dell’ufficio di Como sulla inammissibilità della domanda nuova in violazione dell’art. 345 c.p.c..

Analogamente non è applicabile l’art. 21 octies, comma2 della medesima legge sulla non annullabilità dei provvedimenti adottati in violazione di norme sul procedimento o sulla forma qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, perché gli avvisi di accertamento e le cartelle esattoriali non hanno natura vincolante ma discrezionale.

Quanto alla validità dell’atto impugnato attraverso l’istituto del funzionario di fatto, come eccepito dall’ufficio di Como nelle sue controdeduzioni, va subito chiarito che l’orientamento giurisprudenziale vede nella tutela della buona fede del privato destinatario il fondamento di tale efficacia e cioè quando gli atti adottati dal funzionario di fatto siano favorevoli ai terzi destinatari e non certo nel caso “de quo” in cui la notifica di un avviso di accertamento e relativa cartella esattoriale firmati da un dirigente illegittimo sono atti sfavorevoli nei confronti del contribuente che ha tutto l’interesse a contestarlo per farlo dichiarare illegittimo.

L’ufficio non contesta l’eccezione di parte che il direttore A. P. non sia un dirigente illegittimo, per cui, per il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. come novellato dalla L. n. 69 del 2009, applicabile anche al processo tributario per espressa previsione contenuta nell’art. 1 del D.Lgs. n. 546 del 1992, i suoi atti sono nulli.

Non va sottaciuto che la sentenza della Corte Costituzionale travolge la normativa denunciata di incostituzionalità ma non anche direttamente gli atti amministrativi sottesi, tuttavia il Consiglio di Stato, che aveva sollevato la questione di incostituzionalità, non potrà che decidere di conseguenza.

Pe le motivazioni su esposte ed ogni altra eccezione disattesa restando assorbita da quanto prefato, l’appello della contribuente deve essere accolto ed, alla soccombenza deve seguire la condanna dell’ufficio al pagamento delle spese di giudizio che vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Commissione Tributaria Regionale di Milano, sezione 13,definitivamente pronunciando, accoglie l’appello del contribuente, in r forma della sentenza impugnata e per l’effetto dichiara l’illegittimità della cartella di pagamento notificata.

Condanna l’ufficio soccombente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 1.500,00, oltre accessori di legge.

Milano il 15 aprile 2015.