201404.11
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Omesso versamento Iva, la Consulta eleva la soglia di punibilità ma solo per i fatti anteriori al 17 settembre 2011 (nota a Corte Cost. 80/2014)

Con la sentenza n. 80 del 2014, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10 ter, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’Imposta sul Valore Aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, a 103.291,38 euro, ravvisando la violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost.

La disciplina censurata.

L’art. 10 ter, d.lgs. n. 74 del 2000, rubricato “Omesso versamento di Iva”, è stato introdotto nel luglio 2006 insieme all’art. 10 quater, a sua volta rubricato “Indebita compensazione” (cfr. art. 35, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla l. 4 agosto 2006, n. 248): in base alla norma incriminatrice oggetto del vaglio di costituzionalità, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni “chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo” (vale a dire entro il 27 dicembre dell’anno successivo al periodo di imposta di riferimento ex art. 6, comma 2, l. 29 dicembre 1990, n. 405) per un ammontare superiore a 50.000 euro per ciascun periodo d’imposta.

Come ricordato dalla Corte Costituzionale, l’introduzione di tale disciplina rientra nella strategia di revisione del sistema penale tributario finalizzata ad estendere l’intervento repressivo dalla sola fase dell’autoliquidazione del tributo a quella della riscossione del debito di imposta indicato nella dichiarazione annuale mediante versamento diretto.

Vi è una irragionevole disparità di trattamento rispetto al reato di omessa dichiarazione (ante 2011)?

Le questioni di costituzionalità sono state sollevate assumendo quale tertium comparationis il reato di omessa dichiarazione ex art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000: tale disciplina è stata modificata con effetto dal 17 settembre 2001 (cfr. art. 2, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 settembre 2011, n. 148) abbattendo la soglia di punibilità da 77.468,53 euro a 30.000 euro.

Secondo il Giudice a quo, con riferimento alle violazioni anteriori al 17 settembre 2011 l’articolo 10 ter violerebbe il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. determinando una irragionevole disparità di trattamento fra il soggetto che, essendo tenuto a versare l’Iva per un importo compreso tra 50.000 euro e 77.468,53 euro, abbia omesso la dichiarazione annuale, e il soggetto che, trovandosi nelle medesime condizioni, abbia presentato regolarmente la dichiarazione annuale e non abbia tempestivamente versato il tributo ivi liquidato: il primo contribuente non sarebbe punibile a causa del mancato raggiungimento della soglia di punibilità di 77.468,53 euro prevista per l’omessa dichiarazione dall’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000 nel testo anteriore al 17 settembre 2011, mentre il secondo contribuente sarebbe perseguito ai sensi dell’art. 10 ter del medesimo decreto, pur avendo posto in essere una condotta meno lesiva degli interessi erariali.

Il difetto di coordinamento tra le soglie di punibilità crea sperequazioni sanzionatorie.

La Consulta dichiara la fondatezza della questione sollevata, rilevando il difetto di coordinamento tra la soglia di punibilità rilevante ai fini del reato di omesso versamento dell’Iva ex art. 10 ter, d.lgs. n. 74 del 2000 e quella relativa ai delitti di omessa dichiarazione ex art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000 e dichiarazione infedele ex art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, “difetto di coordinamento foriero di sperequazioni sanzionatorie che, per la loro manifesta irragionevolezza, rendono censurabile l’esercizio della discrezionalità pure spettante al legislatore in materia di configurazione delle fattispecie astratte di reato”.

Anteriormente alle modifiche del 2011, l’art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000 statuiva la punibilità dell’omessa dichiarazione a condizione che l’imposta evasa fosse superiore, “con riferimento a taluna delle singole imposte”, a 77.468,53 euro. Secondo il Giudice delle leggi tale soglia di punibilità comportava una conseguenza palesemente illogica nel caso in cui l’Iva dovuta fosse compresa tra 50.000 euro e 77.468,53 euro, poiché “veniva trattato in modo deteriore chi avesse presentato regolarmente la dichiarazione Iva, senza versare l’imposta dovuta in base ad essa, rispetto a chi non avesse presentato la dichiarazione, evadendo del pari l’imposta”.

La Corte Costituzionale osserva inoltre che una discrasia analoga sussisteva con riferimento al delitto di dichiarazione infedele ex art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, la cui soglia di punibilità stata abbassata da 103.291,38 euro a 50.000 euro con effetto dal 17 settembre 2011 (cfr. art. 2, d.l. n. 138 del 2011): nel caso in cui l’imposta evasa si fosse collocata nell’intervallo tra 50.000 euro e 103.291,38 euro, il contribuente che avesse presentato una dichiarazione in veritiera non sarebbe stato punibile per mancato superamento della soglia, mentre sarebbe stato perseguibile il contribuente che avesse esposto fedelmente il proprio debito nella dichiarazione e non avesse poi versato tale importo.

Le sperequazioni sanzionatorie sono irragionevoli.

Secondo la Consulta, il vulnus del principio di uguaglianza trova conferma nel raffronto tra le pene edittali, più gravi per l’omessa dichiarazione e la dichiarazione infedele (reclusione da uno a tre anni) rispetto all’omesso versamento dell’Iva (reclusione da sei mesi a due anni): il contribuente che occulta materia imponibile presentando una dichiarazione infedele o non presentando alcuna dichiarazione “tiene una condotta certamente più «insidiosa» per l’amministrazione finanziaria – in quanto idonea ad ostacolare l’accertamento dell’evasione (e, nel secondo caso, a celare la stessa esistenza di un soggetto di imposta) – rispetto a quella del contribuente che, dopo aver presentato la dichiarazione, omette di versare l’imposta da lui stesso autoliquidata”, perché in questo modo egli “rende la propria inadempienza tributaria palese e immediatamente percepibile dagli organi accertatori”. In buona sostanza, il Collegio ritiene che sia “trattato in modo deteriore chi – coeteris paribus – ha tenuto il comportamento maggiormente meno trasgressivo”.

Questa lettura trova conferma nelle modifiche legislative operate con il d.l. n. 138 del 2011 per le fattispecie successive alla data di entrata in vigore del decreto (17 settembre 2011), in conseguenza delle quali le soglie di punibilità dell’omessa dichiarazione e della dichiarazione infedele sono state ridotte ad importi inferiori (30.000 euro) o pari (50.000 euro) a quello relativo all’omesso versamento dell’Iva, a sua volta rimasto inalterato.

La Consulta eleva la soglia di punibilità dell’omesso versamento dell’Iva (ante 2011) a 103.291,38.

Per rimuovere la lesione del principio di uguaglianza con riferimento alle fattispecie anteriori al 17 settembre 2011, la Corte Costituzionale ritiene necessario allineare la soglia di punibilità dell’omesso versamento dell’Iva alla più alta fra le soglie di punibilità delle violazioni in rapporto alle quali si manifesta l’irragionevole disparità di trattamento, vale a dire a quella relativa alla dichiarazione infedele (103.291,38 euro).

(Corte Cost., 8 aprile 2014, n. 80)