201512.10
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Le Sezioni Unite sul contraddittorio endoprocedimentale: un principio, nessun obbligo, centomila procedimenti (nota a Cass. 24823/2015)

Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni si riveli non puramente pretestuosa. Così si sono espresse le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione con la pronuncia n. 24823, depositata il 9 dicembre 2015.

(Cass., sez. unite civ., 9 dicembre 2015, n. 24823)

Il caso.

La fattispecie concreta è paradigmatica. L’Amministrazione finanziaria esegue un controllo “a tavolino” nei confronti di una s.r.l. ed emette un atto di accertamento sulla base della documentazione esibita dalla società contribuente. A quanto è dato comprendere non si tratterebbe di una rettifica presuntiva, ma del mero riscontro di discrasie tra i dati contabilizzati e la documentazione esibita.

In sede giurisdizionale la società contribuente lamenta la violazione dell’art. 12, comma 7, l. 27 luglio 2000, n. 212 per omessa consegna del verbale di chiusura delle operazioni e per omessa attivazione del contraddittorio endoprocedimentale.

Riformando la decisione di prime cure, la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna annulla l’atto impositivo.

La pronuncia viene impugnata dall’Amministrazione finanziaria. Con l’ordinanza interlocutoria n. 527 del 2015 la Sesta Sezione della Corte di Cassazione rimette alle Sezioni Unite le seguenti questioni:

  • se le garanzie procedimentali predisposte dall’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000 (formazione di un verbale di chiusura delle operazioni; rilascio di copia di tale verbale al contribuente; facoltà del contribuente di comunicare osservazioni e richieste e corrispondente dovere dell’Ufficio di valutarle; divieto per l’Ufficio procedente di emettere avviso di accertamento prima della scadenza del termine di 60 giorni dal rilascio di copia del verbale, salva la ricorrenza di particolare e motivata urgenza) si applichino soltanto agli accertamenti emessi in esito ad accessi, ispezioni e verifiche effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente ovvero se esse – in quanto espressione di un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale – operino anche in relazione ad ogni altro tipo di verifica fiscale e, in particolare, in caso di controlli effettuati presso la sede dell’Ufficio, in base alle notizie acquisite da altra Pubblica Amministrazione, da terzi ovvero dallo stesso contribuente, in conseguenza della compilazione di questionario o in sede di colloquio (le cosiddette “verifiche a tavolino”);
  • quali siano le concrete modalità di attuazione della generalizzata applicazione della garanzia del contraddittorio endoprocedimentale in relazione a tali verifiche;
  • quali siano le conseguenze della inosservanza di tali garanzie procedimentali.

La soluzione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Nella sentenza n. 24823 del 2015 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione enunciano il seguente principio di diritto: “Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi «non armonizzati», l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi «armonizzati», avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni casi, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.

Dando applicazione a siffatto principio di diritto, il Collegio cassa con rinvio la sentenza impugnata, precisando che, mentre per la rettifica a fini Irpeg ed Irap non sussiste alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, per la rettifica a fini Iva mancano indicazioni circa la specifica enunciazione delle ragioni che la società contribuente avrebbe potuto formulare in sede istruttoria.

Così brevemente sintetizzata la vicenda, seguono alcune osservazioni a prima lettura sulle argomentazioni del Collegio.

Il quesito viene fatto in quattro.

Dopo aver sintetizzato lo stato dell’arte della giurisprudenza in materia di contraddittorio endoprocedimentale, le Sezioni Unite scompongono il quesito sottoposto loro dalla Sesta Sezione come segue:

  1. l’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000 può essere interpretato nel senso della predisposizione di un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale generalizzato?
  2. tale obbligo può essere desunto da altre disposizioni dell’ordinamento nazionale o direttamente da norme costituzionali?
  3. tale obbligo scaturisce da norme dell’ordinamento europeo?
  4. qualora si giunga alla conclusione che l’obbligo in oggetto sussiste e scaturisce da fonte diversa dall’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000, quali sono le modalità di attuazione e le conseguenze della sua violazione?

L’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000 non è fonte di un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale.

Alla prima domanda viene data risposta negativa.

Secondo le Sezioni Unite le garanzie procedimentali sopra elencate trova applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali in cui si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente.

Due sono gli argomenti di tipo testuale, il primo legato alla rubrica dell’articolo (“Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”), il secondo agganciato alla disciplina del primo comma (la cui applicazione è espressamente circoscritta a “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”). Diversamente opinando si determinerebbe – secondo il Supremo Consesso Nomofilattico – “un’inammissibile interpretazione abrogans di parte qualificante del dato normativo”.

A sommesso parere di chi scrive tale soluzione esegetica non è condivisibile per una pluralità di ragioni: 1) non è corretto interpretare una norma sulla base della – sola – rubrica che precede la disposizione ove essa è inserita, giacché tale elemento è del tutto privo di forza cogente; 2) giacché è corretto interpretare una norma alla luce del contenuto di altra norma che si pone rispetto alla prima in rapporto di genere a specie, se il comma 1 contiene la disciplina speciale relativa ai soli accertamenti presso il contribuente, ben si può ritenere che il comma 7 contenga la disciplina generale relativa a (modalità di attuazione e conseguenze del) contraddittorio endoprocedimentale.

Ad ogni buon conto è verosimile che la difesa della società contribuente, preso atto del diritto vivente cristallizzato dalle Sezioni Unite nella sentenza in commento, possa rimettere alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000 per violazione non soltanto degli artt. 3, 24 e 97 Cost., ma anche – attraverso l’art. 117 Cost. – delle corrispondenti norme interposte della CEDU.

Non vi sono altre norme dell’ordinamento nazionale che pongano un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale.

Le Sezioni Unite escludono che un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale possa poggiare su altre norme interne: 1) escludendo l’applicabilità della legge sul procedimento amministrativo (l. n. 241 del 1990); 2) prendendo atto della frammentarietà della corrispondente disciplina in materia tributaria; 3) escludendo che un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale possa essere direttamente ancorato agli artt. 24 e 97 Cost..

A prima lettura viene da formulare due osservazioni.

È curioso che il Suprema Consesso Nomofilattico vada alla ricerca nell’ordinamento interno di una copertura legislativa per il principio generale del contraddittorio e, al contempo, non veda il contraddittorio là dove esso è espressamente previsto dal Legislatore (ad esempio nella disciplina degli accertamenti fondati sui dati bancari). Oltre a ciò le Sezioni Unite dimenticano quale sia stata l’origine del corrispondente principio dell’ordinamento europeo, nato come norma di matrice pretoria e soltanto poi cristallizzato nella Carta di Nizza e, attraverso di essa, dai Trattati europei.

Ancor più curioso è che il Suprema Consesso Nomofilattico non ritenga possibile “ancorare” una tutela procedimentale alle norme della Carta Fondamentale e, al contempo, abbia espressamente superato tale ostacolo quando si è trattato di calare il divieto dell’abuso del diritto in una materia coperta dalla riserva di legge ex art. 23 Cost. (Cass., sez. unite civ., 2 dicembre 2008, nn. 30055, 30056 e 30057). Le Sezioni Unite sembra quasi procedano a corrente alternata.

L’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale scaturisce dall’ordinamento europeo ma nell’ordinamento interno ha portata limitata alla sola disciplina che ne costituisce attuazione.

Secondo le Sezioni Unite il principio generale del contraddittorio endoprocedimentale opera soltanto per i tributi armonizzati. Così facendo la tutela procedimentale sembra quasi diventata un duplex di altri tempi: o opera l’ordinamento interno o opera l’ordinamento europeo. Diversamente sembra pensarla il Legislatore nazionale, quando, indicando ai consociati i principi generali dell’attività amministrativa, afferma che “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario” (art. 1, comma 1, l. n. 241 del 1990).

È interessante annotare alcuni passaggi motivazionali.

Il Collegio rileva che “i diritti fondamentali, quali il diritto di difesa [ma le Sezioni Unite non avevano appena sostenuto che “le garanzie di cui all’art. 24 Cost. attengono, testualmente, all’ambito giudiziale”? – N.d.A.], non danno vita a prerogative incondizionate, potendo soggiacere a restrizioni, che rispondano, con criterio di effettività e proporzionalità, ad obiettivi di interesse generale”. Ci si chiede sommessamente quali siano “gli obiettivi di interesse generale” in questo ambito (forse proteggere il gettito erariale ottenuto attraverso procedimenti illegittimi?) e soprattutto come possa ritenersi conforme ad effettività e proporzionalità il differimento del contraddittorio alla sede giudiziale, viste onerosità ed aleatorietà che lo contraddistinguono non soltanto per il contribuente ma anche per l’Amministrazione finanziaria.

Dulcis in fundo le Sezioni Unite attingono alla giurisprudenza europea (caso Kamino) per sostenere che, in materia di tributi armonizzati, l’omissione del contraddittorio endoprocedimentale “determina l’annullamento dell’atto adottato al termine del procedimento amministrativo soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, detto procedimento «avrebbe potuto comportare un risultato diverso»”. Per la materia doganale, Iva e alcuni aspetti delle imposte dirette il contribuente dovrà fornire in giudizio “prova del fatto che l’omissione del contraddittorio gli ha impedito di far emergere circostanze e ragionamenti idonei ad attestare altri eventuali profili d’illegittimità o l’infondatezza (totale o parziale) della pretesa fiscale”. In buona sostanza il contribuente deve dimostrare… che ha ragione! Non vi è chi non vede che tale interpretazione svuota totalmente di effettività la tutela in caso di violazione di una garanzia procedimentale fondamentale.

Contro il logorio del duplice regime giuridico? Il Legislatore!

Le Sezioni Unite prendono atto della duplicità di regime giuridico ed escludono che la soluzione individuata per i tributi armonizzati possa essere applicata analogicamente ai tributi non armonizzati.

Bisognerà che gli operatori del diritto – non soltanto contribuenti e consulenti, ma anche funzionari dell’Amministrazione finanziaria e giudici tributari – dovranno farsi carico della schizofrenia normativa ed esegetica del nostro ordinamento anche per quanto riguarda il contraddittorio endoprocedimentale, gestendo – non si sa bene come – fattispecie unitarie dal punto di vista della condotta ma diverse in punto di diritto. Come nel caso sub iudice, gli operatori del diritto si trovano infatti quotidianamente a trattare fattispecie concrete in cui la medesima contestazione origina rettifiche in materia di tributi armonizzati (Iva) e non (Irpeg e Irap). Quid poi per le sanzioni?

Qual è la soluzione? “L’assorbimento della dicotomia non può […] che attendesi dal Legislatore”. Persino il Supremo Consesso Nomofilattico invoca l’intervento salvifico del deus ex machina. Non resta che attendere l’epifania del Legislatore, nella speranza che, a differenza di quanto accaduto prima con il cosiddetto “Statuto dei diritti del contribuente” e poi con la mancata attuazione della l. n. 23 del 2014, questa volta non sia vana l’attesa per una codificazione del contraddittorio endoprocedimentale.