201707.13
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La Consulta sul contraddittorio endoprocedimentale (Corte Cost. 187, 188 e 189/2017)

ORDINANZA N. 187

ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10 (recte: art. 12), comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), promosso dalla Commissione tributaria regionale della Toscana, nel procedimento vertente tra Prefabbricati Pistoiese srl e l’Agenzia delle entrate – direzione provinciale di Pistoia, con ordinanza del 18 gennaio 2016, iscritta al n. 122 del registro ordinanze 2016, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 luglio 2017 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera.

Ritenuto che la Commissione tributaria regionale della Toscana, con ordinanza del 18 gennaio 2016, iscritta al n.122 del registro ordinanze 2016, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del comma 7 dell’art. 10 (recte: dell’art. 12) della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111 e 117, primo comma, della Costituzione;
che, come evidenziato dalla rimettente, il giudizio principale attiene all’appello interposto dalla Prefabbricati Pistoiese srl avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Pistoia con la quale è stato solo parzialmente accolto il ricorso proposto dalla contribuente nei confronti di un accertamento, inerente redditi relativi all’anno 2008 e che, tra i motivi di impugnazione, vi è quello della asserita invalidità dell’accertamento per la mancata instaurazione del contraddittorio anticipato, in violazione del disposto di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000;
che, nella parte oggetto di censura, la disposizione in questione prevede che «[n]el rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.[…]»;
che, ad avviso della rimettente, tale disposizione – in linea con l’interpretazione offerta da ultimo dalla Corte di Cassazione, sezioni unite, con la sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, cui viene ascritto il portato proprio del «diritto vivente» sul tema in oggetto – garantisce il relativo modulo procedimentale, a pena di invalidità del conseguente accertamento, limitatamente, tuttavia, ai soli controlli effettuati tramite accessi, ispezioni o verifiche sui luoghi di riferimento del contribuente, meglio descritti dal comma 1 dello stesso art. 12; per i controlli fiscali realizzati in ufficio dai verificatori, in assenza di una specifica previsione normativa in tal senso, deve invece escludersi la presenza di un principio generale, immanente nel sistema, destinato ad imporre l’obbligo del contraddittorio preventivo all’atto impositivo, salvo che per i tributi armonizzati, in relazione ai quali detto obbligo è desumibile dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 e sempre che, come più volte ribadito dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, l’interessato abbia dato prova dell’incidenza effettiva della violazione sulla formazione dell’atto che ha recato pregiudizio allo stesso;
che, secondo la Commissione rimettente – considerato il limitato perimetro dell’approfondimento probatorio proprio dei giudizi tributari, nei quali non è consentita l’assunzione di prove orali – la partecipazione del contribuente alla fase di formazione dell’atto impositivo deve ritenersi essenziale per garantire al destinatario il diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost., nonché piena parità nel corso della successiva fase processuale, anche in applicazione degli artt. 111 e 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti: CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata de resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, norma evocata quale parametro interposto rispetto alla censura prospettata ai sensi del primo comma dell’art. 117 Cost.;
che, inoltre, la limitazione del contradditorio preventivo, a pena di invalidità dell’atto, ai soli accertamenti realizzati a seguito di accesso sarebbe irragionevolmente discriminatoria per quei contribuenti che non hanno subito una verifica presso i locali di esercizio della relativa attività, con conseguente non manifesta infondatezza dei dubbi di illegittimità in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., parametro, quest’ultimo, evocato in ragione delle conseguenze che derivano dalla riscontrata diseguaglianza in ordine alla corretta individuazione dei dati fondanti la capacità contributiva;
che è intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo: in via pregiudiziale, l’inammissibilità della questione per la genericità della descrizione della fattispecie, tale da precludere alla Corte ogni valutazione sulla rilevanza della questione; nel merito, l’inconferenza degli artt. 24 e 111 Cost., nonché la manifesta infondatezza delle argomentazioni concernenti gli altri parametri.
Considerato che, nel dubitare della legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), la Commissione tributaria regionale della Toscana muove dal significato interpretativo attribuito a tale disposizione dalle sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, assunta come espressiva del diritto vivente formatosi sul tema del contraddittorio anticipato nel procedimento tributario;
che, ponendosi lungo questa direttrice interpretativa, è di immediata evidenza che, ai fini della rilevanza delle sollevate questioni, il giudizio principale deve avere ad oggetto un accertamento tributario: inerente tributi non armonizzati (poiché, per quelli armonizzati, l’obbligo di sentire previamente il destinatario dell’atto rinviene base giuridica nel principio generale dettato dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007); non preceduto da accessi, ispezioni o verifiche sui luoghi di riferimento del contribuente (giacché il modulo procedurale previsto, a pena di invalidità dell’atto, dall’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, appare delimitato solo alle descritte verifiche fiscali); non ricompreso tra quelli per i quali l’obbligo del contraddittorio anticipato è espressamente sancito dalla legge (perché ciò neutralizza in radice l’esigenza sottesa alla evocata verifica di costituzionalità);
che, alla luce di tali considerazioni, la sollevata questione è manifestamente inammissibile, per la inadeguata descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale, in quanto effettuata con modalità tali da non consentire a questa Corte la necessaria verifica della rilevanza della questione (ex plurimis, ordinanze n. 12 del 2017 e sentenza n. 218 del 2014);
che, in particolare, dal complessivo tenore della ordinanza di rimessione emerge, esclusivamente, che il relativo giudizio attiene ad un accertamento inerente redditi del 2008, fondato, tra l’altro, sulle risultanze «di 26 contratti di compravendita stipulati» dalla società ricorrente «in cui venivano indicati valori ritenuti non congrui dall’Amministrazione»;
che, anche ritenendo che l’atto impugnato non sia stato, nella specie, preceduto da un controllo fiscale con accesso, ispezione o verifica sui luoghi di riferimento della contribuente (perché diversamente sarebbe emersa l’immediata applicabilità della norma censurata, senza metterne in discussione la legittimità costituzionale), la lacunosa descrizione della fattispecie non consente di identificare le caratteristiche del procedimento che ha portato all’accertamento contestato e neppure l’effettiva natura di quest’ultimo;
che siffatta carenza descrittiva preclude a questa Corte – cui non è consentita la lettura degli atti di causa in ragione del principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione (tra le ultime, ordinanza n. 237 del 2016) – la possibilità di verificare se si verta o meno in una delle ipotesi per le quali il contraddittorio è comunque imposto ex lege (non potendosi eventualmente escludere, ad esempio, che l’accertamento risulti fondato anche su parametri standardizzati, quali gli studi di settore, per i quali, come è noto, l’obbligo di contraddittorio preventivo è imposto dal relativo dato normativo di riferimento);
che la questione deve essere dunque dichiarata manifestamente inammissibile.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), sollevata dalla Commissione tributaria regionale della Toscana in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111 e 117, primo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2017.

F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2017.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA


ORDINANZA N. 188

ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 32, 39 e 41-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), e dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Siracusa, nel procedimento vertente tra R.T. di S.G. & C. SAS e l’Agenzia delle Entrate – direzione provinciale di Siracusa, con ordinanza del 17 giugno 2016, iscritta al n. 235 del registro ordinanze 2016, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 luglio 2017 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

Ritenuto che la Commissione tributaria provinciale di Siracusa, con ordinanza del 17 giugno 2016, iscritta al n. 235 del registro ordinanze 2016, ha sollevato questione di legittimità costituzionale sia del comma 7 dell’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), sia degli artt. 32, 39 e 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111 e 117, primo comma, della Costituzione;
che nel giudizio principale, come evidenziato dalla Commissione rimettente, la società in accomandita semplice R.T. di S.G. & C. ha impugnato un avviso di accertamento con il quale l’amministrazione finanziaria, relativamente all’anno d’imposta 2010, ha rettificato il reddito dichiarato, intimando il pagamento del dovuto per imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e imposta sul valore aggiunto (IVA) e, che, a sostegno del ricorso, la contribuente ha sollevato alcuni temi pregiudiziali rispetto al merito dell’accertamento contestato e, fra questi, la violazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 perché non sarebbe stata rispettata la sequela procedimentale ivi prevista con violazione del diritto al contraddittorio preventivo;
che, così come rimarcato dalla Commissione rimettente, il dato normativo posto a fondamento dell’atto impugnato – nella specie, costituito dal combinato disposto di cui agli artt. 32, 39, comma 1, lettera d) e 41-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 – non prevede, per i tributi non armonizzati, un obbligo preventivo di instaurazione del contraddittorio prima della emissione dell’atto impositivo; ciò a differenza di quanto si desume, per i tributi armonizzati, dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e, per gli altri tributi, dall’art. 12, comma 7, della legge 212 del 2000, il quale, tuttavia, nell’interpretazione delle sezioni unite della Corte di Cassazione (sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823), deve ritenersi limitato alle sole verifiche legate ad accessi sui luoghi di riferimento del contribuente, diverse da quella sottesa al contenzioso oggetto del giudizio principale;
che, ad avviso del giudice rimettente, una siffatta interpretazione del dato normativo di riferimento viola l’art 117, primo comma, Cost., perché si pone in contrasto sia con l’art. 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 – giacché il procedimento che porta all’accertamento tributario, e dunque ad un titolo idoneo all’azione esecutiva, oltre che foriero di maggior importi per sanzioni e interessi, non risulta preceduto dal preventivo contradditorio con il contribuente – sia con l’art. 6 della CEDU, applicabile anche nei giudizi tributari, considerata la funzione deterrente e punitiva delle sanzioni correlate all’accertamento tributario;
che, inoltre, la Commissione tributaria provinciale di Siracusa fa propri i dubbi di legittimità costituzionale prospettati, in riferimento agli artt. 3, 53, 24 e 111 Cost., dalla Commissione regionale tributaria della Toscana, con ordinanza del 18 gennaio 2016, le cui argomentazioni, estese a tutte le disposizioni censurate con l’ordinanza in disamina, vengono pedissequamente ribadite;
che è intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo: in via pregiudiziale, più profili di inammissibilità delle questioni, e tra questi, in particolare, la genericità della descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale, nonché l’inadeguatezza della motivazione dell’ordinanza di rimessione, in relazione ai motivi di ricorso pregiudiziali rispetto al merito, diversi da quello concernente la violazione del contradditorio, logicamente ostativi, se fondati, all’applicabilità delle norme sospettate di incostituzionalità; nel merito, la manifesta infondatezza dei dubbi prospettati, per l’inconducenza dei riferimenti alla CEDU, nonché per l’inconferenza delle censure prospettate in relazione agli artt. 3, 24, 53 e 111 Cost.
Considerato che l’ordinanza in disamina non può ritenersi carente sotto il profilo della compiuta descrizione della fattispecie sottesa al giudizio principale;
che, infatti, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa dell’interveniente, risulta puntualmente evidenziato che, nel caso di specie, l’accertamento impugnato – motivato dalla contestata deducibilità di alcuni costi portati in dichiarazione, con una conseguente rettifica del reddito dichiarato ex art. 39 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) e una diversa determinazione, per quel che qui interessa, del quantum dovuto per l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) – ha seguito un cammino procedurale (caratterizzato dall’invito rivolto al contribuente ai sensi del comma 3 dell’art. 32 del citato d.P.R. n. 600 del 1973), estraneo alle ipotesi per le quali è previsto, ex lege, l’obbligo preventivo del contraddittorio;
che l’ordinanza è, tuttavia, manifestamente inammissibile perché, come sul punto correttamente rilevato dalla difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, la Commissione rimettente, benché abbia dato espressamente conto di alcuni profili del giudizio principale logicamente e giuridicamente pregiudiziali rispetto alla applicabilità delle norme censurate (in particolare, è decisivo il riferimento alla inesistenza della notifica dell’atto impugnato, con eccezione preliminare ed assorbente, perché inerente alla stessa puntuale instaurazione del rapporto processuale lamentata dal contribuente), non ha poi adeguatamente motivato, anche solo in termini di mera plausibilità, in ordine alle ragioni che permetterebbero di rigettare le dette eccezioni preliminari;
che, in particolare, deve ritenersi insufficiente al fine il riferimento alle difese spese, nel giudizio principale, su tali temi, dall’amministrazione finanziaria, la quale, nel costituirsi, avrebbe replicato su tali eccezioni pregiudiziali «depositando documentazione varia ed invocando giurisprudenza contraria alla tesi della ricorrente (che condurrebbe alla reiezione di tutte le censure ad eccezione di quella relativa alla violazione dell’art. 12 dello statuto del contribuente)»;
che un siffatto argomentare è, all’evidenza, apodittico, in mancanza della descrizione del tenore delle difese della parte interessata e, soprattutto, del contenuto dell’orientamento della giurisprudenza (peraltro, in difetto anche dell’indicazione degli estremi delle pronunce che l’avrebbero espresso) che dovrebbe, positivamente, sostenerne il portato;
che l’insufficienza della motivazione su tali motivi del ricorso proposto nel giudizio principale, il cui eventuale accoglimento sarebbe suscettibile di determinare l’annullamento dell’atto impugnato, finisce per ricadere negativamente sull’onere di argomentare adeguatamente in ordine alla rilevanza delle questioni, così da imporre la declaratoria di manifesta inammissibilità (tra le tante, ordinanze nn. 122 e 24 del 2015; ordinanza n. 158 del 2013).

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente) e degli artt. 32, 39, 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Siracusa in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111 e 117, primo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2017.

F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2017.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA


ORDINANZA N. 189

ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale promosso dalla Commissione tributaria regionale della Campania, nel procedimento vertente tra R.C. e l’Agenzia delle Entrate – direzione provinciale di Napoli, con ordinanza del 6 maggio 2016, iscritta al n. 261 del registro ordinanze 2016, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 luglio 2017 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera.

Ritenuto che con ordinanza del 6 maggio 2016, iscritta al n. 261 del registro ordinanze 2016, la Commissione tributaria regionale della Campania ha sollevato questione di legittimità costituzionale del «diritto nazionale» e dunque di «tutte le norme» interne che «a differenza del diritto dell’Unione europea», non prevedono alcun «obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria, vieppiù a pena di nullità», disposizioni ritenute in contrasto con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, nonché «comunque con criteri comuni di razionalità ed uniformità logico-giuridica, di diritto interno ed internazionale»;
che, certo il diritto al contraddittorio, anticipato in materia di procedimento tributario ove imposto dalla legge nazionale, o desunto, per i tributi armonizzati, dai principi fondamentali dettati dal diritto dell’Unione europea, la Commissione rimettente dubita, inoltre, della legittimità costituzionale – in riferimento agli articoli 3, 24 e 117, primo comma, Cost., nonché per asserito contrasto «con i criteri di razionalità e con i principi generali dell’ordinamento» – dell’interpretazione del dato normativo di riferimento offerta dalle sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza del 9 dicembre 2015, n. 24823, in forza della quale la previsione di «nullità, testuale o virtuale, per violazione del contraddittorio, sia essa riconosciuta in via interpretativa o per effetto della declaratoria delle norme in precedenza indicate», può essere riscontrata «unicamente a condizione che il contribuente in giudizio esponga le ragioni che avrebbe fatto valere nel mancato contraddittorio ed ancora a condizione che esse non appaiano pretestuose o devianti dai canoni di correttezza e lealtà»;
che, per quanto emerge dall’ordinanza di rimessione, il giudizio principale ha ad oggetto l’impugnazione della sentenza con la quale è stato rigettato il ricorso proposto da R.C. avverso l’avviso di accertamento comunicatogli dall’Agenzia delle entrate competente, relativo a pretese imposte dirette e imposte nel valore aggiunto (IVA) per l’anno 2009, in esito alla rettifica del reddito dichiarato, realizzata in applicazione del disposto di cui all’art. 39 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) e che, tra i motivi di gravame, il contribuente ha addotto il difetto di motivazione della sentenza impugnata avuto riguardo alla eccepita violazione del contraddittorio preventivo, indicato, in primo grado, quale vizio invalidante l’atto;
che, nel prospettare la questione, la Commissione rimettente muove dall’interpretazione offerta dalle sezioni unite della Corte di cassazione (con la sentenza n. 24823 del 2015, già richiamata), in ordine al limitato perimetro di operatività da assegnare all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), riferibile solo ai controlli fiscali realizzati tramite accessi, ispezioni o verifiche sui luoghi di riferimento del contribuente (comma 1 del citato art. 12) nonché alla affermata impossibilità di rintracciare, nell’ordinamento interno, un principio fondamentale, non positivizzato, che consenta, in via generalizzata, di dichiarare la nullità degli accertamenti resi senza il contraddittorio preventivo;
che, ad avviso del giudice a quo, una tale ricostruzione non sarebbe condivisibile perché frutto di un approccio interpretativo «burocratico», cui poteva altrimenti ovviarsi attraverso il possibile e lecito ricorso all’analogia o comunque mediante una interpretazione logico-sistematica e storico-evolutiva dell’insieme di disposizioni che prevedono ipotesi di accertamento precedute, a pena di invalidità, dall’obbligo di contraddittorio;
che, in ragione di tali premesse argomentative, la Commissione rimettente rassegna l’esigenza di «invocare una pronuncia quantomeno interpretativa della Corte costituzionale in ordine al tema in questione, onde chiarire se l’attuale stato della legislazione interna, integrato per quanto di ragione dall’assetto normativo europeo, consenta già di pervenire alla specifica affermazione di un obbligo generale del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria, semmai ricavandolo in via di estensione esegetica dall’art. 12, comma 7, legge n. 212/2000 o per converso legittimi la conclusione […] delle S.U. della Cassazione», dovendosi ritenere, in tale ultimo caso, che una siffatta interpretazione restrittiva si pone in conflitto con «l’art. 117, comma 1 Cost., e, per esso, rispetto ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, o quantomeno rispetto a criteri generali di razionalità ed uniformità con detto ordinamento», dando altresì corpo ad un ingiustificato distinguo fra tributi armonizzati e non armonizzati, perché finisce con il legittimare letture disciplinari differenti per «situazioni indubbiamente connotate da eadem ratio e come tali meritevoli di essere sussunte in una logica unitaria di trattamento normativo»;
che, inoltre, ad avviso della rimettente, la soluzione adottata dalla Corte di Cassazione in ordine alla sorte di tale violazione, laddove sia previsto il contraddittorio preventivo, per essere la stessa inidonea a produrre effetti invalidanti se il contribuente non espone, in giudizio, le ragioni che avrebbe fatto valere ove fosse stato sentito prima dell’adozione dell’atto, si pone in conflitto con gli articoli 3 e 24 Cost., per la asserita disparità di trattamento delle parti, con intollerabile sbilanciamento a svantaggio del contribuente, costretto comunque a vedere limitata e compromessa la sua difesa e con ulteriori ricadute anche sul rispetto dell’art. 117, primo comma, Cost., «almeno per quanto direttamente riguardante i tributi cosiddetti armonizzati», nonché «in genere per ogni tipo di tributi»;
che nel relativo giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo: in via pregiudiziale, più profili di inammissibilità delle questioni e fra questi, in particolare, quello relativo alla omessa individuazione delle norme sospettate di incostituzionalità; nel merito, l’inconferenza del parametro evocato a supporto della prima questione, mentre, per la seconda, l’infondatezza della relativa prospettazione, perché la perdita del gettito fiscale, correlata ad una violazione solo formale della regola procedimentale, deve ritenersi giustificata solo quando si riscontri una lesione effettiva della prospettive difensive del contribuente, così da evitare che la relativa contestazione non assuma contenuti meramente pretestuosi.
Considerato che, tra le numerose ragioni di inammissibilità delle questioni evidenziate dalla difesa dell’interveniente, appare decisiva ed assorbente quella inerente l’omessa individuazione delle norme sospettate di incostituzionalità;
che, in particolare, sia la prima che la seconda questione prospettate con l’ordinanza in oggetto devono ritenersi inammissibili per la generica e incerta formulazione del petitum sotto il profilo sia della individuazione delle specifiche disposizioni censurate, sia della conseguente indeterminatezza della pronunzia da adottare per eliminare i vizi di illegittimità costituzionale denunziati (sentenza n. 218 del 2014);
che manca, infatti, per entrambe le questioni, una puntuale identificazione delle norme censurate, del tutto assenti con riferimento alla seconda questione e inadeguatamente indicate per la prima, stante la inaccettabile genericità dei riferimenti al «diritto nazionale», nonché alle «norme che testualmente non prevedono il detto contraddittorio», contenuti nelle conclusioni e non altrimenti ovviati dalla complessiva lettura della ordinanza.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 117, primo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale della Campania con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2017.

F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2017.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA