201503.30
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Comm. trib. reg. Piemonte, sez. XXXI, 30 marzo 2015, n. 341 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI TORINO

TRENTUNESIMA SEZIONE

riunita con l’intervento dei Signori:

COTILLO GIOVANNI – Presidente

BORGNA PAOLO – Relatore

RETROSI YVONNE – Giudice

ha emesso la seguente

SENTENZA

– sull’appello n. 329/14

depositato il 07/03/2014

– avverso la sentenza n. 96/11/13 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di TORI(…)

contro: AG.ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE I DI TORINO

proposto dai ricorrenti:

(…)

(…)

difeso da:

(…)

(…)

(…)

Atti impugnati:

AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IRPEF-ADD.REG. 2006

AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IRPEF-ADD.COM. 2006

AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IRPEF-ALTRO 2006

AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IRPEF-ADD.REG. 2006

AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IRPEF-ADD.COM. 2006

AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IRPEF-ALTRO 2006


Svolgimento del processo


Con distinti ricorsi depositati in data 19/3/2012 presso la Commissione Tributaria Provinciale Torino, (…) impugnavano, rispettivamente, gli avvisi di accertamento n. (…) e (…) emessi a loro carico dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale I di Torino, per la rettifica, relativamente al periodo d’imposta 2006, dei redditi di partecipazione a questi imputabili in qualità di soci della (…) Snc (…) (…)

La (…) Snc, per il medesimo periodo di imposta 2006, aveva, infatti, subito un accertamento con cui l’ufficio, dopo aver rettificato su base presuntiva il prezzo di taluni immobili dalla stessa realizzati e poi ceduti a delle persone fisiche, aveva rettificato, in aumento, il maggior reddito imponibile dichiarato dalla stessa.

In seguito a tali vicende la (…) Snc, dopo aver ricevuto da parte dell’Ufficio l’invito a comparire n. (…), provvedeva a definire in adesione il suddetto accertamento ai sensi e per gli effetto dell’art. 4 comma 2, D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218.

I ricorrenti, pur partecipando in qualità di soci di (…) Snc al contraddittorio di detto procedimento di accertamento con adesione, ritenevano tuttavia di non aderire alla proposta concordataria formulata dall’ufficio, esercitando, a tal riguardo, la facoltà espressamente ammessa dalla vigente normativa applicabile nei casi di definizione degli accertamenti delle società di persone e dei rispettivi soci.

Cosicchè il reddito definito dalla sola (…) Snc con atto n. (…) del 8 /4/2011, è stato pro quota imputato, per trasparenza, ai soci ricorrenti ai quali sono stati conseguentemente notificati i predetti avvisi che i medesimi soci ricorrenti hanno regolarmente e tempestivamente impugnato nel merito con i ricorsi di cui in premessa.

In particolare, con i predetti ricorsi, veniva, in primo luogo, dedotta l’omessa motivazione degli avvisi (motivo sub n.1 e 2 dei ricorsi). Le parti ricorrenti eccepivano nel merito la totale infondatezza della tesi dell’ufficio in merito alla non congruità dei prezzi praticati dalla società con riferimento alle citate cessioni di immobili.

Nello specifico, venivano contestati non solo gli elementi di confronto ed i criteri utilizzati dall’ufficio per rettificare i predetti prezzi (motivi sub.4 dei ricorsi), ma anche le concrete modalità con cui lo stesso era giunto a determinare i maggiori redditi da riprendere a tassazione (cfr. motivi sub n.5 dei ricorsi).

Si costituiva l’ufficio controdeducendo ad ognuna delle eccezioni sollevate e rilevando la legittimità e la fondatezza dell’atto di impugnato.

La Commissione Tributaria Provinciale di Torino, dopo aver riunito i ricorsi, con sentenza n. 96/11/13 depositata il 29/7/2013 respingeva i ricorsi con la condanna alle spese di lite liquidate in Euro 1.000,00.

I signori (…) con atto di appello, impugnavano la predetta sentenza per i seguenti motivi:

– errori materiali commessi dalla CTP, in particolare errata identificazione delle parti ricorrenti;

– errata identificazione della società;

– errore sui fatti di causa;

– erroneità della decisione in merito al fatto che l’adesione perfezionata dalla Sead comporti la definitività di accertamento;

– carenza di motivazione;

– nel merito, riproposizione dei motivi non affrontati dalla CTP.

Si costituiva l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale I di Torino chiedendo il rigetto dell’appello.

Le conclusioni di parte appellante sono le seguenti:

Parte appellante: “dichiarare la nullità della sentenza; in limine litis disporre la sospensione ai sensi dell’art. 283 c.p.c. dell’efficacia esecutiva e dell’esecuzione della sentenza gravata; in via principale e nel merito, annullare gli avvisi di accertamento impugnati n. (…) e n.(…) in quanto basati su una pretesa illegittima e infondata; con rifusione delle spese di lite di prime e seconde cure”.

Parte appellata: “il rigetto dell’appello e la condanna del ricorrente alle spese di giudizio”.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La decisione di primo grado va riformata nel merito, sia pure confermando il rigetto di tutte le eccezioni formali proposte dai contribuenti, richiamate le considerazioni svolte nella decisione di I grado, nonché condividendo le ulteriori osservazioni di cui alla memoria di controdeduzioni dell’ufficio.

Esaminati i motivi di appello e prescindendo, perché superabili e riconoscibili, dagli errori materiali commessi in sentenza 96/11/2013 (errata identificazione delle parti ricorrenti ed errata indicazione della società di cui le parti ricorrenti erano soci), va preliminarmente rilevato che la Commissione Tributaria Provinciale di Torino non è entrata nel merito della questione azionata dai soci (…) sulla base di due erronei presupposti, sia di fatto che di diritto.

Di fatto affermando che la rettifica del reddito della società sarebbe stata sottoscritta dal Dott. (…) in forza di delega rilasciata anche dagli odierni appellanti.

Fatto non vero, in quanto agli atti risulta pacificamente che il verbale di adesione all’accertamento è stato sottoscritto dal dott. (…) (all.3 e 4 all’atto di appello) esclusivamente “per la società” e che altri soci non hanno impugnato l’accertamento, ma che i soci (…) non hanno inteso definire alcunchè con l’Agenzia delle Entrate, tant’è che hanno impugnato l’accertamento a loro carico.

Quindi per gli appellanti non vi è stato alcun riconoscimento delle risultanze dell’accertamento definito invece tra società e Agenzia delle Entrate di Torino.

L’atto definitivo di adesione n.(…) perfezionatosi tra la (…) Snc e l’Agenzia delle Entrate risulta sottoscritto esclusivamente dall’arch. (…) (e non dal Dott. (…)) quale rappresentante legale della nominata (…) Snc. Inoltre, anche il verbale di contraddittorio per l’accertamento con adesione di cui al protocollo n. 2011/89767 dell’8/4/2011 risulta sottoscritto esclusivamente dall’arch. Coda di cui, peraltro, lo stesso verbalizzante Dott.ssa (…) (pubblico funzionario dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale – Ufficio Controlli) accertava l’identità e la presenza al suo cospetto alla data del contraddittorio (8/4/2011). Inoltre nel suddetto verbale, sottoscritto dal solo Arch. (…), quest’ultimo dichiarava che “la parte ((…) Snc) accetta la determinazione dell’ufficio ed aderisce per la società”. In nessun senso può, quindi, affermarsi, come invece erroneamente ritenuto nella sentenza impugnata, che i soci ricorrenti, anche solo mediante delega conferita al Dott. (…), abbiano mai sottoscritto l’atto di adesione della (…) Snc. I soci ricorrenti, infatti, pur avendo partecipato al contraddittorio del citato procedimento di accertamento con adesione (a mezzo procura conferita al professionista Dott. (…)), hanno ritenuto di non aderire alla proposta concordataria alla quale ha aderito invece la sola società, come già sopra chiarito. Pertanto, la sentenza impugnata è affetta da un grave errore sul fatto che la invalida, atteso che, in sua assenza, il giudice di primo grado sarebbe giunto ad una diversa conclusione visto che ha ritenuto di dover respingere i ricorsi proprio in forza dell’adesione perfezionatasi in capo alla società (…) Snc in quanto ritenuta anche sottoscritta da tutti i soci.

Decisione erronea peraltro anche in diritto, ove si affermasse essere la rettifica del reddito della società, dalla quale discendono gli avvisi di accertamento impugnati definita “con adesione” anche per i soci.

Il teso della decisione peraltro non permette di comprendere quale sia il ragionamento della Commissione Provinciale. Se cioè ha ritenuto definitivo l’accertamento perché erroneamente ritenuto (come affermato dall’Agenzia delle Entrate) definito anche dai soci, ovvero ha ritenuto che il reddito definito con adesione dalla società sia immutabile e non ulteriormente impugnabile anche per i soci che non hanno aderito.

Nel primo caso la Commissione ha errato e, quindi, si deve valutare nel merito il ricorso dei contribuenti.

Ma anche nell’ipotesi che la Commissione nella sua “sintetica” motivazione abbia ritenuto, come sostenuto dall’ufficio nelle sue memorie ed in sede di discussione, che sia precluso il riesame dell’accertamento, ove definito per adesione o per quiescenza dalla società, questa Commissione deve comunque entrare nel merito.

Diversamente da quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate l’interesse ad agire sussiste a condizione che la domanda giudiziale risulti potenzialmente utile rispetto al provvedimento richiesto. Il principio dell’interesse ad agire recato dall’art. 100 c.p.c. ed applicabile anche al processo tributario prevede che “per proporre una domanda o per contraddire la stessa è necessario avervi interesse”.

Il principio previsto dall’art. 100 c.p.c. vuole evitare che vengano poste in essere azioni in cui l’accoglimento della domanda lascerebbe l’attore nella stessa situazione in cui si trovava prima del giudizio.

Nella fattispecie è evidente che il contribuente, raggiunto da un atto impositivo suscettibile di essere annullato, ove accolto il ricorso, dalla competente Commissione Tributaria, ha sicuramente lo specifico interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c..

Chiarito che il ricorso risulta sorretto da interesse ex art. 100 c.p.c., va valutata l’ulteriore osservazione dell’ufficio secondo cui “alla luce del ricorso introduttivo emerge che non è stata sollevata alcuna eccezione personale dal Sabena, ma solo eccezioni relative alla determinazione dei redditi della società, determinazione che era stata oggetto di contraddittorio e di adesione e divenuta inoppugnabile”.

Tale affermazione, per quanto attiene al diritto di difesa e per quanto di seguito argomentato, non può ritenersi condivisibile.

Sostenere, infatti, che la definità dell’accertato in capo alla società per effetto dell’adesione all’accertamento, comporti la definità del reddito da partecipazione dei soci estranei alla definizione, è assolutamente non conforme alla normativa in essere ed ai precetti costituzionali, nonché incoerente con il nostro sistema giuridico.

L’art. 4 comma 2 D.Lgs. n. 218 del 1997 afferma “nei confronti dei soggetti che non aderiscono alla definizione o che, benchè ritualmente convocati secondo le precedenti modalità non hanno partecipato al contraddittorio, gli uffici competenti procedono all’accertamento sulla base della stessa”. E’ chiaro, quindi, che per il legislatore vi è piena autonomia processuale-tributaria tra la posizione della società che ha prestato adesione (alla proposta concordataria dell’ufficio) e quella dei soci della stessa che non hanno prestato tale adesione. Infatti, come autorevolmente affermato dalla Corte di Cassazione ” i soci delle società di persone sono titolari di una soggettività tributaria autonoma rispetto a quella della società e le vicende del loro accertamento restano insensibili alle determinazioni che la società autonomamente assuma in relazione all’accertamento che la riguardi” (Cass. Sez. Trib., sent. 11/4/2011n.8168).

Peraltro, anche per la stessa amministrazione finanziaria, è principio assolutamente pacifico che le vicende processuali-tributarie dei soci delle società di persone siano autonome rispetto a quelle della società partecipata. Infatti, come chiarito dalla risoluzione ministeriale n.235/E/1997 “la definizione produce i suoi pieni effetti solo per coloro che hanno aderito”. Inoltre, la successiva circolare del 16/2/2009 n.4/E afferma che “in relazione agli inviti al contraddittorio nei confronti sia dell’entità collettiva che dei soggetti partecipanti, ciascuno di essi potrà autonomamente aderire ai contenuti dell’invito ricevuto”. Ancora, la recente circolare dell’Agenzia delle Entrate, 19/3/2012 n.9/E ha precisato, con riferimento al procedimento di mediazione, che “ai fini delle imposte sui redditi di società e dei soci….i rapporti vanno considerati autonomi e indipendenti (perciò) la società può concludere la mediazione autonomamente rispetto ai soci”.

Né si può ritenere che i soci estranei all’adesione o che si trovino di fronte ad un accertamento per qualsiasi motivo non impugnato dalla società partecipata (disinteresse, calcolo di convenienza diverso da quello dei soci, contrasto tra soci, opportunità finanziarie rapporto costi / benefici) abbiano perso ogni possibilità di far valere le loro ragioni di contestazione dell’accertamento, le loro eccezioni sullo stesso, e quindi il loro diritto alla difesa e ad un regolare accertamento della loro effettiva capacità contributiva.

Ciò tanto più, ove nelle società di persone ad un accertamento oggetto di quiescenza da parte della società, non sia seguito un effettivo riparto ai soci dei maggiori utili accertati o riconosciuti dalla società.

Diversamente ragionando, si avrebbe la compressione del diritto difesa del contribuente e una sua tassazione legata in modo indissolubile a scelte operative (tra l’altro in relazione a tributi diversi) di soggetti terzi. Ciò non è costituzionalmente ammissibile.

L’art. 24 della Costituzione è inserito nella parte I, dedicata ai “diritti e doveri dei cittadini” ed ai rapporti civili. Quindi l’art. 24 della Costituzione, ed il diritto in esso tutelato, si trova accanto a tutte le forme di libertà, che costituiscono il fondamento e i valori garantiti dell’ordinamento democratico. Il diritto di difesa è, pertanto, posto come diritto inviolabile costituzionalmente garantito.

Il primo comma dell’art.24 della Costituzione afferma che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.

Si tratta di una norma che, diversamente da quanto si riscontra in altri articoli della carta fondamentale, si rivolge a tutti, e non solo ai cittadini, estendendo, in tal modo, la garanzia a qualunque soggetto, pubblico o privato, che possa vantare una posizione giuridica verso altri soggetti privati o verso la Pubblica Amministrazione, per far valere un proprio diritto (soggettivo) o interesse legittimo, nel nostro ordinamento.

La Corte Costituzionale con la sentenza n.18 del 1992, sottolinea come il diritto alla tutela giurisdizionale vada considerato tra “i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in cui è intrinsecamente connesso, con lo stesso principio democratico, l’assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio”.

Conseguentemente, ogni norma o sua interpretazione che finisse con eludere o vanificare (o, addirittura, eliminare) la piena possibilità di agire in giudizio, potrebbe di per sé, violare il principio costituzionale alla piena difesa.

Questo principio della nostra Costituzione è stato affermato e ribadito anche dalla Corte di Giustizia Europea che, con decisione 14/12/2008 nel procedimento C.349/07 (Caso Sopropè – Governo del Portogallo), ha affermato che: “in base alla giurisprudenza della Corte, il principio del rispetto dei diritti della difesa impone che ogni soggetto nei confronti del quale si intenda assumere una decisione ad esso lesiva deve essere messo in condizione di far conoscere utilmente il proprio punto di vista” (v. in particolare, sentenza 24/10/1996, causa C-32/95 P, Commissione/Lisrestal e a., Racc. pag. I-5373, punto 21; 21/9/2000, causa C-462/98 P, Mediocurso/Commissione, Racc. pag. I-7183, punto 36, e 12/12/2002, causa C- 395/00, Cipriani, Racc.pag.I-11877, punto 51).

E il trentaseiesimo “considerando” ha affermato: “orbene, il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo”.

Questi principi, peraltro, sono stati recepiti dalla Corte di Cassazione che, anche se in “obiter dieta”, ha affermato che: “in presenza di tale imputazione automatica del reddito sociale ai soci (presunzione legale iuris et de iure) (art. 5 TUIR) la difesa a questi di fronte alla pretesa erariale (quando non venga contestata la qualità di socio o la quota di partecipazione) deve necessariamente trovare uno spazio processuale per interloquire sulla determinazione del reddito della società (dal quale dipende la ripresa nei loro confronti), altrimenti la presunzione si risolverebbe in una palese violazione del diritto di difesa e del principio della tassazione in base alla capacità contributiva (artt. 24 e 53 Cost.)”.

Si noti, inoltre, che con la sentenza n.27145 del 16/12/2011, la Corte di Cassazione ha ribadito la posizione assunta con la richiamata sentenza n. 14815/2008 precisando che in caso di adesione da parte della società di persone “resta evidentemente salva la possibilità del socio di contestare la pretesa tributaria spiegata contro di lui…..diversamente l’intangibilità, da parte del socio, delle conclusioni contenute nell’accertamento con adesione sottoscritto dalla società si tradurrebbe in una palese lesione degli artt. 24 e 53 della Costituzione”.

Tale principio era peraltro stato già da tempo affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n.1946 del 12/2/2001, anch’essa avente ad oggetto un accertamento disposto nei confronti di un socio di una società di persone. In tale occasione i giudici di legittimità avevano affermato che “deve ritenersi sempre consentita al socio, allorchè gli sia notificato l’avviso di rettifica del suo reddito personale, la possibilità di tutelare i propri diritti nel modo più pieno e, quindi, anche contestando nel merito l’accertamento del suo reddito di partecipazione, a nulla rilevando che nel frattempo l’accertamento del reddito societario sia divenuto definitivo” (in senso conforme Cass. 27/1/2001 n.1184).

Deve quindi essere respinta la conclusione sostenuta dall’ufficio nelle proprie controdeduzioni secondo cui “l’odierno ricorrente ha già avuto modo di difendere i propri interessi nel procedimento di adesione, e che, una volta definito questo, non può più sollevare eccezioni relative alla società”.

Come già rilevato con la sentenza n. 27145 del 16 dicembre 2011, la Corte di Cassazione ha ribadito la posizione assunta con la sentenza n. 14815/2008 precisando che in caso di adesione da parte della società di persone “resta evidentemente salva la possibilità del socio di contestare la pretesa tributaria spiegata contro di lui convenendo in giudizio anche la società e gli altri soci, attesa la unitarietà del presupposto impositivo”.

La Corte di Cassazione ha, quindi, subordinato l’azione in giudizio del socio estraneo all’adesione per la contestazione del reddito imputato alla società alla circostanza che il giudizio sia istaurato osservando l’istituto del litisconsorzio necessario, che nella fattispecie si riduce ai due soli ricorrenti, stante l’acquiescenza degli altri e della società all’accertamento. Ma da questa sentenza discende anche che, per la Corte di Cassazione, il presupposto per l’azione giudiziale del socio rimasto estraneo all’adesione non può e non deve essere circoscritto alla presenza di eccezioni di tipo personale. Infatti, se il giudizio deve instaurarsi secondo l’istituto del litisconsorzio necessario, la domanda del ricorrente non potrà, evidentemente, che fondarsi su eccezioni diverse da quelle personali.

Deve, quindi, essere respinta la tesi dell’ufficio supportata da taluna non approfondita giurisprudenza (peraltro non puntuale) di Cassazione (Cass. 27/9/2013 n.22188), secondo cui il ricorso, in quanto non fondato su eccezioni personali del ricorrente, risulterebbe inammissibile.

Questo anche perché, se così non fosse, verrebbe violato un altro principio costituzionale, quello di cui all’art. 111 che sancisce il diritto ad “un giusto processo” cioè quello secondo il quale il processo può considerarsi giusto “solo in quanto la sua regolamentazione per legge realizzi pienamente le condizioni previste nel 2 comma (111) facendo sì che qualsiasi processo si svolga nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale, con le garanzie legali di ragionevole durata”. Il legislatore, con la modifica costituzionale, ha voluto, infatti, introdurre una vera e propria clausola generale del sistema delle garanzie costituzionali della giurisdizione, in forza della quale deve trovare ingresso all’interno della giurisdizione ogni principio e potere processuale ritenuto necessario per un’effettiva e completa tutela delle ragioni delle parti, peraltro in linea con gli art. 6 e 13 della Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificata il 4/8/1955 n.848).

Se il contribuente non potesse far valere le sue difese (pur nella presunzione ex lege del reddito attribuitogli dalla società) con elementi di fatto e diritto che prescindono dalle decisioni di terzi, si avrebbe, non solo una violazione delle norme costituzionali dell’art. 24, dell’art.111 della Costituzione, ma anche del disposto dell’art. 3 e 53 della Costituzione.

Ritenuto, quindi, che il socio abbia sempre la possibilità piena di contestare l’accertamento societario per effetto del quale gli vengono automaticamente attribuiti redditi, questa Commissione, stante la carenza di motivazione sul punto della decisione della Provinciale, deve necessariamente entrare nel merito della controversia ripresa dagli appellanti con la riproposizione dei motivi 4 e 5 dei ricorsi originali.

In via preliminare il presupposto delle argomentazioni dell’ufficio è rappresentato da una presunta “non congruità” del prezzo a cui la (…) Snc aveva dichiarato di aver ceduto, nel corso del 2006, taluni immobili edificati in seguito al completamento di un piano immobiliare di edilizia abitativa in località Scalenghe (TO).

L’ufficio invoca, peraltro, la violazione del divieto di scelte antieconomiche che, a suo parere, si estrinsecherebbero nei seguenti elementi (che sono la base della rettifica):

a) i prezzi praticati dalla Sead Snc risulterebbero non congrui rispetto a quelli riportati sul borsino del giornale a diffusione locale “l’Eco del Chisone”;

b) uno degli acquirenti dei suddetti immobili avrebbe pagato un prezzo addirittura inferiore rispetto all’importo del mutuo contratto;

c) ci sono discordanze di valori tra le varie villette vendute.

Tuttavia, esaminati gli atti, non emerge da alcuna circostanza documentata o contabile che provi che la (…) Snc abbia praticato prezzi inferiori alla media di mercato, e non esiste alcun riscontro soggettivo del fatto presunto. I cessionari degli immobili sono dei privati cittadini e nessun riscontro bancario o con interrogazione degli stessi, è stato fatto dall’ufficio.

Peraltro, nel caso di specie, il maggior importo del mutuo contratto dal signor N., risultava destinato ad eseguire dei lavori inerenti l’abitazione acquistata. Tale circostanza è incontrovertibilmente attestata e provata dal fatto che nell’atto pubblico di vendita relativo all’appartamento ceduto al signor (…) viene affermato quanto segue: “la vendita è fatta per il prezzo complessivo dichiarato dalle parti in EURO centomila è centesimi zero zero (100.000,00) oltre IVA di EURO quattromila e centesimi zero zero (4.000,00), per totali EURO centoquattromila e centesimi zero (104.000,00) dando atto le parti, personalmente od in persona di chi sopra, che nelle entità immobiliari compravendute sono stati eseguiti direttamente dalla parte compratrice i seguenti lavori: costituzione dei sottofondi per i pavimenti e successiva posa dei pavimenti e degli zoccolini, posa dei rivestimenti delle pareti del servizio e dell’angolo cottura, rinzaffo frattazzato con soprastante arricciatura sui muri e sui solai e posa dei controtelai per le porte e le finestre.

Il maggior importo del mutuo contratto dal signor (…), rispetto al prezzo di acquisto, risultava, quindi, destinato ai lavori di completamento e ristrutturazione dell’immobile e non solo a pagare il prezzo, con ciò inficiando la presunzione dell’ufficio.

Appare, pertanto, chiaro che l’ufficio è incorso in errore nel ritenere che l’erogazione di un mutuo di maggior valore rispetto al prezzo di vendita potesse nella fattispecie legittimare, ai sensi dell’art. 2727 Cod. Civ., l’esistenza di ricavi occulti in capo al venditore.

Ma vi è di più, i lavori effettuati, o da effettuare dal compratore nell’alloggio acquistato, provano che il bene veniva compravenduto in condizioni di incompletezza (pavimenti, sottofondi, rifiniture, infissi) e che quindi il prezzo non poteva essere quello di mercato.

In ogni caso la determinazione del prezzo per metro quadro delle unità immobiliari cedute dalla Società effettuata dall’ufficio risulta in contrasto con altri mercuriali.

Il prezzo medio di vendita praticato dalla (…) Snc pari ad Euro/mq 1.170 risulta, infatti, in linea con i prezzi medi di vendita che hanno caratterizzato il mercato degli immobili abitativi nel comune di Scalenghe nel medesimo periodo di riferimento, in più, stanti le caratteristiche qualitative degli immobili in questione, è evidente come fosse difficile conseguire prezzi di vendita superiori. Va inoltre fatto rilevare, come ben chiarito nei ricorsi, che il prezzo Euro/mq risulta in linea con i valori OMI stimati dall’Agenzia del Territorio di Torino (cfr. all. n 7 dei ricorsi) e dall’istituto Nomisma (cfr all. n. 8 dei ricorsi).

Se anche così non fosse, pare ingiustificato, tenuto conto della modesta qualità del complesso immobiliare venduto dalla (…), applicare alle vendite operate il valore massimo (1,250 Euro/mq) della forbice OMI essendo più logico utilizzare un valore medio (1170) con il quale il prezzo di vendita è coerente ( e ciò indipendentemente dalla considerazione che le opere non erano “chiavi in mano”).

Esaminando i dati Nomisma si vede che il prezzo medio/mq registrato nel Comune di Scalenghe, in relazione a compravendite di immobili Nuovi/Stato Manutentivo Ottimo effettuate nel 2006, è risultato pari a 1.142 Euro/mq e, quindi ad un valore addirittura inferiore rispetto al prezzo (1170 Euro/mq) praticato dalla (…) Snc nelle vendite realizzate nel medesimo anno. La presunzione dell’ufficio, che la Sead Snc abbia venduto gli immobili in questione a prezzi inferiori a quelli previsti dal mercato per immobili similari, non è quindi suffragata da alcun elemento certo o particolarmente fondato e accoglibile, stante comunque la modestia dello scostamento.

La considerazione è tanto più significativa in quanto nei ricorsi è specificato (senza contestazione dell’ufficio) che l’unità di misura “vano catastale” può avere una superficie minima di mq 9 e massima di mq 21, pertanto non potrebbe essere assunto quale omogeneo elemento di confronto tra immobili (come fatto dall’ufficio).

Inoltre, considerato che gli appartamenti del “Lotto A bi-familiare” sono chiaramente di qualità superiore a quelli del “Lotto B plurifamiliare” e sono, quindi, stati venduti a prezzi migliori (rispettivamente pari a 1280 Euro/mq e 1250 Euro/mq) rispetto a quelli mediamente conseguiti dalle vendite delle unità del Lotto B (plurivillette), che l’ufficio vorrebbe allineare, nei valori, al Lotto A). Con ciò viene meno anche l’ulteriore argomento di rettifica usato dall’Ufficio.

Per quanto sopra va rivista e riformata la parte motiva di sentenza ove si afferma l’esistenza di “immobili con la stessa categoria catastale, con lo stesso numero di vani e la stessa rendita sono stati venduti a prezzi differenti senza evidente giustificazione”, proprio perché i prezzi e il valore dei beni sono non solo logicamente e giustificatamente diversi, ma per di più sempre in linea con valori ufficiali di mercato.

Per quanto sopra l’accertamento a carico della società è privo di qualsivoglia fondamento di fatto e pertanto illegittimo, ne consegue che l’accertamento a carico dei soci appellanti sul maggior reddito attribuito per trasparenza, è infondato e da annullare.

Le spese, stante la particolarità della fattispecie e gli aspetti giuridici sui quali non vi è puntuale o costante giurisprudenza di Cassazione, vengono compensate per entrambi i gradi di giudizio.


P.Q.M.


In riforma dell’impugnata sentenza n.96/11/13 annulla gli impugnati avvisi di accertamento (…) e (…) del 2011 dell’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Torino I a carico di (…). Compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Torino, il 6 novembre 2014.