200611.17
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Comm. trib. prov. Macerata, sez. III, 17 maggio 2005, n. 36 (testo)

(Omissis). – Svolgimento dei fatti. – (Omissis) ha impugnato dinanzi a quest’Organo della Giustizia Tributaria l’avviso di rettifica n. (omissis), notificato in data 16 dicembre 2002 con il quale, in applicazione dello studio di Settore SD08U relativo all’attività di fabbricazione parti ed accessori con calzatura non in gomma cod. 19302, è stato ritenuto per l’anno 1998 uno scostamento dei ricavi denunciati per L. 52.851.000 cui è conseguito una maggiore imposizione per Iva per L. 10.570.000 liquidata, nell’atto medesimo, insieme con le sanzioni anche per presentazione di dichiarazione con dati inesatti.

Con il primo motivo del ricorso si eccepisce la nullità dell’avviso di accertamento, in quanto non è stato osservato prima della notificazione del medesimo il procedimento voluto dal Ministero con circolare n. 29/E del 11/4/02, essendo mancata tra l’altro la indicazione del funzionario responsabile del procedimento e comunque non rispettato affatto il principio del contraddittorio che è stato emesso totalmente in dispregio anche dall’art. 7 della L. 212/2000.

Con il secondo motivo si fa presente che lo studio di settore applicato dall’Ufficio non è aderente né coerente con lo stato del settore che è in crisi, dal momento che il settore delle calzature, nel cui ambito opera il ricorrente, è stato penalizzato con forte calo della produzione per effetto della presenza sul mercato di Paesi Emergenti che immettono nel mercato prodotti con più basso costo potendo disporre di manodopera i cui oneri sono molto più contenuti rispetto a quelli normalmente gravanti sulle ditte operanti nella nostra Regione.

Gli studi inerenti questo settore sono stati posti in discussione anche in sede di Osservatorio Provinciale nella riunione del 10 giugno 2003 ed in particolare è stato rilevato che nel settore dei conto terzisti al quale appartiene il ricorrente, dove la crisi è più acuta, non possono operare le presunzioni di cui allo studio di settore menzionato, perché non tiene conto delle variabili peculiari del settore stesso.

Si aggiungevano poi in un terzo motivo del ricorso degli accenni alla peculiarità di questa ditta la cui attività relativa al taglio tomaie non si colloca in modo appropriato nelle previsioni dello studio di settore applicato codice 19302, precisando anche che le macchine utilizzate per l’attività che svolta in collaborazione con la coniuge, sono di modesto valore ed obsolete, non utilizzate tutte per l’intera stagione, dovendosi anche considerare che nel corso dell’anno l’attività deve essere sospesa per almeno tre mesi in conseguenza del cambio stagionale, in attesa cioè delle nuove commesse per la stagione successiva.

Si chiedeva, quindi, la disapplicazione per illegittimità dell’atto impugnato e la condanna dell’Ufficio alla refusione delle spese del giudizio.

Si costituiva l’Ufficio in data 13 novembre 2003, rilevando che il contraddittorio non era dovuto dato che non si è operato sulla base degli studi di settore intesi come fonte diretta per l’accertamento, ma si sono utilizzati soltanto gli elementi di presunzione scaturenti dall’applicazione del procedimento dello studio di settore, in conformità alla norma di legge che consente di procedere alla rettifica dei redditi d’impresa (v. art. 39 comma 1 lettera d) del d.p.r. n. 600 del 1973) sulla base delle presunzioni semplici purché gravi, precise e concordanti.

In ogni caso il contraddittorio non è fonte di nullità alla luce della sentenza della Cass., sez. trib., 7 maggio 2003, n. 6910 che afferma che tale mancanza del contraddittorio non pregiudica il diritto di difesa del contribuente dinanzi alle Commissioni.

Nel merito rilevava l’Ufficio che gli studi di attore costituiscono legittima fonte di presunzioni aventi la natura voluta dalla legge ed al momento nessuna revisione dello studio applicato è ancora intervenuta, anche se è in corso il procedimento di revisione. In via principale chiedeva la reiezione del ricorso ed in subordine la sospensione in attesa del provvedimento di revisione dello studio di settore SD08U.

Il ricorrente con successiva memoria ha confutato le argomentazioni dell’Ufficio in fatto e in diritto.

Il ricorso è stato quindi deciso alla udienza del 21/1/2005.

Motivi della decisione. – Deve essere pregiudizialmente respinta la eccezione di nullità dell’accertamento fondato sull’applicazione degli studi di settore o comunque, sulle presunzioni che da essi è possibile trarre, in quanto nessuna nullità in proposito è configurabile alla luce della stessa giurisprudenza citata dall’Ufficio, Cass., sez. trib., 7 maggio 2003, n. 6910 secondo cui il previo contraddittorio non è previsto per legge e non potrebbe dar luogo a nullità, rimanendo non pregiudicato il diritto di difesa del contribuente in sede contenziosa.

Questa Commissione si è adeguata con recenti pronunce a tale orientamento, affermando che la potestà, data dalla legge all’Ufficio di procedere all’applicazione degli studi di settore, non è subordinata al previo contraddittorio, potendo il contribuente fornire tutte quelle stesse prove documentali che non è stato possibile esibire all’Ufficio stesso.

La circolare richiamata nel ricorso non costituisce di per sé fonte di diritto, trattandosi di mera istruzione interna diretta agli uffici i quali sono liberi anche di non adeguarvisi.

Il ricorso però è fondato nel merito.

Non sono contestati dall’Ufficio i fatti posti a base del ricorso e cioè che si tratta di un’attività di tagliatura tomaie per conto di ditte terzi e che il settore in cui tale impresa opera è particolarmente svantaggiato, tanto che lo stesso Ufficio riconosce che lo studio di settore applicabile alla fattispecie è in corso di revisione, tanto da chiedere per questo la sospensione del giudizio. È appena il caso di precisare che tale richiesta non può essere accolta, in quanto la nostra legge processuale non consente di addivenire a sospensione del giudizio al di fuori della pregiudizialità con altro processo, ma mai per pendenza di un procedimento meramente amministrativo.

In tale contesto non è affatto sufficiente, al fine di ritenere sussistenti presunzioni gravi, precise e concordanti il mero riferimento ai dati che risultano dallo studio di settore.

La Cassazione Sezione Tributaria 27/2/2002, n. 2891, ha chiaramente affermato che per potere applicare la norma di cui all’art. 39 comma 1 lettera d) del D.P.R. 600/73, non è sufficiente la applicazione automatica o aritmetica delle risultanze dello studio di settore proprio dell’attività operata dal contribuente, ma occorre che tali elementi siano confortati da altri indizi, che rendano giustificato lo scostamento del reddito desunto dallo studio stesso, ove il contribuente fornisca elementi da cui si può trarre la dimostrazione che la sua attività si discosta dalla rigida previsione di quello studio inteso nella sua astratta configurazione.

Se è vero che la Cassazione Sez. trib. con sentenza 2/12/2002 n. 17038, ha affermato che lo studio di settore può essere utilizzato per la ricostruzione del reddito del contribuente, tuttavia occorre che l’ufficio dimostri come sia stato previamente accertato che esistano gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta.

Solo in tale contesto si può ricorrere all’accertamento induttivo dei redditi ai sensi del citato art. 39. In sostanza la dimostrazione del discostamento tra redditi dichiarati e redditi accertati non può trovare la fonte in dati aritmetici, astratti o meramente presuntivi ma deve essere ancorata alla realtà della singola ditta, che riveli elementi obiettivi sintomatici di una grave incongruenza della sua dichiarazione. Sulla base di tali principi è impossibile parlare di gravi incongruenze allorquando l’attività svolta dal contribuente è connotata da uno stato crisi di mercato, testimoniato dalle stesse ammissioni dell’ufficio circa la necessità di rivedere quello studio di settore applicato nella fattispecie.

In tale contesto se fosse possibile ricorrere a soli dati ed elementi astratti, quali risultano dallo studio di settore, senza calarsi nella realtà del mercato in cui il contribuente opera, sorgerebbe un chiaro problema di costituzionalità della norma che ciò autorizzasse, dato che la capacità contributiva deve trovare agganci in dati obbiettivi e possibilmente certi, senza il ricorso a mere presunzioni astratte.

Fermo il principio che la normativa tributaria deve essere applicata in conformità ai principi nascenti dalla Costituzione, non vi sono dubbi che l’onere della prova della capacità contributiva spetta all’Ufficio in forza dello stesso statuto del contribuente, sicché appare senz’altro nella specie applicabile il principio di diritto sopra formulato dalla Suprema Corte in quanto il ricorso alla presunzione che nasce dallo studio di settore deve sempre concorrere con la dimostrazione dell’esistenza di gravi incongruenze tra quanto dichiarato e quanto si desume dalla specifica attività svolta dal contribuente medesimo.

Lo studio di settore costituisce un utile parametro per l’accertamento del maggior reddito ma solo in concorso con la dimostrata grave incongruenza che rappresenta la ragione per cui si ricorre allo studio di settore.

In sostanza lo studio di settore non è fine a se stesso, ma deve trovare la sua legittimità logico – giuridica in un contesto di elementi che fanno desumere per una simile grave incongruenza ritenuta fondamentale dalla Cassazione per cui si possa ricorrere allo studio di settore.

Nella specie di fronte alla peculiarità dell’attività svolta dal contribuente che è contrassegnata da una sicura crisi riconosciuta anche dall’Ufficio per dimostrare lo scostamento rilevante tra il dichiarato e l’accertato sarebbero occorsi elementi di sicura affidabilità logica che potessero far desumere la infedeltà della dichiarazione del contribuente medesimo.

Ma di tale ulteriore dimostrazione rispetto al puro dato aritmetico desunto dall’applicazione dallo studio di settore non vi è traccia nel presente giudizio.

Il ricorso pertanto deve essere accolto e le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo in atti.

P.Q.M. – La Commissione delibera di accogliere il ricorso e condanna l’Ufficio al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in complessivi Euro 530,99 di cui Euro 30,99 per spese ed Euro 500,00 per onorari e competenze. (Omissis)