201405.07
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Cass., sez. VI civ. T, 7 maggio 2014 (ord.), n. 9905 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CICALA Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, nei cui Uffici, in Roma, Via dei Portoghesi, 12 è domiciliata;

– ricorrente –

contro

B.M. residente a (OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta delega a margine del controricorso, dagli Avvocati CASA FEDERICO e Giuseppe Marini, elettivamente domiciliato nello studio del secondo in Roma, Via dei Monti Paridi, 48;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n.94/30/2011 della C.T.R. di Venezia – Mestre –

Sezione n. 30 in data 17.05.2011, depositata il 20 settembre 2011;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 02 aprile 2014, dal Relatore Dott. Antonino Di Blasi;

Sentito, per il controricorrente, l’Avvocato Tigani Sava Antonio, per delega del difensore;

Nessuno è presente per il P.M..


Svolgimento del processo – Motivi della decisione


Nel ricorso iscritto a R.G. n.25340/2012 è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

1 – E’ chiesta la cassazione della sentenza n. 94/30/2011, pronunziata dalla CTR di Venezia, Sezione n. 30 il 17.05.2011 e DEPOSITATA il 20 settembre 2011.

2 – Con tale decisione la Commissione Tributaria Regionale ha respinto l’appello dell’Agenzia Entrate e confermato la sentenza di primo grado, opinando che, nel caso, dalla documentazione in atti, si evincesse che il contribuente aveva titolo a conseguire il chiesto rimborso.

3 – Il ricorso di che trattasi, che riguarda impugnazione dell’avviso di accertamento, ai fini IRPEF per l’anno 2001, è affidata a due mezzi, con cui si deduce, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 37 e 37 bis, e art. 2697 c.c., nonchè omessa motivazione su fatto controverso e decisivo.

4 – L’intimato, giusto controricorso, ha chiesto che l’impugnazione venga dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.

5 – La questione posta dal ricorso va esaminata, tenendo conto dei principi desumibili da pregresse pronunce della Corte di Cassazione.

E’ stato affermato che “Il principio secondo cui, in forza del diritto comunitario, non sono opponibili alla Amministrazione finanziaria quegli atti posti in essere dal contribuente che costituiscano “abuso del diritto”, cioè che si traducano in operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale, deve estendersi a tutti i settori dell’ordinamento tributario, e dunque anche all’ambito delle imposte dirette, prescindendosi dalla natura fittizia o fraudolenta della operazione;

ed incombe sul contribuente la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti con carattere non meramente marginale o teorico”. (Cass. n. 8772/2008, n. 25374/2008, n. 25537/2011, n. 10549/2011, n. 11236/2011).

E’ stato, pure, affermato che “ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Cass. n. 1756/2006, n. 890/2006).

5 bis – L’impugnata decisione non sembra in linea con i richiamati principi, non avendo, fra l’altro, indicato i concreti elementi utilizzati nel percorso decisionale, nè esplicitato l’iter logico giuridico seguito per giungere ad escludere l’intento, meramente, elusivo dell’operazione ed avendo pretermesso l’esame di elementi e circostanze, in ipotesi idonei a giustificare una diversa decisione.

I giudici di appello, in vero, hanno, sostanzialmente, respinto l’appello dell’Agenzia Entrate, a motivo che la stessa “non ha fornito alcuna prova a sostegno della propria tesi”, secondo la quale il negozio era stato posto in essere per ottenere un indebito beneficio fiscale. Sul piano argomentativo i detti giudici hanno richiamato le opposte difese delle parti, limitandosi, conclusivamente, a notare che “il genuino intento di arricchire il donatario”, era, nel caso, desumibile dal fatto che il donatario aveva potuto godere del controvalore dei beni oggetto della donazione. Non hanno considerato i medesimi Giudici, elementi e circostanze, denunciate dall’Agenzia, che inducevano, ragionevolmente, a ritenere che la donazione a favore del coniuge era dettata dall’intento di evitare la plusvalenza che si sarebbe determinata in esito alla già avviata procedura espropriativa.

Non hanno, neppure, considerato che il bene donato era soggetto a vincolo espropriativo, desumibile dalle delibere del 19.02.1999 e del 03.05.1999, rispettivamente, adottate dalla Giunta e dal Consiglio Comunale di Breganze, cioè pochi giorni prima della donazione intervenuta il 24.05.1999 e, neppure il vincolo di coniugio che legava donante e donatario e gli effetti connessi all’esistenza di detto rapporto.

Non hanno, ancora, considerato le rilevanti conseguenze fiscali ricollegabili all’operazione, quali desumibili dai valori risultanti dall’originario atto di provenienza (successione) e da quelli esposti dal contribuente nella propria dichiarazione.

Elementi tutti evidenziati nell’accertamento, e riproposti nei successivi atti di causa e, da ultimo, nel ricorso di che trattasi.

6 – Si ritiene, dunque, sussistano i presupposti per la trattazione del ricorso in Camera di Consiglio e la definizione, proponendosene l’accoglimento, per manifesta fondatezza, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c..

Il Relatore Antonino Di Blasi.

La Corte, vista la relazione, il ricorso, il controricorso e gli altri atti di causa;

Considerato che il Collegio condivide tutte le argomentazioni, in fatto ed in diritto, svolte nella relazione;

Ritenuto che, in base alle stesse ed ai richiamati principi, il ricorso va accolto, nei sensi indicati, e per l’effetto va cassata la decisione impugnata;

Considerato che a diverso opinamento non inducono le considerazioni ed i rilievi svolti dal contro ricorrente con la memoria, ex art. 378 c.p.c., da ultimo depositata;

Considerato, in vero, che con gli stessi vengono prospettate questioni e ragioni difensive, afferenti il negozio giuridico intercorso tra i coniugi e le relative patologie, che, a tutto concedere, potranno essere esaminate e valutate, ove riproposte e ritenute rilevanti, dal Giudice del rinvio;

Considerato, infatti, che risultando prospettata la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 37 e 37 bis, e dei principi alla relativa stregua affermati, ciò che rileva, agli effetti fiscali, è essenzialmente la sussistenza dell’intento elusivo, a prescindere dalla legittimità, sul piano civilistico, del negozio posto in essere;

Considerato, altresì, che il Giudice del rinvio, che si designa in altra sezione della CTR del Veneto, procederà al riesame e quindi, attenendosi al quadro normativo di riferimento ed ai richiamati principi, deciderà nel merito ed anche sulle spese del presente giudizio di legittimità, offrendo congrua motivazione;

Visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c..


P.Q.M.


Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata decisione e rinvia alla CTR del Veneto.

Così deciso in Roma, il 2 aprile 2014.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2014