201909.27
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Cass., sez. VI civ. -T, 27 settembre 2019 (ord.), n. 24126 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –
Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5071-2018 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE’ DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

  • ricorrente –
    contro
    PARCO SCIENTIFICO E TECNOLOGICO DELL’ALTO LAZIO SCARL;
  • intimato –
    avverso la sentenza n. 4160/12/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA, depositata il 11/07/2017;
    udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CONTI ROBERTO GIOVANNI.
    Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, contro la SCARL Parco Scientifico Tecnologico dell’Alto Lazio, impugnando la sentenza resa dalla CTR Lazio indicata in epigrafe che, per quanto qui ancora interessa, ha rigettato l’impugnazione dell’Ufficio contro la decisione di primo grado che aveva annullato la ripresa a tassazione di IVA indebitamente detratta per l’anno di imposta 2010, in relazione all’assenza di operazioni imponibili.
Secondo la CTR la contribuente, esercente attività imprenditoriale nel campo dell’innovazione tecnologica alle aziende dell’Alto Lazio con trasferimento del know how in via esclusiva, aveva dimostrato di avere acquistato con fatture relative agli anni dal 2009 al 2012, regolarmente sottoposte al pagamento dell’IVA, consulenze necessarie per la realizzazione del progetto finanziato dalla Regione Lazio relativo alla realizzazione di innovazioni tecnologiche da trasferire alle aziende, in tal modo confermando di avere effettuato operazioni attive nel periodo successivo, durante il quale aveva emesso, quando era stata posta in liquidazione, alcune fatture per l’anno 2014(nei confronti della BME s.r.l.) e nell’anno 2015(in favore della Ceramica Flaminia s.r.l.). Aggiungeva la CTR che non poteva dubitarsi che l’beni acquistati fossero finalizzati all’attività di ricerca scientifico-tecnologica e, dunque, nell’esercizio dell’impresa, a nulla valendo la circostanza che l’attività fosse stata finanziata da contributi pubblici erogati in favore delle imprese nei confronti delle quali veniva svolta l’attività di ricerca, queste pagando un corrispettivo per l’attività svolta dalla società cooperativa, ancorchè coperto da un contributo pubblico. Peraltro, l’inerenza all’attività commerciale esercitata non richiedeva una correlazione temporale fra gli acquisti e le cessioni, potendo queste intervenire a distanza di anni a causa di circostanze particolari relative all’andamento dell’attività. L’Agenzia non aveva dunque dimostrato che il Consorzio fosse privo della qualità di soggetto passivo IVA e non avesse diritto alla detrazione dell’IVA pagata sugli acquisti di beni necessari all’esercizio dell’attività di ricerca scientifico tecnologica rientrante nei suoi scopi sociali.
La parte intimata non si è costituita.
Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e dell’art. 2697 c.c.. La CTR avrebbe erroneamente riconosciuto la detraibilità dei costi portati dalle fatture, senza considerare che la parte contribuente non aveva dimostrato il nesso di inerenza nè le circostanze che avevano giustificato la difformità temporale fra acquisti e cessioni, non potendo a ciò valere le tre operazioni valorizzate dalla CTR rispetto ad una situazione nella quale, dall’anno 2008 al 2012 l’ente, posto in liquidazione, non aveva mai dichiarato operazioni rilevanti ai fini IVA nè ricavi commerciali. Nè, d’altra parte, vi era stata dimostrazione della correlazione fra gli acquisti e le operazioni indicate dalla CTR. II motivo è fondato nei termini di seguito esposti.
E’ consolidato il principio secondo cui sia ai fini della deduzione dei costi in tema di imposte dirette sia ai fini di detrazione Iva, incombe sul contribuente l’onere di provare l’inerenza del bene o del servizio acquistato all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene o del servizio all’esercizio dell’attività medesima (cfr. Cass. n. 13300/17, Cass. n. 18475/16, Cass. n. 21184/14, Cass. n. 16853/13).
Va ancora chiarito che mentre le cessioni di beni da parte di società commerciali sono da considerare in ogni caso (cioè senza eccezioni) effettuate nell’esercizio dell’impresa, ai fini della detraibilità dell’imposta è onere di chi l’invoca provare che le operazioni passive sono state effettivamente compiute nell’esercizio dell’impresa, e cioè in stretta connessione con le finalità imprenditoriali, sicchè un tale accertamento deve essere compiuto non già in astratto bensì in concreto, e va rapportato all’oggetto sociale (v. Cass., 17/2/2010, n. 3706; Cass., 4/2/2005; Cass., 9/4/2003, n. 5599).
Sulle operazioni attive resta pertanto detraibile esclusivamente l’IVA relativa all’acquisto di beni necessari per l’esercizio vero e proprio dell’impresa, dall’imprenditore effettivamente destinati alla realizzazione degli scopi produttivi programmati, e il requisito dell’inerenza dell’acquisto all’esercizio dell’impresa va identificato mediante raffronto tra l’operazione passiva e quelle attive, dovendo essere cioè provata la strumentalità della prima rispetto a queste ultime, già compiute o anche soltanto programmate (v. Cass. n. 26439/2017) e con valutazione – quella della strumentalità di un acquisto rispetto all’attività imprenditoriale o professionale da effettuarsi in concreto, tenendo conto dell’effettiva natura del bene, in correlazione agli scopi dell’impresa o della professione (cfr. Cass. n. 8628 del 2015, Cass. n. 16696/2016).
Si è, ancora aggiunto, da parte della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, che quanto “(…)agli acquisti di beni ed in generale alle operazioni passive occorre accertare, ai fini della detraibilità dell’imposta, che ricorra l’effettiva inerenza all’esercizio dell’impresa, cioè il loro compimento in stretta connessione con le finalità imprenditoriali, senza, tuttavia, che sia richiesto il concreto esercizio dell’impresa, potendo la detrazione dell’imposta spettare anche nel caso di assenza di operazioni attive…”, in coerenza con quanto stabilito dalla Corte di giustizia, secondo cui “in assenza di circostanze fraudolente o abusive e fatte salve eventuali rettifiche…, il diritto a detrazione, una volta insorto, rimane acquisito anche se l’attività economica prevista non ha dato luogo ad operazioni imponibili” (Corte giust. 29 novembre 2012, C-257/11, SG Gran Via Moinesti s.r.l., punto 29; Corte giust. 29 febbraio 1996, 1996, C-110/94 INZO, punti 20-21; Corte giust. 19 gennaio 1998, C-37/95, Ghent Coal Terminal, punti 19-23-cfr. Cass. 31 marzo 2011, n. 7344 e Cass.n. 27351/2013).
II principio si collega a quello, ulteriore, per cui la detrazione dell’IVA regolata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, connessa all’inerenza all’attività di impresa di beni o servizi, è configurabile in presenza di documentate spese di investimento, sostenute in vista di un’iniziativa complessa, anche in assenza di operazioni attive, senza che occorra il concreto esercizio dell’impresa stessa (Cass. n. 1863/2004; Cass., n. 5739/2005; Cass., n. 8583/2006, Cass. n. 3106/2013).
Orbene, nel caso di specie la CTR non risulta essersi pienamente conformata ai superiori principi, poichè ai fini della prova dell’inerenza la stessa si è limitata a porre in correlazione i costi per attività rientrante fra gli scopi imprenditoriali dell’ente- che nemmeno l’Agenzia contesta- con l’esistenza di tre fatture relative a cessioni, senza tuttavia offrire alcun elemento che consentisse di porre una qualsivoglia correlazione fra le consulenze oggetto delle fatture in acquisto con quelle eseguite nel triennio successivo, allorchè la parte contribuente versava peraltro in stato di liquidazione. Non è dunque possibile inferire dalla motivazione della CTR se il giudice di appello abbia vagliato tale correlazione fra acquisti e vendite, nemmeno avendo la CTR indagato sulla strumentalità degli acquisti rispetto alle cessioni dei beni anche se non realizzate nello stesso anno d’imposta. Ciò che palesa l’errore in diritto della motivazione nel quale è incorsa la CTR. Sulla base di tali considerazioni, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR Lazio in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR Lazio in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.
Depositato in cancelleria il 27 settembre 2019