201505.13
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Cass., sez. trib., 8 aprile 2015, n. 6971 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13646-2008 proposto da:

L.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE XXI APRILE 11, presso lo studio dell’avvocato MORRONE CORRADO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SUCK LIKOLAUS giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI ROMA (OMISSIS);

– intimato –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 21/2007 della COMM.TRIB.REG. del LAZIO, depositata il 03/04/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/03/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato MORRONE che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio che ha concluso per il rigetto del ricorso.


Svolgimento del processo


1. In data 6.4.01, veniva notificato dall’Ufficio all’arch. L. S. un invito al contraddittorio, per la definizione dell’accertamento in corso dei redditi del 1996, poichè – in applicazione di parametri presuntivi di cui al D.P.C.M. 29.1.96, emessi in forza della L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181, – sulla base dell’entità delle spese per acquisti finalizzati alla produzione del reddito professionale ed alla consistenza dei beni strumentali impiegati, risultavano accertati ricavi in misura superiore a quella dichiarata dal contribuente.

1.1. In data 19.11.01, dopo che l’arch. L. aveva inviato all’Ufficio una relazione illustrativa con la relativa documentazione, veniva, quindi, notificato al contribuente un avviso di accertamento, con il quale l’Amministrazione finanziaria recuperava a tassazione l’IRPEF e l’IVA non versati, in relazione ai maggiori compensi determinati in via presuntiva, e con il quale l’Ufficio irrogava le relative sanzioni.

2. L’atto impositivo veniva impugnato dall’arch. L. dinanzi alla la CTP di Roma, che rigettava il ricorso.

3. L’appello avverso tale pronuncia, proposto dal contribuente veniva, del pari, rigettato dalla CTR del Lazio, con sentenza n. 21/29/07, depositata il 3.4.07, con la quale il giudice di seconde cure riteneva del tutto legittima l’applicazione, nel caso di specie, dei parametri presuntivi di cui al D.P.C.M 29.1.96, all’esito del contraddittorio che reputava regolarmente instaurato con il contribuente nella fase amministrativa.

4. Per la cassazione della sentenza n. 21/29/07 ha, quindi, proposto ricorso l’arch. L.S. affidato a sei motivi, illustrati, altresì, con memoria ex art. 378 c.p.c. L’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.


Motivi della decisione


1. Con le sei censure proposte avverso la decisione di seconde cure, l’arch. L.S. deduce quanto segue.

1.1. Con il primo motivo di ricorso, il L. denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e ss., L. n. 400 del 1988, art. 17, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5 e L. n. 241 del 1990, art. 21 septies, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che – contrariamente a quanto affermato dalla CTR – il D.P.C.M. 29.1.96, recante l’elaborazione dei parametri, per la determinazione di ricavi, compensi e volume di affari, ai sensi della L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e ss., avrebbe natura di fonte normativa regolamentare e sarebbe, quindi, soggetto alla disciplina di cui alla L. n. 400 del 1988, art. 17. Ne discenderebbe, pertanto, che – non essendo stato mai richiesto, nè acquisito, il prescritto parere del Consiglio di Stato – il decreto in parola sarebbe affetto da nullità L. n. 241 del 1990, ex art. 21 septies, con conseguente nullità derivata anche dell’avviso di accertamento adottato in applicazione di tale disposizione regolamentare.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso, il L. denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e ss. e D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Si duole il ricorrente del fatto che la CTR abbia ritenuto che il contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria si fosse correttamente svolto. Per contro, non soltanto – a seguito della notifica dell’invito al contraddittorio ed alla trasmissione, da parte del L. di una relazione illustrativa con allegata documentazione – l’Ufficio avrebbe emesso l’avviso di accertamento (notificato il 19.11.01) prima della data fissata per un incontro con il contribuente (stabilita per il giorno 22.11.01), ma nell’atto impositivo l’Amministrazione non avrebbe, altresì, in alcun modo preso in considerazione le ragioni addotte dal L. ed i documenti dal medesimo esibiti. Ne discenderebbe, a parere del ricorrente, la nullità dell’avviso di accertamento impugnato.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso, l’arch. L.S. denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e ss., D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32, 38 e 39, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 e art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Avrebbe, invero, errato la CTR – a parere del ricorrente – nel ritenere legittimo l’avviso di accertamento emesso sulla base della mera applicazione matematica dei parametri induttivi di cui al D.P.C.M. 29.1.96 – adottati in forza del disposto della L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181 – alla dichiarazione del contribuente, senza che fossero state effettuate altre ispezioni o verifiche a carico dello stesso, e senza avere acquisito alcun altro dato o notizia certa in merito alla presunta evasione posta in essere dal contribuente.

1.4. Con il quarto motivo di ricorso, il L. denuncia l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La CTR, ad avviso del ricorrente, non avrebbe – difatti – adeguatamente considerato le peculiari circostanze familiari, allegate dall’appellante, nelle quali il medesimo era venuto a trovarsi, dapprima per la grave malattia della moglie, dipoi per la necessità di dedicarsi – dopo il decesso della medesima – alla cura ed all’educazione dei due figli, all’epoca minorenni. Inoltre, il giudice di appello avrebbe erroneamente disatteso la documentazione versata in atti, diretta a comprovare la disponibilità, da parte del L., di risorse finanziarie diverse, che gli avrebbero consentito di affrontare la contrazione professionale nell’anno in contestazione.

1.5. Con il quinto motivo di ricorso, l’arch. L. denuncia l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Si duole il ricorrente del fatto che la CTR abbia erroneamente affermato che, per dimostrare che lo studio di settore SK18U – approvato nelle more del giudizio e prodotto in atti – forniva dati a lui più favorevoli, il contribuente avrebbe dovuto elaborare e produrre in giudizio un apposito prospetto contabile. La produzione dello studio in parola, invero, avrebbe dovuto, di per sè, consentire al giudice di appello di confrontare autonomamente i dati e decidere in senso favorevole alla tesi dell’appellante.

1.6. Con il sesto motivo di ricorso, il L. denuncia, infine, la violazione e falsa applicazione della L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e ss., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 46 e D.Lgs. n. 633 del 1972, art. 43, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Avrebbe, invero, errato la CTR – a parere del ricorrente – nel ritenere legittima l’irrogazione delle sanzioni per infedele dichiarazione, benchè l’illecito tributario fosse stato accertato mediante presunzioni, desumibili dall’applicazione dei parametri di cui alla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e ss., e non mediante il concreto accertamento degli elementi costitutivi dell’illecito.

2. Il secondo motivo di ricorso – concernente il contraddittorio instaurato dall’Amministrazione finanziaria con il contribuente, prima dell’emissione dell’atto impositivo – si palesa pienamente fondato e va accolto, risultandone assorbiti gli altri motivi.

2.1. Ed invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte (cfr. Cass.S.U. 26635/09; 12558/10; 13594/10; 22599/12; 13741/13;

11633/13), la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” (art. 2728 c.c.) determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente.

2.2. In una lettura costituzionalmente orientata (artt. 3, 24 e 53 Cost.) delle norme sull’applicazione dei parametri o degli studi di settore, infatti, il ricorso agli elementi da essi desumibili non può che dare luogo ad una presunzione semplice, la cui idoneità probatoria è rimessa all’esame del giudice di merito, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c.. Siffatta valutazione di idoneità non potrà, difatti, che essere operata dal giudicante sulla base della comparazione tra i dati desumibili dai suddetti indici parametrici e le risultanze del contraddittorio, che i parametri costituzionali succitati esigono sia indefettibilmente instaurato con il contribuente, anche a prescindere da previsioni normative espresse in tal senso. L’attuazione di un contraddittorio preventivo – valorizzata, altresì, dalla previsione della procedura di accertamento con adesione, contenuta nel D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5, nonchè dalla disposizione secondo cui i professionisti e gli imprenditori in contabilità ordinaria possono essere destinatari di un accertamento con l’applicazione dei parametri in parola solo laddove la contabilità risulti inattendibile a seguito di un verbale di ispezione (L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181, lett. b)) – consentendo la personalizzazione dell’accertamento parame-trico, in relazione alle diverse situazioni gestionali ed alla localizzazione dell’attività svolta dal contribuente, viene – per vero – a porsi come un efficace correttivo dell’astrattezza dell’elaborazione statistica propria dei parametri in questione. Alla stregua di tale impostazione – in una prospettiva costituzionalmente orientata – viene, pertanto, ad evitarsi che il metodo di accertamento si traduca in un’inammissibile determinazione automatica del reddito del contribuente, senza che quest’ultimo abbia avuto la possibilità di interloquire in alcun modo al riguardo (cfr. C. Cost. 105/03; C. Cost. 140/03, che, sulla base di tali considerazioni, hanno riconosciuto la legittimità costituzionale dei parametri in questione).

2.3. Da quanto suesposto discende, per un verso, che in sede di contraddittorio preventivo il contribuente ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, per altro verso, che la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento dai parametri, altrimenti vanificandosi del tutto le finalità del contraddittorio, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con l’indicazione delle ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. Per il che, l’Ufficio può motivare l’accertamento esclusivamente in base dell’applicazione degli “standards”, nella sola ipotesi in cui il contribuente non aderisca all’invito al contraddittorio, rimanendo del tutto inerte. In tal caso, infatti, l’Amministrazione – in assenza di elementi di segno contrario offerti dal soggetto sottoposto ad accertamento – non potrà che dare conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, mentre la mancata risposta da parte di quest’ultimo dovrà essere valutata dal giudice, nel quadro probatorio emergente dagli atti del giudizio (Cass.S.U. 26635/09; Cass. 11633/13).

2.4. Ebbene, nel caso di specie, l’arch. L. afferma – nel ricorso per cassazione – di avere inviato all’Amministrazione finanziaria, dopo la notifica dell’invito al contraddittorio, una “relazione illustrativa in cui ribadiva e spiegava i compensi da attività professionale percepiti e dichiarati, nonchè le ragioni della riduzione della propria attività lavorativa nel tempo e fino all’anno di imposta 1996” per le ragioni familiari ivi indicate (p. 2), nonchè di avere trasmesso all’Ufficio “diversi documenti per confutare le presunzioni dell’Amministrazione”. D’altro canto, è la stessa impugnata sentenza a dare atto che il contribuente avrebbe prodotto “a più riprese”, a seguito di formale invito da parte dell’Amministrazione finanziaria “documentazione contabile e non” a sostegno delle proprie ragioni.

2.5. E tuttavia, l’Ufficio – non soltanto ha emesso l’atto impositivo prima dell’incontro fissato con il contribuente – ma, cosa ben più grave, non ha tenuto in alcun conto, nel motivare tale atto, nè le ragioni dal medesimo fatte valere con la relazione illustrativa, nè la documentazione ad essa allegata, l’una e l’altra inviate all’Amministrazione a seguito della notifica dell’invito al contraddittorio.

2.5.1. Ed infatti, la motivazione dell’avviso di accertamento – trascritta, nei suoi passaggi essenziali nel ricorso per cassazione nel rispetto del principio di autosufficienza – si limita ad asserire (p. 2), quanto segue: “l’applicazione dei parametri previsti dal decreto del presidente del consiglio dei ministro 29 gennaio 1996 ha determinato compensi maggiori di quelli dichiarati nella misura di L. 113.366.000, fondatamente attribuibili alla S.V. con riferimento alle caratteristiche della specifica attività svolta”.

2.5.2. Ma vi è di più. Nella medesima pagina 2 dell’atto impositivo, l’Ufficio soggiunge: “preso atto che la S.V. non ha ottemperato all’invito al contraddittorio notificato dall’ufficio ai sensi del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5”, mostrando, in tal modo, di non avere affatto preso in considerazione le allegazioni difensive del contribuente e la documentazione prodotta a supporto delle stesse.

2.6. A fronte di tali elementi, è – pertanto – evidente l’erroneità dell’impugnata sentenza, laddove la CTR afferma che l’esito negativo del contraddittorio sarebbe dipeso “dalla non condivisione, da parte dell’Ufficio, della idoneità della documentazione in parola, ai fini perseguiti dal contribuente”. E’ di chiara evidenza, infatti, che la suddetta documentazione non è stata assolutamente considerata dall’Amministrazione, posto che, non soltanto di essa l’avviso di accertamento non fa menzione alcuna, ma addirittura si spinge ad affermare – contrariamente al vero – che il contribuente non avrebbe neppure partecipato al contraddittorio.

2.7. Se ne deve necessariamente inferire che, dovendo ritenersi – per le ragioni suesposte – affetto da nullità l’avviso di accertamento emesso senza preventivo contraddittorio con il L., la censura in esame non può che essere accolta.

3. L’accoglimento del secondo motivo ricorso, assorbiti gli altri, comporta la cassazione dell’impugnata sentenza. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 1, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente.

4. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico della resistente, nella misura di cui in dispositivo.

Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei giudizi di merito.


P.Q.M.


La Corte Suprema di Cassazione;

accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbili gli altri; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente; condanna l’Amministrazione resistente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 7.500,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge; dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 24 marzo 2014.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2015