202005.06
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Cass., sez. trib., 6 maggio 2020 (ord.), n. 8489 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18540/14 R.G. proposto da:

Q.G., rappresentato e difeso, per delega a margine del ricorso, dall’avv. Francesco Bonito Oliva, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Biagio Mizzoni, in Roma, via Paolo Emilio, n. 57;

  • ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

  • controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della Basilicata n. 163/2/13 depositata in data 28 maggio 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 dicembre 2019 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

Svolgimento del processo

che:

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Potenza che aveva accolto il ricorso proposto da Q.G. avverso l’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2000 con il quale era stato rideterminato, con metodo sintetico il D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, un maggior reddito di lire 155.701.168 imputabile a spese per incrementi patrimoniali sostenute tra il 2000 e il 2004 relative ad acquisti di azioni – perfezionati con tre scritture private autenticate – del 29 dicembre 2000 e del 4 agosto 2003 ed a spese per il possesso di un’autovettura a benzina.

La Commissione tributaria regionale della Basilicata, con la sentenza in epigrafe indicata, accoglieva l’appello riformando la sentenza di primo grado.

Osservava che l’Agenzia delle Entrate aveva riconosciuto l’efficacia dell’atto notarile del (OMISSIS), con il quale era stato rettificato il valore nominale delle azioni della società La Calzatura s.p.a. al netto delle perdite subite, acquistate con precedente atto del (OMISSIS), e che i giudici di primo grado, nel valutare l’accertamento sintetico, non avevano tenuto conto anche della scrittura privata autenticata del 29 dicembre 2012, riguardante l’investimento avente ad oggetto l’acquisto di n. 100 azioni della Fusco s.p.a. al prezzo di lire 100.000.000, avendo preso in esame solo le altre due scritture private autenticate del (OMISSIS).

Rilevava, di conseguenza, che l’accertamento sintetico, sebbene di importo inferiore a seguito dell’accertato minor valore delle azioni della società La Calzatura s.p.a., era pari alla sommatoria delle tre scritture private, ossia ad Euro 106.071,00, importo al quale andava aggiunto il valore dell’autovettura, pari a Euro 1.261,00; evidenziava, altresì, che anche muovendo dal prospetto di calcolo depositato dal contribuente, non si poteva tenere conto, ai fini della capacità di spesa, nè del compenso percepito dal contribuente quale amministratore di società, atteso che la percezione della relativa somma era avvenuta in base a cedolino di conguaglio nel gennaio 2001 e non nel 2000, nè dell’indennità di trasferta, corrisposta in busta paga unitamente allo stipendio base e alle altre voci della retribuzione, perchè, essendo volta a ristorare le spese sostenute, aveva natura risarcitoria e non retributiva. Riteneva pure che il reddito del coniuge non potesse concorrere a formare il reddito prodotto dal momento che risultavano documentati i redditi relativi agli anni 2002, 2003 e 2004, ma non quello relativo all’anno 2000.

Affermava, quindi, che era corretto l’assunto dell’Agenzia delle entrate secondo il quale permanevano i presupposti di legge per l’accertamento sintetico, sia pure per un importo inferiore, rispetto al reddito prodotto, pari a Euro 10.914,19 (stipendio base), comunque al di fuori della tolleranza del quarto.

Per la cassazione della suddetta decisione ricorre Q.G., con sei motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Motivi della decisione

che:

  1. Con il primo motivo il contribuente, denunciando “violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., artt. 88 e 115 c.p.c., – Violazione del principio di non contestazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, sostiene che l’Ufficio non aveva sollevato contestazioni sulla circostanza dedotta in primo grado secondo la quale la ricostruzione della capacità contributiva avrebbe dovuto tenere conto anche dei redditi prodotti nell’anno 2000 dal coniuge del contribuente, titolare di reddito di lavoro dipendente, pari a lire 16.994.642; la Commissione regionale, anzichè ritenere pacifica la circostanza, aveva affermato che il reddito del coniuge non potesse concorrere a formare il reddito prodotto in quanto risultavano documentati solo redditi del 2002, 2003 e 2004, ma non quello del 2000, incorrendo nella violazione della disposizione dell’art. 115 c.p.c..

1.1. Questa Corte ha già chiarito (Cass. 6 febbraio 2015, n. 2196) che il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., ormai divenuto principio generale del processo, come tale suscettibile di essere applicato anche nel processo tributario (Cass. n. 1540 del 24/1/2007; Cass. n. 23710 del 1/10/2018; Cass. n. 7127 del 13/3/2019), concerne esclusivamente il piano probatorio dell’acquisizione del fatto non contestato, ove il giudice non sia in grado di escluderne l’esistenza in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo.

1.2. Nel caso in esame, l’Agenzia delle entrate, sia in primo che in secondo grado, ha chiesto il rigetto del ricorso, contestando in tal modo tutti i motivi, le eccezioni e difese dedotti dal contribuente, e i giudici regionali hanno ritenuto di escludere che il reddito del coniuge potesse concorrere a formare il reddito prodotto nell’anno 2000 in difetto di prova documentale delle somme percepite, non offerta dal contribuente.

Va, dunque, esclusa la denunciata violazione di legge.

  1. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e lamenta che la Commissione regionale, dopo avere accertato l’efficacia probatoria dell’atto di rettifica del 8 gennaio 2003 – in ordine al valore effettivo dell’atto di compravendita di n. 750 azioni della società La Calzatura s.p.a. – riconoscendo che il prezzo delle azioni era inferiore a quello rilevato dall’Amministrazione finanziaria, ha comunque integralmente confermato l’avviso di accertamento senza procedere ad una rideterminazione del maggior reddito imponibile.

Il motivo è fondato.

Nella decisione impugnata la Commissione regionale ha riconosciuto che, per effetto dell’atto di rettifica del (OMISSIS), l’importo complessivo delle tre scritture aventi ad oggetto l’acquisto delle azioni ammonta a Euro 106.071,00, ma ha poi integralmente confermato l’avviso di accertamento, ritenendo sussistenti i presupposti giustificativi dell’accertamento sintetico, senza provvedere tuttavia ad una rideterminazione della pretesa tributaria al fine di ricondurla alla giusta misura, pur risultando il maggior reddito presuntivamente accertato, in ragione del minor valore delle azioni acquistate, inferiore rispetto a quello originariamente contestato con l’atto impositivo.

Costituisce, infatti, principio consolidato e condivisibile di questa Corte quello secondo cui “il processo tributario è a cognizione piena e tende all’accertamento sostanziale del rapporto controverso, con la conseguenza che solo quando l’atto di accertamento sia affetto da vizi formali a tal punto gravi da impedire l’identificazione dei presupposti impositivi e precludere l’esame del merito del rapporto tributario – come nel caso in cui vi sia difetto assoluto o carenza di motivazione – il giudizio deve concludersi con una pronuncia di invalidazione, ostandovi altrimenti il principio di economia dei mezzi processuali, che consente al giudice di avvalersi dei propri poteri valutativi ed estimativi ai fini della decisione e, in forza dei poteri istruttori attribuiti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, di acquisire “aliunde” i relativi elementi prescindendo dagli accertamenti dell’Ufficio e sostituendo la propria valutazione a quella operata dallo stesso” (Cass., sez. 5, n. 11935 del 13/7/2012).

Pertanto, quando “il giudice (…) ravvisa l’infondatezza parziale della pretesa dell’amministrazione, non deve nè può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal petitum delle parti” (Cass. n. 17072 del 21/7/2010), dando “alla pretesa dell’amministrazione un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dalle parti contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli artt. 115 e 116 c.p.c., (…) in tal modo determinando il reddito effettivo del contribuente, e senza che ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando invece soltanto l’esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di determinazione del quantum della pretesa tributaria” (Cass. n. 1852 del 28/1/2008), essendo consentito al giudice tributario, in un giudizio che non è solo “sull’atto”, da annullare, ma anche e soprattutto sul rapporto sostanziale tra amministrazione finanziaria e contribuente, la riduzione della pretesa avanzata dalla prima con l’atto impositivo.

  1. Con il terzo motivo censura la sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere i giudici di appello omesso di pronunciarsi sulla questione controversa concernente la permanenza, per almeno due anni, dello scostamento di oltre un quarto tra reddito dichiarato e quello accertato dall’Amministrazione finanziaria.

Il motivo è infondato.

Il ricorrente si duole in sostanza di un vizio di omessa pronuncia che avrebbe dovuto essere dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e non di un vizio motivazionale.

Infatti, la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c., e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, si coglie nel senso che, mentre nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della domanda di appello), nella seconda ipotesi l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o l’eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia (Cass. sez. 2, n. 1539 del 22/01/2018).

Non ricorre, tuttavia, il vizio di omessa pronuncia quando, come nel caso di specie, la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (Cass., sez. 2, ordinanza n. 20718 del 13/08/2018; Cass. n. 24155 del 13/10/2017).

  1. Con il quarto motivo il contribuente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 51, comma 1.

Premesso che con il ricorso di primo grado aveva sottolineato che l’Ufficio aveva errato nell’individuare il reddito base sul quale aveva successivamente parametrato lo scostamento di oltre un quarto del reddito induttivamente ricostruito, non avendo preso in considerazione le somme percepite a titolo di amministratore di società, sostiene che la Commissione regionale ha errato laddove ha ritenuto che detti compensi, essendo stati incassati nell’anno 2001, non hanno concorso a formare il reddito relativo all’anno 2000.

La censura è infondata.

Come correttamente osservato dall’Agenzia delle entrate lo scostamento costituente presupposto per l’applicazione del metodo di accertamento sintetico va commisurato al reddito dichiarato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1.

Lo stesso ricorrente assume che i compensi ricevuti quale amministratore di società, sebbene percepiti nel gennaio 2001, sono stati riportati e, quindi, dichiarati nel CUD 2002 come reddito relativo all’anno di imposta 2001; ciò comporta che tali redditi non possono essere imputati all’anno d’imposta 2000 e che è del tutto irrilevante il richiamo al principio cd. di cassa allargato di cui al t.u.i.r., art. 51, comma 1, (già art. 48, comma 1). Peraltro, trattandosi di reddito percepito nel 2001, questo neppure può essere utilizzato, quale prova contraria, per giustificare una spesa effettuata nell’anno 2000.

  1. Con il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., perchè i giudici di appello hanno erronamente ritenuto che egli fosse possessore dell’autovettura presa in considerazione dall’Ufficio ai fini della ricostruzione della capacità di spesa, pur avendo egli offerto prova contraria allegando certificato del P.R.A. Il motivo è infondato.

In tema di ripartizione dell’onere della prova, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in questo caso vi sarà soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (Cass., sez. 1, n. 11949 del 02/12/1993).

  1. Con il sesto motivo il contribuente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 51, comma 5, per avere i giudici di secondo grado ritenuto che nella individuazione del reddito-base sul quale parametrare lo scostamento di oltre un quarto del reddito induttivamente ricostruito non dovessero essere prese in considerazione le somme attribuitegli a titolo di indennità di trasferta, pure documentate già in primo grado.

Il motivo è infondato.

Per il rimborso delle spese di trasferta il t.u.i.r., art. 51, comma 5, del distingue due diverse modalità: a) il rimborso analitico (o piè di lista) in cui il rimborso avviene sulla base delle spese effettivamente sostenute per il vitto, l’alloggio ed il viaggio, adeguatamente documentate; b) il rimborso forfettario, in forza del quale al dipendente viene data una provvista di denaro forfettaria con la quale sostiene le spese di vitto e alloggio; è inoltre prevista anche una possibilità di rimborso “misto”, ossia in parte analitico ed in parte forfettario.

Nel caso di rimborso analitico non si determina alcun riflesso di tassazione in capo al dipendente, poichè il riconoscimento di detti costi avviene sulla base della documentazione fornita dallo stesso dipendente e non può mai essere superiore alla spesa effettivamente sostenuta; invece, nell’ipotesi in cui si utilizzi il metodo forfettario, il citato t.u.i.r., art. 51, comma 5, del prevede un limite massimo oltre il quale l’importo forfettario riconosciuto al dipendente concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente.

Fatta questa premessa, nel caso di specie la Commissione regionale ha accertato che l’indennità di trasferta, corrisposta al contribuente in busta paga unitamente allo stipendio ed alle altre voci della retribuzione, è volta a ristorare le spese dallo stesso sostenute per l’effettuazione della trasferta ed ha, di conseguenza, correttamente ritenuto che tali somme abbiano natura meramente restitutoria e non retributiva, trattandosi di rimborso analitico di tali spese.

  1. In conclusione, va accolto il secondo motivo e vanno rigettati i restanti motivi, con conseguente cassazione della sentenza in relazione al motivo accolto e rinvio alla Commissione tributaria regionale della Basilicata, in diversa composizione, per il riesame in relazione alla censura accolta e per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo e rigetta i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Basilicata, in diversa composizione, cui demanda anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2020