201207.28
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Cass., sez. trib., 30 novembre 2011, n. 25537 (testo)

(omissis) Fatto – SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Con avviso notificato il 21-12-2006 l’Agenzia delle Entrate ufficio di Carpi notificava a S.M.C. Holding s.p.a. atto di accertamento di maggiori imposte ed interessi riferite ad IRPEG, IRAP. IVA dell’anno 2001, principalmente in relazione ad una complessa operazione all’esito della quale le società operative del gruppo S.M.C., di cui la società citata era controllante erano acquisite da Kelyan s.p.a. capofila di un gruppo societario con sede ad (OMISSIS).

L’Ufficio riteneva che, essendo la cessione avvenuta in due fasi, nella prima delle quali la S.M.C. Holding s.p.a. trasferiva a Kelyan s.p.a. il 60% delle partecipazioni delle controllate, laddove nella seconda trasferiva il residuo 40% non alla predetta, bensì ad altra società, S.M.C., computers, di cui acquisiva contestualmente il pieno controllo, la quale a sua volta cedeva dette quote residue di partecipazioni alla predetta Kelyan s.p.a., la seconda cessione ad una società diversa dalla definitiva acquirente non fosse giustificata da alcuna valida motivazione economica e fosse diretta soltanto ad acquisire vantaggi fiscali, che venivano negati con recupero a tassazione dei relativi importi considerando la operazione stessa come elusiva ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis.

La società impugnava l’avviso sostenendone la infondatezza, innanzi alla CTP di Modena, la quale respingeva il ricorso relativamente alle cessioni ritenute elusive, e lo accoglieva in ordine a rilievi minori in tema di IVA e di spese deducibili.

Avverso la sentenza la società contribuente proponeva appello principale, e l’Ufficio incidentale, in relazione ai punti in cui le parti erano state rispettivamente soccombenti.

La Commissione Tributaria Regionale della Emilia-Romagna, con sentenza n. 78/01/08 in data 12-5-2008 depositata il 27-10-2008 rigettava l’appello principale ed accoglieva l’incidentale, confermando pienamente l’atto di accertamento.

Avverso la sentenza la società propone ricorso per cassazione, con diciannove motivi.

La Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto – MOTIVI DELLA DECISIONE – (omissis) – Con il diciottesimo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 446 del 1997, art. 32, comma 2.

Assume che alla ipotesi di ritenuta elusione fiscale di cui all’art. 37 bis citato non può conseguire la applicazione di sanzioni, in quanto queste sono unicamente ricollegabili a violazioni di leggi tributarie, laddove la elusione delle stesse non costituisce violazione, ma semplice aggiramento delle stesse con strumenti astrattamente leciti, per cui unica conseguenza della elusione è la inopponibilità dell’atto alla Amministrazione finanziaria, con conseguente recupero della imposta e non la applicazione di una sanzione, come osservato dalla giurisprudenza comunitaria.

(omissis) Il diciottesimo motivo deve essere ritenuto infondato. È nota la esistenza in dottrina di una tesi secondo la quale l’art. 37 bis collocato peraltro nel D.P.R. n. 600 del 1973, nel titolo dedicato ad “accertamenti e controlli” ha natura meramente procedimentale e che pertanto, assumendo che il precetto normativo riguardi solo la Amministrazione, la quale “disconosce” gli atti elusivi dichiarati alla stessa non opponibili dell’art. 1, comma 1, del citato art. 37 bis, porta alla conclusione che il contribuente non abbia alcun obbligo giuridico di non esporre nella dichiarazione dei redditi dati tratti da operazioni suscettibili di essere considerate elusive, in quanto ciò non comporta alcuna violazione specifica di norme tributarie, consistendo la elusione in un “aggiramento” e non in una infrazione espressa del precetto di legge. Da tale lettura normativa discende che la dichiarazione dei redditi del soggetto che pone in essere operazioni elusive non può considerarsi infedele, per cui l’unica conseguenza prevista dall’art. 37 bis sarebbe il disconoscimento del vantaggio fiscale cui consegue la tassazione “determinata in base alle disposizioni eluse” (art. 37 bis, comma 2 cit.) e non la applicazione di sanzioni, per le quali, vigendo il principio di stretta legalità tratto dalla normativa in materia penale (D.P.R. n. 472 del 1997) è necessaria una norma che espressamente la preveda. Tale ultima considerazione, certamente condivisibile, porta ad escludere che una sanzione amministrativa in materia tributaria possa essere applicata a fronte della violazione non di una precisa diposizione di legge ma di un principio generale, quale quello antielusivo ritenuto immanente al sistema anche anteriormente alla introduzione di una normativa specifica, come ritenuto da questa Corte (Cass. Sez. Un. n. 30055 del 2008) e dalla giurisprudenza comunitaria. A proposito della quale può rammentarsi che la sentenza “Halifax” citata dalla ricorrente dichiara espressamente che “la constatazione della esistenza di un comportamento abusivo non deve condurre ad una sanzione per la quale sarebbe necessario un fondamento normativo chiaro e univoco”.

Ad avviso della Corte, tale fondamento normativo “chiaro ed univoco” è attualmente esistente.

L’art. 37 bis più volte citato prevede che la Amministrazione, in applicazione del disconoscimento del vantaggio fiscale ritenuto frutto di operazioni elusive, emetta avviso di accertamento, per cui prevede una speciale procedura ed un preciso obbligo motivazionale in relazione al criterio di calcolo delle maggiori imposte.

Quanto alle conseguenze di tale atto, il d.lgs. n. 471 del 1997, art. 1, comma 2, recita: “se nella dichiarazione è indicato, ai fini delle singole imposte, un reddito imponibile inferiore a quello accertato, o, comunque, un’imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante, si applica la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della maggior imposta o della differenza del credito. La stessa sanzione si applica se nella dichiarazione sono esposte indebite detrazioni d’imposta ovvero indebite deduzioni dall’imponibile, anche se esse sono state attribuite in sede di ritenuta alla fonte”.

Da tale disposizione si evince che la legge non considera per la applicazione delle sanzioni quale criterio scriminante la violazione della legge o la sua elusione o aggiramento, essendo necessario e sufficiente che le voci di reddito evidenziate nella dichiarazione siano inferiori a quelle accertate o siano “indebite” aggettivo espressamente menzionato nell’art. 37 bis, comma 1 cit.

In sostanza le sanzioni si applicano per il solo fatto che la dichiarazione del contribuente sia difforme rispetto all’accertamento.

Tale conclusione è rafforzata dal testo del comma 6 della stessa disposizione, che prevede che le maggiori imposte accertate siano iscritte a ruolo “secondo i criteri di cui al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 68, concernente il pagamento dei tributi e delle sanzioni pecuniarie in corso di giudizio” rendendo così evidente che il legislatore ritiene la applicazione di sanzioni come effetto naturale dell’esito dell’accertamento in materia di atti elusivi.

Presupposto di detta applicazione è il dato non contestato della diretta applicabilità alla fattispecie dell’art. 37 bis in relazione all’oggetto dell’accertamento (fusioni societarie, cessioni di quote, minusvalenze e plusvalenze).

Il motivo deve quindi essere rigettato con diversa motivazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., essendosi la CTR limitata ad osservazioni di senso comune non giuridicamente rilevanti.

(omissis) – P.Q.M. La Corte accoglie il quindicesimo motivo di ricorso, assorbito il sedicesimo, e rigetta i rimanenti. Cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Emilia-Romagna. (omissis)