201401.27
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Cass., sez. trib., 22 gennaio 2014, n. 1240 (testo)

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 8 ottobre 2013 – 22 gennaio 2014, n. 1240
Presidente Cirillo – Relatore Meloni

Svolgimento del processo

Con notifica di avvisi di accertamento per gli anni 1988, 1990, 1991 e 1992 l’Ufficio IVA Roma II procedeva al recupero dell’imposta IVA ai sensi degli artt. 54, 55 e 58 DPR 633/72 in quanto, per gli anni 1988 e 1992, nei quali la dichiarazione IVA non era stata presentata, accertava un volume d’affari pari al reddito indicato ai fini delle imposte dirette e per gli anni 1990 e 1991 rettificava la dichiarazione IVA disconoscendo una parte degli acquisti in quanto corrispondenti a costi indeducibili.
Avverso gli avvisi di accertamento, la società contribuente presentava ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma la quale accoglieva l’impugnazione con sentenza successivamente appellata dall’Agenzia delle Entrate e confermata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza nr. 7/7/06.
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del Lazio ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate con due motivi.
La società contribuente non ha spiegato difese.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente Agenzia delle Entrate lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 55 DPR 633/72 in relazione all’art. 360 comma 1 nr. 3 cpc perché i giudici di appello hanno ritenuto che “l’Ufficio abbia fondato la ricostruzione dei redditi per gli anni accertati equiparando il reddito imponibile IRPEG a quello imponibile IVA così confondendo due ambiti normativi disciplinati in maniera autonoma e distinta”.
Il motivo è fondato e deve essere accolto.
Infatti l’art. 55 DPR 633/72 consente all’Ufficio impositore, nel caso di mancata presentazione della dichiarazione annuale IVA, di determinare induttivamente “l’ammontare imponibile e l’aliquota applicabile sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’Ufficio” e tra tali dati può essere senza dubbio incluso il dato indicato dalla parte nella dichiarazione mod. 760 relativa allo stesso anno d’imposta e quindi applicando l’aliquota IVA del 19% al reddito accertato dall’Ufficio delle imposte per l’anno in esame (cfr. Cass. 792/03, 19321/06, 4381/11).
Tale affermazione è perfettamente in linea con l’orientamento consolidato più volte espresso dalla Corte secondo il quale “Nell’ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione da parte del contribuente, la legge abilita gli Uffici finanziari a servirsi di qualunque elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo ed anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al terzo comma dell’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sul presupposto dell’inferenza probatoria dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti, sicché, a fronte della legittima prova presuntiva offerta dall’Ufficio, l’onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della predetta pretesa incombe sul contribuente” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5228 del 30/03/2012 Presidente: Merone A. Estensore: Iacobellis M.).
Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente Agenzia delle Entrate lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 54 DPR 633/72 in relazione all’art. 360 comma 1 nr. 3 cpc in quanto la CTR ha ritenuto illegittimo, per gli anni 1990 e 1991 recuperare gli importi relativi alle spese di rappresentanza che per legge non possono essere portati in detrazione ai fini IVA.
Il motivo è infondato e deve essere respinto. Infatti qui l’Ufficio pretende di recuperare ai fini IVA le spese di rappresentanza, senza dimostrare che la contribuente le abbia inserite nel libro delle fatture degli acquisti per gli anni 1990 e 1991, affermando che doveva essere la parte a dimostrare di non aver inserito le suddette spese nell’ambito degli acquisti detraibili ai fini IVA, allegando a tal fine i registri e le fatture.
Ritiene il Collegio che tale presunzione non possa essere posta a base del recupero in quanto l’Ufficio non poteva spostare a carico della contribuente l’onere della prova negativa ma doveva dimostrare per poterle recuperare, anche se sulla base di presunzioni semplici purché gravi, precise e concordanti, che tali spese erano state detratte mentre ciò non risulta emergere nella fattispecie.
Per quanto sopra il ricorso deve essere accolto in relazione al primo motivo respinto il secondo, con conseguente pronuncia ex art. 384 c.p.c. (Cass. 6951/10).
Ritiene la Corte di compensare le spese del presente giudizio di legittimità, stante le ragioni delle parti.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso,rigetta il secondo, cassa “in parte qua” la sentenza impugnata, rigetta il ricorso introduttivo in relazione al primo motivo. Compensa le spese di giudizio di merito e di legittimità.