201504.01
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Cass., sez. trib., 20 marzo 2015, n. 5606 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

C.G., rappresentato e difeso per procura in calce al controricorso dagli Avv.ti Dominici Remo e Ongaro Franco ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Clitumno n. 51;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia, n. 68/03/09, depositata il 3.11.2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29.10.2014 dal Consigliere Dott. Roberta Crucitti;

udito per la ricorrente l’Avv. Eugenio De Bonis;

udito per il controricorrente l’Avv. Franco Ongaro;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico che ha concluso per l’accoglimento, per quanto di ragione, del ricorso.


Svolgimento del processo


C.G. propose distinti ricorsi avverso gli avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta dal 1998 al 2002, con i quali l’Agenzia delle Entrate aveva provveduto ad accertarne sinteticamente un maggior reddito, valorizzando, sulla base del cd.

redditometro, gli indici di spesa derivanti dal possesso, già dall’anno 1998, di un panfilo di circa 29 metri con equipaggio composto da sette persone.

Il contribuente, nel contestare la pretesa tributaria, rilevava, tra l’altro, che il natante era stato sottoposto a sequestro da parte dell’Autorità Giudiziaria già dal novembre 1999 per cui era impossibile che egli avesse sostenuto, negli anni successivi, le spese del relativo mantenimento.

L’adita Commissione Tributaria Provinciale, previa riunione dei ricorsi, li accoglieva e la decisione, appellata dall’Agenzia delle Entrate, veniva confermata dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna con la sentenza indicata in epigrafe.

In particolare, il Giudice di appello ha ribadito la nullità, già dichiarata in primo grado, degli avvisi perchè carenti di motivazione, in quanto agli stessi non erano stati allegati i documenti sui quali si fondava l’accertamento. Ha, poi, confermato la sentenza di primo grado, anche nel merito della pretesa tributaria, rilevando che, essendo pacifico che il natante era stato sottoposto a sequestro giudiziario dal novembre 1999, doveva escludersi che il contribuente avesse sostenuto, per i periodi di imposta successivi, i costi di uso e manutenzione.

Avverso la sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a dieci motivi, resistito con controricorso dal contribuente.


Motivi della decisione


1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la contraddittorietà della motivazione laddove la C.T.R. aveva ritenuto gli atti impositivi “privi di motivazione” dapprima in ragione dell’omessa dimostrazione in sede giudiziale dei fatti costitutivi della pretesa tributaria e, successivamente, in quanto non risultavano ad essi allegati i documenti richiamati per relationem e non conosciuti dal contribuente.

2-3. Tale passo motivazionale è fatto oggetto di censura anche con il secondo ed il terzo motivo con i quali la ricorrente denuncia, art. 360 c.p.c., ex n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 e art. 42, comma 2, L. n. 212 del 2000, art. 7.

Secondo la prospettazione difensiva, (quale esposta con il secondo motivo) e contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di appello (il quale aveva ritenuto gli atti impositivi, privi di motivazione in quanto essa Amministrazione non aveva dimostrato giudizialmente la fondatezza della propria pretesa) non era revocabile in dubbio che motivazione e prova dei fatti posti dall’Amministrazione a fondamento del proprio credito costituiscono due elementi ontologicamente distinti per cui l’obbligo di motivazione deve ritenersi assolto ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente il contenuto instaurando un apposito procedimento nell’ambito del quale l’Amministrazione sarà tenuta a passare dall’allegazione della propria pretesa alla prova del credito tributario vantato, fornendo la dimostrazione degli elementi costitutivi del proprio assunto. Inoltre, come esposto dalla ricorrente con il terzo motivo, la CTR aveva violato la L. n. 212 del 2002, art. 7 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, ultimo periodo affermando apoditticamente che gli avvisi di accertamento erano motivati per relationem e che trattandosi di atti non conosciuti nè notificati al contribuente la loro omessa allegazione agli atti impositivi ne determinava ex se l’illegittimità, senza in alcun modo, avere verificato se questi ultimi riproducevano il contenuto essenziale dei primi.

4. In subordine, con il quarto motivo, si deduce la mancanza di motivazione del capo di sentenza impugnato per non avere la C.T.R. considerato che gli atti richiamati erano mere note informative e che gli avvisi di accertamento indicavano, in modo puntuale e specifico, gli elementi di fatto considerati e l’iter logico seguito.

5. I motivi, involgenti la medesima questione (ovvero la motivazione dell’avviso di accertamento), possono trattarsi congiuntamente.

5.1. I primi due mezzi, con i quali si lamenta sostanzialmente, sotto il duplice profilo di vizio motivazionale e di violazione di legge, che il Giudice di appello abbia confuso il piano della motivazione dell’atto impositivo con quello della pretesa tributaria, sono infondati.

Non si rinviene, infatti, nella sentenza impugnata la ratio decidendi censurata (secondo cui gli atti impositivi sarebbero privi di motivazione perchè l’Amministrazione non avrebbe dimostrato la fondatezza della propria pretesa) laddove la decisione, in tal capo, risulta sorretta da argomentazioni relative all’allegazione o meno degli atti richiamati negli avvisi impugnati e dell’inidoneità, sempre ai fini dell’obbligo motivazionale degli atti impositivi, di una loro successiva produzione in giudizio.

5.2 E’, invece, fondato il terzo motivo.

Costituisce orientamento consolidato di questa Corte quello per cui nel regime introdotto dal L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (v. Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 9032 del 15/04/2013; Cass. n. 1906/2008; n. 6914/2011). E’ stato, poi, con divisibilmente, specificato che in tema di motivazione degli avvisi di accertamento l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo. Il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perchè ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto. Pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione (Cass. n. 26683/2009 del 18/12/2009 e nello stesso senso ex multis Cass. n. 2907/2010).

5.3.Nel caso in specie, per come è incontestato e risulta dal contenuto degli avvisi di accertamento (integralmente riportato in ossequio al principio di autosufficienza in ricorso), gli atti impositivi, per quello che qui specificamente interessa, davano atto che da elementi ed informazioni pervenute dall’Ufficio Analisi e Ricerca della Direzione Regionale delle Entrate della Regione Emilia Romagna e dal Nucleo della Guardia di Finanza di Bari l’Ufficio ha appurato che il contribuente in oggetto, a partire dal mese di marzo 1998, aveva la piena disponibilità di un panfilo denominato “(OMISSIS)” del quale sopportava interamente le spese. Seguivano, quindi, la descrizione delle caratteristiche dell’imbarcazione con la specificazione che la stessa era stata sottoposta a sequestro giudiziario negli anni successivi e le ragioni per le quali il possesso dell’imbarcazione costituiva indice di capacità contributiva.

5.4.La sentenza impugnata la quale ha dichiarato nulli per mancanza di motivazione, gli avvisi di accertamento sulla base della sola circostanza oggettiva, ritenuta dirimente, della mancata allegazione delle informative della Direzione Generale dell’Entrate e della Polizia tributaria, senza altro valutare in ordine all’effettivo contenuto degli avvisi, non ha fatto corretta applicazione della normativa di riferimento secondo l’interpretazione fornitane da questa Corte e, pertanto, su tal capo va cassata.

6. Con il quinto motivo si deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 l’errore, perpetrato dalla C.T.R. emiliana, per avere ritenuto che l’Amministrazione fosse gravata dall’onere di dimostrare la fondatezza della propria pretesa, laddove, ai sensi dell’art. 2697 c.c. e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, la determinazione del reddito effettuata in base al cd. redditometro, dispensava l’Amministrazione Finanziaria da qualsiasi ulteriore prova rispetto ai fatti indici della capacità contributiva.

6.1. Il motivo è fondato.

Costituisce ius receptum che “in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cosiddetto redditometro dispensa l’amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, giacchè codesti restano individuati nei decreti medesimi. Ne consegue che è legittimo l’accertamento fondato sui predetti fattori-indice, provenienti da parametri e calcoli statistici qualificati, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (cfr. Cass n. 9539 del 19/04/2013; n. 14161 del 2003). Si è anche affermato (Cass. n. 16284 del 23/07/2007) che la disponibilità di beni indicati dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 2, nel testo applicabile nella fattispecie “ratione temporis” – costituisce una presunzione di “capacità contributiva” da qualificare “legale” ai sensi dell’art. 2728 cod. civ., perchè è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità la esistenza di una “capacità contributiva”. Pertanto, il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perchè già sottoposta ad imposta o perchè esente) delle somme necessaire per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma. La sentenza impugnata che ha annullato integralmente gli atti impositivi anche alla luce della “pacifica e recente giurisprudenza sull’onere probatorio” va, pertanto, anche su tale capo, cassata.

7. Con il sesto motivo si deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 6, D.M. 29 aprile 1999, artt. 1, 2 e 3 per avere il Giudice di appello attribuito rilevanza al sequestro giudiziario del natante, laddove il contribuente avrebbe dovuto dimostrare non già che non disponeva del bene ovvero che le spese di manutenzione non erano a suo carico ma l’inesistenza del fatto indice di capacità contributiva e che la capacità contributiva presunta era, di fatto, inesistente o, altrimenti, costituita da redditi non soggetti ad imposizione.

7.1. Il motivo è solo, in parte, fondato con conseguenziale assorbimento del settimo, avanzato in subordine. Alla luce dei principi, come già illustrati, in ordine alla presunzione legale di capacità contributiva data dalla disponibilità di determinati beni e dal correlato onere posto a carico del contribuente di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore, la circostanza che il natante, considerato quale bene-indice reddituale, non fosse concretamente utilizzabile dal contribuente – perchè sottoposto (dal novembre 1999, e, quindi per un periodo di tempo, peraltro, non coincidente integralmente con quello oggetto di accertamento) a provvedimento di sequestro – è, in tesi, idonea al più ad una riduzione delle spese correlativamente gravanti sul contribuente per l’uso dello stesso ma, non certo, alla loro totale elisione onde il fatto, costituito dalla sottoposizione a sequestro del bene, non può assumere la rilevanza attribuitale dalla C.T.R. emiliana di prova idonea ad annullare integralmente la presunzione di reddito.

L’accoglimento dei superiori motivi assorbe l’esame dei restanti.

In conclusione, in parziale accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata nei limiti sopra evidenziati e la controversia rinviata al Giudice del merito il quale provvedere, alla luce dei principi illustrati, al riesame ed al regolamento delle spese.


P.Q.M.


La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese processuali, a diversa Sezione della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2014.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2015