201904.08
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Cass., sez. III pen., 8 aprile 2019, n. 15141 (testo)

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 febbraio – 8 aprile 2019, n. 15141
Presidente Andreazza – Relatore Corbetta

Ritenuto in fatto

Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta di revoca o di sospensione dell’ordine di demolizione di cui alle sentenze n. 10759/09 e n. 1466/05 rese, rispettivamente dal Tribunale di Napoli il 21/07/2009 e dal g.u.p. del Tribunale di Napoli i117/06/2005, avanzata nell’interesse di P.S. .

Avverso l’indicata ordinanza, P.S. , a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per inosservanza o erronea applicazione di norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale e, segnatamente, dell’art. 8 CEDU e art. 32 Cost. Assume la ricorrente che il giudice dell’esecuzione non avrebbe correttamente applicato i principi affermati dalla sentenza della Corte EDU 21/4/2016, n. 46577/15 (Ivanova e Cherkezov c/Bulgaria), secondo la quale la demolizione dell’opera abusiva può legittimamente avvenire solo se il condannato abbia a disposizione un alloggio alternativo oppure se lo Stato abbia provveduto a concedergli un alloggio; in assenza di tali condizioni, la demolizione violerebbe il diritto all’abitazione, riconosciuto dall’art. 8 CEDU. Nel caso in esame, il Tribunale non avrebbe valutato nè l’indisponibilità di un alloggio alternativo, nè i gravi problemi di salute e la disagiata situazione economica della ricorrente.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 606 c.p.p, comma 1, lett. e). Ad avviso della ricorrente, il Tribunale non avrebbe motivato in ordine al rilievo secondo cui nel medesimo sito insistono altri immobili non oggetto di demolizione, sicché sarebbe necessario individuare con precisione le opere da demolire.

Considerato in diritto

Il ricorso è manifestamente infondato e deve conseguentemente essere rigettato.

La questione posta dal ricorrente con il primo motivo non è affatto nuova, essendosi questa Sezione già pronunciata in casi sostanzialmente identici, affermando principi che il Collegio condivide e a cui intende dare continuità.

Si è infatti precisato che, in tema di reati edilizi, non sussiste alcun diritto “assoluto” all’inviolabilità del domicilio, desumibile dalle decisioni della Corte EDU, tale da precludere l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l’ordine giuridico violato (Sez. 3, n. 18949 del 10/03/2016 – dep. 06/05/2016, Contadini e altro, Rv. 267024). In motivazione, la Corte ha osservato che dalla giurisprudenza CEDU si ricava, al contrario, l’opposto principio dell’interesse dell’ordinamento all’abbattimento – in luogo della confisca – delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche. Invero, nel noto caso Sud Fondi c. Italia del 20 gennaio 2009 la Corte EDU ha affermato che l’interesse dell’ordinamento è quello di abbattere l’immobile abusivamente realizzato, sottolineando i giudici Europei come sia sufficiente, per ripristinare la conformità rispetto alle disposizioni urbanistiche dei lotti interessati, “demolire le opere incompatibili con le disposizioni pertinenti”, anziché procedere alla confisca dei medesimi. Proprio da tale inciso è quindi evidente come la stessa Corte Europea consideri del tutto legittimo il ricorso alla sanzione ripristinatoria della demolizione che, in quanto rivolta a ristabilire l’ordine giuridico violato, prevale sul diritto (rectius, interesse di mero fatto) all’abitazione dell’immobile abusivamente realizzato.

Nella stesso si colloca una decisione più recente, in cui si è affermato che l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’art. 8 CEDU, posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto “assoluto” ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio violato (Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018 – dep. 04/06/2018, Ferrante, Rv. 273368).

Invero, nell’ordinamento italiano l’ordine di demolizione non riveste una funzione punitiva, quale elemento di pena da irrogare al colpevole, ma assolve a una funzione ripristinatoria del bene interesse tutelato. La ratio della previsione, dunque, non è quella di sanzionare ulteriormente (rispetto alla pena irrogata) l’autore dell’illecito, ma quella di eliminare le conseguenze dannose della condotta medesima, rimuovendo la lesione del territorio così verificatasi e ripristinando quell’equilibrio urbanistico-edilizio che i vari enti preposti – ciascuno per la propria competenza – hanno voluto stabilire. Al punto che tale ordine, quando imposto dall’autorità giudiziaria in uno con la séntenza di condanna, non si pone in rapporto alternativo con l’omologo ordine emesso dall’autorità amministrativa, ferma restando la necessità di un coordinamento tra le due disposizioni in sede esecutiva (tra le molte, Sez. 3, n. 55295 del 22/9/2016, Fontana, Rv. 268844).

In un caso del genere, le posizioni giuridiche soggettive trovano sì espressione nell’art. 8 CEDU (a tenore del quale “Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza”), così come negli artt. 14 e 15 Cost., ma esse non afferiscono al caso di specie, nel quale l’ordinamento intende non violare in astratto il diritto individuale di un soggetto a vivere nel proprio domicilio legittimo, bensì riaffermare in concreto il diritto collettivo a rimuovere la lesione di un bene (del pari) costituzionalmente tutelato, quale il territorio, eliminando le conseguenze dell’abuso riscontrato e così ripristinando quell’equilibrio già sopra richiamato.

Del pari, non può esser qui neppure invocata la sentenza della Corte EDU 21/4/2016, n. 46577/15 (Ivanova e Cherkezov c/Bulgaria), secondo la quale il diritto all’abitazione di cui al citato art. 8 – tra cui dovrebbe annoverarsi, nella lettura del ricorrente, anche l’abitazione abusiva – richiede una valutazione di proporzionalità, da parte di un Tribunale imparziale, tra la misura della demolizione e l’interesse del singolo al rispetto del proprio domicilio.
Va, al riguardo, osservato che la Corte EDU, nella decisione in esame, ha ribadito la legittimità “convenzionale” della demolizione, allorquando, valutandone la compatibilità con il diritto alla abitazione, il suo unico scopo sia quello di garantire l’effettiva attuazione delle disposizioni normative che gli edifici non possono essere costruiti senza autorizzazione, poiché la stessa può essere considerata come diretta a ristabilire lo stato di diritto, fatto salvo il rispetto della proporzionalità della misura con la situazione personale dell’interessato.
Tenuto conto, in particolare, del fatto che il problema dell’edilizia abusiva è diffuso in Bulgaria, al fine di garantire l’efficace attuazione della regola per cui gli edifici non possono essere costruiti senza permesso, la Corte EDU ha affermato che l’ordine di demolizione costituisce una misura che, in una società democratica, è necessaria “alla difesa dell’ordine” e alla promozione del “benessere economico del paese”, ai sensi dell’art. 8. Tuttavia, pezivanto riguarda la necessità di tale interferenza, la Corte EDU ha ritenuto vi rimedi interni, previsti nell’ordinamento bulgaro, non garantiscono la verifica dei requisiti procedurali che impongono che ogni persona che sia esposta al rischio di perdere la propria abitazione – anche se non appartenente ad un gruppo vulnerabile – dovrebbe in linea di principio disporre della possibilità che la valutazione della proporzionalità di tale misura (che comporta la perdita dell’abitazione) sia effettuata da un giudice indipendente.
Di conseguenza, il rispetto del principio di proporzionalità impone che l’autorità giudiziaria valuti caso per caso se un determinato provvedimento possa ritenersi giustificato in considerazione delle ragioni espresse dal destinatario della misura, al fine di bilanciare il suo diritto alla tutela dell’abitazione ai sensi dell’art. 8 CEDU (o di altro diritto fondamentale come il diritto alla salute che nel caso in esame rileva) e l’interesse dello Stato ad impedire l’esecuzione di interventi edilizi in assenza di regolare titolo abilitativo, sicché deve essere il giudice a dover stabilire, tenuto conto delle circostanze del caso concreto dedotte dalle parti, se il provvedimento limitativo della libertà “reale” sia “proporzionato” rispetto allo scopo, riconosciuto peraltro legittimo dalla Corte Edu, che la normativa edilizia intende perseguire.
In altri termini, il rispetto del principio di proporzionalità implica, a carico dell’autorità giudiziaria, una valutazione, nel singolo caso concreto, se l’esecuzione dell’ordine di demolizione possa ritenersi giustificato in considerazione delle ragioni espresse dal destinatario della misura, al fine di bilanciare il suo diritto alla tutela dell’abitazione ai sensi dell’art. 8 CEDU e l’interesse dello Stato ad impedire l’esecuzione di interventi edilizi in assenza di regolare titolo abilitativo. Ciò comporta che sia il giudice a dover stabilire, tenuto conto delle circostanze del caso concreto dedotte dalle parti, se demolire la casa di abitazione abusivamente costruita sia “proporzionato” rispetto allo scopo, riconosciuto peraltro legittimo dalla Corte EDU, che la normativa edilizia intende perseguire prevedendo la demolizione.
Infine, va evidenziata l’affermazione della Corte EDU laddove esclude che l’ordine di demolizione contrasti con l’art. 1 del protocollo n. 1 (protezione della proprietà). Sul punto, la Corte EDU (§ 75) afferma, da un lato, che l’ordine di demolizione dell’immobile, emesso dopo un ragionevole lasso di tempo dopo la sua edificazione (per un precedente, cfr. Hamer c. Belgio, del 27 novembre 2007, n. 21861/03), ha l’obiettivo di garantire il ripristino dello status quo ante così ristabilendo l’ordine giuridico violato dal comportamento dell’autore dell’abuso edilizio; dall’altro, che l’ordine di demolizione e la sua esecuzione servono anche per scoraggiare altri potenziali trasgressori (il riferimento è al caso Saliba c. Malta, n. 4251/02, dell’8 novembre 2005), ciò che non deve essere trascurato in vista della diffusività del problema delle costruzione abusive in Bulgaria. 8. Nel caso di specie, il Tribunale ha correttamente rilevato la genericità del motivo, in quanto le deduzioni difensive circa l’indisponibilità economica della P. sono del tutto sprovviste di dimostrazione. A ciò si aggiunge l’ulteriore considerazione che la ricorrente nemmeno ha dato prova nè che le condizioni di salute le impediscano di essere spostata da un luogo all’altro, e nemmeno di aver interpellato i servizi sociali per ottenere un’altra soluzione abitativa nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica, tenuto anche conto del fatto che l’ordine di demolizione è suscettibile di esecuzione sin dal 2005 e, nonostante ciò, la ricorrente è sempre stata totalmente inerte.

Il secondo motivo è generico, non essendo dato comprendere in cosa consistano le asserite incertezze in ordine all’individuazione delle opere da demolire, non essendo a ciò sufficiente allegare le sentenze in cui è stato disposto l’ordine di demolizione.

Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.