201809.04
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Cass., sez. III pen., 4 settembre 2018, n. 39696 (testo)

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 giugno – 4 settembre 2018, n. 39696
Presidente Sarno – Relatore Socci

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Roma con ordinanza dell’8 febbraio 2018 ha confermato il decreto di sequestro preventivo del Giudice delle indagini preliminari di Velletri del 27 dicembre 2017, che aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di C.R. , legale rappresentante della RCG Service, fino alla concorrenza del profitto del reato di Euro 270.968,00, e nei confronti della società in via diretta, per il reato di cui all’art. 10 ter, d. lgs. 74/2000, per l’anno di imposta del 2014. La somma è stata sequestrata sul conto corrente della società.
2. G.A. , nella qualità di Commissario liquidatore della RCG Service, nel concordato preventivo n. 3/2015, Tribunale di Velletri, ricorre per cassazione, tramite difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p.
2. 1. Violazione di legge, in relazione al fumus commissi delicti, art, 51 cod. pen. in relazione agli art. 167 e 168, legge 267/1942.
La scadenza del pagamento dell’IVA era prevista al 29 dicembre 2015, in epoca successiva all’ammissione alla procedura di concordato preventivo, avvenuta il 23 settembre 2015; il concordato preventivo aveva natura satisfattiva e liquidatoria, prevedendo il pagamento per intero di tutti i crediti assistiti da privilegio, ivi compresi quelli tributari.
Il Tribunale ritiene erroneamente, nel provvedimento impugnato, che l’inesigibilità del pagamento alla scadenza del tributo (IVA) sia da riferirsi all’omologa e non all’ammissione.
In realtà dal momento stesso della domanda di concordato preventivo il debitore passa da una gestione autonoma (privata) a quella configurabile come pubblica, della procedura. Il Tribunale infatti, dopo le opportune verifiche, dichiara aperta la procedura di concordato preventivo.
Per tutto il periodo che intercorre tra la domanda di concordato, pubblicizzata nel registro delle imprese, ed il conclusivo decreto di omologazione, a dimostrazione ulteriore della natura pubblicistica dell’istituto, la tutela diretta dei singoli creditori per titolo o causa anteriore è congelata (art. 168, 169, 169 bis, e 55, comma 1, legge n. 267/1942), e durante la procedura di concordato la gestione da parte del debitore dei suoi beni, è sotto la vigilanza del commissario giudiziale e dell’autorizzazione del Giudice delegato (art. 167, legge 267/1942).
La dilazione del pagamento dell’IVA, prevista nel piano del concordato preventivo, deve comportare l’assenza di un qualsiasi reato, altrimenti, per assurdo, il giudice autorizzerebbe il debitore a commettere un reato (omesso pagamento dell’IVA nei termini). Il giudice penale, non può, quindi, sanzionare penalmente un accordo, valutato in sede di concordato preventivo dagli organi ivi previsti (del resto la relativa domanda viene anche trasmessa al P.M.).
Per l’ordinanza impugnata il debitore, durante la procedura di concordato, conservando l’amministrazione dei beni e l’esercizio dell’impresa, potrebbe procedere agli atti di ordinaria amministrazione, e a quelli di straordinaria amministrazione con l’autorizzazione del giudice, e quindi anche al pagamento dell’IVA. Così non è in quanto ogni atto del debitore deve essere funzionale all’esecuzione del concordato, e il pagamento dell’IVA comporterebbe “l’effettuazione di un atto estraneo all’esecuzione del concordato stesso, frustandone le finalità”.
Infatti, nel piano i debiti tributari non rappresentano l’unico debito assistito da privilegio, essendo presenti anche crediti per lavoro subordinato. L’ordine dei privilegi è individuato dalla legge, che prevede la prelazione di quelli derivanti da lavoro subordinato, anche sui crediti IVA. Pertanto il pagamento, prima della fine della procedura di concordato preventivo, dell’IVA avrebbe certamente leso la par condicio creditorum, in violazione di legge.
Il debitore, dal momento del deposito del ricorso ex art. 161, legge 267/1941, non può effettuare il pagamento dei crediti anteriormente sorti (arg. ex art. 168, comma 1, legge 267/1942).
Il divieto discende dalla legge, e non risulta, pertanto, necessario un espresso avviso nel provvedimento del giudice.
Ha chiesto pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Considerato in diritto

4. Il ricorso risulta fondato e l’ordinanza deve annullarsi con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame.
Il Commissario liquidatore risulta legittimato a proporre il ricorso. Infatti, il sequestro della somma è stato effettuato il 27 dicembre 2017, direttamente alla società RGC Service; il pagamento della somma dell’IVA era previsto per la scadenza del 29 dicembre 2015, mentre l’ammissione della società al concordato preventivo è del 23 settembre 2015. L’omologa del concordato preventivo risulta all’11 novembre 2016, dopo il termine per il pagamento dell’IVA, ma prima del sequestro della somma (ciò è rilevante per la ritenuta legittimazione del ricorrente, commissario liquidatore, legittimazione comunque non messa in discussione dal provvedimento impugnato, vedi, Sez. 3, civile, Sentenza n. 10738 del 11/08/2000, Rv. 539541 – 01; Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014 – dep. 17/03/2015, Uniland Spa e altro, Rv. 26368501: “In tema di responsabilità da reato degli enti, il curatore fallimentare non è legittimato a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca dei beni della società fallita – In motivazione la Corte ha precisato che il curatore, in quanto soggetto terzo rispetto al procedimento cautelare, non è titolare di diritti sui beni in sequestro, né può agire in rappresentanza dei creditori, non essendo anche questi ultimi, prima assegnazione dei beni e della conclusione della procedura concorsuale, titolari di alcun diritto sugli stessi -“; Sez. 3, n. 42469 del 12/07/2016 – dep. 07/10/2016, Amista, Rv. 26801501).
3. 1. Il problema posto in rilevo dal ricorso riguarda la sussistenza del fumus del reato, in relazione all’ammissione al concordato preventivo del 23 settembre 2015, con inclusione anche del debito fiscale.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte di Cassazione è stata orientata, prevalentemente, per l’irrilevanza della sola ammissione al concordato preventivo al fine della valutazione del fumus per un sequestro preventivo: “In tema di omesso versamento IVA, l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, seppure antecedente alla scadenza del termine previsto per il versamento dell’imposta, non esclude il reato previsto dall’art. 10 ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 in relazione al debito IVA scaduto e da versare” (Sez. 3, n. 12912 del 04/02/2016 – dep. 31/03/2016, Ugolini, Rv. 26670801; vedi anche Sez. 3, n. 44283 del 14/05/2013 – dep. 31/10/2013, P.M. in proc. Gavioli, Rv. 25748401). Questo orientamento giurisprudenziale, rigido sulla prevalenza della ragione tributaria penale, muove essenzialmente dal presupposto che l’IVA è un tributo comunitario, armonizzato, e che in base al diritto dell’Unione ed alle decisioni della Corte di Giustizia (sentenza 29/03/2012, causa C 500/10) gli Stati membri sono tenuti a garantire la riscossione integrale sul proprio territorio. Non essendo, quindi, possibile tagliare il debito IVA, anche in un concordato preventivo, il debitore anche se ammesso al concordato deve comunque pagare l’imposta per intero, e rispettare le scadenze dei pagamenti, anche sotto il profilo penale, con la configurabilità (sempre) del reato di omesso versamento IVA.
Altro orientamento della Suprema Corte, più propenso alla coordinazione degli interessi del fisco con gli altri interessi di altri creditori della procedura, ritiene che non sarebbe configurabile il reato di omesso versamento del’IVA, art. 10 ter, d. lgs. 74/2000, solo nell’ipotesi di ammissione del debitore al concordato preventivo in epoca anteriore alla scadenza del termine per il versamento dell’imposta (come nel caso in odierno giudizio): “In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, non è configurabile il fumus commissi delitti del reato di cui all’art. 10 ter d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74 per il mancato versamento del debito IVA scaduto, nel caso in cui il debitore sia stato ammesso al concordato preventivo in epoca anteriore alla scadenza del termine per il relativo versamento, per effetto della inclusione nel piano concordatario del debito d’imposta, degli interessi e delle sanzioni amministrative. (Sez. 3, n. 15853 del 12/03/2015 – dep. 16/04/2015, Fantini, Rv. 26343601); inoltre, “In tema di omesso versamento di Iva, non risponde del reato di cui all’art. 10-ter del d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per difetto dell’elemento soggettivo, il liquidatore di società che, a fronte di istanza di fallimento già presentata anteriormente alla scadenza del termine per il pagamento dell’imposta, ometta di adempiere l’obbligazione tributaria nel legittimo convincimento, erroneo quanto alla circostanza fattuale del non ancora intervenuto fallimento, che il versamento violi la regola della “par condicio creditorum” di cui agli artt. 51 e 52 della legge fallimentare ed integri, a determinate condizioni, il reato di bancarotta preferenziale” (Sez. 3, n. 5921 del 29/10/2014 – dep. 10/02/2015, Galeano, Rv. 26241101).
3. 2. Queste decisioni della Suprema Corte richiamano la norma dell’art. 182, ter, Regio Decreto del 16 marzo 1942, n. 267, che prevedeva “per i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea” il divieto di pagamenti parziali, nelle transazioni fiscali. Da questa norma le decisioni della Corte Suprema hanno ricavato il principio della prevalenza (a prescindere) della ragione del fisco, e della configurabilità del reato anche dopo l’ammissione alla procedura del concordato preventivo.
Tuttavia tale norma è stata modificata, con la legge di bilancio del 2017, art. 1, comma 81, legge 232/2016, in relazione alla sentenza della Corte di Giustizia del 7 aprile 2016, C. 546/14, che ha ritenuto pienamente compatibile con il diritto UE il pagamento parziale di un debito IVA, da parte di un imprenditore in stato di insolvenza, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo; in relazione proprio ai presupposti della procedura, con interventi di soggetti indipendenti, terzi, che garantiscono la regolarità della liquidazione in base alle disposizioni normative.
Con la nuova formulazione dell’art. 182 ter, Regio Decreto del 16 marzo 1942, n. 267, è ora possibile il pagamento parziale o dilazionato anche dell’IVA. Conseguentemente tutta la precedente giurisprudenza sopra vista, pure richiamata dall’ordinanza impugnata, è stata superata dal nuovo assetto normativo della materia. In quanto anche per l’IVA è possibile un pagamento parziale o dilazionato nella procedura di concordato preventivo. Ciò ha determinato in recenti pronunce di questa Corte di Cassazione, una modifica del precedente orientamento (Sez. 4, n. 52542 del 17/10/2017 – dep. 17/11/2017, Marchionni, Rv. 27155501 e Sez. 4, n. 52542 del 17/10/2017 – dep. 17/11/2017, Marchionni, Rv. 27155401)
4. Da questo ne consegue, naturalmente, che il fumus del reato di cui all’art. 10 ter, d. lgs. 74/2000, deve essere valutato in maniera diversa e più attenta, anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato.
All’ammissione al concordato preventivo (e già dalla domanda) per legge discende il divieto di pagamento dei debiti scaduti, senza autorizzazione degli organi della procedura; divieto sanzionato, a certe condizioni, anche con la revoca del concordato preventivo: ” Il pagamento non autorizzato di un debito scaduto eseguito in data successiva al deposito della domanda di concordato preventivo, non integra in via automatica, ai sensi dell’art. 173, comma 3, l. fall., una causa di revoca del concordato, la quale consegue solo alla verifica, da compiersi ad opera del giudice di merito, che tale pagamento, non essendo ispirato al criterio della migliore soddisfazione dei creditori, sia diretto a frodare le ragioni di questi ultimi, così pregiudicando le possibilità di adempimento della proposta formulata con la domanda di concordato. (Sez. 1 Civile -, Ordinanza n. 11958 del 16/05/2018, Rv. 648456 – 01).
Il Giudice con l’ammissione, infatti, con formula di stile (ripetitiva dell’obbligo legislativo) può anche intimare, al debitore, il divieto dei pagamenti, e, in conseguenza, si è affermato che: “In tema di omesso versamento IVA, non è configurabile il reato di cui all’art. 10-ter D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 per il mancato versamento del debito IVA sorto prima dell’apertura della procedura di concordato preventivo, nel caso in cui, in data antecedente alla scadenza del debito, sia intervenuto un provvedimento del Tribunale che abbia vietato il pagamento di crediti anteriori, essendo configurabile la scriminante dell’adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell’autorità di cui all’art. 51 cod. pen., derivante da norme poste a tutela di interessi aventi anche rilievo pubblicistico, equivalenti a quelli di carattere tributario” (Sez. 4, n. 52542 del 17/10/2017 – dep. 17/11/2017, Marchionni, Rv. 27155501).
Tuttavia anche senza un esplicito divieto, il debitore deve rispettare il piano dei pagamenti previsto dall’istanza di concordato (vedi art. 161 e 168, legge fallimentare). Nel concordato, infatti sono normalmente presenti (come prospettato, nel ricorso introduttivo del caso in giudizio) debiti derivanti da lavoro subordinato, prestato in favore della società in concordato preventivo, e l’ordine dei privilegi è previsto dalla legge, in maniera rigida e predeterminata (con la scelta dei valori, sottostanti alla natura dei crediti).
Nel caso in giudizio si afferma nel ricorso introduttivo l’esistenza di una rateizzazione del debito IVA, e quindi il debito fiscale è entrato in pieno nella dinamica del concordato preventivo, con tempi e modi del pagamento, controllato dagli organi della procedura, con il divieto, di immediati pagamenti, al di fuori da quanto concordato.
Ed anche le scadenze dei pagamenti rientrerebbero, quindi, in pieno nella dinamica del piano concordatario.
5. L’ordinanza impugnata, quindi, deve annullarsi con rinvio, in quanto la stessa ha omesso di valutare alla luce della nuova normativa (art. 182, ter, Regio Decreto del 16 marzo 1942, n. 267, come ultimamente modificato) l’incidenza, sin dall’ammissione al concordato preventivo della rateizzazione del debito IVA ai fini del fumus del reato di cui all’art. 10 ter, d. lgs. 74/2000, anche relativamente all’elemento soggettivo del reato.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame.