201610.24
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Cass., sez. III pen., 24 ottobre 2016, n. 44584 (testo)

  • LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE TERZA PENALE                         
                  Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:              
    Dott. FIALE    Aldo            -  Presidente   -                     
    Dott. MOCCI    Mauro           -  Consigliere  -                     
    Dott. LIBERATI Giovanni        -  Consigliere  -                     
    Dott. ANDRONIO A.M.       -  rel. Consigliere  -                     
    Dott. RICCARDI Giuseppe        -  Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         SENTENZA                                        
    sul ricorso proposto da: 
             P.A., nato a (OMISSIS); 
              S.A., nato a (OMISSIS); 
                 S.E., nata a (OMISSIS); 
    avverso la sentenza della Corte d'appello di Lecce del 16 settembre 
    2015; 
    visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; 
    udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio; 
    udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore 
    generale Dott. ANGELILLIS Ciro, che ha concluso per l'annullamento 
    senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione dei reati di 
    cui ai capi A) e C), con rideterminazione della pena per          
    P.A. quanto al capo B); nonchè per l'inammissibilità dei ricorsi 
    nel resto; 
    uditi l'avv. Angelo Roma, per    P., e l'avv. Cinzia Cavallo per      
         S.A. e              S.E.. 
    

    RITENUTO IN FATTO

    1. – Con sentenza del 3 maggio 2012, il Tribunale di Brindisi ha – per quanto qui rileva – condannato: 1) S.A., alla pena di quattro anni di reclusione, oltre pene accessorie, per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, per avere, nella sua qualità di legale rappresentante di una società, emesso fatture per operazioni inesistenti nei confronti dell’impresa individuale di P.A., per consentire a quest’ultimo l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (capo A dell’imputazione);

    2) P.A., alla pena di cinque anni di reclusione oltre pene accessorie, per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, per avere, quale titolare di impresa individuale, indicato nella dichiarazione annuale relativa all’anno d’imposta 2005, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto (realizzando, quanto all’IVA, un’evasione di Euro 126.610,51), le fatture per operazioni esistenti di cui al capo precedente (capo B), nonchè per il reato di cui all’art. 81 c.p., comma 2, e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, per avere, nella sua veste di titolare di impresa individuale, al fine di consentire l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, emesso a favore di una società amministrata da S.E., fatture per operazioni inesistenti per un importo di Euro 257.265,57 nell’anno 2005 e di Euro 79.891,20 nell’anno 2006 (capo C); con recidiva reiterata; 3) S.E., alla pena di tre anni e due mesi di reclusione, oltre pene accessorie, per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, per avere, quale legale rappresentante di una società, indicato nella dichiarazione annuale relativa all’anno d’imposta 2005, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto (realizzando, quanto all’IVA, un’evasione di Euro 49.594,97 per il 2005 e di Euro 15.978,24 per il 2006), le fatture per operazioni esistenti di cui al capo precedente (capo D), nonchè per il reato di cui all’art. 367 c.p., e art. 61 c.p., n. 2), per avere, al fine di conseguire l’impunità del delitto di cui al capo precedente, affermato falsamente con denuncia presentata presso i carabinieri, di avere subito il furto delle scritture contabili e dei documenti fiscali della società da lei amministrata, in modo che si iniziasse un procedimento penale per accertarlo (il 15 ottobre 2007; capo E).

    Con sentenza del 16 settembre 2015, la Corte d’appello di Lecce ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, escludendo la recidiva contestata a P. e rideterminando in diminuzione le pene accessorie, nonchè le pene principali: per P., in anni tre e mesi quattro di reclusione; per S.A., in anni tre di reclusione; per S.E., in anni due e mesi quattro di reclusione. In motivazione, anche se non nel dispositivo della sentenza, la Corte d’appello ha dato atto dell’intervenuta prescrizione del reato di cui al capo A), contestato a S.A., già maturata prima della pronuncia.

    2. – Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato P., deducendo: 1) vizi della motivazione relativamente alla valutazione del compendio istruttorio, con riferimento alla ritenuta fittizietà delle operazioni poste in essere; 2) vizi della motivazione in ordine alla ritenuta gravità del fatto attribuito all’imputato e al ruolo da lui concretamente svolto; 3) violazione dell’art. 157 c.p., in relazione al computo della prescrizione; 4) vizi della motivazione in relazione alla determinazione della pena e al diniego delle circostanze attenuanti generiche.

    3. – La sentenza è stata impugnata anche nell’interesse degli imputati S.A. e S.E., sulla premessa della già riconosciuta prescrizione del reato di cui al capo A) dell’imputazione, contestato al primo. Si deducono: 1) l’erroneo computo della prescrizione dei restanti reati contestati; 2) vizi della motivazione in relazione alla ritenuta fittizietà delle operazioni poste in essere; 3) vizi della motivazione in relazione alla valutazione del dolo in capo a S.E. per il reato di dichiarazione fraudolenta; 4) vizi della motivazione in relazione alla ritenuta falsità della denuncia querela sporta dall’imputata, per la mancata considerazione del fatto che la contabilità della società era comunque presente presso il commercialista su supporto informatico; 5) vizi della motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e alla determinazione della pena.

    CONSIDERATO IN DIRITTO

    4. – Deve essere dichiarata l’estinzione, per intervenuta prescrizione, dei reati ascritti a S.A. e a P., nonchè del reato di cui al capo D) dell’imputazione ascritto a S.E., limitatamente all’anno di imposta 2005.

    4.1. – Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, il presupposto per l’applicazione dell’art. 129 c.p.p., comma 2, è costituito dall’evidenza, emergente dagli atti di causa, che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato, o non è previsto dalla legge come reato. Solo in tali casi, infatti, la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla causa di estinzione del reato ed è fatto obbligo al giudice di pronunziare la relativa sentenza. I presupposti per l’immediato proscioglimento devono, però, risultare dagli atti in modo incontrovertibile tanto da non richiedere alcuna ulteriore dimostrazione in considerazione della chiarezza della situazione processuale. E’ necessario, quindi, che la prova dell’innocenza dell’imputato emerga positivamente dagli atti stessi, senza ulteriori accertamenti, dovendo il giudice procedere non ad un “apprezzamento”, ma ad una mera “constatazione”.

    L’obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità vale anche in sede di legittimità, tanto da escludere che il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che dovrebbe ordinariamente condurre al suo annullamento con rinvio, possa essere rilevato dalla Corte di cassazione che, in questi casi, deve invece dichiarare l’estinzione del reato. In caso di annullamento, infatti, il giudice del rinvio si troverebbe nella medesima situazione, che gli impone l’obbligo dell’immediata declaratoria della causa di estinzione del reato. E ciò, anche in presenza di una nullità di ordine generale che, dunque, non può essere rilevata nel giudizio di legittimità, essendo l’inevitabile rinvio al giudice del merito incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva (ex plurimis, sez. 6, 1 dicembre 2011, n. 5438; sez. un., 28 maggio 2009, n. 35490, rv. 244275; sez. un., 27 febbraio 2002, n. 17179, rv. 221403; sez. un. 28 novembre 2001, n. 1021, rv. 220511).

    4.2. – I presupposti per l’applicazione dell’art. 129 c.p.p., comma 2, come appena delineati, non sussistono certamente nel caso di specie, con riferimento agli atti di causa e al contenuto della sentenza impugnata.

    Infatti i motivi di ricorso relativi alla responsabilità penale proposti nell’interesse di tutti gli imputati – che, quanti ai reati fiscali, non risultano inammissibili, perchè non manifestamente infondati e formulati in modo sufficientemente specifico – sono tali che un loro eventuale accoglimento comporterebbe al più l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, incompatibile – come appena visto con il principio dell’immediata dichiarazione dell’intervenuta prescrizione.

    4.3. – In riferimento al reato di cui al capo A), contestato a S.A., deve rilevarsi che lo stesso è già stato dichiarato prescritto, seppure nella sola motivazione e non anche nel dispositivo della sentenza impugnata.

    Quanto ai reati di cui ai capi B) e C), contestati a P., deve premettersi che la Corte d’appello ha escluso la contestata recidiva reiterata, della quale non può dunque tenersi conto ai fini del calcolo della prescrizione. Va anche ricordato che la Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, con sentenza emessa l’8 settembre 2015 (causa C-105/14, Taricco), pronunziandosi sul rinvio pregiudiziale proposto, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Gip del Tribunale di Cuneo con ordinanza del 17 gennaio 2014, in un procedimento penale riguardante reati in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA) analoghi a quelli oggetto del presente procedimento, ed integranti il consueto schema della c.d. “frode carosello”, ha statuito che: “Una normativa nazionale in materia di prescrizione del reato come quella stabilita dal combinato disposto dell’art. 160 c.p., u.c., come modificato dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, e dell’art. 161 di tale codice – normativa che prevedeva, all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, che l’atto interruttivo verificatosi nell’ambito di procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di imposta sul valore aggiunto comportasse il prolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale – è idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE nell’ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione Europea, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione Europea, circostanze che spetta al giudice nazionale verificare. Il giudice nazionale è tenuto a dare piena efficacia all’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, all’occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dall’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE”.

    4.4. – I requisiti integranti l’illegittimità comunitaria per ineffettività della complessiva disciplina sanzionatoria delle frodi sotto il profilo dell’eccessiva brevità del termine prescrizionale complessivo a seguito di interruzione, sono, dunque: 1) la pendenza di un procedimento penale riguardante “frodi gravi” in materia di imposta sul valore aggiunto; 2) l’ineffettività delle sanzioni previste “in un numero considerevole di casi di frode grave” che ledono gli interessi finanziari dell’Unione Europea. La sentenza Taricco non determina tali requisiti nei loro esatti confini, ma agli stessi fanno analitico riferimento le ordinanze di questa Corte sez. 3, 30 marzo 2016, n. 28346, e 31 marzo 2016, n. 33538.

    4.4.1. – Quanto al requisito della gravità della frode, deve darsi rilievo alla quantità dell’imposta evasa e alle modalità attraverso le quali la frode è stata posta in essere, tenendo comunque presente che nel concetto di “frode” grave, suscettibile di ledere gli interessi finanziari dell’UE, devono ritenersi incluse, nella prospettiva dell’ordinamento penale italiano, non soltanto le fattispecie che contengono il requisito della fraudolenza nella descrizione della norma penale – come nel caso del D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2, 3 e 11, -, ma anche le altre fattispecie che, pur non richiamando espressamente tale connotato della condotta, siano dirette all’evasione dell’IVA. Diversamente opinando, si otterrebbe una irragionevole disparità di trattamento in relazione a condotte comunque poste in essere al medesimo fine illecito, ma, altresì, la considerazione che proprio nelle operazioni fraudolente più complesse ed articolate (come le c.d. frodi carosello), e dunque maggiormente insidiose per il bene giuridico tutelato, le singole condotte, astrattamente ascrivibili alla tipicità di fattispecie penali prive del requisito espresso della fraudolenza soprattutto a quelle di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 5, 8 e 10 ter, -, rappresentano la modalità truffaldina dell’operazione; sarebbe intrinsecamente irragionevole disapplica re le norme viziate da “illegittimità comunitaria”, in relazione alle sole fattispecie connotate dal requisito espresso della fraudolenza, e non disapplicarle nelle fattispecie – strettamente connesse sotto il profilo fattuale, ed indispensabili per la configurazione del meccanismo frodatorio non connotate dal medesimo requisito.

    Come rilevato nelle ordinanze di questa sezione sopra richiamate, a corroborare tale principio sovviene, oltre al richiamato profilo di irragionevolezza rilevante sotto il profilo fattuale, un ben più pregnante argomento interpretativo, rappresentato dalla definizione di “frode” rilevante nell’ordinamento sovranazionale: al riguardo, già l’art. 325 TFUE, richiamato dalla Corte di Lussemburgo quale norma di diritto primario fondante l’obbligo di disapplicazione, sancisce che “L’Unione e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione (…)”; se, dunque, l’art. 325 TFUE rappresenta la base legale dell’obbligo di disapplicazione sancito dalla Corte di Giustizia, esso ha ad oggetto “la frode e le altre attività illegali”. E del resto, la Corte di Lussemburgo ha affermato il principio in discussione con riferimento ad una “frode carosello” nella quale erano contestate, altresì, fattispecie penali prive del requisito espresso della fraudolenza nella descrizione normativa.

    Inoltre, nella consapevolezza, che dovrebbe essere comune negli ordinamenti occidentali di civil law, che il linguaggio normativo, soprattutto nel diritto penale, delimita gli spazi di libertà, e dunque è essenziale nell’affermazione (e nelle diverse declinazioni) del principio di legalità, non può omettersi che la nozione di “frode” è specificamente definita dall’art. 1 della Convenzione PIF come “qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa (…) all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua la diminuzione illegittima di risorse del bilancio generale (dell’Unione) o dei bilanci gestiti (dall’Unione) o per conto di ess(a)”; norma che viene richiamata dalla stessa sentenza Taricco a proposito dell’irrilevanza del fatto che l’IVA non venga riscossa direttamente per conto dell’Unione (p.41). L’ordinanza di questa sezione 30 marzo 2016, n. 28346, richiama anche, quale parametro di valutazione per la gravità della frode l’art. 2, par. 1, della Convenzione PIF (pure menzionata dalla sentenza Taricco, al p.6), che prevede: “Ogni Stato membro prende le misure necessarie affinchè le condotte di cui all’art. 1, nonchè la complicità, l’istigazione o il tentativo relativi alle condotte descritte all’articolo 1, paragrafo 1, siano passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che comprendano, almeno, nei casi di frode grave, pene privative della libertà che possono comportare l’estradizione, rimanendo inteso che dev’essere considerata frode grave qualsiasi frode riguardante un importo minimo da determinare in ciascuno Stato membro. Tale importo minimo non può essere superiore a Euro 50.000 (…)”.

    Proprio per il particolare contesto di quell’ordinanza – pronunciata da questa sezione nell’ambito di un procedimento per una frode che aveva determinato “evasioni fiscali per milioni di Euro” – il superamento dell’importo di Euro 50.000,00 non può, però, essere ritenuto di per sè sufficiente, in mancanza di una precisa determinazione in tal senso da parte del giudice comunitario, a connotare la gravità della frode (argomento sostanzialmente condiviso anche dalla precedente Cass., sez. 4, 25 gennaio 2016, n. 7914). Il più sicuro ancoraggio oggettivo per la determinazione della gravità della frode nell’ordinamento italiano è, invece, rappresentato dal complesso dei criteri per la determinazione della gravità del reato contenuti nell’art. 133 c.p., comma 1, il quale fa riferimento, non solo alla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa (n. 2), ma anche alla natura, alla specie, ai mezzi, all’oggetto, al tempo, al luogo e, più in generale, alle modalità dell’azione (n. 1), nonchè all’elemento soggettivo (n. 3). Ne consegue che, ove non si sia in presenza di un danno di rilevantissima gravità, quali quelli oggetto dei procedimenti in cui sono state pronunciate le sopra richiamate ordinanze di questa sezione, per milioni di Euro, la gravità della frode deve essere desunta anche da ulteriori elementi, quali: l’organizzazione posta in essere, la partecipazione di più soggetti al fatto, l’utilizzazione di “cartiere” o società – schermo, l’interposizione di una pluralità di soggetti, la sistematicità delle operazioni fraudolente, la loro reiterazione nel tempo, la connessione con altri gravi reati, l’esistenza di un contesto associativo criminale. E il giudice dovrà valutare caso per caso la concreta valenza di tali elementi nella fattispecie al suo esame, essendo comunque sufficiente l’indicazione in motivazione di quelli ritenuti rilevanti in un senso o nell’altro.

    4.4.2. – Parimenti indeterminato – come già evidenziato nelle ordinanze di questa sezione e nella sentenza Cass., sez. 4, 25 gennaio 2016, n. 7914, sopra richiamate – è il secondo requisito individuato dalla Corte di Giustizia per rendere obbligatoria la disapplicazione delle norme sul prolungamento del termine di prescrizione: la verifica, rimessa al giudice nazionale, dell’ineffettività delle sanzioni previste “in un numero considerevole di casi di frode grave” che ledono gli interessi finanziari dell’Unione Europea. Si tratta di un requisito probabilmente più consono alle differenti esperienze ordinamentali di common law, che pure integrano, sovente in maniera significativa, la matrice culturale e giuridica della giurisdizione Europea. Al riguardo va osservato che, ove si considerasse in astratto, ovvero con riferimento all’integralità dei procedimenti pendenti dinanzi alle autorità giudiziarie italiane, esso implicherebbe una prognosi di natura statistica che esula dai limiti cognitivi e valutativi del giudice, e anche di questa Corte; a ciò ostando non soltanto l’assenza di dati statistici affidabili, ma soprattutto l’orizzonte conoscitivo del singolo giudice, necessariamente limitato, dal vigente sistema processuale, ai fatti di causa, ovvero ai fatti che si riferiscono all’imputazione, alla punibilità e dai quali dipenda l’applicazione di norme processuali (art. 187 c.p.p.) rilevanti nel singolo processo, e non già nella generalità degli altri processi. Escluso che possa altresì risolversi in una prognosi meramente empirica, fondata su soggettivismi di difficile verificabilità (in senso epistemologico), il requisito del “numero considerevole di casi di frode grave” non può che intendersi, in concreto, con riferimento alle fattispecie oggetto del singolo giudizio, potendosi ritenere sufficiente anche una singola frode solo qualora questa sia di rilevantissima gravità. Nell’applicare tale requisito nel caso concreto, il giudice dovrà, dunque, considerare il numero e la gravità dei diversi episodi di frode per i quali si procede, nonchè il contesto complessivo e le ragioni di connessione fra gli stessi.

    4.4.3. – Nessuno dei due menzionati requisiti ricorre nel caso di specie.

    Quanto alla gravità della frode, deve premettersi che i reati per i quali si procede sono in astratto riconducibili all’ambito di applicazione della sentenza Taricco, trattandosi di violazioni del D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 (capi B e D) e 8 (capo C).

    Nondimeno il requisito non ricorre in concreto, perchè le frodi oggetto di contestazione hanno determinato singole evasioni Iva per importi non particolarmente considerevoli, l’unico dei quali al di sopra dei 100.000,00 Euro è quello di 126.610,51 Euro, per l’anno di imposta 2005 (capo B dell’imputazione). E mancano gli ulteriori indici di gravità sopra richiamati, in presenza di condotte che non denotano una spiccata capacità criminale, nè una particolare organizzazione di mezzi, nè la partecipazione di più soggetti o l’interposizione fittizia di più società nelle singole operazioni.

    Quanto al requisito dell’ineffettività delle sanzioni previste “in un numero considerevole di casi di frode grave” che ledono gli interessi finanziari dell’Unione Europea, deve ritenersi che lo stesso non ricorra, in ragione dell’entità e del numero modesto di operazioni fraudolente oggetto di contestazione, poste in essere senza l’interposizione di più società. Si tratta, inoltre, di episodi che non risultano ascrivibili a un contesto associativo e non coinvolgono di volta in volta una pluralità di soggetti, ma solo l’emittente e il ricevente le fatture.

    4.5. – In conclusione, i reati oggetto del presente procedimento non rientrano fra quelli per i quali possono trovare applicazione i principi in materia di durata massima del termine di prescrizione affermati con la sentenza Taricco. Giova aggiungere che il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 17, comma 1 bis, che eleva i termini di prescrizione dei reati previsti dagli artt. da 2 a 10, del medesimo decreto di un terzo, è stato introdotto dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla L. 14 settembre 2011, n. 148, norma successiva alla commissione dei reati contestati. E tale disposizione è inapplicabile alla fattispecie in esame, per la stessa previsione della disciplina transitoria contenuta nell’art. 2, comma 36 vicies bis, del D.L. citato, che stabilisce che “Le norme di cui al comma 36 vicies semel, si applicano ai fatti successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

    Ne consegue che il computo della prescrizione deve essere effettuato con gli ordinari criteri di cui all’art. 157 c.p., comma 1, art. 160 c.p., comma 3, art. 161 c.p., comma 2, quali prevedono, per i reati per i quali qui si procede, un termine massimo complessivo di sette anni sei mesi. E deve tenersi conto delle cause di sospensione del decorso della prescrizione verificatesi nel corso del procedimento, per un totale di un anno, quattro mesi, dodici giorni: 60 giorni, per impedimento del difensore all’udienza del 29 novembre 2013; 60 giorni, per impedimento del difensore all’udienza del 5 febbraio 2014; 6 mesi e 22 giorni per richiesta difensiva (dal 25 febbraio 2015 al 16 settembre 2015); 3 mesi e 20 giorni, per adesione del difensore all’astensione dalle udienze proclamata da un organismo di categoria (dal 23 giugno 2011 al 13 ottobre 2011); 60 giorni, per impedimento del difensore all’udienza del 1 marzo 2012. Ne consegue che: il reato di cui al capo A), commesso il 6 aprile 2005, si è prescritto il 18 febbraio 2014; il reato di cui al capo B, commesso il 19 ottobre 2006, si è prescritto il 31 agosto 2015; il reato di cui al capo C) si è prescritto il 25 dicembre 2014, quanto alla condotta più recente, del 13 febbraio 2006; il reato di cui al capo D), commesso il 27 dicembre 2006 con riferimento all’annualità 2005, il 7 settembre 2015. Residuano: quanto al reato di cui al capo D), l’annualità 2006, per la quale il termine di prescrizione andrà scadere il 5 agosto 2016, trattandosi di fatto commesso il 25 settembre 2007; il reato di cui al capo E), commesso il 15 ottobre 2007, per il quale il termine di prescrizione ad a scadere il 27 agosto 2016.

    5. – Restano, dunque, da esaminare i motivi di ricorso da 3.2) a 3.5), proposti nell’interesse di S.E. con riferimento ai due residui reati.

    5.1. – I motivi sub 3.2) e 3.3), relativi agli elementi oggettivo e soggettivo della frode fiscale, sono infondati. La Corte d’appello ha, infatti, correttamente delineato il quadro probatorio, evidenziando l’inconsistenza della tesi difensiva secondo cui l’imputata era solo formalmente amministratrice della società Altair s.r.l., mentre tutti gli atti di gestione erano compiuti da S.A.. Questa non aveva infatti un ruolo di semplice prestanome, perchè si occupava della fatturazione e intratteneva i rapporti con le banche; attività che implicano entrambe un sufficiente grado di consapevolezza e partecipazione e che non denotano la mancanza del potere di ingerenza nella gestione della società. Tale conclusione risulta rafforzata – secondo la corretta valutazione dei giudici di merito – dalla considerazione che l’imputata si era addirittura resa protagonista della falsa denuncia di furto delle scritture contabili connessa al tentativo di rendere più difficoltosa la prova del reato di frode fiscale. E del tutto generiche risultano, in tale contesto, le considerazioni difensive relative al fatto che alcune delle operazioni oggetto della fatturazione sarebbero realmente avvenute, in mancanza di precisi riferimenti alla documentazione in atti.

    5.2. – Parimenti generico è il motivo di ricorso sopra riportato sub 3.4), perchè con esso non si contesta la sostanziale falsità delle circostanze oggetto della denuncia – ovvero l’avvenuto furto delle scritture contabili – ma ci si limita a sostenere che la contabilità della società era stata comunque ricostruita dalla Guardia di Finanza e che, se l’imputata avesse avuto effettivamente l’intento di occultarla, avrebbe dovuto eliminare anche la documentazione informatica presso il commercialista. Così argomentando, la difesa non considera, però, che il presupposto per la simulazione di reato è la falsa affermazione dell’essere avvenuto un reato, in modo che si possa iniziare un procedimento penale per accertarlo. E certamente la falsa denuncia proposta nel caso di specie era idonea a causare l’inizio di un procedimento penale, avendo per oggetto un furto che si sarebbe consumato nell’auto dell’imputata. E non rileva a tale fine la circostanza che la documentazione contabile avrebbe potuto comunque essere ricostruita sulla base di quanto detenuto dal commercialista della società, perchè tale circostanza – peraltro meramente asserita – non fa venire meno la falsità oggettiva della denuncia presentata.

    5.3. – Inammissibile è il quinto motivo di doglianza, relativo al trattamento sanzionatorio e alle circostanze attenuanti generiche. La difesa non considera, infatti, neanche a fini di critica, la motivazione della sentenza impugnata, la quale – in totale continuità con quella di primo grado – evidenzia che non emergono e non sono stati compiutamente prospettati elementi positivi del giudizio. Quanto alla misura della pena, la difesa non considera che la stessa è stata ridotta per commisurarla all’effettiva gravità dei fatti, quale risulta dall’analitica descrizione degli stessi contenuta nella sentenza. In conseguenza dell’annullamento della sentenza quanto al reato di cui al capo D) dell’imputazione, limitatamente all’anno d’imposta 2005, sarà comunque necessario un rinvio della trattazione del procedimento ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce, per la determinazione del trattamento sanzionatorio in relazione ai reati residui.

    6. – La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata senza rinvio, nei confronti di S.A. e P.A., per essere i reati a loro ascritti estinti per prescrizione, nonchè nei confronti di S.E. in relazione al reato di cui al capo D) dell’imputazione, limitatamente all’anno di imposta 2005, per essere lo stesso estinto per prescrizione, con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Lecce per la determinazione della pena quanto ai residui reati ascritti alla stessa S.. Il ricorso di quest’ultima deve essere nel resto rigettato.

    P.Q.M.

    Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di S.A. e P.A., per essere i reati a loro ascritti estinti per prescrizione, nonchè nei confronti di S.E. in relazione al reato di cui al capo D) della imputazione, limitatamente all’anno di imposta 2005, per essere lo stesso estinto per prescrizione, e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce per la determinazione della pena quanto ai residui reati ascritti alla stessa S.E.. Rigetta nel resto il ricorso di S.E..

    Così deciso in Roma, il 7 giugno 2016.

    Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2016

  • Prescrizione: la Cassazione specifica i criteri individuati nella sentenza Taricco (nota a Cass. 44584/2016)