201802.08
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Cass., sez. III civ., 8 febbraio 2018, n. 3021 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6225/2015 proposto da:

D.G., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dell’avvocato MARISA OLGA MERONI, LAURA MARIA GIAMMARRUSTO giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA NORD SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore e per esso l’Avv. V.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TRONTO 32, presso lo studio dell’avvocato GIULIO MUNDULA, rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO RENZELLA giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

SAIPEM SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3416/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 26/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/07/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE ROSSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PAOLO PONTECORVI per delega;

udito l’Avvocato GIULIO MANDULA per delega orale.

Svolgimento del processo

D.G., debitore esecutato nella procedura di espropriazione immobiliare in suo danno promossa dalla società Saipem S.p.A. ed iscritta al R.G.Es. 1133/05 del Tribunale di Milano, propose opposizione all’esecuzione ed agli atti esecutivi avverso l’atto di intervento nella procedura depositato il 7 giugno 2006 da Equitalia Nord S.p.A. (già Esatri S.p.A.) per la soddisfazione di un credito di natura tributaria.

A suffragio dell’opposizione, dedusse la irregolarità formale del ricorso per intervento per omessa o incerta indicazione del titolo di credito nonchè l’inesistenza del credito azionato per inesistenza o nullità della notifica delle cartelle di pagamento causalmente ascritte ad omesso versamento delle imposte su redditi da capitale per l’annualità 1993, in quanto irritualmente eseguite ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, comma 1, lett. e), modalità che aveva impedito all’opponente di venire a conoscenza dell’esistenza della pretesa creditoria prima dell’esperimento dell’atto di intervento.

L’adito Tribunale di Milano rigettò l’opposizione, decisione che è stata confermata dalla Corte di Appello di Milano con la sentenza n. 3416/2014 del 26 settembre 2014.

Per quanto ancora controverso, la Corte meneghina ha rilevato che dagli elementi istruttori acquisiti era dimostrato come l’opponente avesse avuto contezza delle notifica delle cartelle esattoriali dall’aprile 2006, epoca anteriore al ricorso per intervento: versandosi in tema di crediti tributari, il presunto vizio di notifica avrebbe dovuto essere censurato innanzi le commissioni tributarie e la possibilità di impugnazione in detta sede delle cartelle di pagamento “quali atti presupposti non notificati o irritualmente notificati” impediva la proponibilità innanzi al giudice ordinario della opposizione per contestare la validità della notificazione del titolo esecutivo.

Ricorre per cassazione D.G., affidandosi a due motivi, illustrati da memoria; resiste, con controricorso, Equitalia Nord S.p.A..

Alcuna attività difensiva ha svolto l’altra parte intimata, Saipem S.p.A..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2, 19 e 21 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si censura la pronuncia gravata nella parte in cui ha ritenuto l’esperibilità di ricorso innanzi il giudice tributario avverso “gli avvisi di accertamento anche in assenza di notificazione dell’atto impugnabile” e la conseguente preclusione della possibilità “di impugnare le cartelle esattoriali poste da Equitalia a fondamento dell’intervento in sede di opposizione all’esecuzione”.

Assume il ricorrente che il termine stabilito a pena di decadenza per proporre ricorsi in sede tributaria decorre dalla notificazione dell’atto viziato e ne postula dunque, in maniera indefettibile, l’avvenuta effettuazione, non surrogabile da differenti forme di conoscenza dell’atto, aliunde acquisite; omessa la notificazione degli avvisi di accertamento, doveva ritenersi consentito dedurre siffatta circostanza in sede di opposizione all’intervento spiegato dall’agente della riscossione quale ragione di “nullità delle cartelle esattoriali costituenti il titolo esecutivo legittimante l’intervento”.

1.1. La complessa doglianza così riassunta non merita adesione. Essa, in primo luogo, muove da una non attenta lettura del percorso argomentativo seguito nell’impugnata sentenza.

Invero, la Corte territoriale ha ritenuto la esperibilità della impugnazione in ambito tributario delle cartelle di pagamento (non già – come invece dedotto dall’impugnante – dei prodromici avvisi di pagamento) nei sessanta giorni dalla accertata conoscenza di esse (anche al fine di far valere la omessa o irrituale notifica degli atti presupposti); da ciò ha poi inferito la giuridica impossibilità di dedurre la nullità della notificazione delle cartelle stesse per contestare con il rimedio oppositivo codicistico innanzi il giudice ordinario l’intervento dell’agente della riscossione nell’espropriazione (cfr. pag. 10: “considerata la possibilità di impugnazione dinnanzi alle Commissioni tributarie (…) della cartella di pagamento (…) non poteva l’appellante proporre davanti al giudice ordinario un’opposizione riguardante contestazioni in merito alla notificazione di titolo esecutivo”).

Orbene, questa statuizione è conforme a diritto ma sortisce su una motivazione non corretta, come tale meritevole di correzione ai sensi dell’art. 384 c.p.p., u.c..

1.2. Secondo la condivisibile ricostruzione operata dal giudice della nomofilachia, nel sistema della riscossione coattiva a mezzo ruolo disciplinato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, il diritto di procedere in executivis dell’agente della riscossione si fonda su un peculiare e caratterizzante titolo esecutivo, rappresentato, a mente del citato D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49, comma 1, dal ruolo, ovvero l’elenco dei debitori predisposto dall’ente creditore e trasmesso all’agente della riscossione, avente natura di titolo di formazione amministrativa, munito ab origine e per espressa volontà di legge, di idoneità esecutiva senza necessità, a tal fine, di alcuna comunicazione o notificazione al debitore.

Di siffatto peculiare titolo esecutivo costituisce riproduzione il cd. estratto di ruolo, un documento che, giusta quanto prescritto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, riporta i dati relativi al soggetto contribuente, alla natura ed entità delle pretese iscritte a ruolo, nonchè la descrizione, il codice e l’anno di riferimento del tributo, l’anno di iscrizione a ruolo, la data di esecutività del ruolo, l’ente creditore: esso, corredato della dichiarazione di conformità all’originale resa dall’agente della riscossione, integra idonea prova del credito, ai sensi dell’art. 2718 cod. civ., anche in ordine all’accertamento della giurisdizione del giudice adito (expresse, Cass. 09/06/2016, n. 11794; Cass. 29/05/2015, n. 11141-11142; Cass. 05/12/2011, n. 25962).

La cartella di pagamento, invece, non è altro che la stampa del ruolo in unico originale notificata alle parti che, redatta in conformità al relativo modello ministeriale, reca l’indicazione dei medesimi elementi identificativi della pretesa risultanti dal ruolo, innanzi analiticamente menzionati (Cass. 23/06/2015, n. 12888).

Precisamente, nel sistema della riscossione a mezzo ruolo la notificazione della cartella di pagamento assolve uno actu le funzioni che nella espropriazione forzata codicistica sono svolte dalla notificazione del titolo esecutivo ex art. 479 c.p.c. e dalla notificazione del precetto, risolvendosi, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 2, nell’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo, così come il precetto contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo (da ultimo, Cass. 27/11/2015, n. 24235; in precedenza, Cass., 04/05/2012, n. 6721).

La notificazione della cartella configura, poi, attività prodromica necessaria al pignoramento eseguito (in una delle varie modalità stabilite dalla legislazione speciale) dall’agente della riscossione: in tal senso, univocamente depone il disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, laddove prevede che “il concessionario procede ad espropriazione forzata quando è inutilmente decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento”.

La trascritta formulazione letterale della norma offre un indice inequivoco per la corretta delimitazione della funzione della cartella: la locuzione “procede ad espropriazione”, infatti, va intesa in senso proprio e stretto, come riferita unicamente all’atto di promuovimento della procedura di riscossione, nelle differenti tipologie previste in ragione del bene (mobile, immobile o credito) staggito.

La cartella di pagamento costituisce, dunque, atto preliminare indefettibile solo di una delle due possibili declinazioni dell’azione esecutiva: condiziona cioè esclusivamente l’effettuazione di un pignoramento da parte dell’agente della riscossione, e non invece l’intervento di questi in procedura espropriativa già intrapresa.

1.3. La conclusione trova conferma nella disciplina dettata dal codice di rito per l’intervento dei creditori nell’espropriazione.

L’art. 499 c.p.c., nel regolare i presupposti dell’intervento e i requisiti di contenuto-forma del modo di esplicarsi di esso, postula, infatti, l’esistenza di un credito assistito da titolo esecutivo (con le sole, tassative, eccezioni menzionate dalla stessa norma) e ne richiede la specifica indicazione nel ricorso per intervento, ma non opera richiamo alcuno (tampoco, in chiave condizionante) alla doverosità di pregresse intimazioni ad adempiere.

D’altro canto, l’art. 480 c.p.c. definisce il precetto come “l’intimazione di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo, entro un termine non minore di dieci giorni (…) con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata” (anche qui, si noti, l’uso del verbo procedere), mentre, con speculari e contrapposte disposizioni, i successivi due articoli del codice, nel circoscrivere temporalmente l’idoneità in executivis del precetto, fanno ambedue esclusivo riferimento all’inizio dell’esecuzione (art. 481: “il precetto diventa inefficace se nel termine di novanta giorni dalla sua notificazione non è iniziata l’esecuzione”; art. 482: “non si può iniziare l’esecuzione forzata prima che sia decorso il termine indicato nel precetto”), momento iniziale che, in ordine alle procedure di espropriazione, l’art. 491 c.p.c. individua nel pignoramento.

Dal punto di vista teleologico, poi, la necessità della prodromica intimazione risponde ad una duplice ratio: per un verso, offrire all’intimato debitore la possibilità dell’adempimento spontaneo dell’obbligazione nascente dal titolo, evitando così gli effetti limitativi della disponibilità dei beni correlati al minacciato pignoramento; ancora, consentire (ed anzi provocare) l’esperimento, in via preventiva rispetto all’espropriazione, dei rimedi oppositivi (ex art. 615 o 617 c.p.c.), al fine (anche) di ottenere provvedimenti di natura cautelare – aventi contenuto lato sensu inibitorio dell’effettuazione del pignoramento, impedendo quindi, per altra strada, l’apposizione del relativo vincolo.

Orbene, le descritte funzioni appaiono del tutto inconferenti quando l’azione esecutiva sia svolta dal creditore con le forme dell’intervento: per la semplice (ma dirimente) ragione che, in tal caso, la previa intimazione del precetto mai potrebbe permettere al debitore di elidere la minaccia dell’espropriazione e le incidenze (legittimamente) deteriori sul potere dispositivo sui beni del suo patrimonio, per essersi queste ultime già verificatesi in conseguenza del precedente pignoramento.

In definitiva, il dettato dell’art. 479 c.p.c., nella parte in cui prescrive che “l’esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notificazione del titolo in forma esecutiva del precetto” ha riguardo unicamente all’espropriazione promossa con il pignoramento, non a quella esercitata in via di intervento; come, peraltro, ha già avuto modo di precisare – ancorchè per incidens – questa Corte, affermando che “non è mai previsto però, in linea generale e salve specifiche disposizioni (dettate da esigenze particolari, connesse a peculiari necessità pubblicistiche di tutela del debitore in funzione delle attività esercitate e della destinazione del bene staggito, come nel sottosistema delle espropriazioni in danno di pubbliche amministrazioni non economiche: Cass. 18 aprile 2012, n. 6067), che l’intervento debba essere preceduto da precetto” (così, testualmente, Cass. 11/12/2012, n. 22645).

1.4. Se dunque l’intervento nell’espropriazione postula l’esistenza di un (valido ed efficace) titolo esecutivo (costituito, per i crediti fatti valere dall’agente della riscossione, dal ruolo) e non la notificazione di esso e l’intimazione di precetto (attività accorpate, per i crediti azionati dall’agente della riscossione, nella notificazione della cartella di pagamento), non poteva certo trovare accoglimento l’opposizione proposta dalla parte qui ricorrente, dacchè articolata sulla deduzione di vizi di nullità o inesistenza di un atto non necessariamente prodromico all’intervento, ovvero la cartella di pagamento (asseritamente inficiata da un’invalidità derivata – per erronea notifica dell’avviso di accertamento, atto impositivo presupposto – e da invalidità propria delle modalità notificatorie della cartella stessa).

Nei sensi anzidetti si impone la correzione della motivazione della gravata sentenza e il rigetto del primo motivo di ricorso, sulla scorta del seguente principio di diritto: “In tema di espropriazione forzata, presupposto dell’intervento dei creditori nella procedura è l’esistenza di un titolo esecutivo (costituito dal ruolo, per i crediti azionati dall’agente della riscossione), non la notificazione di esso nè la intimazione di un precetto (ovvero, per i crediti azionati dall’agente della riscossione, la notificazione della cartella di pagamento), sicchè è destituita di fondamento l’opposizione proposta dal debitore esecutato avverso l’intervento spiegato dall’agente della riscossione in una procedura espropriativa ordinaria deducendo vizi di invalidità, propria o derivata, della cartella di pagamento”.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per omesso esame dei motivi di appello aventi ad oggetto: (a) la inesistenza del titolo esecutivo (costituito, nella prospettazione del ricorrente, dalla cartella esattoriale) per omessa notifica degli avvisi di accertamento; (b) la decadenza dell’agente della riscossione per omessa notifica delle cartelle di pagamento entro i termini perentori sanciti dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25.

La censura, che muove da un palese errore di diritto (laddove considera il ruolo “atto necessariamente recettizio, che può costituire titolo esecutivo soltanto allorquando venga portato a conoscenza del debitore a mezzo della notifica della cartella di pagamento”) e che non è immune da contraddittorietà e confusioni concettuali (quando assume che “il titolo esecutivo in forza del quale il concessionario può procedere ad esecuzione forzata (…) altro non è che la stessa cartella esattoriale” e laddove opera una sovrapposizione, in guisa di parificarne gli effetti, tra vizi della notificazione della cartella di pagamento e vizi della notificazione degli avvisi di accertamento ad essa prodromici), è destituita di fondamento.

La impugnata sentenza non ha affatto omesso di statuire sui riportati motivi di appello (dei quali, comunque, appare palmare l’infondatezza, alla stregua del principio di diritto enunciato sopra, sub p. 1.4.): invero, la Corte territoriale ne ha ritenuto la non accoglibilità con argomentazione diffusa (quantunque in iure non corretta, e perciò emendata con la presente pronuncia), centrata sul rilievo della possibilità di impugnare innanzi le commissioni tributarie le cartelle di pagamento per ogni vizio in tesi inficiante la stessa (menzionando esplicitamente o includendo, in via implicita, le asserite invalidità contestate con le ragioni di gravame dall’appellante).

3. Rigettato il ricorso, la disciplina delle spese del giudizio di legittimità segue il principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., con liquidazione operata alla stregua dei parametri fissati dal D.M. 55/2014, come in dispositivo.

Avuto riguardo all’epoca di proposizione del ricorso per cassazione (posteriore al 30 gennaio 2013), la Corte dà atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): l’improcedibilità del ricorso costituisce il presupposto per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento in favore del contro ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 25.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 12 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2018