200703.24
0

Cass., sez. trib., 28 luglio 2006, n. 17229 (testo)

(Omissis) – Svolgimento dei fatti. – 1. Il 4 ottobre 2004 è notificato a I. D. di M. M. C. & C. s.n.c. un ricorso dell’Amministrazione finanziaria per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, che ha rigettato l’appello dell’Ufficio tributario contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Campobasso n. 225/04/98, che aveva accolto il ricorso della società contro l’avviso di accertamento n. (omissis) dell’Ilor 1991.

2. I fatti di causa sono i seguenti:

  • l’Ufficio delle imposte dirette di Campobasso rettifica la dichiarazione dei redditi del 1991 presentata dalla società intimata, svolgente attività di macelleria e di vendita di bestiame vivo, accertando un reddito imponibile ai fini dell’Irpef per i soci di lire 117.489.000, a fronte di quello dichiarato di lire 6.009.000;
  • il ricorso della società è accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso, perché mancano i presupposti per l’accertamento induttivo, tra i quali soprattutto il verbale di ispezione;
  • nel suo appello l’Ufficio tributario sostiene che non sussisterebbe alcun obbligo di redigere un verbale di ispezione e che, nella specie, la rideterminazione del reddito non è avvenuta ex 39, 2° comma, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, ma ai sensi del primo comma dello stesso articolo; inoltre, l’Ufficio non avrebbe utilizzato studi di settore astratti;
  • l’appello dell’Ufficio è respinto dalla Commissione tributaria regionale con la sentenza ora impugnata per cassazione.

3. La sentenza della Commissione tributaria regionale, oggetto del ricorso per cassazione, è così motivata:

  • l’accertamento induttivo costituisce un’eccezione rispetto alla regola ordinaria che, invece, prevede l’accertamento analitico in rettifica delle singole voci reddituali;
  • nel caso di specie la mancata redazione del processo verbale di constatazione assume un carattere preminente per la soluzione della controversia; invero, l’Ufficio avrebbe dovuto procedere alla constatazione di eventuali violazioni, che, solo se gravi numerose e ripetute, avrebbero consentito all’accertatore di procedere alla rideterminazione dei ricavi e, quindi, del reddito;
  • infine, le rese utilizzate dall’Ufficio, pur non scaturenti dalla l. 17 febbraio 1985, n. 17, sono relative a studi di settore che prescindono completamente dalla realtà aziendale e riguardano medie statistiche che non possono costituire l’unico elemento per l’accertamento induttivo.

4. Il ricorso per cassazione dell’Amministrazione finanziaria è sostenuto con un solo motivo di impugnazione e si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione.

5. L’intimata società non si è costituita in giudizio.

Motivi della decisione. – 6.1. Con l’unico motivo di impugnazione si denuncia la violazione e la falsa applicazione degli art. 32, 33 e 39, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 62 sexies, d. l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito nella l. 29 ottobre 1993, n. 427, oltre all’omessa motivazione su punti decisivi della controversia.

6.2. Le ricorrenti sostengono, al riguardo, che i giudici regionali avrebbero totalmente trascurato di prendere in considerazione le documentate argomentazioni esposte dall’Ufficio in sede di appello che avrebbero dimostrato come, nella specie, l’accertamento del maggior reddito era stato eseguito in base all’art. 39, 1° comma, lett. d), e non in base all’art. 39, 2° comma, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600. Infatti, la società, a fronte di ricavi dichiarati di lire 472.613.000, avrebbe dichiarato un reddito di sole lire 6.000.000, facendo dubitare dell’attendibilità dell’intera contabilità, senza contare che la redazione di un verbale di ispezione non sarebbe, comunque, affatto necessaria per l’esercizio del potere di accertamento.

Infine, la rettifica operata nei confronti della società partecipata avrebbe trovato pieno fondamento in studi di settore concernenti la specifica realtà nella quale s’inserisce l’azienda.

6.3. Il motivo è inammissibile per genericità, perché le argomentazioni addotte a suo sostegno si riferiscono a fatti che sono oggetto esclusivo del potere cognitivo del giudice di merito, le cui valutazioni non sono confutate né con l’indicazione degli atti processuali nei quali l’Amministrazione finanziaria avrebbe contestato le valutazioni operate dal giudice di primo grado fatte proprie dal giudice d’appello, né con la riproduzione testuale di quelle loro parti contenenti le censure e le relative ragioni che le sostengano. Inoltre, non è in alcun modo specificamente contestata la motivazione della sentenza di secondo grado, cosicché la violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione è violato anche per quel che riguarda l’omissione di motivazione.

Quanto agli studi di settore, il giudice d’appello ha accertato in fatto, con un giudizio immune da vizi logici e, quindi, non censurabile in questa sede, che le rese utilizzate dall’Ufficio sono relative a studi di settore che prescindono totalmente dalla realtà aziendale (v. retro § 3.c.). A fronte di tale precisa valutazione la ricorrente Amministrazione finanziaria si è limitata a riaffermare che gli studi di settore utilizzati riguarderebbero la specifica realtà nella quale s’inserisce l’azienda. Si tratta, pertanto, di affermazioni generiche e, quindi, inidonee a contestare l’accertamento dei fatti operato dal giudice di merito e la logicità della sua valutazione dei fatti accertati. Né, data la natura di atti amministrativi generali di organizzazione, rivestita dagli studi di settore previsti dall’art. 62 bis, d. l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito nella l. 29 ottobre 1993, n. 427, li si possono considerare sufficienti perché l’ufficio tributario operi l’accertamento di un rapporto giuridico tributario di specie ultima, senza che l’attività istruttoria amministrativa sia completata nel rispetto del principio generale del giusto procedimento, cioè consentendo al contribuente, ai sensi dell’art. 12, 7° comma, l. 27 luglio 2000, n. 212, di intervenire già in sede procedimentale amministrativa, prima di essere costretto ad adire il giudice tributario, di vincere la mera praesumptio hominis costituita dagli studi di settore. Risulta, infatti, sia dalla descrizione sommaria dei fatti di causa effettuata dalla ricorrente nel suo ricorso per cassazione sia dalla sentenza impugnata, che, nella fase procedimentale amministrativa che va dalla dichiarazione tributaria all’avviso di accertamento, tra ufficio tributario e contribuente non s’è svolto alcun contraddittorio, cosicché è vano invocare uno studio di settore, che ha struttura oggettiva e soggettiva categoriale e, quindi, di genere, come strumento idoneo a regolare, di per sé, un caso di specie ultima. In questo senso è orientata la giurisprudenza di questa Corte nelle sentenze: 3 maggio 2005, n. 9135; 23 giugno 2003, n. 9946; 27 settembre 2002, n. 13995.

  1. Le precedenti considerazioni inducono a rigettare il ricorso.
  2. La mancata costituzione in giudizio del soggetto intimato esime dalla pronuncia in ordine alle spese processuali relative al giudizio di cassazione.

P.Q.M. – la Corte rigetta il ricorso.