201602.16
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Cass., sez. trib., 3 febbraio 2016, n. 2060 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.A. spa, rappresentata e difesa dall’avv. Maisto Guglielmo e dall’avv. Cerrato Marco, presso i quali è elettivamente domiciliata in Roma in piazza d’Aracoeli n. 1;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma in via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria n. 257/01/08, depositata il 29 settembre 2008;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28 gennaio 2015 dal Relatore Cons. Antonio Greco;

uditi l’avv. Picone Ferrarotti Piero per la ricorrente e l’avvocato dello Stato Fiorentino Sergio per la controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.


Svolgimento del processo


La spa F.A. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria che, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, ha dichiarato legittimo l’avviso di accertamento ai fini dell’IRPEG, dell’IRAP e dell’IVA per il 2000, con il quale, per quanto ancora rileva, veniva contestata l’omessa contabilizzazione di componenti positivi di reddito per L. 1.145.286.000, corrispondenti a note di accredito (che avevano comportato variazioni in diminuzione nel conto “ricavi per vendite e prestazioni”) emesse per sconti accordati ai clienti: la prova documentale che giustificasse l’emissione di tali note di accredito, benchè più volte richiesta in sede di verifica, non era stata mai fornita; l’importo era stato considerato componente positivo di reddito sottratto a tassazione ai fini IRPEG, con conseguente recupero dell’IVA illegittimamente detratta.

Il giudice d’appello, alla luce della disciplina dettata dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26, per le variazioni dell’imponibile IVA in conseguenza di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, ha infatti, tra l’altro, posto in luce “le inutili reiterate richieste, come si rileva dai verbali delle operazioni giornaliere, avanzate dai verbalizzanti per avere notizie sui criteri utilizzati per avere notizie sui criteri utilizzati per determinare gli sconti e gli extra sconti ai clienti”, ed ha ritenuto che “la dimostrazione dell’avvenuta registrazione della variazione, dell’emissione di note di credito, della registrazione nei partitari clienti, non provano l’esistenza della previsione contrattuale (anche verbale) richiesta dalla legge, ma soltanto che è stata assolta la seconda condizione, e cioè la registrazione della riduzione e conseguente variazione d’imposta”.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.


Motivi della decisione

Con il secondo ed il primo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26 la società ricorrente chiede, rispettivamente, che questa Corte “affermi il seguente principio di diritto”: “la registrazione delle note di credito emesse e l’effettuazione dei relativi pagamenti sono sufficienti a provare l’esistenza di contratti verbali relativi ad abbuoni o sconti che, ai sensi della norma in rubrica, consentono la variazione dell’imposta sul valore aggiunto” (secondo motivo); e che “affermi il seguente principio di diritto”: “le note di credito per abbuoni o sconti consentono la riduzione dei ricavi ai fini IRPEG e IRAP senza che sia necessaria la verifica dei requisiti previsti dalla norma in rubrica per la variazione dell’imposta sul valore aggiunto”.

Il ricorso, i cui due motivi vanno esaminati congiuntamente in quanto legati, è infondato. E ciò anche a voler prescindere dall’idoneità dei quesiti di diritto sopra riportati, i quali sembrano risolversi nella formulazione di astratte questioni giuridiche.

A norma del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26, comma 2, qualora un’operazione per la quale sia stata emessa fattura successivamente alla registrazione viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’anroontare imponibile, tra le altre ipotesi, “in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25”.

Questa Corte ha in proposito affermato che “il ricorso alla procedura di variazione prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26, comma 2, in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti, con la connessa riduzione dell’ammontare imponibile, richiede una duplice condizione: a) che venga praticato al cessionario o committente, dal cedente o dal prestatore, uno sconto sul prezzo della vendita effettuato; b) che la riduzione del corrispettivo al cliente sia il frutto di un accordo, il quale può essere documentale, o verbale, e persino successivo, purchè del medesimo sia fornita la prova, da parte dei soggetti interessati, mediante la trasfusione del patto stesso in note di accredito, emesse da una parte a favore dell’altra, con l’allegazione della causale che, volta per volta, abbia giustificato gli sconti medesimi” (Cass. n. 26513 del 2011, n. 8535 del 2014, n. 318 del 2006, n. 9195 del 2001; sulla deducibilità di sconti praticati sulla base di consuetudini o usi commerciali).

Con particolare riguardo al primo motivo, concernente la determinazione dell’imponibile IRPEG, è appena il caso di osservare che con la variazione in diminuzione in conseguenza di abbuoni o sconti, di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 2, “l’operazione commerciale per la quale sia stata emessa fattura vede ridotto il suo ammontare” (Cass. n. 5006 del 2007), in quanto lo sconto è “una componente che incide direttamente sul prezzo della merce o del servizio, riducendone l’ammontare dovuto per le singole operazioni poste in essere” (Cass. n. 5208 del 2012).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.


P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 10.000 per compensi di avvocato, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2015.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2016